le tentazioni più forti della chiesa

denaro e ipocrisia: peccato della Chiesa

 Silvano Fausti SJ

“la Chiesa non è mai perfetta: denaro e ipocrisia sono il suo “peccato originale”, che sempre la insidia, come e più di tutti. Il “male” non è esterno. La brama di avere, di potere e di apparire si traveste in noi di paramenti religiosi. Il peggior male è proprio quello fatto a fin di bene. Quando uno si decide per il bene, allora cominciano le tentazioni (cfr Sir 2,1). Così è stato per Israele, uscito dall’Egitto ed entrato nella terra promessa; cosi è stato per Gesù, dal battesimo alla croce, e cosi è e sarà per noi”

Nella Bibbia, dopo il racconto del paradiso terrestre, c’è quello sulla menzogna che riduce il giardino a deserto e introduce nel mondo il male e la morte (Gen 3,1ss).

Dopo l’idillio della prima comunità e in contrappunto al gesto di Barnaba (At 5,32-37), c’è la menzogna di una coppia attaccata al dio mammona. Anania e Saffira, cercando di servire Dio e denaro, vanno contro lo stile di vita inaugurato da Gesù.

Questo racconto è un fulmine a ciel sereno. Saffira significa “bella” e Anania “Dio ha compassione”. Si, Dio ha molta compassione della sua Chiesa piena di tanti figli uguali a loro! E’ eccessivo, anzi truculento far morire due per una semplice bugia. Se Gesù è morto in croce per i peccatori, la loro morte non è certo una punizione divina. Altrimenti saremmo già morti tutti. Chi non ha detto almeno una bugia? Il racconto ci mette in guardia dal mentire. Amo pensare che i due siano morti di crepacuore per il dolore di vedere scoperto il proprio inganno e di averne capita la gravità. E’ meglio morire che mentire. La menzogna è veleno mortale per ogni relazione. Volesse il cielo che morisse di vergogna chi mente!piazza_san_pietro-vaticano

Il peccato di Anania e Saffira non è aver dato solo una parte di ciò che avevano. Erano liberi di dare anche nulla. Il loro peccato è mentire sapendo di mentire: è menzogna contro lo Spirito, vita della comunità. Se la parola vera è comunicazione, comunione e vita, la parola falsa è trappola, divisione e morte. Il racconto, un caso di “frode fiscale”, evidenzia come la menzogna, spesso fatta a cuor leggero, sia mortifera.  Il testo, ricco di suggestioni, smaschera il male. Alla sua origine sta sempre una menzogna, che lo fa apparire «buono, bello e desiderabile» (Gen 3,6), mentre in realtà è cattivo, brutto e indesiderabile. Suo stipendio infatti è la morte (Rm 6,23). “La lingua dell’uomo è la sua rovina” (Pr 5,13), perché in suo potere è la morte e la vita (Pr 18,21). “Molti sono caduti a fil di spada, ma non quanti sono periti per colpa della lingua” (Sir 28,18). “Se uno non manca nel parlare, è un uomo perfetto, capace di tenere a freno anche tutto il suo corpo”. “La lingua è un piccolo membro e può vantarsi di grandi cose”.

“La lingua è un fuoco, e il mondo dell’iniquità, vive inserita nelle nostre membra e contamina tutto il corpo e incendia il corso della vita, traendo la sua fiamma dalla Geenna. Infatti ogni sorta di bestie e uccelli, rettili ed esseri marini sono domati e sono stati domati dalla razza umana, ma la lingua nessun uomo la può domare: è un male ribelle, pieno di veleno mortale” (leggi Gc 3,2b-8). Alla luce di queste osservazioni di Giacomo, oggi dobbiamo tener presente il potere della parola, moltiplicato all’ennesima potenza dai mass media.

E’ significativo che qui appaia per la prima volta la parola “Chiesa”. La menzogna è tipica dell’ipocrisia religiosa. Con essa Anania e Saffira vogliono apparire migliori di quello che sono: desiderano mettersi in mostra e fare carriera all’interno della comunità . Già prima di loro, Giacomo e Giovanni volevano occupare i primi posti, contro Pietro e in contesa con gli altri (Mc 10,35-45, 9,33-37).

La Chiesa non è mai perfetta: denaro e ipocrisia sono il suo “peccato originale”, che sempre la insidia, come e più di tutti. Il “male” non è esterno. La brama di avere, di potere e di apparire si traveste in noi di paramenti religiosi. Il peggior male è proprio quello fatto a fin di bene. Quando uno si decide per il bene, allora cominciano le tentazioni (cfr Sir 2,1). Così è stato per Israele, uscito dall’Egitto ed entrato nella terra promessa; cosi è stato per Gesù, dal battesimo alla croce, e cosi è e sarà per noi.

 

la piccola chiesa a servizio del grande mondo

Vito Mancuso

la chiesa a servizio del mondo

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Chiesa – mondo le due realtà di per sé dal punto di vista fisico sono incommensurabili.Chiesa è una cosa così piccola, così limitata, c’è solamente da 2000 anni. Mondo, una realtà che esiste, si muove, si organizza in questa stupefacente varietà almeno da 13.8miliardi di anni. Erano, secondo la conoscenza scientifica 13.7 fino a qualche mese fa, ma nel marzo del 2007 sono giunti a terra i dati di un satellite chiamato Planck, sono stati elaborati dagli scienziati e sembra che l’età dell’universo sia aumentata, l’età dell’universo conosciuto. Non più 13.7 – tredici miliardi e settecentomilioni di anni ma 13.82.

Chiesa … capite la differenza, la sproporzione enorme se poi consideriamo anche questo mondo come lavora, come si fa, la sua vastità: 100 miliardi di galassie dicono, ciascuna delle quali ha 100 miliardi di stelle … Noi facciamo fatica a pensare, non riusciamo a pensare a una galassia se veramente consideriamo così. Riusciamo noi a pensare al nostro sistema solare, sì … ma già pensare alla via Lattea, la nostra galassia ….. miliardi di galassie …

Quindi le due realtà sono dal punto di visto fisico incommensurabili e dico solo quale è la mia tesi da questo punto di vista.

La mia tesi è molto semplice cioè il fatto che la realtà chiesa ha senso nella misura in cui è a servizio di questa realtà molto più grande che è la realtà mondo. E’ molto semplice, proprio perché c’è questa sproporzione enorme, il fenomeno fisico chiesa non è ridicolo, anzitutto si tratta di questo, non è in sé qualche cosa come una pretesa così ampia da risultare ridicolo, non è ridicolo solo nella misura in cui si relaziona alla realtà mondo, ponendosi al servizio, certo un servizio particolare che adesso tenteremo di comprendere.

Ulteriore cosa che dico sempre a livello introduttivo, il tema chiesa – mondo è così vasto da imporre una trattazione molto diversa a seconda dell’interlocutore. A chi sto parlando adesso io di chiesa e mondo? Un conto se dovessi parlare di questo tema in un’aula accademica dell’università degli studi, università statale dove insegno, un conto dover fare una lezione in una università pontificia, già cambiano le cose, un conto è parlarne all’interno di una associazione culturale laica, magari di una associazione culturale atea. A chi sto parlando adesso io di chiesa – mondo? Capite che l’interlocutore e come sempre non solo per questo tema, ma in particolare per temi così ampi che si possono veramente modificare molto a secondo del punto di vista, l’interlocutore modifica l’oggetto.

Io mi preparo dovendo parlare per ameno un’ora in un tema di questo genere sapendo le persone a cui sto parlando e il sapere delle persone a cui sto parlando modifica i miei pensieri. E’ del tutto evidente questo, veramente vale per qualunque cosa a patto che l’interlocutore non sia una di quelle macchine, tipo macchinetta del caffè che ti fa sempre lo stesso caffè in tutte le condizioni e in tutte le maniere. Ci sono persone così che pensano, elaborano a prescindere e consegnano il prodotto finito a prescindere dagli interlocutori. Io non sono capace di fare così. Io tento anche quando sono da solo tento sempre di ragionare. Ma queste cose che scrivo, queste cose che penso, al cospetto di chi le penso; al cospetto di chi le scrivo? Naturalmente soprattutto quando poi devo fare delle conferenze .

Ora chi è il mio interlocutore? Il mio interlocutore sapendo che avrei parlato in un convento cattolico per quanto un po’ chiacchierato … si può dire ancora che è cattolico … il mio interlocutore è naturalmente il cattolico che recita il credo e che ci crede a quello che recita perché altrimenti non lo reciterebbe e che giungendo all’ultimo articolo di fede dice: credo la chiesa, una santa, cattolica e apostolica. Il mio interlocutore è esattamente la persona che aderisce a questo articolo di fede e da questo punto di vista voi capite come la differenza rispetto al mondo apparirebbe (poi andrete a capire il senso del mio condizionale) apparirebbe clamorosa. Il mondo sembrerebbe non essere né uno, penso a Giordano Bruno: gli infiniti mondi in questo universo che ha centomila .. cento miliardi di galassie e chissà quali altri mondi ci sono intendendo l’universo appunto l’insieme fisico del complesso, dell’energia, di questa massa di energia e di materia che è l’universo, ma all’interno dell’universo probabilmente di sicuro c’è un mondo inteso come spazio vitale e questo è il pianeta terra, ma è molto plausibile pensare che ci siano altri mondi abitati.

Quindi se la chiesa è una, almeno dal punto di vista del credo cattolico, poi anche qui ci sono diverse chiese, il mondo non è uno, se la chiesa è santa, il mondo non è santo. Se uno ha qualche dubbio al riguardo basta aprire un giornale, sfogliare un libro di storia.

Nessuno ha dubbi sul fatto che il mondo non sia santo, semmai oggi noi abbiamo l’altro grande problema quello di non credere più alla bontà, alla giustizia del mondo, semmai.

Siamo malati spiritualmente parlando di ciò che Hans Jonas definiva il principio gnostico, questa totale sfiducia nei confronti della vita, in particolare della vita umana e in particolare del fenomeno umano. Io sono convinto che questa è la malattia spirituale del nostro tempo.

Noi siamo un composto, siamo un corpo e abbiamo le malattie legate al corpo, siamo psiche e abbiamo le malattie legate alla psiche, noi siamo anche spirito e abbiamo le malattie legate allo spirito e la malattia legata allo spirito si chiama principio gnostico laddove questo principio gnostico sottolinea esattamente quanto dicevo: la sfiducia totale nei confronti del mondo, nei confronti del mondo umano. Mentre fino a poco tempo fa si riteneva che per ritrovare il bene noi avremmo dovuto abbracciare la società, diventare umani il più possibile, oggi sempre più c’è la tendenza a ritenere l’esatto opposto. Per raggiungere il bene occorre prendere le distanze, prendere il congedo dal fenomeno umano. Il fenomeno umano tutto ciò che tocca lo rende necessariamente malvagio,corrotto, cattivo. Questa dimensione è molto diffusa. E’ per questo che già gli antropologi e i filosofi parlano dell’epoca del post-umanismo, al di là dell’umanesimo. Ormai le energie migliori del nostro pianeta, quelle più giovani, quelle più sensibili non sentono più attrazione nei confronti dell’umano. Occorre superare l’umano, o superarlo nel senso digitale del termine pensando a macchinari che giungono ad avere tutte le funzioni dell’uomo senza le imperfezioni dell’uomo o superarlo nel senso naturale del termine abbracciando così tanto la natura, diventando un frammento di natura e abolendo ciò che è lo specifico di sapiens – sapiens. O in una direzione o nell’altra la tentazione oggi è quella di prescindere dal male.

Il mondo non è uno, il mondo non è santo e tanto meno è cattolico e apostolico e poi uno, soprattutto non si crede. Nessuno si mette di fronte al mondo e fa l’atto di fede nei confronti del mondo. Mentre alla chiesa uno dice: credo la chiesa una, santa .. chi è che si pone di fronte al mondo e dice: credo al mondo? Normalmente il mondo lo si vive, lo si sopporta, lo si sente, ci si nutre del mondo, ma si ritiene normalmente di non aver bisogno di depositare verso il mondo la propria energia spirituale dicendo: ci credo, ti credo. Ma è veramente così? E’ veramente tale il nostro rapporto col mondo da non imporre, da non dover imporre a ciascuno di noi un atto di fede nei confronti del mondo?

Io penso di no, penso che da sempre il fenomeno umano ha delineato diverse modalità di stare al mondo, di vivere al mondo e che queste diverse modalità delineate sottolineano le diverse fedi, le diverse letture nei confronti del mondo.

Voi potete credere al mondo, potete non credere al mondo, potete credere che il sentimento di bene e di giustizia che vi abita e che contraddistingue sapiens – sapiens rispetto tutti gli altri esseri viventi è qualche cosa che deriva dallo stesso lavoro del mondo per cui esaltando il sentimento di bene e di giustizia voi vi ponete ancora più in comunione con il mondo oppure potete credere al contrario, che questo sentimento etico è qualche cosa che vi contrappone al mondo, che contraddice il mondo, che lo vuole in un certo senso cancellare ponendo un altro mondo, un’altra società e in questo caso capite, che cosa entra in gioco? Entra in gioco precisamente una diversa filosofia del mondo, una diversa modalità di vedere il mondo.

Per quello esistono diverse filosofie mentre la scienza è una e i dati che ti consegna, quelli sono, e devi sostanzialmente come dire, prenderne atto.

Poi ci sono anche geni particolari naturalmente, ma si parla di geni particolari che dicono: i dati che mi vengono consegnati sono questi, un attimo, qualcosa non mi torna … e allora inventano tra il 1905 e il 1915 la teoria della relatività ristretta e generale esattamente sulla base di un solo foglio di carta e sulla base prima ancora della fiducia dell’unità del mondo perché fu questa fiducia, fede nell’unità del mondo, una unità spinoziana e plotiniana che portò Albert Einstein alla teoria della relatività. Nessun esperimento, semplicemente la fiducia che il mondo è uno e il mondo è razionale e quindi se il mondo è uno e razionale io posso unificare da un lato la meccanica newtoniana, dall’altra l’elettromagnetismo di Maxwell che ai tempi di Einstein erano separati … e no, devono essere uno.. e allora se devono essere uno ecco la mente che congiunge. Ma a parte lui e pochi altri, la gran parte di noi prendiamo atto dei dati del mondo e che esiste una scienza.

Ecco invece esistono diverse filosofie e all’interno di questa nostra sala che noi potremo … sicuramente noi ci dividiamo, magari abbiamo tutti la stessa fede, magari anche qui già ci dividiamo, ma di sicuro all’interno delle filosofie, se io consegnassi a ciascuno di voi un foglio bianco e dicendo, (come diceva la mia professoressa al ginnasio quando si facevano i temi, il foglio bianco bisognava dividerlo in due e ancora adesso immagino che si faccia così, si scrive da questa parte perché da questa invece ci sono le correzioni .. se io consegnassi un foglio così a ciascuno di voi dicendo: tema, il mondo, la vita.

Colonna A scrivere tutte le cose, tutte le realtà positive che trovate nel mondo e colonna B le realtà negative, che cosa succederebbe? Succederebbe che qualcuno di voi riempirebbe molto di più la colonna A e molto meno la colonna B, qualcuno molto di più la colonna B e quasi niente la colonna A, qualcuno pari. E naturalmente dietro questa diversa compilazioni ci stanno diversi sentimenti, percezioni, apercezioni, contatti vitali della vostra interiorità con la realtà mondo. E le filosofie che cosa sono? Semplicemente portare al pensiero i diversi sentimenti vitali, nient’altro che questo.

Hegel diceva, la filosofia è il proprio tempo portato al pensiero, è qualcosa di più e certamente il proprio tempo conta, ma è qualcosa ancora di più del proprio tempo. Non è solo il tempo, è lo spazio anche, è la modalità con cui il tuo piccolo quantum di energia è intenzionato e si relaziona a questa massa di energia e materia che è il mondo e di cui noi facciamo parte.

E qualcuno di noi in questo contatto con la grande madre dell’energia che è il mondo ha una relazione armoniosa ed è una nota luminosa e si sente, come si dice espresso mediante una musica armoniosa, pensate alla musica di Mozart, pensate all’arte di Raffaello.

Qualcun altro invece reagisce a una dimensione conflittuale, più drammatica e non è più la musica di Mozart, ma comincia ad essere magari la musica di Beethoven e l’arte non è più quella di Raffaello, ma comincia ad essere l’arte di Michelangelo dove c’è molto più dramma, dove c’è molta più tensione e via via …. Esistono diverse risonanze. Le filosofie sono le risonanze della mente, del pensiero di fronte alla musica complessiva del mondo e così anche le teologie naturalmente, anche le teologie sono diverse.

Questo è un grande dono del vaticano II, il fatto che ha aperto la mente cattolica a pensare che non c’è più la teologia, una santa, cattolica e apostolica, la teologia, sempre quella dogmaticamente stabilita, ci sono i dogmi e poi c’è la bibbia, si prende la bibbia, si tirano fuori le prove bibliche scritturali (i così detta dicta probantia) e in base alle quali far vedere che il dogma del magistero ragiona. Quindi una prospettiva totalmente deduttivista e totalmente, come capite, che cala dall’alto. Il dogma ecclesiale è stabilito e sulla base di questo si costruisce la teologia che non può che essere una e unica a partire dal vaticano II e in realtà ancora prima, la teologia nouvelle, Theilhard de Chardin, il modernismo.

Probabilmente la grande caldaia che ha fatto sorgere il vaticano II è stata la temperie modernista e non è certo bastato Pio X con il decreto lamentabile, il giuramento antimodernista a bloccare questo bisogno dell’intelligenza di andare avanti.

L’intelligenza non sarà bloccata mai dai dogmi, dalle preposizioni, magari sul momento, ma è come un fiume per cui se tu gli poni come dire da un certo punto di vista gli poni una impossibilità di andare, l’acqua un’altra uscita la trova. Ed è per quello che poi dal modernismo è nata la teologia Nouvelle, Theilhard de Chardin e da questo è nato il vaticano II, da questa sorgente profondissima e inarrestabile e quindi da qui ci sono diverse teologie.

Quindi che cosa sto dicendo, che cosa ho detto finora? Ho detto che anche il mondo si crede, ed è, per quello che esistono diverse filosofie, esistono diverse teologie, e a seconda della filosofia che hai, svilupperai una teologia diversa.

Tutti i teologi che costruiscono pensiero sono abitati da una precisa filosofia, che lo sappiano o non lo sappiano. E qual è la filosofia del cristianesimo nel guardare il mondo?

Ma, chi di voi è cristiano, chi di voi condivide il messaggio cristiano sostanzialmente si pone di fronte al mondo e crede nel primato del bene e della giustizia e dell’amore. Alla fine tutto il senso del cristianesimo è questo: porsi di fronte a questo fenomeno assolutamente contraddittorio che è il mondo: è un fenomeno antinomico il mondo.

Antinomico vuol dire che ci sono tesi e antitesi entrambe legittime, mi riferisco ovviamente alla “critica della ragione pura” di Kant ed è esattamente a partire dalla idea cosmologica, dall’idea del mondo che tanti dicono: ci sono tesi e ci sono antitesi entrambe legittime e la ragione non ha la possibilità … Il foglio bianco diviso in due: chi avrebbe ragione? Chi avrebbe di noi il voto più alto se io dovessi essere il professore, chi mi compila la colonna A o chi mi compila la colonna B? Probabilmente il voto più alto lo avrebbe l’alunno o quell’alunna che consegnerebbe il foglio con le due colonne entrambe piene di aggettivi o entrambe vuote di aggettivi, ma paritarie, perché dimostrerebbe esattamente quello che a mio avviso è il risultato della ragione di fronte al mondo, l’antinomia.

Non c’è un omos? solo, una legge sola, ce ne sono due, ma non nel senso dualistico, no, nel senso proprio in questo continuo processo evolutivo che è il mondo per cui oggi questo lavoro che è il mondo ti produce giustizia, ma producendo giustizia qui sembra quasi inevitabile che si produca ingiustizia là, producendo nutrimento qui sembra quasi inevitabile che si debba produrre il contrario del nutrimento, la morte, la distruzione là. Il cristiano è colui che abita questo processo non dualisticamente, ma dualmente configurato, non è dualismo, è dualità, una dualità che dice esattamente, perché è duale?

Perché si muove, se non si muovesse il mondo non sarebbe duale. Si può muovere esattamente perché quest’unica massa di energia è sì configurato dalla legge Logos (logos – logica)… il vangelo di Giovanni lo avete fatto come comincia? In principio era il logos, ma questo suo essere il principio del mondo da parte del logos non è tale da creare una organizzazione necessaria e necessitata.

Il caos che è l’altro grande elemento è sempre all’opera e il mondo è esattamente questo: qual è la formula del mondo? La formula del mondo così come io la vedo e la percepisco è Logos più caos e ciascuno di noi al suo interno è logos più caos e non è il bene e il male, sono importanti entrambi. Guai a quella persona che è solo logos, che non sa aprirsi alla dimensione nuova, innovativa del caos, che non vive la sua vita, la sua esistenza come sistema aperto facendo sì che la realtà come si propone ponga anche disarmonia, negazione, contestazione rispetto alla sua visione del mondo. Se non lo fa, se uno non è così rimane chiuso, statico, questa è la persona dogmatica, è quella persona che già ha tutto configurato.

Occorre invece che alla dimensione giusta delle proprie idee, dico giusta nel senso di legittima, di avere le proprie idee, di avere la propria visione del mondo ci sia questa apertura nei confronti dell’alterità, nei confronti della contestazione, nei confronti del caos e guai naturalmente alla persona viceversa che ha solo caos, che ha solo disordine, che è solamente come dire apertura incondizionata a tutto e a tutti senza avere criteri, senza avere capacità di giudizio, senza saper soppesare ciò che è giusto e ciò che non lo è, ciò che introduce maggiore ordine e ciò che invece conduce alla disgregazione, al disordine.

Logos + caos, naturalmente siccome è difficile vivere all’insegna di questa continua apertura, è difficile essere un sistema aperto, avere la vita come un sistema aperto, allora che cosa ti dà? Logos + caos qual è il risultato?  Vi sto dicendo, il mio nuovo libro … il succo è questo qui. Logos + caos = patos, la passione. Il segreto della vita, ciò che ci fa illuminare lo sguardo, ciò che ci fa vivere, il segreto dell’esistenza è la passione. Naturalmente questa passione è da intendersi sia nel senso attivo di emozione dominante, sia nel senso passivo di patimento perché è difficile essere aperti sempre al mondo. Ti scava questa apertura al mondo, questo disordine che entra entro di te può essere molto difficile da sopportare. Ma questa è la vita: essere sistema aperto e introdurre sempre ordine e energia positiva dove è possibile nell’apertura alla più alta dimensione del caos.

E essere cristiani vuol dire questa cosa:

vuol dire credere che all’interno di questa processualità di logos e caos, credere nel primato del logos senza cadere nell’errore dogmatico di chiudersi al caos, di chiudersi al disordine, no, ma credere comunque al primato del logos laddove logos significa come tutti voi sapete, certamente significa parola, certamente significa discorso, certamente significa ragione, ma anzitutto ha un valore fisico ed è per quello che io lo traduco come relazione. In principio era il logos vuol dire, in principio è la relazione. Logos viene dal verbo “leghein” che significa anzitutto tutto legare, mettere insieme. Certo parola, significa parola perché, cos’è la parola? Si mettono insieme i suoni e significa discorso. Ma perché significa discorso? Perché si mettono insieme le parole. Poi significa ragione perché? Perché si mettono insieme i significati del discorso e il succo del discorso è la ragione. Logismos, stessa radice di logos significa calcolo, è la stessa radice e si mettono insieme i numeri. Ma capite che il vero significato è questa forma relazionale, è ciò che mette insieme, è ciò che unisce, ciò che intreccia, ciò che mette in relazione.

Che cos’è l’amore? scusate se il cristianesimo consiste in questo, che cos’è l’amore se non esattamente relazione, una relazione totale, sincera, pulita, trasparente, caotica anche nella misura in cui è l’amore con l’A maiuscola e l’amore con una persona che comporta anche la dimensione eros, la dimensione filia e la dimensione agape. Certo c’è anche ladimensione caos, ma è chiaro perché è la vita.Però essere cristiani significa ultimamente credere nel primato del logos, credere nel primato della relazione trasparente, nel primato della relazione pulita, nel primato della relazione totale, totalizzante con sé stessi e con gli altri e così via … Questa è la filosofia di fondo che mi guida nel parlare di chiesa, nel parlare di mondo, nel parlare di chiesa e di mondo.

Perché vedete di fronte alla grande questione, tu a chi appartieni, a chi ti senti di più di appartenere, alla chiesa o al mondo? Sei più un uomo di mondo (come diceva Totò: un uomo di mondo) o sei più un uomo di chiesa? La tua energia vitale si sente di più a casa all’interno del mondo o all’interno della chiesa?

Per chiesa, attenzione non intendete solamente quella gerarchica, si intende la chiesa gerarchica, la chiesa …(adesso non si può dire la chiesa del papa perché per fortuna abbiamo un papa..). insomma quella chiesa lì, la chiesa abbastanza antipatica … no, anche questa è un fenomeno di chiesa. Che cos’è? Ecclesia, non è un fenomeno di chiesa questa comunità? Quindi la caritas, le comunità, lo stare insieme, a chi appartiene se le cose stanno così? Capite che per me non è semplice rispondere, e io infatti non rispondo.

Non rispondo perché? Perché io dico: appartengo a entrambi perché, la logica è esattamente la medesima alla luce di quello che ho detto. Una delle frasi più importanti del  “de civitate Dei” di S. Agostino dice: “due amori hanno costruito due città: l’amore di sé spinto fino al disprezzo di Dio ha costruito la città terrena, il mondo, l’amore di Dio spinto fino al disprezzo di sé ha costruito la città celeste.” Ecco da questa prospettiva cosa emerge? Emerge non la dualità, ma il dualismo, la contrapposizione chiesa mondo, la contrapposizione, anche io e Dio, per cui non puoi amare te stesso se vuoi amare Dio, devi disprezzare te stesso se vuoi amare Dio secondo questa prospettiva.

Emerge anche da questa prospettiva la grande contrapposizione tra filosofia e teologia, tra sapere di Dio e sapere del mondo. Questa è stata la prospettiva dominante all’interno del cristianesimo: don Camillo e Peppone e prima ancora i guelfi e i ghibellini e la gran parte della storia italiana, probabilmente tutta la storia italiana di questa penisola italica, dopo, da quando è diventata Italia, da quando la chiesa ha giocato un ruolo.

Certo non la storia dell’impero romano, la storia dell’Italia a partire dall’anno 1000 sostanzialmente e tutto questo si spiega alla luce di questa contrapposizione del “de civitate Dei” 14-28, di questi due amori. Il fatto che noi per avere lo stato unitario abbiamo dovuto combattere contro lo stato della chiesa – il 20 settembre 1870, i bersaglieri a porta Pia- e tutto questo che cosa dice? Dice esattamente che qui in Italia e penso che la stessa cosa valga per gli altri grandi paesi cattolici, la Francia e la Spagna penso (è semplicemente una intuizione che andrebbe verificata) tutto questo, questa auto comprensione della chiesa come contrapposta al mondo come di una società perfetta contrapposta a una società imperfetta che è il mondo ha generato esattamente questo dualismo che ha contrassegnato profondamente la storia e la mentalità per cui ancora noi quando sentiamo il termine chiesa – mondo inevitabilmente siamo portati a sentire una contrapposizione.

Ma ci sono limiti immensi in questa prospettiva, prima di tutto perché anche nella chiesa c’è amore di sé, anche nella chiesa c’è mondo. Alla prospettiva di Agostino uno direbbe: ma teoreticamente lasciamola anche sussistere, ma dal punto di vista empirico dov’è questa chiesa, me la puoi indicare questa chiesa che vive totalmente all’insegna del disprezzo di sé, e dell’amore del mondo? Andiamo a vederla come è fatta la chiesa concretamente? Quindi empiricamente parlando questa prospettiva non tiene e non tiene neanche il mondo perché uno potrebbe dire anche ad Agostino: vieni con me, dammi la mano e ti porto a fare un giro in questo mondo e ti mostrerò tanti aspetti in questo mondo che non sono per niente contraddistinti dal disprezzo di Dio e dall’amore per sé.

Anche questo mondo, a prescindere dal fatto che sia cristiano o meno, produce una serie di elementi di, come li vuoi chiamare Agostino, santità? Li vuoi chiamare giustizia? Decidi tu come chiamarli, ma certamente sono elementi estremamente positivi. Vogliamo dare un’occhiata a cos’è il bodhisattva del buddismo? Vogliamo dare un’occhiata al libro dei morti dell’antico Egitto cap.125 etc. etc. o semplicemente anche fenomeni laici, non solo religiosi, ma anche fenomeni laici, elementi come dire, esperienze di volontariato che non hanno alcun riferimento religioso e che sono trasparenti quanto giustizia e volontà di bene e di solidarietà.

Quindi questa prospettiva di Agostino è empiricamente falsa e quando una cosa è empiricamente falsa è teoreticamente falsa subito, quando è smontata dal basso, poi tutti i castelli costruiti sopra vengono meno. Una cosa invece da questa prospettiva di Agostino emerge con forza: qual è? Amor. Dice due amori. Ora ciò che da questo brano di Agostino emerge con forza è che c’è un’unica intenzionalità che contraddistingue il rapporto dell’uomo con il mondo e quest’ultima intenzionalità è l’amore. Allora questo amore, questa è la mia tesi di fondo; io dico che è l’amore che porta le persone a vivere all’insegna del bene e della giustizia, a prendere sul serio le parole di Gesù all’interno del vangelo e quindi a costruire comunità, e quindi a essere ecclesia e quindi a essere chiesa, questo amore non è assolutamente diverso dalla medesima logica, dalla medesima tensione che è alla base della costruzione del mondo.

Sto dicendo che anche il mondo è chiesa, sto dicendo che anche il mondo nella sua logica di fondo manifesta la medesima logica che genera la chiesa. Qual è la logica che genera la chiesa? Ec-clesia, ec-caleo??, è qualcosa che è chiamato, c’è una forza, in questo caso è una forza spirituale che ti chiama, ti fa uscire da sé e ti pone in comunione. Questa è la forza che sta alla base della chiesa. Questa logica è presente nel mondo oppure no? Che cosa ho bevuto adesso? Io adesso ho bevuto un po’ d’acqua, l’ho bevuto perché avevo la gola un po’ secca dopo tutto questo parlare, ma che cos’è l’acqua? Aggregazione, aggregazione come lo sappiamo fin da bambini H2O. Non esiste l’acqua se non come il risultato di una aggregazione di elementi.

Un bel respiro: l’aria senza la quale noi dopo 3 secondi moriremmo, e che cosa è l’aria? Aggregazione, aggregazione di gas, azoto e ossigeno e qualcos’altro ancora … e noi come organismo, io che vi sto parlando e voi che mi state ascoltando che cosa siamo?

Aggregazione a partire dalle particelle subatomiche che poi diventano atomi e poi diventano molecole e poi diventano tessuti e cellule, organi, sistemi di organi, organismo, aggregazione. Il pianeta terra è il risultato di cosa il pianeta terra? Aggregazione di gas e di polvere stellare che a un certo punto si sono solidificati. Il sole, la stella che genera la vita, che cos’è? Aggregazione anche lì, aggregazione di gas. Il sistema solare? Aggregazione. Ditemi se vi viene in mente una cosa che non è il risultato di una aggregazione, non esiste.

L’acqua, l’aria, la terra, il fuoco, il corpo, la pietra, tutto è il risultato di aggregazione. E la chiesa che cos’è? La chiesa non è nient’altro che il risultato di una aggregazione con una differenza specifica che per la chiesa si dovrebbe parlare più che altro di congregazione, non tanto per le congregazioni religiose, ma perché senza l’impegno della libertà personale non si dà aggregazione ecclesiale. In questo senso il cum del termine congregazione, il cum latino divide, distingue l’aggregazione dalla congregazione perché c’è il lavoro della coscienza personale, mentre per gli elementi c’è il lavoro della natura che avviene a prescindere dal lavoro personale.

Tra l’altro sarebbe veramente bellissimo indagare a livello fisico questa questione: perché il mondo consiste e sta? Perché sta? E la risposta la fisica ce l’ha, perché ci sono le particelle materia, i fermioni, e ci sono le particelle forza, i bosoni che non hanno niente a che fare con la comunità di Bose, è importante, ma fino a un certo punto … non è che li hanno chiamati così per via … no, li hanno chiamati così per Bose Satyendra Nath che era un fisico indiano che aveva esattamente, in uno scritto famoso che consegnò a Einstein, elaborato questa idea delle particelle forza. Il mondo non è solo materia, il materialismo è una filosofia, è una visione anche delle cose molto povera, estremamente povera, non sa rendere conto di quell’altra grande dimensione immateriale che è la forza senza la quale la materia non sarebbe.

Comunque quello che sto dicendo è che la logica del mondo e la logica della chiesa è la medesima, questo fenomeno relazionale, logico, logico nel senso di logos.. enarché?? logos la relazione come fonte originaria di tutto. La differenza naturalmente tra l’aggregazione che porta l’idrogeno e l’ossigeno a dare l’acqua e quella di ciascuno di noi, che porta ciascuno di noi, a voler essere per chi lo vuole, essere ecclesia, comunità, naturalmente la differenza come ho detto è che in noi subentra anche il lavoro della libertà.

Però la chiesa in sé stessa quando è vera, quando veramente abbiamo a che fare con il fenomeno chiesa, e non nel senso ecclesiastico del termine clericale, che è una degenerazione di questo, quando abbiamo veramente abbiamo a che fare con il fenomeno ecclesiale nel suo senso profondo, ebbene la chiesa è l’espressione libera e consapevole della logica che sottostà alla materia, è la medesima.

In questo senso la chiesa serve il mondo in funzione del mondo perché l’espressione consapevole, l’espressione che sa e che vuole (consapevole = cum sapio volo) consapevolezza vuol dire quando dentro di te c’è il sapere, ma c’è anche il volere.

L’unione di intelletto e volontà fa la consapevolezza. Allora la chiesa dovrebbe essere la consapevolezza di questa logica che da sempre è all’opera nel mondo pensato come creazione di Dio, anzi come creazione continua di Dio, perché è una creazione continua.

Il rapporto tra Dio e il mondo a livello creativo è il rapporto che avviene sempre, in ogni istante. Vado a concludere dicendo che da qua discendono alcune conseguenze, da questa visione della vita, da questa visione del mondo, da questa visione della chiesa, da questa visione del rapporto chiesa mondo.

La prima è che il cristianesimo, così come lo vivo io e così come l’hanno vissuto in molti, da questa mia visione delle cose discende una modalità di essere cristiani che pone l’incarnazione come vertice, incarnazione intesa come comunione con il mondo. Il divino è da sempre strutturalmente teso alla comunione con il mondo. C’è una modalità di pensare il cristianesimo all’insegna dello scontro con il mondo ed è una modalità altrettanto legittima dal punto di vista dei vangeli, dal punto di vista del nuovo testamento ed è una modalità che pone la croce come primato, ma croce intesa non come ultimo atto di comunione con il mondo, ma come scontro, contrapposizione, atto di guerra del mondo nei confronti del divino. Quindi naturalmente da qua, da questa modalità di intendere il cristianesimo che è il cristianesimo di Lutero, che è il cristianesimo di Pio X che non è una questione confessionale protestanti e cattolici, è esattamente quella visione che pone il mondo e la natura come contrapposti, come distinti, che sottolinea con forza la distinzione tra natura e sovranatura. Mentre io non sottolineo in alcun modo la distinzione, anzi io dico non c’è questa distinzione natura e sovranatura, c’è un unico processo abitato da un’unica logica che naturalmente diviene più matura, più piena, più responsabile, più consapevole laddove aumenta la pienezza, la maturità, la consapevolezza del mondo, ma non c’è contrapposizione natura sovranatura.

Questa è la prima conseguenza, la seconda conseguenza concerne la modalità con cui guardare il mondo. Questa è la modalità con cui considerare il cristianesimo e la modalità con cui considerare il cristianesimo, ho detto, è all’insegna dell’incarnazione cioè dell’armonia, del dialogo con la dimensione naturale, con la dimensione del mondo.

Secondo, come guardare il mondo? All’insegna di questa prospettiva discende una modalità di guardare il mondo come continua creazione di Dio come un fenomeno che in ogni istante è rivelazione di Dio. In un certo senso all’interno di questa prospettiva anche la distinzione tra creazione e rivelazione viene meno. La rivelazione storica, biblica, è la grammatica, la semantica con cui leggere la continua rivelazione di Dio che è questa vita, in questo mondo.

Terzo … le altre religioni … voi capite la modalità con cui pensare le altre religioni.

All’insegna della prospettiva chiesa-mondo agostiniana che pensa che tutto ciò che non è chiesa nel senso di chiesa cristiana è generazione dell’amore di sé fino al disprezzo di Dio anche le altre religioni saranno considerate amore di sé fino al disprezzo di Dio, saranno considerate tentativi come la torre di Babele, le altre religioni come torre di Babele, e gli uomini tentano di arrivare al divino a partire da sé, tentano di arrivare al divino valorizzando sé stessi come grande atto di tracotanza, di superbia. C’è una modalità di pensare le altre religioni, c’è stata, adesso per fortuna è minoritaria, ma c’è stata lungamente una modalità di pensare le filosofie e le religioni all’insegna di questo dualismo.

Al contrario nella mia prospettiva, nella prospettiva che esiste da Giustino (non è che l’ho inventata io), una prospettiva che esiste da sempre all’interno del nuovo testamento, nei padri apologeti, nei padri della chiesa, i grandi esponenti di questa prospettiva, ho citato Giustino all’inizio, poi naturalmente viene Origene e poi si arriva alla grande scolastica, molto Tommaso D’Aquino è all’interno di questa prospettiva. In Tommaso d’Aquino poi in realtà c’è anche l’altra, come anche Agostino, sono da una parte e dall’altra, dalla prospettiva di Erasmo da Rotterdam, Tommaso Moro per arrivare ai nostri giorni naturalmente a Theilhard de Chardin, a tutta la prospettiva della “teologie nouvelle”, Rahner, se volete la teologia dei gesuiti è una teologia all’insegna di questa grande fiducia nei confronti del pensiero umano, la teologia di Martini è all’interno di questa prospettiva.

E non a caso io mi sono formato alla scuola di Carlo Maria Martini, per quanto molte idee che io ho, lui lo ha anche scritto nella mia lettera, non le condivideva.

La terza conseguenza riguarda esattamente la modalità con cui guardare le altre religioni, pensate come espressione della medesima tendenza ecclesiale della realtà. La realtà ha una tendenza ecclesiale, è l’energia che forma il mondo ad avere una tendenza verso la chiesa intesa esattamente come aggregazione, come comunione degli elementi e poi delle cose che formano sistemi, sistemi sempre più complessi. Questa tendenza verso l’unione della comunione è esplicitata anche dalle grandi religioni le quali non vogliono fare altro che porre il singolo in comunione con il principio del mondo. Poi deriva anche se pensate, una modalità di pensare la chiesa, altra conseguenza la chiesa dal punto di vista estetico, dal punto di vista dell’estetica.

Voi capite, un conto è pensare chiesa nel senso di edificio, edificio chiesa all’insegna di una teologia della divisione rapporto chiesa – mondo, un conto è pensare una chiesa nel senso dell’edificio chiesa che si costruisce all’interno della visione armoniosa chiesa – mondo laddove la chiesa ancora una volta non è nient’altro che il mondo che prende coscienza di sé. E’ una prospettiva, si starà molto attenti a far sentire il fedele che entra in chiesa come non a casa: sei in qualche cosa di molto più grande di te, qualcosa che ti schiaccia, qualcosa che ti pone quasi un senso di timore e tremore, di soggezione, non è la tua casa questa, è la casa di Dio e proprio perché è la casa di Dio non potrai essere a casa tua e tu sei sempre appunto necessariamente straniero qui, piccolo.

Un certo tipo di gotico impone questo senso di soggezione e non è che è un caso, no, sottolinea una precisa modalità di pensare il rapporto Dio – mondo, di pensare la spiritualità. Invece qual è l’architettura che promana da una visione di questo tipo? Il romanico, è una prospettiva dove il singolo si sente a casa, questa chiesa non ti mette soggezione, ti mette confidenza. Entri e non hai questo senso di timore, ma hai questo senso di allegria casalinga come quando senti il profumo del pane a casa o il caffè alla mattina e queste cose che ti fanno tanto sentire casa. Allo stesso modo la chiesa, ti senti a casa.

Non è un caso che ci siano chiese “A” all’insegna della trascendenza assoluta, chiese che ti fanno sentire straniero, che ti fanno sentire intimorito e viceversa chiese “B” che ti fanno sentire a proprio agio, non è un caso, perché ci sono diverse teologie e infine naturalmente la spiritualità che ne deriva, la spiritualità che ti deriva dal pensare il mondo.

Un conto se tu pensi che per il tuo essere cristiano devi negare il mondo, devi entrare in chiesa, devi avere una relazione con il mondo all’insegna della distanza, della polemica, della negazione, un conto se invece pensi che il mondo stesso è già una chiesa. Voi capite come ci si muove in maniera completamente diversa, cammini nel mondo pensando che è santo così come è santa una chiesa o che non è santo così come non è santa una chiesa, che è un processo che tende però verso questa giustizia, questa santificazione, cambia tutto.

Noi entriamo in chiesa e facciamo il segno di croce, ma pensiamo all’idea di uscire di casa e di fare il segno di croce e di fare una genuflessione … cosa che non si può perché veramente uno esce di casa e fa la genuflessione, poi ti prendono …. Ma mentalmente si può, poi soprattutto di fronte ai fenomeni naturali, di fronte al sole che sorge, di fronte a una montagna verso la quale si va, prima di entrare in un bosco, ma magari anche di fronte a un monumento, di fronte a una piazza. Uno prima di entrare, uno dice mi faccio il segno di croce, sto entrando in un posto.. una piazza, una piazza di una città, ma scusate che cos’è se non un fenomeno di ecclesia? Ecclesia, ec-caleo? è la medesima logica aggregativa, di congregazione, la medesima che ha portato gli uomini a costruire quella piazza e perché allora quando entro in chiesa mi faccio un segno di croce e quando entro a Piazza Maggiore, a piazza del Duomo o a piazza della Signoria, mentalmente non mi faccio lo stesso un segno di croce e dico: entro in un luogo santo?

(trascrizione non rivista dall’autore)

Montefano, lì 2 giugno 2013

la nonviolenza evangelica e la chiesa cattolica: incontro su non violenza e pace giusta

la seguente dichiarazione è stata rilasciata dai partecipanti all’incontro su Nonviolenza e Pace giusta tenutosi a Roma, nei giorni 11-13 aprile 2016. L’incontro è stato convocato congiuntamente da Pax Christi International, il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, UISG/USG e molte altre organizzazioni cattoliche internazionali

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Appello alla Chiesa Cattolica per promuovere la centralità della nonviolenza evangelica

Come cristiani impegnati per un mondo più giusto e pacifico siamo chiamati a prendere una posizione chiara a favore di una nonviolenza creativa e attiva e contro tutte le forme di violenza. Con questa convinzione, e nel riconoscimento del Giubileo della Misericordia proclamato da Papa Francesco, persone provenienti da molti paesi sono convenute alla Conferenza per la Nonviolenza e Pace giusta, promossa dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace e da Pax Christi International l’11-13 Aprile 2016 A Roma.

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La nostra assemblea, popolo di Dio proveniente dall’Africa, le Americhe,  l’Asia, l’Europa, il Medio Oriente, l’Oceania ha incluso laici, teologi, membri di congregazioni religiose, sacerdoti e vescovi. Molti di noi vivono in comunità che sperimentano la violenza e l’oppressione. Tutti noi siamo praticanti della giustizia e della pace. Siamo grati per il messaggio di Papa Francesco alla nostra conferenza: “Le vostre riflessioni su come rivitalizzare gli strumenti della nonviolenza, e in particolare della nonviolenza attiva, saranno un contributo necessario e positivo”.

Guardando al nostro mondo di oggi

Viviamo in un tempo di enorme sofferenza, di trauma e paura diffusi, dovuti alla militarizzazione, all’ingiustizia economica, ai cambiamenti climatici e a una miriade di altre forme specifiche di violenza. In questo contesto di violenza normalizzata e sistematica, coloro fra noi che stanno dalla parte della tradizione cristiana sono chiamati a riconoscere la centralità della nonviolenza attiva nel progetto e nel messaggio di Gesù; nella vita e nella pratica della Chiesa cattolica; e nella nostra vocazione a lungo termine per guarire e per riconciliare sia le persone che il pianeta.

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Ci rallegriamo delle ricche esperienze concrete di persone impegnate nel lavoro per la pace in tutto il mondo, molte delle cui storie abbiamo ascoltato durante questa conferenza. I partecipanti hanno condiviso le loro esperienze di negoziati coraggiosi con i soggetti armati in Uganda e Colombia; o lavorando per proteggere l’Articolo 9, la clausola di pace nella Costituzione giapponese; o l’accompagnamento in Palestina; o l’educazione nazionale alla pace nelle Filippine. Essi illuminano la creatività e la potenza delle pratiche nonviolente in molte situazioni diverse di potenziale o reale conflitto violento.  La ricerca accademica recente, infatti, ha confermato che le strategie di resistenza nonviolenta sono due volte più efficaci di quelle violente.

È giunto il momento per la nostra Chiesa di essere una testimonianza vivente e di investire risorse umane e finanziarie molto maggiori nella promozione di una spiritualità e di una pratica della nonviolenza attiva e nella formazione e addestramento delle nostre comunità cattoliche a pratiche nonviolente efficaci. In tutto questo, Gesù è la nostra ispirazione e il nostro modello.

Gesù e la nonviolenza

Ai suoi tempi, pieni di violenza strutturale, Gesù ha proclamato un nuovo ordine nonviolento radicato nell’amore incondizionato di Dio. Gesù ha chiamato i suoi discepoli ad amare i loro nemici (Matteo 5:44), che comprende il rispetto dell’immagine di Dio in tutte le persone; a non offrire alcuna resistenza violenta a chi fa il male (Matteo 5:39); a diventare operatori di pace; a perdonare e pentirsi; e ad essere abbondantemente misericordiosi (Matteo 5-7). Gesù ha incarnato la nonviolenza resistendo attivamente alla disumanizzazione sistematica, come quando ha sfidato la legge del Sabato per guarire l’uomo dalla mano secca (Marco 3:1-6); quando ha affrontato i potenti al Tempio e lo ha purificato (Giovanni 2:13-22); quando pacificamente, ma con determinazione, ha sfidato gli uomini che accusavano una donna di adulterio (Giovanni 8:1-11); quando la notte prima di morire ha chiesto a Pietro di mettere giù la sua spada (Matteo 26:52).

Né passiva né debole, la nonviolenza di Gesù era il potere dell’amore in azione. Nel progetto e nelle opere, egli è la rivelazione e l’incarnazione del Dio Nonviolento, una verità particolarmente illuminata nella croce e nella risurrezione. Egli ci chiama a sviluppare la virtù della pace nonviolenta.

Chiaramente, la Parola di Dio, la testimonianza di Gesù, non dovrebbero mai essere usate per giustificare la violenza, l’ingiustizia o la guerra. Confessiamo che il popolo di Dio ha tradito questo messaggio centrale del Vangelo tante volte, partecipando a guerre, persecuzioni, oppressione, sfruttamento e discriminazione.

Noi crediamo che non vi sia alcuna “guerra giusta”. Troppo spesso la “teoria della guerra giusta” è stata utilizzata per appoggiare, piuttosto che prevenire o limitare la guerra. Suggerire che una “guerra giusta” è possibile compromette anche l’imperativo morale di sviluppare strumenti e capacità per la trasformazione nonviolenta dei conflitti.marcia dell pace

Abbiamo bisogno di un nuovo quadro che sia coerente con la nonviolenza evangelica. Un percorso diverso si sta chiaramente delineando nella recente dottrina sociale cattolica. Papa Giovanni XXIII ha scritto che la guerra non è un modo adatto per ripristinare i diritti; Papa Paolo VI ha legato pace e sviluppo, e ha detto alle Nazioni Unite “mai più guerra”; Papa Giovanni Paolo II ha detto che “la guerra appartiene al passato tragico, alla storia”; Papa Benedetto XVI ha detto che “amare il nemico è il nucleo della rivoluzione cristiana”; e Papa Francesco ha detto che “la vera forza del cristiano è il potere della verità e dell’amore, che porta alla rinuncia di ogni violenza. Fede e violenza sono incompatibili “. Ha anche sollecitato “l’abolizione della guerra”.

Noi proponiamo che la Chiesa cattolica sviluppi e prenda in considerazione il passaggio a un approccio di Pace giusta basato sulla nonviolenza evangelica. Un approccio di Pace giusta offre una visione e un’etica per costruire la pace, come pure per evitare, sdrammatizzare e sanare i danni del conflitto violento. Questa etica comprende un impegno per la dignità umana e lo sviluppo di relazioni, con criteri, virtù e pratiche specifiche per guidare le nostre azioni. Ci rendiamo conto che la pace richiede giustizia e che la giustizia richiede di operare per la pace.

Vivere la nonviolenza evangelica e la Pace giusta

In questo spirito ci impegniamo a promuovere la comprensione e la pratica della nonviolenza attiva cattolica sulla via di una pace giusta. Come aspiranti discepoli di Gesù, messi alla prova e ispirati da storie di speranza e di coraggio in questi giorni, chiediamo alla Chiesa che amiamo:

-   di continuare a sviluppare l’insegnamento sociale cattolico sulla nonviolenza. In particolare, chiediamo a Papa Francesco di condividere con il mondo un’enciclica sulla nonviolenza e la Pace giusta;

-  di integrare esplicitamente la nonviolenza evangelica nella vita, compresa la vita sacramentale, e nell’opera della Chiesa attraverso le diocesi, le parrocchie, le agenzie, le scuole, le università, i seminari, gli ordini religiosi, le associazioni di volontariato, e altri;

-   di promuovere pratiche e strategie nonviolente (ad esempio, resistenza non violenta,  giustizia riparativa, risanamento del trauma, protezione civile non armata, trasformazione dei conflitti e strategie di costruzione della pace);

-  di avviare una confronto globale sulla nonviolenza all’interno della Chiesa, con persone di altre fedi, e con un mondo allargato per rispondere alle crisi monumentali del nostro tempo con la visione e le strategie della nonviolenza e della Pace giusta;

-  di non utilizzare o insegnare più la “teoria della guerra giusta”; di continuare a sostenere l’abolizione della guerra e delle armi nucleari;

–   di levare la voce profetica della chiesa per sfidare gli ingiusti poteri mondiali e per sostenere e difendere quegli attivisti nonviolenti il cui lavoro per la pace e la giustizia mette a rischio la loro vita.

In ogni epoca, lo Spirito Santo dà alla Chiesa la grazia della saggezza per rispondere alle sfide del suo tempo. In risposta a ciò che si può definire un’epidemia globale di violenza, che Papa Francesco ha etichettato come una “guerra mondiale a pezzi”, siamo chiamati ad invocare, pregare, insegnare e intraprendere un’azione decisiva. Con le nostre comunità e con le nostre organizzazioni ci auguriamo di continuare a collaborare con la Santa Sede e la Chiesa globale per portare avanti la nonviolenza evangelica.

 

un contributo alla trasparenza nella chiesa

“Il ‘Caso Spotlight’ dà slancio alla trasparenza nella Chiesa”

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padre Zollner alla Radio vaticana dopo l’appello del produttore al papa alla notte degli Oscar. «Molto è stato fatto, basta omertà». L’Osservatore Romano: non è un film anticattolico

Iacopo Scaramuzzi

l’Osservatore Romano scrive, con articolo richiamato in prima pagina, che Il caso Spotlight «non è un film anticattolico», perché «riesce a dare voce allo sgomento e al dolore profondo dei fedeli davanti alla scoperta di queste orribili realtà». Certo, prosegue il quotidiano della Santa Sede, «i bambini sono esseri indifesi, e quindi vittime privilegiate di abusi anche nelle famiglie, nei circoli sportivi, nelle scuole laiche. Gli orchi non portano esclusivamente la veste talare. La pedofilia non deriva necessariamente dal voto di castità. Ma ormai è chiaro che nella Chiesa troppi si sono più preoccupati dell’immagine dell’istituzione che non della gravità dell’atto»

Il film «Il caso Spotlight» e l’appello al Papa rivolto dal suo produttore alla notte degli Oscar «danno un ulteriore slancio» al lavoro per il contrasto della pedofilia del clero: questo il commento affidato alla Radio vaticana dal gesuita tedesco Hans Zollner, membro della Pontificia commissione per la tutela dei minori e presidente del Centro per la protezione dei minori della Pontificia università Gregoriana. L’Osservatore Romano scrive: «Non è un film anti-cattolico».

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«Il caso Spotlight», diretto da Tom McCarthy, racconta l’indagine giornalistica con la quale nel 2001 il Boston Globe scoperchiò l’insabbiamento sistematico degli abusi sessuali del clero sui minori nella diocesi, Boston appunto, allora guidata dal cardinale Bernard Francis Law. L’inchiesta, premio Pulitzer, preceduta dagli articoli di giornalisti come Jason Berry sul National Catholic Reporter, fece esplodere lo scandalo della pedofilia negli Stati Uniti, seguito anni dopo in Europa e nel resto del mondo. Alla premiazione che ha assegnato alla pellicola gli Oscar come miglior Film e miglior sceneggiatura originale, ieri notte, il produttore, Michael Sugar, ha commentato: «Papa Francesco: è ora di proteggere i bambini e restaurare la fede».
«Molto è stato fatto, da parte della Santa Sede, e poi anche da alcune Chiese locali», afferma padre Zollner. «Per cui, un film come questo e anche le parole dette alla premiazione, certamente danno un ulteriore slancio a questo nostro lavoro che, ad esempio, abbiamo iniziato dal 2012 qui alla Gregoriana con un convegno internazionale, il Simposio “Verso la guarigione e il rinnovamento”, che ha visto partecipare 110 vescovi di tutte le Conferenze episcopali del mondo e che è stato un primo passo anche per le aree dell’Africa e dell’America Latina, dove il tema a quell’epoca non era ancora arrivato».

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Il gesuita tedesco ricorda che «fin dalla fine degli anni ’90, il cardinale Ratzinger, da prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede, si era infatti reso conto che la Chiesa non poteva più né tollerare questi abusi né la loro copertura da parte di vescovi. E così Joseph Ratzinger, poi come Papa Benedetto, ha fatto grandi passi per rendere la Chiesa un’istituzione trasparente e impegnata nella lotta contro gli abusi. Poi, Papa Francesco ha continuato sulla linea di Papa Benedetto, rafforzando ancora la legislazione della Chiesa, istituendo la Pontificia Commissione per la tutela dei minori. Il Papa ha già messo in pratica alcune misure e attendiamo ulteriori sviluppi su questa stessa linea, che daranno certamente il messaggio chiaro che la Chiesa cattolica nella sua leadership si rende conto della gravità della situazione e vuole e deve continuare la lotta per la giustizia e perché non ci siano più vittime di abuso». Alla Gregoriana, in particolare, il “Centre for Child Protection” istituito di recente intende «lavorare per costruire pian piano una competenza locale, cioè persone che sappiano come reagire, come creare spazi sicuri per i bambini e gli adolescenti».
Quanto al film, mons. Charles Scicluna, attuale arcivescovo di Malta e in passato «promotore di giustizia» della Congregazione per la Dottrina della fede, che rappresentò la “pubblica accusa” vaticana in casi come quello del sacerdote messicano pedofilo Marcial Maciel, «ha detto pubblicamente», in un’intervista a Repubblica, «che raccomanderebbe a tutti, anche ai vescovi, di guardare questo film», sottolinea Zollner. «Lo stesso ha detto anche un vescovo australiano. C’è quindi un grande apprezzamento per il film e ovviamente anche un apprezzamento per il messaggio e il modo in cui viene trasmesso il messaggio. Questi vescovi raccomandano ai loro confratelli di vedere questo film, quindi è un forte invito a riflettere e a prendere sul serio il messaggio centrale, cioè che la Chiesa cattolica può e deve essere trasparente, giusta e impegnata nella lotta contro gli abusi e che deve impegnarsi affinché non si verifichino più. E’ importante capire che dobbiamo cambiare quel nostro atteggiamento che in italiano si può esprimere con quella famosa parola: “omertà”. Non parlare, voler risolvere tutto spazzando via tutto sotto il tappeto, nascondersi e pensare che tutto passerà. Bisogna capire che non passerà: ormai dobbiamo renderci conto che o con molto coraggio e la capacità di affrontare le cose guardandole in faccia ci pensiamo noi, oppure un giorno, prima o poi, saremo obbligati a farlo. E questo penso sia uno dei messaggi centrali di questo film».
Anche l’Osservatore Romano scrive, con articolo richiamato in prima pagina, che Il caso Spotlight «non è un film anticattolico», perché «riesce a dare voce allo sgomento e al dolore profondo dei fedeli davanti alla scoperta di queste orribili realtà». Certo, prosegue il quotidiano della Santa Sede, «i bambini sono esseri indifesi, e quindi vittime privilegiate di abusi anche nelle famiglie, nei circoli sportivi, nelle scuole laiche. Gli orchi non portano esclusivamente la veste talare. La pedofilia non deriva necessariamente dal voto di castità. Ma ormai è chiaro che nella Chiesa troppi si sono più preoccupati dell’immagine dell’istituzione che non della gravità dell’atto». Quanto all’appello rivolto al Papa durante la notte degli Oscar, «deve essere visto come un segnale positivo: c’è ancora fiducia nell’istituzione, c’è fiducia in un Papa che sta continuando la pulizia iniziata dal suo predecessore già come cardinale. C’è ancora fiducia in una fede che ha al suo cuore la difesa delle vittime, la protezione degli innocenti».

il grande problema della chiesa

il teologo H. Kung

“chiesa e fedeli troppo distanti

ora papa Francesco deve reagire”

Kung

“Adesso papa Francesco può appellarsi al responso della maggioranza dei fedeli su temi così importanti, nel confronto con i reazionari della Curia. Il Papa emerito Benedetto XVI mi ha da poco scritto, a me eterno ribelle, una missiva affettuosa in cui s’impegna a sostenere Francesco sperando in ogni suo successo».
Insomma, in sostanza è quasi dire Francesco come Gorbaciov, l’uomo nuovo contro gli ortodossi, ma con la gente al suo fianco. Ecco la voce di Hans Küng, massimo teologo cattolico critico vivente, sul sondaggio- shock pubblicato ieri su Repubblica e il suo effetto nella Chiesa.   


Professor Küng, come giudica il sondaggio sui cristiani nel mondo?

«Presi insieme e analizzati, questi dati rivelano la straordinaria discrepanza tra gli insegnamenti della Chiesa sui temi fondamentali, come la famiglia, e invece la visione reale dei cattolici nel mondo».

Per lei tra i molti risultati del sondaggio quali sono i più importanti?
«Per me la cosa più importante è comunque la stragrande maggioranza di consensi per papa Francesco: l’87 per cento dei cattolici interrogati in tutto il mondo e il 99 per cento degli italiani sono d’accordo con lui. È un’enorme manifestazione di fiducia per il Sommo Pontefice Francesco. Per me è un piccolo miracolo, dopo gli anni della crisi di fiducia che aveva investito la Chiesa negli anni di papa Benedetto. Adesso in meno d’un anno papa Francesco è riuscito nell’inversione di tendenza dei sentimenti dei fedeli di tutto il mondo».

E il papa emerito Benedetto secondo lei sarà felice o triste del responso del sondaggio?
«Naturalmente lo rattristerà vedere questi risultati, specie ripensando oggi agli ultimi mesi vissuti da lui come Pontefice, nel suo mandato. Però sicuramente si rallegrerà del fatto che adesso si va avanti, e lui secondo me pensa più al destino della Chiesa che non di quanto riguardi se stesso».

È solo una sua supposizione o può provare quanto dice sui sentimenti di Joseph Ratzinger in questo momento?
«Io credo che spiegherò al meglio il pensiero di Benedetto citandole frasi della sua recentissima lettera a me».

Benedetto le ha scritto, dopo anni di contrasti? E che cosa le ha scritto?

«Ecco, attenda solo un momento, mi lasci prendere qui sulla mia scrivania affollata quel manoscritto con la carta della Santa Sede intestata a lui personalmente dalla sua residenza di Papa emerito. Data, 24 gennaio 2014. Intestazione, “Pontifex emeritus Benedictus XVI”. “Io sono grato di poter essere legato da una grande identità di vedute e da un’amicizia di cuore a Papa Francesco. Io oggi vedo come mio unico e ultimo compito sostenere il suo Pontificato nella preghiera ». Credo siano parole molto belle. Certo, scritte prima della pubblicazione del sondaggio. Tanto più questa scelta di schieramento del Papa emerito Benedetto mi convince».

E che cosa significa il sondaggio per i vescovi, e in generale per le gerarchie ecclesiastiche?

«Io vorrei distinguere tra tre categorie di prelati. Per i vescovi pronti alle riforme, e ne esistono in tutto il mondo, i risultati del sondaggio significano un grande incoraggiamento: dovranno impegnarsi apertamente per le loro convinzioni, e non restare troppo timidi. Secondo, per i conservatori che hanno le loro riserve: dovrebbero riflettere sulle loro riserve, e dovrebbero ascoltare gli argomenti dei rinnovatori. Terzo, per i vescovi reazionari, presenti non solo in Vaticano ma in tutto il mondo, dovrebbero abbandonare la loro resistenza caparbia e scegliere la ragionevolezza ».

E che cosa significa il sondaggio per la base, per i cristiani? Incoraggiamento alla riforma dall’interno, come sognò invano Gorbaciov per il socialismo reale e l’Impero sovietico?
«È importante il segnale che il movimento per la riforma all’interno della Chiesa ha dalla sua parte la grande maggioranza dei fedeli. Il movimento di riforma è appoggiato dalla base — movimenti di riforma come “Noi siamo Chiesa” — più di quanto non sia apparso finora, più di quanto non sia appoggiato all’interno della Chiesa ufficiale. È un fatto a livello internazionale».

Professore, Lei da decenni chiede cambiamenti e aperture nella Chiesa, fu il primo e ne pagò le conseguenze. Per Lei questo sondaggio è una vittoria, una vittoria amara, o cos’altro?

«Non mi considero come vincitore, non ho condotto la battaglia per me ma per la Chiesa. Ho fatto evidentemente molte esperienze amare, ma è bello vedere un cambiamento nella direzione del Concilio Vaticano II. Ho avuto la grande gioia di poter vedere ancora da vivo il successo delle idee di riforma della Chiesa per cui ho combattuto così a lungo, di poter vedere l’inizio della svolta. Per me è un nuovo impulso vitale, come dice Benedetto, per quest’ultimo tratto del percorso della vita che noi ora abbiamo davanti».

Papa Francesco che conseguenze dovrebbe trarre dai risultati di questo sondaggio?

«Se posso dargli un umile consiglio, dovrebbe andare avanti con coraggio sulla via su cui si è incamminato e non avere paura delle conseguenze ».

Concretamente che significa?

«Spero che usi l’arte del Distinguo che abbiamo imparato entrambi alla Pontificia Università Gregoriana: dove c’è secondo il sondaggio consenso nella Comunità ecclesiale dovrebbe proporre una soluzione positiva al Sinodo. Dove c’è dissenso dovrebbe permettere e suscitare un libero dibattito nella Chiesa. Dove egli stesso è di altra opinione rispetto alla maggioranza dei cattolici, come sul sacerdozio per le donne, dovrebbe nominare una task force di teologi e di altri scienziati

“lettera a una Chiesa che ha dimenticato Gesù”

“cara Chiesa tra riti e scandali hai tradito Gesù Cristo”

Ermanno Olmi

Olmi

Lettera a una Chiesa che ha dimenticato Gesù

 

questo l’inizio:

Cara Chiesa, non so più a chi rivolgermi e anche tu non mi vieni in aiuto. Ci parli di Dio ma sai bene che nessun dio è mai venuto in soccorso dell’umanità.
Nella lotta tra bene e male, l’uomo è sempre stato solo. Già nel racconto biblico si comincia con un delitto: «Che hai fatto Caino? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo dove sei nato…» dunque, dio ha udito benissimo il grido del fratello ucciso, ma non ha fatto nulla per trattenere la mano fratricida.

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E adesso?  Cosa sta accadendo a tutti noi?  Come abbiamo fatto a ridurci così ?  troppo spesso ho la sensazione di non sentirmi in relazione con gli altri. Anche con le persone che mi sono più vicine. Mi trovo in uno stato confusionale, come se ognuno parlasse per conto proprio annaspando nel nulla.
Cara Chiesa di cristiani smarriti, ho deciso di scriverti non tanto per fede ma perché tu hai più di duemila anni di storia e forse puoi aiutarci a capire i nostri comportamenti. Abbiamo smarrito la via maestra della pacifica convivenza. Ovunque conflitti di religione, separazioni di razze. Chi crede in dio sa bene che il Creatore ha fatto l’uomo e la donna, ma non le razze. E che neppure ha dato di più ad alcuni per farli ricchi perché con il loro denaro umiliassero i poveri. Così ho deciso di scriverti.
Perché in questo tempo bastardo anche tu mi deludi, e mi dispiace. Probabilmente sono mosso più dal sentimento che dalla ragione. Del resto, è il sentimento che presiede ogni ragionamento.
Voglio credere, Chiesa di Cristo Gesù, che tu abbia i tuoi buoni motivi che io non posso conoscere né sarei in grado di capire: questioni istituzionali, ragioni di Stato. Ma ugualmente non riesco del tutto a giustificarti, perché vorrei sentire che prima d’ogni altro motivo c’è il tuo impulso di madre a proteggerci, e che sopra tutti i tuoi pensieri ci siamo noi, i tuoi figli. Io, e tanti come me, vorremmo che nelle difficoltà che ogni giorno dobbiamo affrontare non mancasse mai il tuo conforto. In momenti come questi che stiamo vivendo, sembra perduta ogni solidarietà fra gli uomini. Non mi dimentico che ci sono tanti cristiani di buona volontà, preti e laici, che prima ancora che nelle gerarchie ecclesiastiche si riconoscono in coloro che hanno più bisogno del nostro aiuto. Non sono soprattutto gli umiliati, i reietti che Cristo ti ha affidato?
Ma chi sono io, cara Chiesa, per pretendere di interrogarti e tirarti dentro a questioni di cui non sono all’altezza? Mi faccio coraggio pensando che chiunque poteva rivolgersi con confidenza a Gesù come ora io mi rivolgo a te. Non tanto perché tu debba a me delle spiegazioni. Tu sai bene quali sono i tuoi compiti e come agire, ma almeno aiutami a capire certi tuoi comportamenti a cominciare dall’attaccamento ai beni temporali. Mostraci che hai davvero a cuore i più deboli e diseredati. Che come vedi, sono sempre più numerosi e vengono al mondo solo per morire. Ma tu, Chiesa, ci dici che sono proprio costoro i primi presso il cuore di Gesù. E allora, se sei davvero Chiesa soccorritrice, ricordati anche della solitudine dei ricchi che non troveranno mai quiete nelle loro ricchezze.
Quel che adesso sto per dire disturberà gerarchie e devoti benpensanti e tutti coloro che proclamano la Chiesa madre di tutti. Ma tu, Chiesa dell’ufficialità, sei una madre distratta, più sollecita nei fasti dei cerimoniali che nell’annunciare la prima di tutte le santità: quella di coloro che credono in te anche soffrendo per le ingiustizie subite.
Sono convinto che tutto l’Occidente – e questa nostra Italia sempre più sfiduciata e incapace di nuovi slanci – abbia bisogno di un supplemento d’anima. Quel Gesù di Nazareth, falegname e maestro, col suo esempio può farci ancora ritrovare la gioia di come spendere il bene prezioso della nostra esistenza.
Invece tu, vecchia Chiesa che hai innalzato tanti altari di Cristo, sembri averlo dimenticato. Proprio tu! ecco perché oggi molti s’interrogano: «Quale sarà il luogo delle beatitudini dove il Maestro tornerà all’appuntamento coi nuovi discepoli di questo nostro tempo?…». Sei davvero tu, Chiesa cattolica, la casa aperta non solo ai cristiani obbedienti, ma anche a coloro che cercano dio nella libertà, oltre i loro dubbi?
Assisto sconsolato a quanto sta accadendo in Vaticano in questi ultimi mesi: intrighi, processi, scandali di pedofilia, movimenti di capitali nelle banche della stessa Chiesa. Il compianto cardinal Martini, nel momento estremo del suo congedo ci ha lasciato il suo ammonimento: «Siamo una Chiesa rimasta indietro di duecento anni, una Chiesa carica di addobbi e orpelli…». Una Chiesa ricca per i ricchi.
Ho nella mente un turbinare di interrogativi che non mi danno tregua. Quanti anni sono passati dal Concilio Vaticano II? E dal poverello di Assisi cosa abbiamo imparato e poi trascurato? E dai martiri di ogni tempo e di ogni fede? Cattolici, protestanti, ortodossi: eppure eravamo tutti ai piedi della stessa Croce. Ma cosa sono duemila anni nella storia dell’umanità? Ne sono trascorsi appena cinquanta dal Concilio Vaticano II e troppo poco è rimasto della buona novella di quella straordinaria assemblea di fedeli. E che grande fermento: in quei giorni si sentì la brezza di una nuova primavera. Giovanni XXIII scosse la sonnolenza di una Chiesa che si affidava più alla “liturgia del rito” che alla “liturgia della vita”. E tutto il mondo, cristiano e no, accolse l’invito ad aprire menti e cuori perché entrasse nella Casa di Cristo aria fresca e luce limpida. Ma poco è davvero cambiato nella Chiesa di Roma. Né dopo il Concilio né dopo duemila anni di cristianità.
Ancora una volta, come dopo quella notte nel Getzemani, qualcuno ha tradito. Ancora una volta, su tutti i monti degli ulivi, Gesù è uno sconfitto. Siamo tutti degli sconfitti

10 proposte per la conferenza di Parigi sul clima

clima

le 10 proposte della Chiesa cattolica alla COP21 di Parigi 2015

Anche la Chiesa cattolica scende in campo nella lotta contro i cambiamenti climatici. Cardinali, Patriarchi e Vescovi di tutto il mondo, rappresentanti le istanze continentali delle Conferenze episcopali nazionali, hanno siglato un appello rivolto a quanti negoziano la COP21 a Parigi, invitandoli a lavorare per l’approvazione di un accordo sul clima che sia equo, giuridicamente vincolante e generatore di un vero cambiamento
in rappresentanza della Chiesa cattolica dei 5 continenti, cardinali, patriarchi e vescovi hanno messo a punto una proposta politica su 10 punti, formulata sulla base dell’esperienza concreta delle persone attraverso i vari continenti e associando i cambiamenti climatici all’ingiustizia e all’esclusione sociale dei più poveri e dei più vulnerabili dei cittadini.
Naturalmente, gran parte di questo slancio è legato alla presa di posizione di Papa Francesco e alla sua enciclica Laudato Si’, in cui i cambiamenti climatici vengono inquadrati come una delle sfide maggiori per l’umanità e il clima è un bene comune, condiviso, che appartiene a tutti e destinato a tutti, quindi responsabilità di tutti

Dal punto di vista della Chiesa, Dio ha creato il mondo per tutti, quindi ogni approccio ecologico deve incorporare una prospettiva sociale che tenga conto dei diritti fondamentali dei poveri e dei diseredati. E’ oggi utile più che mai ridefinire le nozioni di crescita e progresso,come la stessa enciclica invita a fare. Sono, com’era prevedibile, i più poveri a subire le conseguenze dei cambiamenti climatici.

Nel suo discorso alle Nazioni Unite, il Papa ha detto che l’abuso e la distruzione dell’ambiente sono accompagnati anche da un processo inarrestabile di esclusione. Ora gli esponenti della Chiesa cattolica si uniscono a Papa Francesco

nell’implorare un grande passo avanti a Parigi, per un accordo globale e generatore di un vero cambiamento sostenuto da tutti, basati su principi di solidarietà, di giustizia e di partecipazione, come si legge in una nota.

la richiesta alla COP 21 è quella di stringere un accordo internazionale per limitare l’aumento della temperatura globale entro i parametri attualmente proposti all’interno della comunità scientifica mondiale al fine di evitare impatti climatici catastrofici, soprattutto sulle comunità più povere e vulnerabili. Siamo d’accordo sul fatto che esiste una responsabilità comune, ma anche differenziata di tutte le nazioni.ecco allora le 10 proposte:

1. tenere a mente non solo le dimensioni tecniche, ma soprattutto quelle etiche e morali dei cambiamenti climatici, di cui all’articolo 3 della convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC);

2. accettare che il clima e l’atmosfera sono beni comuni globali appartenenti a tutti e destinati a tutti;

3. adottare un accordo globale equo, generatore di un vero cambiamento e giuridicamente vincolante sulla base della nostra visione del mondo che riconosce la necessità di vivere in armonia con la natura e di garantire il rispetto dei diritti umani per tutti, compresi quelli dei popoli indigeni, delle donne, dei giovani e dei lavoratori;

4. mantenere l’aumento della temperatura globale e di fissare un obiettivo per la completa decarbonizzazione entro la metà del secolo, al fine di proteggere le comunità che in prima linea soffrono gli impatti dei cambiamenti climatici, come quelle nelle isole del Pacifico e nelle regioni costiere;

– garantendo che la soglia della temperatura sia sancita in un accordo globale giuridicamente vincolante, con impegni ambiziosi di attenuazione ed azioni da parte di tutti i paesi che tengano pienamente conto delle loro responsabilità comuni ma differenziate e delle loro rispettive capacità (CBDRRC), sulla base di principi di equità, responsabilità storiche e sul diritto allo sviluppo sostenibile;

– per assicurare che le riduzioni delle emissioni dei governi siano in linea con l’obiettivo della decarbonizzazione, i governi devono svolgere dei riesami periodici degli impegni presi e dell’ambizione Affinché questi controlli vadano a buon fine, devono avere basi scientifiche, devono seguire il principio dell’equità e devono essere obbligatori;

5. generare nuovi modelli di sviluppo e stili di vita che siano compatibili con il clima, affrontare la disuguaglianza e portare le persone ad uscire dalla povertà. Fondamentale per questo è porre fine all’era dei combustibili fossili, eliminandone gradualmente le emissioni, comprese le emissioni provenienti da militari, aerei e marittimi, e fornendo a tutti l’accesso affidabile e sicuro alle energie rinnovabili, a prezzi accessibili;

6. garantire l’accesso delle persone all’acqua e alla terra per sistemi alimentari sostenibili e resistenti al clima, che privilegino le soluzioni in favore delle persone piuttosto che dei profitti.

7. garantire, a tutti i livelli del processo decisionale, l’inclusione e la partecipazione dei più poveri, dei più vulnerabili e dei più fortemente influenzati;

8. garantire che l’accordo 2015 offra un approccio di adattamento che risponda adeguatamente ai bisogni immediati delle comunità più vulnerabili e che si basi sulle alternative locali;

9. riconoscere che le esigenze di adattamento sono condizionate dal successo delle misure di attenuazione adottate. I responsabili del cambiamento climatico hanno l’onere di assistere i più vulnerabili nell’adattarsi e nel gestire le perdite e i danni e nel condividere la tecnologia e il know-how necessari;

10. fornire roadmap chiare su come i paesi faranno fronte alla fornitura di impegni finanziari prevedibili, coerenti ed aggiuntivi, garantendo un finanziamento equilibrato delle azioni di attenuazione e delle esigenze di adattamento.

 
da www.greenbiz.it

la ‘chiesa missionaria’ dice la sua per il 5° Convegno Ecclesiale Nazionale di Firenze

 

BuonSamaritano

 

IL CONTRIBUTO DELLA CHIESA MISSIONARIA CHE E’ IN ITALIA PER FIRENZE 2015

la Chiesa missionaria che è in Italia, raggruppata nelle sigle della Fondazione Missio, la Fondazione CUM, la FOCSIV, la CIMI, il SUAM in occasione del 5° Convegno Ecclesiale Nazionale che si svolgerà a Firenze dal 9 al 13 novembre prossimi dal titolo “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo” lancia un appello alla Chiesa Italiana

Il tavolo degli organismi missionari italiani dice: “Alla nostra chiesa italiana che ha inviato figlie e figli in ogni angolo della terra chiediamo, nonostante le fatiche di questo momento storico, di restare fedele al mandato missionario di Gesù. Sicuri che l’incontro e lo scambio tra chiese sorelle potrà aiutarla e sostenerla nella sua ricerca di un nuovo umanesimo e di vie nuove per annunciare il vangelo in questo nostro tempo”. Il contributo si delinea in cinque punti:
1- I missionari sono uomini e donne in uscita: uscita da se stessi, dai tanti propri mondi, dalle proprie visioni, per incontrare l’altro;
2- Il cammino missionario abita le frontiere dove l’umano è messo alla prova, abita le periferie;
3- Il nostro umanesimo, dicono i missionari, parte dai poveri e si realizza con i poveri. In un mondo sempre più colmo di disumanità;
4- Vivere nelle periferie dei continenti ci ha fatto sperimentare modi diversi di essere chiesa: una chiesa che veste il grembiule, che apre le sue porte all’accoglienza e alla partenza, una chiesa laboratorio di fraternità, di incontro fra popoli e religioni, dove si sperimenta la carità e la solidarietà, dove l’impegno è dei diversi ministeri;
5- Nel proporre un nuovo umanesimo i missionari sentono impellente la necessità di tornare all’uomo Gesù, rimettendo al centro della comunità la Parola di Dio;

Una chiesa in uscita è una chiesa discepola. Una chiesa seduta ai piedi di Gesù, in ascolto della Parola, che annuncia il Regno e progetta vita piena per tutti.

la ‘chiesa in uscita’ di papa Francesco in 10 punti

chiesa “in uscita”

un decalogo

papa-francesco1

Andrea Lebra

dalla “Evangelii gaudium” e da altri interventi di papa Francesco si capisce cosa egli intende per “Chiesa in uscita missionaria”. Nelle sue parole sono presenti molti temi: uno stile di Chiesa, il kerigma, le donne, i laici, i poveri, la Parola e il linguaggio.

la “Chiesa in uscita missionaria” è una delle novità che maggiormente caratterizzano il servizio di papa Francesco. Secondo alcuni, questa sarebbe addirittura la vera novità del suo pontificato. Si tratta di una categoria decisamente originale attorno alla quale è costruito il programma pastorale consegnato all’esortazione apostolica Evangelii gaudium dove «la riforma della Chiesa in uscita missionaria» per annunciare la gioia del Vangelo è indicata come la prima delle sette questioni sulle quali Francesco intende soffermarsi (n. 17).
ma quali sono le specificità di una Chiesa in uscita missionaria per annunciare gioiosamente che la salvezza realizzata da Dio è per tutti (n. 113)? Dalla Evangelii gaudium è possibile farne sinteticamente emergere almeno dieci, tutte di straordinaria importanza.

1. Tutti siamo Chiesa!

 In primo luogo, va detto che la Chiesa non è limitata ai presbiteri, ai vescovi o al Vaticano. La Chiesa sono tutti i fedeli! È popolo in cammino verso Dio (n. 111). Tutti i battezzati sono la Chiesa. Tutti i cristiani, in quanto battezzati, hanno uguale dignità davanti al Signore e sono accomunati dalla stessa vocazione, che è quella alla santità. Ciascun battezzato, qualunque sia la sua funzione nella Chiesa e il grado di istruzione della sua fede, è un soggetto attivo di evangelizzazione e sarebbe inadeguato pensare ad uno schema di evangelizzazione portato avanti da attori qualificati in cui il resto del popolo fedele fosse solamente recettivo delle loro azioni. La nuova evangelizzazione implica un nuovo protagonismo di ciascuno dei battezzati (n. 120).

2. Più spazio alle donne.

 Nella Chiesa c’è bisogno di allargare gli spazi per una presenza femminile più incisiva (n. 103). Le rivendicazioni dei legittimi diritti delle donne, a partire dalla ferma convinzione che uomini e donne hanno la medesima dignità, pongono alla Chiesa domande profonde che la sfidano e che non si possono superficialmente eludere (n. 104). È urgente accogliere e offrire spazi alle donne nella vita della Chiesa, tenendo conto delle specifiche e mutate sensibilità culturali e sociali. È necessario studiare criteri e modalità nuovi affinché le donne si sentano non ospiti, ma pienamente partecipi dei vari ambiti della vita ecclesiale (Discorso, 7 febbraio 2015).

3. Chiesa non autoreferenziale.

 La Chiesa in uscita missionaria evita la malattia spirituale dell’autoreferenzialità; non si chiude in se stessa, nella parrocchia, nella cerchia di chi la pensa allo stesso modo, ma si apre all’incontro con gli altri, anche con chi la pensa diversamente o professa un’altra fede (Discorso, 18 marzo 2013). È una comunità di discepoli che prendono l’iniziativa per andare incontro ai «lontani», per intercettare ai crocicchi delle strade gli «esclusi», per accorciare le distanze con la gente (n. 24). In essa tutto viene pensato in chiave di missione: si tratta non di aspettare che la gente venga, ma di andarla a cercare là dove vive per ascoltare, benedire e camminare insieme, cogliendone l’odore, fino a restare impregnati delle sue gioie e delle sue speranze, delle sue tristezze e delle sue angosce (Messaggio alla Fuci, 14 ottobre 2014).

4. Gerarchia delle verità.

Nella Chiesa in uscita missionaria il Vangelo è annunciato non per imporre nuovi obblighi, ma per condividere una gioia, per segnalare un orizzonte di bellezza, per offrire la partecipazione ad un banchetto desiderabile (n. 14). Una pastorale in chiave missionaria non è ossessionata dalla trasmissione disarticolata di una moltitudine di dottrine che si tenta di imporre a forza di insistere, ma si concentra sull’essenziale, su ciò che è più bello, più grande, più attraente e, allo stesso tempo, più necessario (n. 35). Per raggiungere questo obiettivo è soprattutto necessario tenere in debita considerazione un criterio proposto dal Vaticano II ma spesso dimenticato e trascurato: la gerarchia delle verità, che vale tanto per i dogmi di fede quanto per l’insieme degli insegnamenti della Chiesa, ivi compreso l’insegnamento morale (n. 36).

5. Primato della Parola.

 La Chiesa non evangelizza se non si lascia continuamente evangelizzare. È indispensabile che la parola di Dio diventi sempre più il cuore di ogni attività ecclesiale (n. 174). Lo studio della sacra Scrittura deve essere una porta aperta a tutti i credenti. È fondamentale che la Parola rivelata fecondi radicalmente la catechesi e tutti gli sforzi per trasmettere la fede. L’evangelizzazione richiede la familiarità con la parola di Dio e questo esige che le diocesi, le parrocchie e tutte le aggregazioni cattoliche propongano uno studio serio e perseverante della Bibbia, come pure ne promuovano la lettura orante personale e comunitaria (n. 175).

6. Dimensione sociale del kerygma.

 La Chiesa in uscita è consapevole che la religione non deve limitarsi all’ambito privato e non esiste solo per preparare le anime per il cielo. Dio desidera la felicità dei suoi figli e delle sue figlie anche su questa terra, benché tutti siano chiamati alla pienezza eterna (n. 182). Una fede autentica, mai comoda e individualista, implica sempre un profondo desiderio di cambiare il mondo, di trasmettere valori, di lasciare qualcosa di migliore dopo il nostro passaggio sulla terra. Tutti i cristiani, anche i pastori, sono chiamati a preoccuparsi della costruzione di un mondo migliore (n. 183). Dio, in Cristo, redime non solamente la singola persona, ma anche le relazioni sociali tra gli esseri umani e il cuore del Vangelo rimanda ad un’intima connessione tra evangelizzazione e promozione umana (n. 178).

7. Opzione per i poveri. 

Cristiani e comunità sono chiamati ad essere strumenti di Dio per la liberazione e la promozione dei poveri, in modo che essi possano integrarsi pienamente nella società. Questo suppone che siano docili e attenti ad ascoltare il loro grido e a soccorrerli (n. 187). C’è un segno che non deve mai mancare tra i cristiani: l’opzione per gli ultimi, per quelli che la società scarta e getta via (n. 195). Occorre affermare, senza giri di parole, che esiste un vincolo inseparabile tra la fede cristiana e i poveri (n. 48). Una Chiesa povera e per i poveri (n. 198) è una Chiesa che pratica una volontaria semplicità nella propria vita nelle sue stesse istituzioni, nello stile di vita dei suoi membri – per abbattere ogni muro di separazione, soprattutto dai poveri (Udienza, 3 giugno 2015).

8. Linguaggio chiaro.

 Nella Chiesa in uscita missionaria non solo si usa un linguaggio semplice, chiaro e diretto che i destinatari sono in grado di comprendere o che hanno bisogno di sentirsi dire (n. 154), ma soprattutto si usa un linguaggio positivo e attraente perché in grado di offrire speranza, di orientare verso il futuro e di liberare dalla negatività (n. 159). Nelle scelte pastorali e nell’elaborazione dei documenti deve prevalere non l’aspetto teoretico/dottrinale astratto utile solo ad alcuni studiosi e specialisti, ma lo sforzo di tradurre le une e gli altri in proposte concrete e comprensibili per tutti, anche per rafforzare l’indispensabile ruolo dei laici disposti ad assumersi le responsabilità che a loro competono (Discorso alla CEI, 18 maggio 2015).

9. Teologia che odora di popolo e di strada.

 Nella Chiesa in uscita la teologia da tavolino (n. 133), che si esaurisce nella disputa accademica o che guarda l’umanità da un castello di vetro, dev’essere sostituita da una teologia che odora di popolo e di strada in grado di versare olio e vino sulle ferite degli uomini e delle donne di oggi. La misericordia, che non è solo un atteggiamento pastorale ma è la sostanza stessa del Vangelo di Gesù, va declinata nelle varie discipline teologiche (dogmatica, morale, spiritualità, diritto e così via). La Chiesa in uscita ha bisogno non di teologi da museo che accumulano dati e informazioni sulla Rivelazione senza sapere che cosa farsene. Ad essa servono teologi capaci di costruire attorno a sé umanità, di trasmettere la divina verità cristiana in dimensione veramente umana (Lettera alla Pontificia Università Cattolica Argentina, 3 marzo 2015).

10. Chiesa che benedice e vivifica. 

La Chiesa in uscita è la comunità che si prende cura del grano e non perde la pace a causa della zizzania. Per testimoniare Gesù Cristo è pronta al martirio. Però il suo sogno non è di circondarsi di nemici, ma piuttosto che la parola venga accolta e manifesti la sua potenza liberatrice e rinnovatrice (n. 24). Nella Chiesa in uscita l’identità cristiana non è né occultata (n. 79) né ostentata (n. 95), ma testimoniata in modo sempre rispettoso e gentile (n. 128). All’atteggiamento del nemico che punta il dito e condanna o del principe che guarda gli altri in modo sprezzante (n. 271) viene preferito uno stile fraterno e sororale che diventa attraente e luminoso (n. 99) agli occhi di tutti, in quanto in grado di illuminare e benedire, vivificare e sollevare, guarire e liberare (n. 273).

 

aprirsi alla modernità snatura o emancipa la chiesa?

perché non è solo questione di sesso

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di Walter Siti
in “la Repubblica” del 5 ottobre 2015

 

 quando si parla dell’atteggiamento della Chiesa nei confronti degli anticoncezionali, o verso i fedeli divorziati, è immancabile la riflessione sui cambiamenti epocali avvenuti nella società; è curioso che quando invece si parla del suo atteggiamento nei confronti degli omosessuali, l’omosessualità sia ancora vista come qualcosa di monolitico e immobile, da accogliere o rifiutare in blocco

 Negli anni Sessanta e Settanta gli omosessuali erano in maggioranza “promiscui”, oscillavano tra terrore e voglia di liberazione, si sentivano provocatori e dinamitardi; tranne poche eccezioni, consideravano la Chiesa un impaccio e un giudice importuno, e il matrimonio come una poco auspicabile istituzione borghese. Ogni omosessuale “promiscuo” ricorda preti che, spogliati dell’abito, frequentavano le nostre stesse saune o erano clienti dei medesimi marchettari. Si era tutti colpevoli di “concupiscenza” (o meritevoli di “desiderio eversivo”), eroi o peccatori, in ogni caso lontani da qualunque monogamia. Parecchi giovani omosessuali pensavano al sacerdozio come male minore, che li avrebbe giustificati in società del loro mancato commercio con donne e avrebbe dato scopo e funzione alla propria personale infelicità. Oggi l’ideale figura di riferimento sociale è piuttosto l’omosessuale monogamo, che ha un compagno fisso con cui intende condividere la vita. Non si vanta della “concupiscenza” e pensa di costruire una famiglia, magari allietata dalla presenza di figli. Monsignor Charamsa, che l’altro giorno ha presentato alla stampa il suo bel compagno, e che è uscito dall’armadio col sorriso forzato di chi vuole esibire una lietezza ancora ostaggio dell’inquietudine, appartiene con tutta evidenza a questi omosessuali 2.0. Ormai le associazioni di omosessuali cattolici sono parecchie e trovano sempre più spesso sacerdoti che le ascoltano con interesse. Insoddisfatte della dottrina tradizionale, per cui un omosessuale per non essere condannato dalla Chiesa dovrebbe astenersi da ogni realizzazione degli impulsi, quel che ormai chiedono alle gerarchie non è più di essere peccatori continuamente perdonati ma di non considerare più peccato l’amore quando ha la stessa solidità affettiva delle coppie eterosessuali. Per monsignor Charamsa c’è in più, ovviamente, la questione del celibato. Ma saremmo ipocriti se non ammettessimo che la società considera più grave per un prete convivere con un uomo che con una donna; così come il “disordine affettivo” di un giovane seminarista è considerato più grave dai direttori spirituali se si rivolge a un uomo invece che alle prevedibili tentazioni femminili. La tempestività del suo coming out pone il problema di “a chi giova ?”: è un ballon d’essai estremista studiato per favorire i riformisti che possono così passare per mediatori, o è una forma di terrorismo ideologico che finirà per favorire i conservatori che potranno contare sulla paura di un’apocalisse nella Chiesa? Forse monsignor Charamsa, semplicemente, non ne poteva più: e ha fatto un molto terreno calcolo politico, di porre la questione omosessuale in primo piano nel prossimo Sinodo. Solo dallo svolgimento di questo sapremo quanto il calcolo fosse giusto. La questione di fondo è la secolarizzazione: seguire la modernità emancipa o snatura la Chiesa? Quel che penso è che la Chiesa non può permettersi di giocare questo enorme problema soltanto sul piano esiguo, e in ultima analisi misero, della sessualità. I suoi compiti nella modernità mi sembrano molto più impegnativi: obbligare il mondo alla speranza, mostrare che la vita si può donare in nome di una fede, e ricordare a tutti (credenti o no) che l’avvento del Regno non potrà essere che rivoluzionario. Concedere ai sacerdoti un celibato volontario, riconoscere che la complementarità uomo/donna non deve necessariamente attuarsi tra le coperte, accogliere famiglie diverse da quella tradizionale. Queste aperture (o cedimenti) forse sono il prezzo giusto da pagare per non chiudersi in una ottusa trincea che allontanerebbe definitivamente la Chiesa dal compito che Cristo le ha dato, di essere fuoco e lievito per tutta la società.

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