l’ enciclica di papa Francesco sulla fraternità universale

  «fratelli tutti»

la chiave di volta della fraternità universale


la nuova enciclica sociale di papa Francesco, firmata ad Assisi, per superare i mali e le ombre del mondo. 
i contenuti
di Stefania Falasca
Il Papa con un gruppo di giovani

Un manifesto per i nostri tempi. Con l’intento di «far rinascere un’aspirazione mondiale alla fraternità». La nuova lettera enciclica di papa Francesco che si rivolge «a tutti i fratelli e le sorelle», «a tutte le persone di buona volontà, al di là delle loro convinzioni religiose» è «uno spazio di riflessione sulla fraternità universale». Necessaria, nel solco della dottrina sociale della Chiesa, per un futuro «modellato dall’interdipendenza e dalla corresponsabilità nell’intera famiglia umana». Per «agire insieme e guarire dalla chiusura del consumismo, l’individualismo radicale e l’auto-protezione egoistica». Per superare «le ombre di un mondo chiuso» e conflittuale e «rendere possibile lo sviluppo di una comunità mondiale che viva l’amicizia sociale». Per la crescita di società eque e senza frontiere. Perché l’economia e la politica siano poste «al servizio del vero bene comune e non siano ostacolo al cammino verso un mondo diverso». Perché quanto stiamo attraversando con la pandemia «non sia l’ennesimo grave evento storico da cui non siamo stati capaci di imparare». Perché le religioni possono offrire «un prezioso apporto per la costruzione della fraternità e per la difesa della giustizia nella società».

La firma dell'enciclica sabato 3 ottobre ad Assisi

la firma dell’enciclica 

La fonte d’ispirazione per questa nuova pagina di dottrina sociale della Chiesa viene ancora una volta dal Santo dell’amore fraterno, il Povero d’Assisi «che – afferma il Papa – mi ha ispirato a scrivere l’enciclica Laudato si’, e nuovamente mi motiva a dedicare questa nuova enciclica alla fraternità e all’amicizia sociale».

Sulla scia dell’adagio terenziano ripreso da Paolo VI nella sua enciclica programmatica Ecclesiam Suam, papa Francesco ricorda nell’incipit stesso della sua lettera enciclica quanto «tutto ciò che è umano ci riguardi» e che «dovunque i consessi dei popoli si riuniscono per stabilire i diritti e i doveri dell’uomo, noi siamo onorati, quando ce lo consentono, di assiderci fra loro». La Chiesa del resto, affermava Paolo VI, «chiamata a incarnarsi in ogni situazione e ad essere presente attraverso i secoli in ogni luogo della terra – questo significa “cattolica” –, può comprendere, a partire dalla propria esperienza di grazia e di peccato, la bellezza dell’invito all’amore universale».

Francesco spiega poi che le questioni legate alla fraternità e all’amicizia sociale sono sempre state tra le sue preoccupazioni e che negli ultimi anni ha fatto riferimento ad esse più volte. L’enciclica raccoglie molti di questi interventi collocandoli in un contesto più ampio di riflessione. E se la redazione della Laudato si’ ha avuto una fonte di ispirazione dal suo fratello ortodosso Bartolomeo, il Patriarca ecumenico di Costantinopoli che ha proposto con molta forza la cura del creato, in questo caso si è sentito stimolato in modo speciale dal Grande Imam Ahmad Al-Tayyeb, con il quale il Papa si è incontrato nel febbraio del 2019 ad Abu Dhabi per ricordare che Dio «ha creato tutti gli esseri umani uguali nei diritti, nei doveri e nella dignità, e li ha chiamati a convivere come fratelli tra di loro».

Papa Francesco ricorda che quello non è stato «un mero atto diplomatico, bensì il frutto di una riflessione compiuta nel dialogo e di un impegno congiunto». E che questa enciclica, pertanto, raccoglie e sviluppa i grandi temi esposti in quel Documento firmato insieme e recepisce, nel suo linguaggio, «numerosi documenti e lettere ricevute da tante persone e gruppi di tutto il mondo». La genesi della lettera tuttavia è stata accelerata da un’emergenza: l’irruzione inattesa della pandemia del Covid-19, «che – come scrive Francesco – ha messo in luce le nostre false sicurezze, e al di là delle varie risposte che hanno dato i diversi Paesi, è apparsa evidente l’incapacità di agire insieme». Perché «malgrado si sia iper-connessi – spiega ancora il Papa – si è verificata una frammentazione che ha reso più difficile risolvere i problemi che ci toccano tutti». E adesso «se qualcuno pensa che si tratti solo di far funzionare meglio quello che già facevamo, o che l’unico messaggio sia che dobbiamo migliorare i sistemi e le regole già esistenti, sta negando la realtà».

Il Papa afferma inoltre che se ancora una volta si è sentito motivato specialmente da san Francesco d’Assisi, anche altri fratelli non cattolici sono stati ispiratori: Martin Luther King, Desmond Tutu, il Mahatma Gandhi. In particolare cita però il beato Charles de Foucauld. E prendendo a prestito la sue parole così chiosa la sua conclusione agli otto capitoli e 287 punti di Fratelli tutti: « “Pregate Iddio affinché io sia davvero il fratello di tutte le anime di questo paese”. Voleva essere, in definitiva, “il fratello universale”. Ma solo identificandosi con gli ultimi arrivò ad essere fratello di tutti. Che Dio ispiri questo ideale in ognuno di noi. Amen».

Le ombre di un mondo chiuso

Nel primo capitolo vengono passate in rassegna le tendenze del mondo attuale che ostacolano lo sviluppo della fraternità universale. Tra queste i diritti umani non sufficientemente universali, le nuove forme di colonizzazione culturale, lo scarto mondiale dove «certe parti dell’umanità sembrano sacrificabili a vantaggio di una selezione che favorisce un settore umano degno di vivere senza limiti». «Mentre, infatti, una parte dell’umanità vive nell’opulenza, un’altra parte vede la propria dignità disconosciuta, disprezzata o calpestata e i suoi diritti fondamentali ignorati o violati. «La storia – afferma il Papa – sta dando segni di un ritorno all’indietro. Si accendono conflitti anacronistici che si ritenevano superati, risorgono nazionalismi chiusi, esasperati, risentiti e aggressivi. Nuove forme di egoismo e di perdita del senso sociale mascherate da una presunta difesa degli interessi nazionali». «Abbiamo bisogno di costituirci in un “noi” che abita la Casa comune. Tale cura non interessa ai poteri economici che hanno bisogno di entrate veloci. Spesso le voci che si levano a difesa dell’ambiente sono messe a tacere o ridicolizzate, ammantando di razionalità quelli che sono solo interessi particolari. In questa cultura che stiamo producendo, vuota, protesa all’immediato e priva di un progetto comune, «è prevedibile che, di fronte all’esaurimento di alcune risorse, si vada creando uno scenario favorevole per nuove guerre, mascherate con nobili rivendicazioni». E non manca un’attenzione anche verso la condizione delle donne: «L’organizzazione delle società in tutto il mondo è ancora lontana dal rispecchiare con chiarezza che le donne hanno esattamente la stessa dignità e identici diritti degli uomini. A parole si affermano certe cose, ma le decisioni e la realtà gridano un altro messaggio». È un fatto che «doppiamente povere sono le donne che soffrono situazioni di esclusione, maltrattamento e violenza, perché spesso si trovano con minori possibilità di difendere i loro diritti».

L’esempio del Buon Samaritano

Per il superamento delle ombre il Papa indica la strada d’uscita nella figura del Buon Samaritano a cui dedica il secondo capitolo, sottolineando come in una società malata che volta le spalle al dolore e che è “analfabeta” nella cura dei deboli e dei fragili, tutti siamo chiamati – proprio come il Buon Samaritano – a farci prossimi all’altro, superando pregiudizi, interessi personali, barriere storiche o culturali. «È un richiamo sempre nuovo, benché sia scritto come legge fondamentale del nostro essere: che la società si incammini verso il perseguimento del bene comune e, a partire da questa finalità, ricostruisca sempre nuovamente il suo ordine politico e sociale, il suo tessuto di relazioni, il suo progetto umano». Dunque, afferma Francesco, «non dico più che ho dei “prossimi” da aiutare, ma che mi sento chiamato a diventare io un prossimo degli altri». E spiega che «in quelli che passano a distanza c’è un particolare che non possiamo ignorare: erano persone religiose. Questo indica che il fatto di credere in Dio e di adorarlo non garantisce di vivere come a Dio piace». «Una persona di fede – spiega – può non essere fedele a tutto ciò la fede stessa esige, e tuttavia può sentirsi vicina a Dio e ritenersi più degna degli altri. Ci sono invece dei modi di vivere la fede che favoriscono l’apertura del cuore ai fratelli, e quella sarà la garanzia di un’autentica apertura a Dio».

Società aperte che integrano tutti

«L’individualismo radicale – afferma Francesco nel terzo capitolo “Pensare e generare un mondo aperto” – è il virus più difficile da sconfiggere». «Ci fa credere che tutto consiste nel dare briglia sciolta alle proprie ambizioni, come se accumulando ambizioni e sicurezze individuali potessimo costruire il bene comune. Quando questo principio elementare non è salvaguardato, non c’è futuro né per la fraternità né per la sopravvivenza dell’umanità. Se la società si regge primariamente sui criteri della libertà di mercato e dell’efficienza, non c’è posto per costoro, e la fraternità sarà tutt’al più un’espressione romantica». Francesco indica la necessità di promuovere il bene morale e il valore della solidarietà: «È far fronte agli effetti distruttori dell’Impero del denaro. La solidarietà, intesa nel suo senso più profondo, è un modo di fare la storia, si tratta di un’altra logica – spiega – Se non ci si sforza di entrare in questa logica, le mie parole suoneranno come fantasie. Ma se si accetta il grande principio dei diritti che promanano dal solo fatto di possedere l’inalienabile dignità umana, è possibile desiderare un pianeta che assicuri terra, casa e lavoro a tutti. Questa è la vera via della pace, e non la strategia stolta e miope di seminare timore e diffidenza nei confronti di minacce esterne». Il diritto a vivere con dignità non può essere negato a nessuno, afferma ancora il Papa, e poiché i diritti sono senza frontiere, nessuno può rimanere escluso, a prescindere da dove sia nato. In quest’ottica, il Papa richiama anche a pensare ad «un’etica delle relazioni internazionali», perché ogni Paese è anche dello straniero ed i beni del territorio non si possono negare a chi ha bisogno e proviene da un altro luogo. Il diritto naturale alla proprietà privata sarà, quindi, secondario al principio della destinazione universale dei beni creati. Una sottolineatura specifica viene fatta anche per la questione del debito estero: fermo restando il principio che esso va saldato, si auspica tuttavia che ciò non comprometta la crescita e la sussistenza dei Paesi più poveri.

Interscambio e governance globale per i migranti

L’aiuto reciproco tra Paesi in definitiva va a beneficio di tutti e al tema delle migrazioni l’enciclica dedica l’intero quarto capitolo: Un cuore aperto al mondo intero”. L’altro diverso da noi è un dono ed un arricchimento per tutti – scrive Francesco – perché le differenze rappresentano una possibilità di crescita. Nello specifico, il Papa indica alcune risposte soprattutto per chi fugge da «gravi crisi umanitarie»: incrementare e semplificare la concessione di visti; aprire corridoi umanitari; assicurare alloggi, sicurezza e servizi essenziali; offrire possibilità di lavoro e formazione; favorire i ricongiungimenti familiari; tutelare i minori; garantire la libertà religiosa e promuovere l’inserimento sociale. Dal Papa anche l’invito a stabilire, nella società, il concetto di «piena cittadinanza», rinunciando all’uso discriminatorio del termine “minoranze”. «Quello che occorre soprattutto – si legge nel documento – è una governance globale, una collaborazione internazionale per le migrazioni che avvii progetti a lungo termine, andando oltre le singole emergenze, in nome di uno sviluppo solidale di tutti i popoli che sia basato sul principio della gratuità. In tal modo, i Paesi potranno pensare come una famiglia umana».

La politica di cui c’è bisogno e la riforma dell’ONU

“La migliore politica” è al centro del quinto capitolo. «Per rendere possibile lo sviluppo di una comunità mondiale – scrive Francesco – capace di realizzare la fraternità a partire da popoli e nazioni che vivano l’amicizia sociale, è necessaria la migliore politica, posta al servizio del vero bene comune. Purtroppo, invece, la politica oggi spesso assume forme che ostacolano il cammino verso un mondo diverso». «Mi permetto di ribadire – afferma – che la politica non deve sottomettersi all’economia e questa non deve sottomettersi ai dettami e al paradigma efficientista della tecnocrazia». «Non si può giustificare un’economia senza politica, che sarebbe incapace di propiziare un’altra logica in grado di governare i vari aspetti della crisi attuale». Al contrario, «abbiamo bisogno di una politica che pensi con una visione ampia, e che porti avanti un nuovo approccio integrale, includendo in un dialogo interdisciplinare i diversi aspetti della crisi». «Penso – afferma – a una sana politica, capace di riformare le istituzioni, coordinarle e dotarle di buone pratiche, che permettano di superare pressioni e inerzie viziose». Non si può chiedere ciò all’economia, né si può accettare che questa assuma il potere reale dello Stato. «Il mercato da solo non risolve tutto, benché a volte vogliano farci credere questo dogma di fede neoliberale. I politici sono chiamati a prendersi «cura della fragilità, della fragilità dei popoli e delle persone. Prendersi cura della fragilità e fecondità in mezzo a un modello funzionalista e privatista che conduce inesorabilmente alla “cultura dello scarto”.

Davanti a tante forme di politica meschine e tese all’interesse immediato, ricorda che «la grandezza politica si mostra quando, in momenti difficili, si opera sulla base di grandi principi e pensando al bene comune a lungo termine. Compito della politica, inoltre, è trovare una soluzione a tutto ciò che attenta contro i diritti umani fondamentali, come l’esclusione sociale; il traffico di organi, tessuti, armi e droga; lo sfruttamento sessuale; il lavoro schiavo; il terrorismo ed il crimine organizzato. L’appello del Papa si volge a eliminare definitivamente la tratta, «vergogna per l’umanità», e la fame, in quanto è «criminale». Un altro auspicio riguarda la riforma dell’Onu: di fronte al predominio della dimensione economica che annulla il potere del singolo Stato, infatti, il compito delle Nazioni Unite sarà quello di dare concretezza al concetto di «famiglia di nazioni» lavorando per il bene comune, lo sradicamento dell’indigenza e la tutela dei diritti umani. Ricorrendo «al negoziato, ai buoni uffici e all’arbitrato» – afferma il documento pontificio – l’Onu deve promuovere la forza del diritto sul diritto della forza, favorendo accordi multilaterali che tutelino al meglio anche gli Stati più deboli.

Dialogo e amicizia sociale

Il vero dialogo – si afferma nel sesto capitolo – è quello che permette di rispettare la verità della dignità umana. Quanti pretendono di portare la pace in una società non devono dimenticare che l’inequità e la mancanza di sviluppo umano integrale non permettono che si generi pace. Che «senza uguaglianza di opportunità, le diverse forme di aggressione e di guerra troveranno un terreno fertile che prima o poi provocherà l’esplosione. Quando la società – locale, nazionale o mondiale – abbandona nella periferia una parte di sé, non vi saranno programmi politici, né forze dell’ordine o di intelligence che possano assicurare illimitatamente la tranquillità». Per il Papa «se si tratta di ricominciare, sarà sempre a partire dagli ultimi».

L’artigianato della pace

Il settimo capitolo si sofferma sul valore e la promozione della pace. «La Shoah non va dimenticata – afferma – è il «simbolo di dove può arrivare la malvagità dell’uomo quando, fomentata da false ideologie, dimentica la dignità fondamentale di ogni persona, la quale merita rispetto assoluto qualunque sia il popolo a cui appartiene e la religione che professa». Non vanno neppure dimenticati i bombardamenti atomici a Hiroshima e Nagasaki. E nemmeno vanno dimenticati le persecuzioni, il traffico di schiavi e i massacri etnici che sono avvenuti e avvengono in diversi Paesi, e tanti altri fatti storici che ci fanno vergognare di essere umani. «Vanno ricordati sempre, sempre nuovamente. Per questo, non mi riferisco solo alla memoria degli orrori, ma anche al ricordo di quanti, in mezzo a un contesto avvelenato e corrotto, sono stati capaci di recuperare la dignità e con piccoli o grandi gesti hanno scelto la solidarietà, il perdono, la fraternità. Fa molto bene fare memoria del bene». E considerando che viviamo «una terza guerra mondiale a pezzi», perché tutti i conflitti sono connessi tra loro, l’eliminazione totale delle armi nucleari è «un imperativo morale ed umanitario». Piuttosto – suggerisce il Papa – con il denaro che si investe negli armamenti, si costituisca un Fondo mondiale per eliminare la fame. Non manca anche il riferimento alla pena di morte: «È inammissibile. È impossibile immaginare che oggi gli Stati non possano disporre di un altro mezzo che non sia la pena capitale per difendere dall’aggressore ingiusto la vita di altre persone».

Le religioni al servizio della fraternità

Le diverse religioni, a partire dal riconoscimento del valore di ogni persona umana come creatura chiamata ad essere figlio o figlia di Dio, offrono un prezioso apporto per la costruzione della fraternità e per la difesa della giustizia nella società. Il dialogo tra persone di religioni differenti non si fa solamente per diplomazia, cortesia o tolleranza. «Il comandamento della pace – spiega il Papa – è inscritto nel profondo delle tradizioni religiose che rappresentiamo. Come leader religiosi siamo chiamati ad essere veri “dialoganti”, ad agire nella costruzione della pace non come intermediari, ma come autentici mediatori. Come credenti ci vediamo provocati a tornare alle nostre fonti per concentrarci sull’essenziale: l’adorazione di Dio e l’amore del prossimo, in modo tale che alcuni aspetti della nostra dottrina, fuori dal loro contesto, non finiscano per alimentare forme di disprezzo, di odio, di xenofobia, di negazione dell’altro. La verità è che la violenza non trova base alcuna nelle convinzioni religiose fondamentali, bensì nelle loro deformazioni». Infine, richiamando i leader religiosi al loro ruolo di «mediatori autentici» che si spendono per costruire la pace, Francesco cita il “Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza”, firmato il 4 febbraio 2019 ad Abu Dhabi, insieme al Grande Imam di Al-Azhar, Ahmad Al-Tayyib. Dalla pietra miliare del dialogo interreligioso, il Papa riprende l’appello affinché, in nome della fratellanza umana, si adotti il dialogo come via, la collaborazione comune come condotta e la conoscenza reciproca come metodo e criterio. La conclusione dell’enciclica è affidata a due preghiere: una «al Creatore» e l’altra «cristiana ecumenica» per infondere «uno spirito di fratelli».

eppur si muove … qualcosa nella chiesa di papa Francesco

“eppur (la chiesa) si muove…”

di Alberto Maggi

 


come spiega su ilLibraio il biblista Alberto Maggi, “lentamente, in maniera quasi impercettibile, qualcosa si muove” nella Chiesa. Che, con papa Francesco, “da rigida istituzione regolata dall’immutabile dottrina, si trasforma in una comunità dinamica animata dallo Spirito…”

“Eppur si muove…!”. La conosciuta espressione, attribuita a Galileo Galilei, costretto dalla dottrina infallibile dell’Inquisizione a rinnegare il movimento della terra, ben si adatta alla Chiesa cattolica.
Questa è come un pachiderma che sembra immobile, appesantito e rallentato com’è da secoli di detriti e cascami teologici, così lontani dall’agilità dei vangeli, che esigono il continuo cambiamento per poter mettere il vino nuovo dello Spirito in otri nuovi (Mt 9,17).
Eppure, lentamente, in maniera quasi impercettibile, qualcosa si muove e la Chiesa, da rigida istituzione regolata dall’immutabile dottrina, si trasforma in una comunità dinamica animata dallo Spirito. Naturalmente i cambiamenti sono lievi, non avvengono mai in maniera traumatica, per non sembrare uno strappo o peggio una rottura con la tradizione. Così ci si muove a passi felpati, con molta diplomazia, e bisogna scoprire questi cambiamenti tra le righe. Un passo, che sembra piccolo invece è stato gigantesco, è quello compiuto da papa Francesco.
Sorprese tutti quando la sera della sua elezione si presentò al mondo intero come il “Vescovo di Roma”, senza tutti gli anacronistici orpelli, anche esteriori della sua carica di Sommo Pontefice. Era solo la premessa di un cambiamento del pontificato che avrebbe avuto come linea maestra la graduale conversione della Chiesa al vangelo, cammino che non sarà indolore.
Segno di questo mutamento sono i titoli del papa (dal greco papas, “padre”), pubblicati nell’Annuario pontificio 2020. Nelle precedenti edizioni, campeggiava sotto il nome del papa, il titolo grande di “Vicario di Gesù Cristo”, poi di seguito “Successore del Principe degli Apostoli”, “Sommo Pontefice della Chiesa Universale”, “Primate d’Italia”, “Arcivescovo e Metropolita della Provincia Romana”, “Sovrano dello Stato della Città del Vaticano” e, infine, per ultimo, “Servo dei Servi di Dio”.
Ora, pur rimanendo, questi titoli, sono stati delicatamente, ma significativamente spostati e separati, in modo che in una pagina bianca appare la scritta, su due righe, “Francesco – vescovo di Roma” e, nell’altra pagina, tutti gli altri titoli, con un carattere più piccolo, sotto una linea di demarcazione e la dicitura: “Titoli storici”. Ovvero titoli messi in soffitta, come certi mobili del passato, erano belli e ci si era affezionati, ma ormai ingombranti e inutilizzabili.
Ma quella che è indubbiamente significativa è la rimozione (in linguaggio curiale “spostamento”) del titolo “Vicario di Gesù Cristo”, denominazione che aveva reso di fatto ogni pontefice un essere semi-divino, “il dolce Cristo in terra”, trattato e venerato come una divinità, idolatrato come un faraone (basta pensare all’uso degli egizi flabelli, i grandi ventagli di piume bianche di struzzo che accompagnavano l’ingresso in portantina del papa in uso fino a Paolo VI, che finalmente l’abolì).
Come hanno potuto i papi attribuirsi il titolo di Vicarius Christi? Vicario è colui che rappresenta o sostituisce qualcuno che non è presente, ma può il Cristo essere assente? Dai vangeli si evince il contrario. Nel vangelo di Matteo, le ultime parole del Cristo risuscitato sono “Io sono con voi tutti i giorni” (Mt 28,20). Mentre Mosè sentendo prossima la sua fine, aveva nominato Giosuè come suo successore (Nm 27,18), Gesù, Risorto, non nomina alcun successore, e tantomeno suo vicario, ma, come scrive Marco, il Cristo risuscitato continua a essere presente con i suoi discepoli: “il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che lo accompagnavano” (Mc 16,20). Il Cristo è, pertanto, presente tra i credenti, chiede solo di essere accolto e di collaborare con lui all’incessante comunicazione di vita per ogni creatura. Certamente Gesù è invisibile, ma non assente, e sarà sempre visibile ogni volta che i suoi spezzeranno il pane per farne alimento di vita e di condivisione (“L’avevano riconosciuto nello spezzare il pane”, Lc 24,31.35).
Se si vuole usare l’espressione “vicario di Cristo”, questa è per i poveri, i bisognosi, gli emarginati, i carcerati, gli stranieri nei quali Gesù s’identifica (“Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”, Mt 25,40), e Padri della Chiesa, come San Gregorio di Nissa, affermavano che i poveri “ci rappresentano la Persona del Salvatore” (De pauperibus amandis, PG 46,460bc). Poi nel XII secolo, mentre brillava più che mai la luce di Francesco d’Assisi, il vero alter Christus, fu un papa, il bellicoso Innocenzo III, a mettere in secondo piano il titolo di “Vicario di Pietro” ed arrogarsi quello di “Vicario di Cristo”, fino allora attribuito ai poveri, designazione che fu sancita dal Concilio di Firenze (sec XV) con la bolla “Laetentur caeli”, dove si legge che il romano pontefice “ha il primato su tutto l’universo […]” e il papa è “autentico vicario di Cristo” (Denz. 1307)… poi venne papa Francesco.

una giornata per la cura del creato

VI Giornata del Creato

papa Francesco

dalla crisi impariamo nuovi modi di vivere


Riccardo Maccioni
nel Messaggio l’invito alla giustizia riparativa e un uso più fruttuoso ed equo delle risorse. L’appello a «cancellare il debito dei Paesi più fragili»

Il Papa: dalla crisi impariamo nuovi modi di vivere

Un tempo sacro per ricordare, ritornare, riposare, riparare e rallegrarsi. È Giublleo, il concetto, la parola chiave, il filo rosso che unisce e fa da guida al Messaggio del Papa per la VI Giornata mondiale di preghiera per il Creato, che si celebra oggi. Un richiamo al 50° anniversario, che cade appunto nel 2020, del Giorno delle Terra e che riprende il tema, “Giubileo della terra”, scelto dalle Chiese cristiane per il Tempo del Creato, un periodo, dal 1° settembre al 4 ottobre, in cui impegnarsi in modo speciale nella preghiera e nell’azione per la salvaguardia della casa comune. Punto di partenza della riflessione di Francesco è però la Sacra Scrittura, in particolare il celebre versetto del Levitico: «Dichiarerete santo il cinquantesimo anno e proclamerete la liberazione nella terra per tutti i suoi abitanti. Sarà per voi un giubileo» (Lv 25,10).

Un passo attorno al quale si articola la riflessione sui vari significati del Giubileo. Che è tempo «per ricordare», per «fare memoria della vocazione originaria del creato ad essere e prosperare come comunità d’amore» che esiste «solo attraverso le relazioni: con Dio creatore, con i fratelli e le sorelle in quanto membri di una famiglia comune, e con tutte le creature che abitano la nostra stessa casa». Ma strettamente legato al tema della memoria è il concetto di Giubileo come tempo del ritornare, per «tornare indietro e ravvedersi». C’è infatti bisogno, sottolinea il Papa, di risanare le relazioni danneggiate, di ricostruire i legami «che ci univano al Creatore, agli altri esseri umani e al resto del creato». In questo senso, il Giubileo «ci invita a pensare nuovamente agli altri, specialmente ai più poveri e ai più vulnerabili. È un tempo «per dare libertà agli oppressi e a tutti coloro che sono incatenati nei ceppi delle varie forme di schiavitù moderna, tra cui la tratta delle persone e il lavoro minorile». E di pari passo va l’ascolto della terra, il battito della creazione soffocato dai troppi comportamenti sconsiderati. «La disintegrazione della biodiversità, il vertiginoso aumento dei disastri climatici, il diseguale impatto della pandemia in atto sui più poveri e fragili sono» in questo senso «campanelli d’allarme di fronte all’avidità sfrenata dei consumi».
Ecco allora che anche la crisi più nera può portare in sé un insegnamento. «L’attuale pandemia ci ha portati in qualche modo a riscoprire stili di vita più semplici e sostenibili», in un certo senso, «ci ha dato la possibilità di sviluppare nuovi modi di vivere. È stato possibile constatare come la Terra riesca a recuperare se le permettiamo di riposare: l’aria è diventata più pulita, le acque più trasparenti, le specie animali sono ritornate in molti luoghi dai quali erano scomparse. La pandemia ci ha condotti a un bivio. Dobbiamo sfruttare questo momento decisivo per porre termine ad attività e finalità superflue e distruttive, e coltivare valori, legami e progetti generativi. Dobbiamo esaminare le nostre abitudini nell’uso dell’energia, nei consumi, nei trasporti e nell’alimentazione. Dobbiamo togliere dalle nostre economie aspetti non essenziali e nocivi, e dare vita a modalità fruttuose di commercio, produzione e trasporto dei beni».
Detto in altro modo Il Giubileo può diventare, dev’essere è un tempo «per riparare l’armonia originaria della creazione e per risanare rapporti umani compromessi». Ci invita, scrive il Papa, a stabilire relazioni sociali eque, restituendo a ciascuno la propria libertà e i propri beni, e condonando i debiti altrui. Non dovremmo perciò dimenticare la storia di sfruttamento del Sud del pianeta, che ha provocato un enorme debito ecologico, dovuto principalmente al depredamento delle risorse e all’uso eccessivo dello spazio ambientale comune per lo smaltimento dei rifiuti. «È il tempo di una giustizia riparativa. A tale proposito – aggiunge il Pontefice –, «rinnovo il mio appello a cancellare il debito dei Paesi più fragili alla luce dei gravi impatti delle crisi sanitarie, sociali ed economiche che devono affrontare a seguito del Covid-19. Occorre pure assicurare che gli incentivi per la ripresa, in corso di elaborazione e di attuazione a livello mondiale, regionale e nazionale, siano effettivamente efficaci, con politiche, legislazioni e investimenti incentrati sul benec omune e con la garanzia che gli obiettivi sociali e ambientali globali vengano conseguiti».
E, su scala più ampia, occorre lavorare al ripristino di un equilibrio climatico e della biodiversità «nel contesto di una scomparsa delle specie e di un degrado degli ecosistemi senza precedenti. È necessario sostenere l’appello delle Nazioni Unite a salvaguardare il 30% della Terra come habitat protetto entro il 2030, al fine di arginare l’allarmante tasso di perdita della biodiversità». Siamo cioè «tenuti a riparare secondo giustizia, assicurando che quanti hanno abitato una terra per generazioni possano riacquistarne pienamente l’utilizzo. Occorre proteggere le comunità indigene da compagnie, in particolare multinazionali, che, attraverso la deleteria estrazione d i combustibili fossili, minerali, legname e prodotti agroindustriali, «fanno nei Paesi meno sviluppati ciò che non possono fare nei Paesi che apportano loro capitale».
Tuttavia, a dispetto di questo grado generale, la Scrittura ci ricorda che il Giubileo è anche «un tempo per rallegrarsi». Guardando all’oggi infatti, osserva papa Francesco, «siamo testimoni di come lo Spirito Santo stia ispirando ovunque individui e comunità a unirsi per ricostruire la casa comune e difendere i più vulnerabili. Assistiamo al graduale emergere di una grande mobilitazione di persone, che dal basso e dalle periferie si stanno generosamente adoperando per la protezione della terra e dei poveri. Dà gioia vedere tanti giovani e comunità, in particolare indigene, in prima linea nel rispondere alla crisi ecologica». E c’è pure da rallegrarsi «nel constatare come l’Anno speciale di anniversario della Laudato si’ stia ispirando numerose iniziative a livello locale e globale per la cura della casa comune e dei poveri. Questo anno dovrebbe portare a piani operativi a lungo termine, per giungere a praticare un’ecologia integrale nelle famiglie, nelle parrocchie, nelle diocesi, negli Ordini religiosi, nelle scuole, nelle università, nell’assistenza sanitaria, nelle imprese, nelle aziende agricole e in molti altri ambiti». Un impegno che vede le comunità credenti convergere, in modo davvero ecumenico «per dare vita a un mondo più giusto, pacifico e sostenibile». Si tratta allora di continuare «a crescere nella consapevolezza che tutti noi abitiamo una casa comune in quanto membri della stessa famiglia!». E di rallegrarsi «perché, nel suo amore, il Creatore sostiene i nostri umili sforzi per la Terra», casa di Dio dove la sua Parola «si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» e luogo che «l’effusione dello Spirito Santo costantemente rinnova».

IL TESTO INTEGRALE DEL MESSAGGIO

MESSAGGIO DI SUA SANTITÀ
PAPA FRANCESCO
PER LA CELEBRAZIONE DELLA
GIORNATA MONDIALE DI PREGHIERA PER LA CURA DEL CREATO

1° settembre 2020

«Dichiarerete santo il cinquantesimo anno e proclamerete la liberazione nella
terra per tutti i suoi abitanti. Sarà per voi un giubileo» (Lv 25,10)

Cari fratelli e sorelle,

Ogni anno, particolarmente dalla pubblicazione della Lettera enciclica Laudato si’ (LS, 24 maggio 2015), il primo giorno di settembre segna per la famiglia cristiana la Giornata Mondiale di Preghiera per la Cura del Creato, con la quale inizia il Tempo del Creato, che si conclude il 4 ottobre, nel ricordo di san Francesco di Assisi. In questo periodo, i cristiani rinnovano in tutto il mondo la fede nel Dio creatore e si uniscono in modo speciale nella preghiera e nell’azione per la salvaguardia della casa comune.

Sono lieto che il tema scelto dalla famiglia ecumenica per la celebrazione del Tempo del Creato 2020 sia “Giubileo per la Terra”, proprio nell’anno in cui ricorre il cinquantesimo anniversario del Giorno della Terra.

Nella Sacra Scrittura, il Giubileo è un tempo sacro per ricordare, ritornare, riposare, riparare e rallegrarsi.

1. Un tempo per ricordare

Siamo invitati a ricordare soprattutto che il destino ultimo del creato è entrare nel “sabato eterno” di Dio. È un viaggio che ha luogo nel tempo, abbracciando il ritmo dei sette giorni della settimana, il ciclo dei sette anni e il grande Anno giubilare che giunge alla conclusione di sette anni sabbatici.

Il Giubileo è anche un tempo di grazia per fare memoria della vocazione originaria della creato ad essere e prosperare come comunità d’amore. Esistiamo solo attraverso le relazioni: con Dio creatore, con i fratelli e le sorelle in quanto membri di una famiglia comune, e con tutte le creature che abitano la nostra stessa casa. «Tutto è in relazione, e tutti noi esseri umani siamo uniti come fratelli e sorelle in un meraviglioso pellegrinaggio, legati dall’amore che Dio ha per ciascuna delle sue creature e che ci unisce anche tra noi, con tenero affetto, al fratello sole, alla sorella luna, al fratello fiume e alla madre terra» (LS, 92).

Il Giubileo, pertanto, è un tempo per il ricordo, dove custodire la memoria del nostro esistere inter-relazionale. Abbiamo costantemente bisogno di ricordare che «tutto è in relazione, e che la cura autentica della nostra stessa vita e delle nostre relazioni con la natura è inseparabile dalla fraternità, dalla giustizia e dalla fedeltà nei confronti degli altri» (LS, 70).

2. Un tempo per ritornare

Il Giubileo è un tempo per tornare indietro e ravvedersi. Abbiamo spezzato i legami che ci univano al Creatore, agli altri esseri umani e al resto del creato. Abbiamo bisogno di risanare queste relazioni danneggiate, che sono essenziali per sostenere noi stessi e l’intero tessuto della vita.

Il Giubileo è un tempo di ritorno a Dio, nostro amorevole creatore. Non si può vivere in armonia con il creato senza essere in pace col Creatore, fonte e origine di tutte le cose. Come ha osservato Papa Benedetto, «il consumo brutale della creazione inizia dove non c’è Dio, dove la materia è ormai soltanto materiale per noi, dove noi stessi siamo le ultime istanze, dove l’insieme è semplicemente proprietà nostra» (Incontro con il Clero della Diocesi di Bolzano-Bressanone, 6 agosto 2008).

Il Giubileo ci invita a pensare nuovamente agli altri, specialmente ai poveri e ai più vulnerabili. Siamo chiamati ad accogliere nuovamente il progetto originario e amorevole di Dio sul creato come un’eredità comune, un banchetto da condividere con tutti i fratelli e le sorelle in spirito di convivialità; non in una competizione scomposta, ma in una comunione gioiosa, dove ci si sostiene e ci si tutela a vicenda. Il Giubileo è un tempo per dare libertà agli oppressi e a tutti coloro che sono incatenati nei ceppi delle varie forme di schiavitù moderna, tra cui la tratta delle persone e il lavoro minorile.

Abbiamo bisogno di ritornare, inoltre, ad ascoltare la terra, indicata nella Scrittura come adamah, luogo dal quale l’uomo, Adam, è stato tratto. Oggi la voce del creato ci esorta, allarmata, a ritornare al giusto posto nell’ordine naturale, a ricordare che siamo parte, non padroni, della rete interconnessa della vita. La disintegrazione della biodiversità, il vertiginoso aumento dei disastri climatici, il diseguale impatto della pandemia in atto sui più poveri e fragili sono campanelli d’allarme di fronte all’avidità sfrenata dei consumi.

Particolarmente durante questo Tempo del Creato, ascoltiamo il battito della creazione. Essa, infatti, è stata data alla luce per manifestare e comunicare la gloria di Dio, per aiutarci a trovare nella sua bellezza il Signore di tutte le cose e ritornare a Lui (cfr San Bonaventura, In II Sent., I,2,2, q. 1, concl; Brevil., II,5.11). La terra dalla quale siamo stati tratti è dunque luogo di preghiera e di meditazione: «risvegliamo il senso estetico e contemplativo che Dio ha posto in noi» (Esort. ap. Querida Amazonia, 56). La capacità di meravigliarci e di contemplare è qualcosa che possiamo imparare specialmente dai fratelli e dalle sorelle indigeni, che vivono in armonia con la terra e con le sue molteplici forme di vita.

3. Un tempo per riposare

Nella sua sapienza, Dio ha riservato il giorno di sabato perché la terra e i suoi abitanti potessero riposare e rinfrancarsi. Oggi, tuttavia, i nostri stili di vita spingono il pianeta oltre i suoi limiti. La continua domanda di crescita e l’incessante ciclo della produzione e dei consumi stanno estenuando l’ambiente. Le foreste si dissolvono, il suolo è eroso, i campi spariscono, i deserti avanzano, i mari diventano acidi e le tempeste si intensificano: la creazione geme!

Durante il Giubileo, il Popolo di Dio era invitato a riposare dai lavori consueti, a lasciare, grazie al calo dei consumi abituali, che la terra si rigenerasse e il mondo si risistemasse. Ci occorre oggi trovare stili equi e sostenibili di vita, che restituiscano alla Terra il riposo che le spetta, vie di sostentamento sufficienti per tutti, senza distruggere gli ecosistemi che ci mantengono.

L’attuale pandemia ci ha portati in qualche modo a riscoprire stili di vita più semplici e sostenibili. La crisi, in un certo senso, ci ha dato la possibilità di sviluppare nuovi modi di vivere. È stato possibile constatare come la Terra riesca a recuperare se le permettiamo di riposare: l’aria è diventata più pulita, le acque più trasparenti, le specie animali sono ritornate in molti luoghi dai quali erano scomparse. La pandemia ci ha condotti a un bivio. Dobbiamo sfruttare questo momento decisivo per porre termine ad attività e finalità superflue e distruttive, e coltivare valori, legami e progetti generativi. Dobbiamo esaminare le nostre abitudini nell’uso dell’energia, nei consumi, nei trasporti e nell’alimentazione. Dobbiamo togliere dalle nostre economie aspetti non essenziali e nocivi, e dare vita a modalità fruttuose di commercio, produzione e trasporto dei beni.

4. Un tempo per riparare

Il Giubileo è un tempo per riparare l’armonia originaria della creazione e per risanare rapporti umani compromessi.

Esso invita a ristabilire relazioni sociali eque, restituendo a ciascuno la propria libertà e i propri beni, e condonando i debiti altrui. Non dovremmo perciò dimenticare la storia di sfruttamento del Sud del pianeta, che ha provocato un enorme debito ecologico, dovuto principalmente al depredamento delle risorse e all’uso eccessivo dello spazio ambientale comune per lo smaltimento dei rifiuti. È il tempo di una giustizia riparativa. A tale proposito, rinnovo il mio appello a cancellare il debito dei Paesi più fragili alla luce dei gravi impatti delle crisi sanitarie, sociali ed economiche che devono affrontare a seguito del Covid-19. Occorre pure assicurare che gli incentivi per la ripresa, in corso di elaborazione e di attuazione a livello mondiale, regionale e nazionale, siano effettivamente efficaci, con politiche, legislazioni e investimenti incentrati sul bene comune e con la garanzia che gli obiettivi sociali e ambientali globali vengano conseguiti.

È altresì necessario riparare la terra. Il ripristino di un equilibrio climatico è di estrema importanza, dal momento che ci troviamo nel mezzo di un’emergenza. Stiamo per esaurire il tempo, come i nostri figli e i giovani ci ricordano. Occorre fare tutto il possibile per limitare la crescita della temperatura media globale sotto la soglia di 1,5 gradi centigradi, come sancito nell’Accordo di Parigi sul Clima: andare oltre si rivelerà catastrofico, soprattutto per le comunità più povere in tutto il mondo. In questo momento critico è necessario promuovere una solidarietà intra-generazionale e inter-generazionale. In preparazione all’importante Summit sul Clima di Glasgow, nel Regno Unito (COP 26), invito ciascun Paese ad adottare traguardi nazionali più ambiziosi per ridurre le emissioni.

Il ripristino della biodiversità è altrettanto cruciale nel contesto di una scomparsa delle specie e di un degrado degli ecosistemi senza precedenti. È necessario sostenere l’appello delle Nazioni Unite a salvaguardare il 30% della Terra come habitat protetto entro il 2030, al fine di arginare l’allarmante tasso di perdita della biodiversità. Esorto la Comunità internazionale a collaborare per garantire che il Summit sulla Biodiversità (COP 15) di Kunming, in Cina, costituisca un punto di svolta verso il ristabilimento della Terra come casa dove la vita sia abbondante, secondo la volontà del Creatore.

Siamo tenuti a riparare secondo giustizia, assicurando che quanti hanno abitato una terra per generazioni possano riacquistarne pienamente l’utilizzo. Occorre proteggere le comunità indigene da compagnie, in particolare multinazionali, che, attraverso la deleteria estrazione di combustibili fossili, minerali, legname e prodotti agroindustriali, «fanno nei Paesi meno sviluppati ciò che non possono fare nei Paesi che apportano loro capitale» (LS, 51). Questa cattiva condotta aziendale rappresenta un «un nuovo tipo di colonialismo» (San Giovanni Paolo II, Discorso alla Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, 27 aprile 2001, cit. in Querida Amazonia, 14), che sfrutta vergognosamente comunità e Paesi più poveri alla disperata ricerca di uno sviluppo economico. È necessario consolidare le legislazioni nazionali e internazionali, affinché regolino le attività delle compagnie di estrazione e garantiscano l’accesso alla giustizia a quanti sono danneggiati.

5. Un tempo per rallegrarsi

Nella tradizione biblica, il Giubileo rappresenta un evento gioioso, inaugurato da un suono di tromba che risuona per tutta la terra. Sappiamo che il grido della Terra e dei poveri è divenuto, negli scorsi anni, persino più rumoroso. Al contempo, siamo testimoni di come lo Spirito Santo stia ispirando ovunque individui e comunità a unirsi per ricostruire la casa comune e difendere i più vulnerabili. Assistiamo al graduale emergere di una grande mobilitazione di persone, che dal basso e dalle periferie si stanno generosamente adoperando per la protezione della terra e dei poveri. Dà gioia vedere tanti giovani e comunità, in particolare indigene, in prima linea nel rispondere alla crisi ecologica. Stanno facendo appello per un Giubileo della Terra e per un nuovo inizio, nella consapevolezza che «le cose possono cambiare» (LS, 13).

C’è pure da rallegrarsi nel constatare come l’Anno speciale di anniversario della Laudato si’ stia ispirando numerose iniziative a livello locale e globale per la cura della casa comune e dei poveri. Questo anno dovrebbe portare a piani operativi a lungo termine, per giungere a praticare un’ecologia integrale nelle famiglie, nelle parrocchie, nelle diocesi, negli Ordini religiosi, nelle scuole, nelle università, nell’assistenza sanitaria, nelle imprese, nelle aziende agricole e in molti altri ambiti.

Ci rallegriamo anche che le comunità credenti stiano convergendo per dare vita a un mondo più giusto, pacifico e sostenibile. È motivo di particolare gioia che il Tempo del Creato stia diventando un’iniziativa davvero ecumenica. Continuiamo a crescere nella consapevolezza che tutti noi abitiamo una casa comune in quanto membri della stessa famiglia!

Rallegriamoci perché, nel suo amore, il Creatore sostiene i nostri umili sforzi per la Terra. Essa è anche la casa di Dio, dove la sua Parola «si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,14), il luogo che l’effusione dello Spirito Santo costantemente rinnova.

“Manda il tuo Spirito, Signore, e rinnova la faccia della terra” (cfr Sal 104,30).

Roma, San Giovanni in Laterano, 1° settembre 2020

FRANCESCO

papa Francesco e la malattia della nostra economia

  papa Francesco

la pandemia ha mostrato che l’economia è malata

“pochi ricchissimi possiedono più di tutto il resto dell’umanità” ed “è un’ingiustizia che grida al cielo”

Il Papa: la pandemia ha mostrato che l’economia è malata

In un mondo solcato da profonde disuguaglianze sociali, aggravate dalla pandemia, e da un modello economico spesso indifferente ai danni inflitti alla casa comune, il Papa esorta i cristiani a condividere i propri beni, mettendoli a frutto anche per gli altri, e si richiama, per questo, all’esperienza delle prime comunità cristiane che, anche vivendo tempi difficili, mettevano i loro beni in comuni, “consapevoli di formare un solo cuore e una sola anima”:

La pandemia ci ha messo tutti in crisi. Ma ricordatevi: da una crisi non si può uscire uguali. O usciamo migliori, o usciamo peggiori. Questa è la nostra opzione. Dopo la crisi, continueremo con questo sistema economico di ingiustizia sociale e di disprezzo per la cura dell’ambiente, del creato, della casa comune? Pensiamoci. Possano le comunità cristiane del ventunesimo secolo recuperare questa realtà, – la cura del creato e la giustizia sociale: vanno insieme… – dando così testimonianza della Risurrezione del Signore. Se ci prendiamo cura dei beni che il Creatore ci dona, se mettiamo in comune ciò che possediamo in modo che a nessuno manchi, allora davvero potremo ispirare speranza per rigenerare un mondo più sano e più equo.

La pandemia ha infatti aggravato le disuguaglianze, ribadisce più volte il Papa: alcuni bambini possono ancora ricevere un’educazione scolastica, per altri si è interrotta, alcune nazioni possono emettere moneta per affrontare l’emergenza, mentre per altre significherebbe ipotecare il futuro. Si tratta di sintomi di disuguaglianza che rivelano una precisa patologia: «Questi sintomi di disuguaglianza rivelano una malattia sociale; è un virus che viene da un’economia malata. E dobbiamo dirlo semplicemente: l’economia è malata. Si ammalò. E’ ammalata».

La malattia, afferma, è frutto di una “crescita economica iniqua” che prescinde dai valori umani fondamentali. “Nel mondo di oggi – sottolinea – pochi ricchissimi”, “un gruppetto”, “possiedono più di tutto il resto dell’umanità”. Si tratta, afferma di “un’ingiustizia che grida al cielo!”. D’altra parte questo modello di crescita economica sembra indifferente ai danni inflitti al creato, con conseguenze “gravi e irreversibili” come perdita della biodiversità, cambiamenti climatici, distruzione delle foreste tropicali. Disuguaglianze sociali e degrado ambientale hanno “la stessa radice”, segnala il Papa: il peccato di “voler possedere e dominare i fratelli e le sorelle, la natura e lo stesso Dio”. Di fronte a tutto questo, i cristiani non devono rimanere fermi: la speranza cristiana sostiene la volontà di condividere: «Quando l’ossessione di possedere e dominare esclude milioni di persone dai beni primari; quando la disuguaglianza economica e tecnologica è tale da lacerare il tessuto sociale; e quando la dipendenza da un progresso materiale illimitato minaccia la casa comune, allora non possiamo stare a guardare. No, questo è desolante. Non possiamo stare a guardare! Con lo sguardo fisso su Gesù (cfr Eb 12,2) e con la certezza che il suo amore opera mediante la comunità dei suoi discepoli, dobbiamo agire tutti insieme, nella speranza di generare qualcosa di diverso e di meglio».

Richiamandosi varie volte a Catechismo e al Libro del Genesi, Francesco ricorda che Dio ha chiesto all’uomo di dominare la terra coltivandola e custodendola. Non quindi “carta bianca per fare della terra ciò che si vuole”, nota il Papa, perché esiste una “relazione di reciprocità responsabile” fra noi e la natura. La terra infatti è stata data a tutto il genere umano e i suoi frutti devono arrivare a tutti, non solo ad alcuni. Come ricorda anche la Gaudium et spes del Concilio Vaticano II “l’uomo, usando di questi beni, deve considerare le cose esteriori che legittimamente possiede non solo come proprie, ma anche come comuni, nel senso che possano giovare non unicamente a lui ma anche agli altri”. Quindi, come un amministratore della Provvidenza, far fruttificare i doni perché anche gli altri ne beneficino.

In sintesi, proprietà e denaro sono “strumenti” che possono essere trasformati facilmente in “fini, individuali o collettivi” ma così – avverte – vengono intaccati i valori umani essenziali: «L’homo sapiens si deforma e diventa una specie di homo œconomicus – in senso deteriore – individualista, calcolatore e dominatore. Ci dimentichiamo che, essendo creati a immagine e somiglianza di Dio, siamo esseri sociali, creativi e solidali, con un’immensa capacità di amare. Di fatto, siamo gli esseri più cooperativi tra tutte le specie, e fioriamo in comunità, come si vede bene nell’esperienza dei santi».

Lampedusa dopo sette anni: la cultura del benessere secondo papa Francesco

messa a 7 anni da visita a Lampedusa

il papa:

è Dio che ci chiede di poter sbarcare


7 anni dopo la sua visita nell’isola siciliana il Papa nella Messa a Santa Marta:

“La Libia è un inferno, un lager. Ci danno solo una versione distillata. Nessuno può immaginare cosa si vive lì”

 

è Dio “che bussa alla nostra porta affamato, assetato, forestiero, nudo, malato, carcerato, chiedendo di essere incontrato e assistito, chiedendo di poter sbarcare”

Così si è espresso il Papa nell’omelia della Messa dedicata ai migranti, nel settimo anniversario della sua visita a Lampedusa.

“La cultura del benessere, che ci porta a pensare a noi stessi, ci rende insensibili alle grida degli altri, ci fa vivere in bolle di sapone, che sono belle, ma non sono nulla, sono l’illusione del futile, del provvisorio, che porta all’indifferenza verso gli altri, anzi porta alla globalizzazione dell’indifferenza”.

Sono passati sette anni dalla visita di papa Francesco a Lampedusa e da quella domanda rivolta all’umanità nella Messa celebrata al campo sportivo dell’isola nel cuore del Mediterraneo: «Dov’è tuo fratello?, la voce del suo sangue grida fino a me, dice Dio. Questa non è una domanda rivolta ad altri, è una domanda rivolta a me, a te, a ciascuno di noi». Una domanda che risuona ancora oggi, dopo quel viaggio durato poche ore che però è considerato – come ricorda anche l’Osservatore Romano – in qualche modo “programmatico” per il Pontificato di Francesco. Lì, nella punta Sud dell’Europa, il Papa ha mostrato cosa intenda quando parla di “Chiesa in uscita”. Ha reso visibile l’affermazione che la realtà si vede meglio dalle periferie che dal centro. In mezzo ai migranti fuggiti dalla guerra e dalla miseria, ha fatto toccare con mano il suo sogno di una “Chiesa povera e per i poveri”. E ancora a Lampedusa parlando di Caino e Abele, Francesco aveva anche posto in primo piano l’interrogativo sulla fratellanza.
“Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”: ha citato questo versetto del Vangelo di Matteo Francesco per sottolineare che questo vale “nel bene e nel male! Questo monito risulta oggi di bruciante attualità. Dovremmo usarlo tutti come punto fondamentale del nostro esame di coscienza che facciamo tutti i giorni. Penso alla Libia, ai campi di detenzione, agli abusi e alle violenze di cui sono vittime i migranti, ai viaggi della speranza, ai salvataggi e ai respingimenti”. La Libia è un “inferno”, un “lager”, di cui “ci danno una versione ‘distillata’. La guerra sì è brutta, lo sappiamo, ma voi non immaginate l’inferno che si vive lì, in quei lager di detenzione. E questa gente veniva soltanto con la speranza e di attraversare il mare”.

E nel finale l’invocazione alla Madonna: “La Vergine Maria, Solacium migrantium, ci aiuti a scoprire il volto del suo Figlio in tutti i fratelli e le sorelle costretti a fuggire dalla loro terra per tante ingiustizie da cui è ancora afflitto il nostro mondo”.

“Papa Francesco” in versione clochard che, povero fra i poveri, chiede l’elemosina disteso su un cartone

papa Francesco clochard sui muri di Milano

le nuove opere di aleXsandro Palombo denuncia la povertà

https://youmedia.fanpage.it/gallery/ah/5ec66e4fe4b054fbb9e62488?photo=5ec66e88e4b054fbb9e6248e

Un’opera per porre sotto i riflettori il problema della povertà che a Milano e in molte altre grandi città è aumentata a causa del Coronavirus: la scelta di aleXsandro Palombo è stata quella di rappresentare Papa Francesco come un clochard oltre che la Madonna come una mendicante con in braccio un bambino. Le opere formano la nuova serie ‘Caritas’ e si trovano in diverse zone della città.

 

di Chiara Ammendola

Alcune opere sono comparse in questi giorni per le strade di Milano, sono la nuova fatica dell’artista aleXsandro Palombo che prendono il nome di “Caritas”: un modo per richiamare l’attenzione sull’aggravarsi della povertà durante l’emergenza coronavirus. Una ritrae “Papa Francesco” in versione clochard che, povero fra i poveri, chiede l’elemosina disteso su un cartone, un’altra ritrae la “Madonna con bambino” mentre chiede la carità ai passanti. E ancora bicchieri con il logo Coca-Cola, simbolo del consumismo di massa e del capitalismo, trasformati in bicchieri per chiedere la carità.

“Questa crisi è la più grande opportunità che abbiamo per ridisegnare e umanizzare la società. Oggi più che mai bisogna accorgersi dell’altro, di chi si trova sul nostro cammino e che sta vivendo un momento di estrema necessità – spiega l’artista – ognuno di noi può fare la differenza nell’aiutare i più fragili e tutte quelle famiglie che in questo momento sono cadute in povertà. Questo è il momento di comprendere che il futuro è generosità e solidarietà”. Obiettivo delle sue opere è spostare l’attenzione dalla pandemia sanitaria alla pandemia della povertà, una potente riflessione sul drammatico aumento dei poveri in Italia e in tutto il mondo. I murales di Papa Francesco in versione clochard si trovano in diversi luoghi della città: in piazza San Gioachino angolo via Gustavo Fara 2, all’angolo di via Leopoldo Marangoni con via Vittor Pisani, tra via Vittor Pisani e viale Tunisia e in piazzale Oberdan. Mentre il murale della ‘Madonna con bambino’ compare sul muro esterno dell’albergo diurno Venezia, in Porta Venezia.

 https://milano.fanpage.it/papa-francesco-clochard-sui-muri-di-milano-le-nuove-opere-di-alexsandro-palombo-denuncia-la-poverta/

contro il pericolo di una ‘mondanità spirituale’

 papa Francesco

Dio ci difenda dalla mondanità spirituale che corrompe la Chiesa

papa Francesco ha commentato il Vangelo di Gv 15, 18-21 in cui Gesù dice ai suoi discepoli: «Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me. Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma vi ho scelti io dal mondo, per questo il mondo vi odia»

Gesù – ha detto Francesco – tante volte parla del mondo, parla dell’odio contro di Lui e i suoi discepoli e prega il Padre di non togliere i discepoli dal mondo ma di difenderli dallo spirito del mondo.
Il Papa si domanda: “Qual è lo spirito del mondo? Cosa è questa mondanità, capace di odiare, di distruggere Gesù e i suoi discepoli, anzi di corromperli e di corrompere la Chiesa?”. “È una proposta di vita, la mondanità”, “è una cultura, è una cultura dell’effimero, una cultura dell’apparire, del maquillage, una cultura ‘dell’oggi sì, domani no, domani sì e oggi no’. Ha dei valori superficiali. Una cultura che non conosce fedeltà, perché cambia secondo le circostanze, negozia tutto. Questa è la cultura mondana, la cultura delle mondanità”. E Gesù prega “perché il Padre ci difenda da questa cultura della mondanità. È una cultura dell’usa e getta”, secondo la convenienza. “È una cultura senza fedeltà” ed è “un modo di vivere anche di tanti che si dicono cristiani. Sono cristiani ma sono mondani”.
“Gesù nella Parabola del seme che cade in terra dice che le preoccupazioni del mondo”, cioè la mondanità, soffocano la Parola di Dio, non la lasciano crescere. Francesco cita un libro del padre de Lubac dove parla della mondanità spirituale, dicendo “che è il peggiore dei mali che può accadere alla Chiesa; e non esagera” descrivendo “alcuni mali che sono terribili”. La mondanità spirituale “è un’ermeneutica di vita, è un modo di vivere; anche un modo di vivere il cristianesimo. E per sopravvivere davanti alla predicazione del Vangelo, odia, uccide”. Il Papa parla dei martiri, uccisi in odio alla fede, ma non sono la maggioranza. La maggioranza sono uccisi dalla mondanità che odia la fede.
La mondanità – osserva Francesco – non è superficiale, ma ha “delle radici profonde” ed è “camaleontica, cambia”, a seconda delle circostanze, ma la sostanza è la stessa: una proposta di vita che entra dappertutto, anche nella Chiesa. La mondanità, l’ermeneutica mondana, il maquillage, tutto si trucca per essere così”.
Francesco ricorda il discorso di Paolo nell’Areopago di Atene, quando attira l’attenzione quando parla del “dio ignoto” e incomincia a predicare il Vangelo: “Ma quando arrivò alla croce e alla risurrezione si scandalizzarono e se ne andarono via. La mondanità c’è una cosa che non tollera: lo scandalo della Croce. Non lo tollera. E l’unica medicina contro lo spirito della mondanità è Cristo morto e risorto per noi, scandalo e stoltezza”.
L’Apostolo Giovanni dice che “la vittoria contro il mondo è la nostra fede”. L’unica vittoria è “la fede in Gesù Cristo, morto e risorto. E questo non significa essere fanatici”, smettere di dialogare con tutte le persone, ma sapere che la vittoria contro lo spirito mondano è la nostra fede, lo scandalo della Croce.
“Chiediamo allo Spirito Santo” – è la preghiera conclusiva di Papa Francesco – in questi ultimi giorni del tempo pasquale, “la grazia di discernere cosa è mondanità e cosa è Vangelo e di non lasciarci ingannare, perché il mondo ci odia, il mondo ha odiato Gesù e Gesù ha pregato perché il Padre ci difendesse dallo spirito del mondo”.

papa Francesco tira le orecchie ai vescovi italiani e un monaco di rilievo li invita ad una maggiore aderenza al vangelo

con una tempestività eloquente papa Francesco invoca il Signore perché dia ‘prudenza ‘ al suo popolo e lo renda capace di ‘obbedienza’ alle disposizioni per la fine della quarantena

ai nostri vescovi non fischiano forte gli orecchi?

papa Francesco rompe il silenzio sulla fase 2 del post-coronavirus e chiede ai cattolici di obbedire alle regole del governo:

«In questo tempo, nel quale si incomincia ad avere disposizioni per uscire dalla quarantena, preghiamo il Signore perché dia al suo popolo, a tutti noi, la grazia della prudenza e della obbedienza alle disposizioni, perché la pandemia non torni»

poche parole ma eloquenti prima della messa celebrata a Santa Marta per fare capire che occorre procedere per gradi

 

 

qui sotto la lettera che un noto e stimato monaco scrive ad un vescovo per scrivere a tutti i vescovi italiani perché siano mossi meno dalla difesa di privilegi ‘cattolici’ e più da motivazioni ‘evangeliche’

lettera a un vescovo

di fr. MichaelDavide Semeraro
in “www.finesettimana.org” del 27 aprile 2020

fratel MichaelDavide Semeraro è monaco benedettino dal 1983. Dopo i primi anni di formazione monastica ha conseguito il Dottorato in Teologia Spirituale presso l’Università Gregoriana di Roma. Nel suo servizio di intelligenza della fede e di accoglienza della vita, cerca di coniugare la sua esperienza monastica con l’ascolto delle tematiche che turbano e appassionano il cuore degli uomini e delle donne del nostro tempo.

Carissimo Vescovo,

permettimi di condividere con te la riflessione di questa mattina. Penso alla reazione forte della CEI alla dichiarazione del Presidente del Consiglio circa la famigerata “fase 2”. Se ho capito bene, si invoca la “libertà di culto” per reagire alla delusione del mantenimento delle restrizioni circa le celebrazioni liturgiche con la sola eccezione per i funerali. Non ritengo assolutamente di conoscere l’insieme della questione e non penso di avere né soluzioni da proporre, né approcci più saggi di quello di chi è costituito in autorità nella Chiesa. Ma condivido con te questa suggestione che mi è salita dal cuore passando dalle “ultime notizie” all’angolo della mia cella in cui mi dedico alla Lectio divina:
Libertà di culto o libertà nel culto?
Proprio in forza del Vangelo e del mistero pasquale di Cristo Signore, ciò che ci caratterizza non è solo la libertà di culto, ma anche la libertà da un certo culto, che permette di maturare un bene cristiano prezioso: una libertà nel culto. Se con le altre religioni condividiamo la giusta rivendicazione della libertà di culto per tutti, precipuo di ciò che il Cristo ci ha “guadagnato” è che la nostra pratica di fede non si identifica con il culto. In alcuni momenti, il culto si può trascendere, senza venir meno alla fedeltà discepolare. Un miracolo che era avvenuto fin qui era la serena alleanza tra la Chiesa, lo Stato e persino la scienza. Gli unici che si sono opposti a questa serena assunzione di responsabilità sono stati i tradizionalisti e quei politici stigmatizzati da papa Francesco in Gaudete et Exsultate 102. Taluni invocano la “religio” e la “christianitas”, ma così poco conoscono del profumo sottile e sempre eccedente del Vangelo di Cristo. Mi auguro vivamente che i vescovi del nostro Paese non prestino oltre il fianco alla tentazione, in nome del culto, di perdere un appuntamento storico per rimettere al primo posto il Vangelo. Anche quando i sacramenti non possono essere celebrati, il Vangelo è sufficiente come sorgente di comunione tra i discepoli e di carità verso tutti. Spero tanto che la nostra Chiesa in Italia non ceda alla tentazione di passare dalla testimonianza appassionata, serena e creativa ad una denuncia di non riconoscimento del “diritto di culto” assumendo la postura di “perseguitata”. Questo rischia di rendere vano il grande guadagno di queste settimane difficili in cui siamo stati capaci di vivere in regime di alleanza nella consapevolezza che nessuno sa bene come comportarsi per evitare il peggio e cercare il meglio. Non penso che si possa accusare il Governo in carica della colpa di “incertezza”, quando la situazione non permette di capire l’evoluzione della pandemia. Sarebbe un peccato passare dall’accompagnamento dei fedeli a vivere serenamente le restrizioni imposte, a lanciarsi in una “crociata” sul diritto alla “libertà di culto”. Sinceramente, penso non si possa nemmeno minimamente immaginare che il nostro Governo attuale voglia calpestare la libertà di culto proprio mentre persino i nostri fratelli musulmani, nel tempo sacro del Ramadan, hanno serenamente accettato di viverlo in modo diverso. Forse è più vero che le forze politiche potrebbero approfittare di questa crepa che si è creata nelle ultime ore per far rientrare alcune pressioni tanto “cattoliche” quanto poco “evangeliche”. Penso in particolare al senso ampio della vita di fede e l’attenzione ai più poveri.

Come discepoli del Risorto possiamo andare al Tempio come facevano i primi cristiani e “spezzare il pane” a casa. Se questo non è possibile o diventa troppo pericoloso o semplicemente incerto abbiamo sempre le nostre “serene catacombe” dove con fiducia attendiamo tempi migliori senza inutili agitazioni. Il Cristo Signore ci dona, con le sue parole e i suoi gesti, di vivere il culto senza identificarci con il culto. Il dialogo magnifico tra il Signore Gesù e la Samaritana può esserci di guida, di luce, di pace. Vedo il rischio di sprecare ciò che siamo stati capaci di recuperare stupendamente in queste settimane prestando il fianco a posizioni che difendendo la religione, in realtà, hanno a cuore la preservazione di un mondo di privilegi e di egoismi.

La nostra fede in Cristo ci spinge piuttosto ad una rinuncia unilaterale ai nostri diritti per portare insieme agli ultimi i <pesi> di doveri condivisi per rendere più prossimo il Regno di Dio. Se anche fossimo gli ultimi tra gli ultimi a ritrovare la possibilità di radunarsi nelle nostre chiese, potremmo portarlo con grazia e perfino con eleganza.

Quando parla un Vescovo si esprime il Collegio dei vescovi, successori degli apostoli. Quando si parla ad un Vescovo, ci si rivolge al Collegio dei vescovi, successori degli apostoli. E’ quello che sto facendo all’alba di questo giorno nel tempo che dedico abitualmente alla Lectio divina: attraverso di te chiedo ai Vescovi della Chiesa che è in Italia di non rendere vana la libertà che Cristo ci ha conquistato con la sua morte in croce. Di questo mistero l’Eucaristia è memoria irrinunciabile. Eppure, la nostra vita di battezzati – anche senza Eucaristia – è incarnazione nella realtà che rimane più grande di ogni idea dogmatica e di pratica anche cultuale. In ultimo, mi sento di rammentare che sempre si debba vigilare nel purificare ogni presa di posizione sugli ideali e i principi, dalla nostra paura di aprirci all’inedito e al nuovo accettando anche di rinunciare alla nostra influenza e, persino, al nostro potere religioso. Ti chiedo scusa di importunarti così presto al mattino e spero tu possa accogliere la confidenza di un monaco che spera di morire cristiano. Ti chiedo di benedirmi e di correggermi se ti sembra necessario.
fr MichaelDavide

 

 

“una nuova immaginazione” – il ‘piano’ indicato da papa Francesco per uscire dalla pandemia di coronavirus

coronavirus

 

papa Francesco indica il «piano» per risorgere dalla pandemia

Lucia Capuzzi 

Gli anticorpi della solidarietà contro le emergenze, il protagonismo dei popoli via per lo sviluppo umano

dalla rivista spagnola “Vida Nueva” il Papa invita al coraggio «di una nuova immaginazione»

 

«L’impatto di tutto ciò che sta accadendo, le gravi conseguenze che già si segnalano e s’intravedono, il dolore e il lutto per i nostri cari ci disorientano, angosciano e paralizzano».

Immerso in un interminabile Sabato Santo, il mondo è chiuso nel sepolcro della pandemia. Il peso dell’angoscia per i morti e i malati, della tristezza dell’isolamento, dell’ansia per il devastante contraccolpo economico, gli sbarra la via d’uscita. «Chi ci rotolerà via il masso dall’ingresso del sepolcro?». Le parole delle discepole risuonano martellanti. Eppure, proprio nel ventre di pietra del sepolcro, maturano i germi della Risurrezione.
Da lì, dunque, parte il “piano per risorgere” proposto da papa Francesco sulla rivista spagnola Vida Nueva, uno dei punti di riferimento sull’attualità ecclesiale per i Paesi di lingua castigliana. Le lacrime profuse da un capo all’altro del pianeta, nelle ultime settimane, proprio come quelle delle donne di fronte alla tomba del Maestro, non costituiscono le parole ultime e definitive del presente. Poiché da e con esse irrompe il desborde di Dio: parola cara al Pontefice, difficile da tradurre in italiano se non come “di più”. Il traboccamento divino consente agli esseri umani di trasformare il male in nuova forza per costruire il futuro.

«Se abbiamo potuto imparare qualcosa in tutto questo tempo è che nessuno si salva da solo. Le frontiere cadono, i muri crollano e tutti i discorsi integralisti si dissolvono dinanzi a una presenza quasi impercettibile che manifesta la fragilità di cui siamo fatti», scrive Bergoglio e sottolinea: «È il soffio dello Spirito che apre orizzonti, risveglia la creatività e ci rinnova in fraternità per dire presente (oppure eccomi) dinanzi all’enorme e improrogabile compito che ci aspetta».

È, dunque, urgente discernere il suo battito per dare impulso a dinamiche in grado di testimoniare e canalizzare la vita nuova che il Signore vuole generare in questo momento della storia. Non è il momento di comodi palliativi, di rattoppi inadeguati rispetto alle gravi conseguenze della crisi in atto.

«È il tempo propizio per trovare il coraggio di una nuova immaginazione del possibile, con il realismo che solo il Vangelo può offrici», afferma Francesco. L’implacabile lezione di interconnessione della pandemia ci mostra come le emergenze possono essere sconfitte anzitutto «con gli anticorpi della solidarietà», prosegue il Pontefice, citando un recente documento della Pontificia Accademia per la vita. Se agiamo come popolo, pertanto, «persino di fronte alle altre epidemie che ci minacciano, possiamo ottenere un impatto reale».

Saremo capaci di vincere il fatalismo di cui siamo prigionieri e di scrivere la storia presente e futura senza voltare le spalle alle sofferenze di tanti? L’interrogativo di Francesco è rivolto, certo, alla comunità internazionale. Ma soprattutto agli uomini e alle donne di buona volontà nelle cui mani – il Papa l’ha detto più di una volta – risiedono davvero le sorti del mondo. In questo senso l’editoriale su Vida Nueva prosegue la strada già tracciata nella lettera inviata ai Movimenti e alle organizzazioni popolari il giorno di Pasqua, in cui li invitava a essere costruttori di un cambiamento ormai improrogabile: «Pensiamo al progetto di sviluppo umano integrale a cui aneliamo, che si fonda sul protagonismo dei popoli in tutta la loro diversità». Di nuovo, Francesco squarcia il velo della fatica presente per far balenare un orizzonte che vede la famiglia umana unita nella ricerca dello sviluppo umano integrale. È questa «l’alternativa della civiltà dell’amore», con cui conclude l’articolo. Non un vagheggiamento ingenuo bensì un’utopia possibile con uno sforzo impegnato di tutti – come diceva il cardinale Eduardo Pironio, citato dal Papa –, «una comunità impegnata di fratelli».

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“dopo la pandemia bisognerà scegliere, o con la gente o con il dio denaro”

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Per il papa dopo la pandemia bisognerà scegliere: “O la gente, o il sepolcro del dio denaro” . Papa Francesco torna nuovamente a riflettere sugli egoismi che si manifestano di fronte al contagio durante l’omelia della messa a Santa Marta
L’umanità deve compiere una scelta, ora che si profila la fine della pandemia: scegliere tra una revisione dei propri punti di riferimento sociali, economici e culturali oppure piegarsi al dio denaro, al suo sepolcro.
Papa Francesco torna nuovamente a riflettere sugli egoismi che si manifestano di fronte al contagio (ieri sua una esplicita critica ad una Europa egoista che deve ritrovare l’antico spirito di solidarietà) e avverte: il dopo sia in favore della gente, dei popoli.
Soldi per non rendere testimonianza a Dio, spiega, “è corruzione”. Se si nega l’evidenza delle cose, aggiunge, si sceglie “la strada del diavolo e della corruzione”. E anche oggi, aggiunge nell’omelia della messa a Santa Marta, “davanti alla prossima fine – speriamo – della pandemia abbiamo la stessa opzione: i popoli o il dio Denaro”. Tra una ricostruzione che sia per l’uomo oppure “la schiavitù, la guerra, i bambini senza istruzione”. Una scelta tra “scegliere il bene della gente e cadere nel sepolcro del dio Denaro”.
Il vangelo del giorno racconta che, grazie alla costanza delle donne che hanno appena ricevuto l’annuncio della Resurrezione, la notizia inizia a spargersi e i sommi sacerdoti, i dottori della legge pagano il silenzio delle guardie, per evitare l’imbarazzo del Sepolcro di Cristo rimasto vuoto. Prima considerazione di Papa Bergoglio: “le donne vanno avanti a portare l’annuncio. Sempre Dio inizia con le donne: aprono le strade, non dubitano. Sanno, hanno visto”.
Seconda considerazione: i timori e le paure di quanti ora pensano “quanti problemi ci porterà questo sepolcro vuoto” e fanno in modo da comprare il silenzio dei testimoni che hanno visto. “Questa non è una tangente, questa è corruzione pura”, sillaba le parole Papa Francesco, “quando davanti all’evidenza si sceglie questa strada, questa è la strada del diavolo e della corruzione”. Denaro contro verità anche oggi che si deve iniziare a pensare agli assetti mondiali del dopo coronavirus. Il Papa, già all’inizio della messa, ha lanciato un invito molto significativo.
“Oggi preghiamo per i governanti, per i politici, per gli scienziati che hanno cominciato a studiare la via d’uscita per il dopo pandemia”, ha detto, “il dopo che è già cominciato, affinché trovino la strada giusta sempre in favore della gente, sempre in favore dei popoli”. Più tardi, nell’omelia, lo riafferma e lo scandisce: “Quando non serviamo il Signore Dio, serviamo il Signore Denaro. Una terza via non è data”.

tratto da: https://www.agi.it/cronaca/news/2020-04-13/coronavirus-papa-8320513/

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