i tradizionalisti cattolici contro papa Francesco

 

 

 

 

il papa

 

ne ha molti contro!

ha contro almeno tutto il mondo web dei supertradizionalisti cattolici seguaci di Lefebvre, negazionisti nei confronti dell’olocausto, amanti di un ritualismo statico, astorico, arcaico, sacralizzato come la messa in latino ecc.

non sopportano affatto il sottovalutare gesti, segni, paramenti tipici di una gestualità sacrale legata al comportamento del papa consacrato dalla tradizione

soprattutto li scandalizza il guardare in modo umano-evangelico anche i gay

qui sotto l’articolo odierno di P. Rodari  su ‘La Repubblica’ che delinea  una sorta di mappa di opposizione critica nei confronti di papa Francesco: 

 

 

“Basta con samba e gay” l’anatema dei tradizionalisti contro le svolte di Francesco

di Paolo Rodari

  Un sottobosco cresce nel regno di Jorge Mario Bergoglio. Gruppi di tradizionalisti, ultra- conservatori, perfino sedevacantisti, che sul web — non così sui media tradizionali — trovano l’humus in cui proliferare e di qui lanciare i propri strali contro Francesco, il papa del ritorno all’essenziale, al Vangelo che come sognava Simone Weil elimina le parole di principale ostacolo all’incarnazione di Cristo: anathema sit. Non ci sono più scomuniche con Bergoglio, «il papa che era già un Francesco a Buenos Aires», come ha detto all’Osservatore Romano il suo amico cardinale brasiliano Claudio Hummes. A conti fatti, un problema serio per il mondo tradizionalista che sulle condanne ha costruito parte della propria fortuna. Uno dei post più decisi è del blogmessainlatino.it che si dichiara «per il rinnovamento della Chiesa nel solco della tradizione». Parla apertis verbis della «crisi d’identità del vescovo di Roma Francesco». E picchia duro sulla domanda che il papa si è posto sull’aereo lunedì 29 luglio di ritorno dal Brasile: «Se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, ma chi sono io per giudicarla?». Parole che sono «una vera e propria crisi di identità» e che, dice convinto il blog,«valgono molto di più dei pur miserevoli episodi del pastorale di Lampedusa, della samba episcopale di Rio, del rifiuto delle insegne pontificie…». Perché sono «il segno tangibile di uno smarrimento esistenziale che fa letteralmente tremare i polsi e il cuore ai fedeli». Ma Santità, chiede ancora messainlatino.it, «perdonate l’ardire, voi non siete forse il “papa”? Non avete forse le chiavi per aprire e chiudere il Regno dei Cieli?». Il sottobosco è esteso e travalica i confini nazionali. Traditioninaction. org— «La più bella avventura del mondo è la nostra», dichiarano i moderatori — è un gruppo tradizionalista con base a Los Angeles. Per loro Francesco è un «burlone» che anziché togliersi lo zucchetto davanti a Dio, preferisce «metterlo in testa a una ragazzina — così fa spesso il papa quando incontra i fedeli, facendo propria una consuetudine che era anche dei suoi predecessori, ndr —, per scherzare con lei e far ridere la gente. In questo modo egli cerca di apparire come un vecchio nonno che intrattiene sua nipote e allo stesso tempo dimostra che i simboli del papato sono inutili». E ancora: «Si tratta dell’ennesimo passo volto a desacralizzare i simboli del papato al fine di svilirli e poi di abolirli». Insomma, per i tradizionalisti americani quei giri in piazza San Pietro tra la folla che per Francesco non sono tempo perso ma missione, sono «tour democratico/demagogico», segno di uno stile «miserabilista». Il recente commissariamento dei “Francescani dell’immacolata” da parte della Congregazione dei religiosi, un ordine tradizionalista che celebra messa col rito antico, ha provocato il diniego del sito conservatore corrispondenzaromana. it. Dicono: «In una sola mossa, non vengono esautorati solo il fondatore di un ordine fiorente e i vertici che lo assistono, ma anche il motu proprio di Benedetto XVI che liberalizza la celebrazione della messa in rito gregoriano, il pontefice che lo ha emanato e, in definitiva, la messa stessa». E ancora: «Accade che, in nome del papa», il governo dell’istituto viene trasmesso «a una minoranza di frati ribelli, di orientamento progressista, ai quali il neo- commissario si appoggerà» per «condurlo al disastro a cui fino a ora era sfuggito grazie alla sua fedeltà alle leggi ecclesiastiche e al magistero». La galassia tradizionalista che sul web contesta il papa non è tutta in comunione con Roma, ma ne è anche fuori, uscita in parte in scia allo scisma lefebvriano, in parte alla spaccatura interna ai Legionari di Cristo dopo la cacciata di padre Marcial Maciel Degollado. Due mondi che soffiano contro il pontificato, e che già dai tempi di Ratzinger boicottano ogni slancio ecumenico. L’avversione ha radici lontane. E nasce da quando all’interno del Celam — il Consiglio episcopale
latinoamericano — il futuro papa aveva spinto per un risanamento della galassia Legionari-Regnum Christi che nelle due Americhe ha seguaci e simpatizzanti. Non a caso, è stato il conservatore National Catholic Register ad avere per Francesco parole dure. A suo dire l’elezione al soglio di Pietro è stata l’«ennesima aggiunta al mucchio delle recenti novità e mediocrità cattoliche». Fra queste mediocrità, per il sito una Fides, ci sono le messe celebrate in Brasile dove i sacerdoti hanno distribuito l’eucaristia con dei bicchieri di carta: «Il Signore un giorno chiederà conto degli innumerevoli sacrilegi compiuti da milioni di fedeli, migliaia di sacerdoti, centinaia di vescovi, decine di cardinali e forse anche da qualche papa».

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la situazione politica italiana bloccata da Berlusconi

il corazziere

il pdl agita la bandiera della ‘agibilità politica’ di Berlusconi dopo la sua condanna, come se nel nostro paese non ci fosse democrazia e non fosse permesso a tutti di svolgere la propria attività politica

ci muoviamo chiaramente su un terreno scivoloso, su cui riflette opportunamente C. Tito su ‘La Repubblica’ di oggi:

 

L’agibilità ad personam
(Claudio Tito).

IL PDL agita la bandiera della “agibilità politica” del suo leader. Ma è un terreno scivoloso. Contestarne l’assenza comporta dei rischi. Quando un’importante forza politica mette in campo questo concetto, dovrebbe essere consapevole del fatto che muove un’accusa precisa e grave.

È come se dicesse: nel nostro Paese non c’è democrazia, non è permesso a tutti e a tutti i partiti di svolgere la propria attività. È come se rimproverasse la classe dirigente attuale, il governo, le massime istituzioni di muoversi lungo un percorso antidemocratico. È questa la situazione che si vive in Italia?
No, non è e non può essere questa. A parte una evidente contraddizione, visto che l’attuale esecutivo è sostenuto da una maggioranza di cui fa parte anche il Popolo delle libertà, la condanna di Silvio Berlusconi non ha nulla a che vedere con la tenuta del nostro sistema né con l’agibilità politica di un leader che ha personalmente guidato il Paese per una decina degli ultimi 19 anni e che nello stesso periodo ha influenzato la vita complessiva del paese, sul piano politico e culturale, in maniera determinante.
La pena a quattro anni di reclusione (solo un anno da scontare perché gli altri tre sono stati cancellati da un indulto) è il frutto di un processo penale svoltosi regolarmente nei tre gradi di giudizio. Lo ha confermato la Corte di Cassazione che lo stesso ex presidente del Consiglio aveva definito il «mio giudice a Berlino ». Un processo provocato da un reato e non da un’opinione. Da un illecito e non da una posizione politica. Il Cavaliere non è stato condannato per la sua attività in Forza Italia prima e nel Pdl poi. Non è stato giudicato in quanto leader di partito. Il concetto dell’agibilità politica, sollevato in questo modo, è dunque a dir poco inappropriato. I suoi sostenitori adesso lamentano il fatto che senza Berlusconi viene a mancare la competizione politica, viene eliminato il futuro avversario del centrosinistra. In un sistema democratico, la leale e corretta sfida elettorale deve essere ovviamente garantita. Ma il caso non è questo. I magistrati non dovrebbero applicare la legge? O il Parlamento dovrebbe immaginare una corsia preferenziale?
Una risposta affermativa comporterebbe l’accettazione di analisi, queste sì azzardate, secondo cui il leader del centrodestra può fregiarsi di un
status giuridico eccezionale. E questo solo in quanto leader del centrodestra. Come direbbe il filosofo Carl Schmitt si dovrebbe dar vita ad uno “Stato d’eccezione” in cui legalità e legittimità sono separate, in cui lo Stato di diritto per come lo abbiamo conosciuto dal 1948 ad oggi viene sospeso. La deriva suggerita dagli esponenti berlusconiani, infatti, è proprio questa. Prevedere una soluzione eccezionale, solo per Berlusconi. Inserire la condanna in una sorta di “sospensione politica” che gli consenta, in un modo o nell’altro, di continuare ad essere senatore, proseguire nella sua leadership partitica e ritentare — quando si ripresenterà l’occasione — la candidatura alla guida del governo e a un seggio in Parlamento. C’è una implicita pretesa di non essere equiparati a tutti gli altri cittadini, c’è la volontà di non accettare l’esito di un processo. Fino a venti anni fa esisteva un istituto, quello della immunità parlamentare, che metteva al riparo deputati e senatori dalle inchieste. Ma tutti erano al riparo e non solo uno. E poi dalle inchieste e non dalle condanne in via definitiva.
Rivolgersi allora al presidente della Repubblica per reclamare una specie di salvacondotto significa trascinare Napolitano in una impropria trattativa. Non a caso il capo dello Stato ha usato una massiccia dose di prudenza nel colloquio con i capigruppo del Pdl. Sa che farsi incastrare in un negoziato di questa natura comporta rischi che non si possono correre. Il Quirinale non può essere impegnato in questo patteggiamento. Può forse comprendere la condizione di umana difficoltà vissuta, ma non può certo scendere a patti sui principi costituzionali. Per questo è immotivata la delusione che ieri ha avvinghiato lo stato maggiore del centrodestra dopo l’incontro sul Colle.
Irragionevole anche nelle conseguenze. Gli ambasciatori dell’ex premier sembrano infatti voler scaricare sul governo e sul Quirinale il peso della loro richiesta. La vita dell’esecutivo non è più valutata per i provvedimenti che approva o per le leggi che vara, ma solo per la capacità di assegnare al Cavaliere uno status giuridico ad personam.
In questo contesto, dunque, viene meno anche il motivo per cui è stato condannato. Non si discute più dei reati commessi. La frode fiscale viene infilata in una sorta di tritatutto che sbriciola la sentenza. E poi la avvolge nel mantello della sovranità popolare. Ossia nel consenso che Berlusconi ha ricevuto in questi anni e che ha conservato in parte anche alle ultime elezioni. Come se gli otto milioni di voti ricevuti a febbraio fossero un grande lavacro, una amnistia di fatto. Ma la sovranità popolare impone responsabilità e non concede wild card
per l’irresponsabilità.

Da La Repubblica del 06/08/2013.

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