auguri ad Hans Küng per i suoi 90 anni

Laici e credenti festeggiano i 90 anni di Hans Küng, gigante della teologia post conciliare

laici e credenti festeggiano i 90 anni di Hans Küng, gigante della teologia post conciliare

 
 da: Adista Notizie n° 10 del 17/03/2018

 Compie 90 anni, il 19 marzo, uno dei più grandi teologi del Novecento, certamente colui che ha suscitato il più intenso (e fecondo) dibattito nella Chiesa dal post-Concilio: si tratta di Hans Küng (nato a Sursee, in Svizzera, il 19 marzo 1928), prete, teologo, docente universitario costretto, sin dal dicembre 1979, a lasciare l’insegnamento alla Facoltà teologica di Tubinga per le sue tesi contro l’infallibilità papale.

La revoca della missio canonica, l’autorizzazione cioè ad insegnare negli atenei cattolici, fu uno dei primi atti del pontificato di Giovanni Paolo II. Certo, non si piò ascrivere a Wojtyla tutta la responsabilità di quella sanzione. Il processo canonico contro Küng era iniziato infatti sin dalla fase successiva alla pubblicazione (1970) del suo libro Infallibile? Una domanda, avvenuta sotto il pontificato di Paolo VI. Ma il fatto che l’atto finale sia stato firmato ed avallato da Giovanni Paolo II rendeva ad alcuni già all’epoca chiaro quale sarebbe stato il tratto distintivo degli anni a venire, ossia la restaurazione vaticanocentrica di ogni aspetto teologico e l’accentramento nel governo della Chiesa che, sotto i pontificati di Wojtyla prima e di Ratzinger poi, si sarebbero pienamente realizzati.

Ed è altrettanto sintomatico che tra le prime vittime di questo processo involutivo del Concilio fosse proprio Küng, che alla temperie culturale ed ecclesiale seguita alla svolta del Vaticano II aveva così intensamente partecipato e che era considerato tra i teologi di punta di quella stagione di rinnovamento.

Dopo gli studi liceali compiuti a Lucerna, Küng si era recato a Roma, per studiare filosofia e teologia presso la Pontificia Università Gregoriana. Ordinato prete nel 1954, aveva poi proseguito gli studi a Parigi, conseguendo il Dottorato in teologia presso l’Institut Catholique con una tesi sulla dottrina della giustificazione del teologo riformato Karl Barth. Poi, a soli 32 anni, nel 1960, venne nominato professore ordinario presso la Facoltà di Teologia cattolica all’Università di Tubinga in Germania, dove fonderà successivamente anche l’Istituto per la ricerca ecumenica. Arrivò quindi, nel 1962, il momento dell’apertura del Concilio cui Küng, giovanissimo, prese parte direttamente, nelle file degli esperti nominati da papa Giovanni XXIII. Tornato a Tubinga, invitò l’università ad assumere Joseph Ratzinger, che aveva conosciuto alla fine degli anni ’50 e ritrovato a Roma durante i lavori dell’ultima sessione del Concilio. Küng voleva che i suoi studenti ascoltassero le lezioni di un professore colto e di tendenza conciliare, seppure distante da lui su diverse questioni. Come spiegò a Gianni Valente (30giorni, maggio 2005) un altro teologo, professore a Tubinga di Teologia fondamentale, Max Seckler, «Küng sapeva che lui e Ratzinger su molte cose la pensavano diversamente, ma diceva: coi migliori si può trattare e collaborare, sono i meschini che creano problemi». Ratzinger, che era professore di teologia dogmatica a Münster, venne così assunto a Tubinga; la cooperazione tra lui e Küng terminò però bruscamente nel 1969; Ratzinger lasciò infatti la prestigiosa facoltà teologica del Baden-Württemberg, scossa dai movimenti studenteschi, per il più tranquillo ateneo di Ratisbona.

Nel secondo volume delle sue memorie Umstrittene Wahrheit. Erinnerungen (“Verità controverse. Ricordi”), che parte dal 1968, è contenuto un autentico atto d’accusa contro il futuro papa Benedetto XVI: «Ratzinger era professore di teologia con me – scrive Küng – ma poi si rivelò figlio di un gendarme, quale era. Si piegò alla Curia, mi denunciò come “non cattolico” e mi fece condannare. E lo fecefacendo il doppio gioco: mi scriveva lettere di riconciliazione e intanto preparava le sanzioni contro di me».

Dopo la revoca della missio canonica (continuerà comunque ad essere prete cattolico, mantenendo anche una cattedra presso il suo Istituto, separato però dalla facoltà teologica cattolica), Küng divenne tra i più lucidi e coerenti critici del pontificato di Giovanni Paolo II e del ruolo svolto, sotto quel papato, dal suo ex collega Ratzinger, che dal 1981 era frattanto diventato prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. Proprio dal dicastero che aveva rimosso Küng dall’insegnamento partirono le condanne, le censure, le rimozioni che colpirono la parte più matura e avanzata del mondo teologico e dell’episcopato progressista cattolico.

Clima di sospetto. E i teologi tacciono

Dopo la morte di Wojtyla, Küng scrisse un articolo, pubblicato in Germania ed in Italia (Corriere della Sera, 2/1/2006) in cui evidenziava le tante, enormi contraddizioni del pontificato che si era appena concluso: «Come Pio XII fece perseguitare i più importanti teologi del suo tempo, allo stesso modo si comportano Giovanni Paolo II e il suo Grande Inquisitore Ratzinger con Schillebeeckx, Balasuriya, Boff, Bulányi, Curran, Fox, Drewermann e anche il vescovo di Evreux Gaillot e l’arcivescovo di Seattle Hunthausen. Nella vita pubblica mancano oggi intellettuali e teologi cattolici della levatura della generazione del Concilio. Questo è il risultato di un clima di sospetto, che circonda i pensatori critici di questo pontificato. I vescovi si sentono governatori romani invece che servitori del popolo della Chiesa. E troppi teologi scrivono in modo conformista oppure tacciono». «Quando verrà il momento – proseguiva l’articolo – il nuovo papa dovrà decidere di affrontare un cambio di rotta e dare alla Chiesa il coraggio di nuove spaccature, recuperando lo spirito di Giovanni XXIII e l’impulso riformistico del Concilio Vaticano II».

Cena per due

E chissà che Küng non abbia pensato che quel pontefice, nonostante tutto, potesse essere proprio il teologo suo ex collega a Tubinga, divenuto papa col nome di Benedetto XVI, quel Ratzinger che il Concilio lo aveva inizialmente abbracciato per poi cambiare decisamente rotta. Molti ipotizzarono questa possibile svolta nel rapporto tra i due il giorno che (24 settembre 2006) Küng accettò l’invito a cena di Benedetto XVI nella residenza estiva di Castel Gandolfo, conversando con lui per oltre due ore. In quella occasione, presentò al papa i risultati della sua ricerca degli ultimi anni, quella su un’etica mondiale

grazie a papa Francesco si torna a parlare di infallibilità papale … anche se si sono persi 50 anni

papa Francesco risponde ad Hans Kung e apre alla discussione sulla infallibilità‏

INFALLIBILITÀ DEL PAPA: HANS KÜNG CHIEDE DI ABOLIRLA

 il teologo svizzero, che compie 88 anni il 19 marzo, ha rivolto un appello a Jorge Mario Bergoglio

Festeggerà 88 anni il 19 marzo: alla vigilia del suo prossimo compleanno, il teologo svizzero Hans Küng è tornato a riproporre una revisione e un’abolizione del dogma dell’infallibilità papale, sancito da Pio IX e dal concilio Vaticano I nel 1870. «Vorrei rivolgere di nuovo al Papa un appello che ho più volte inutilmente lanciato nel corso di una discussione pluridecennale in materia di teologia e di politica della Chiesa», ha scritto Küng. «Imploro papa Francesco, che mi ha sempre risposto in modo fraterno: riceva questa ampia documentazione e consenta nella nostra Chiesa una discussione libera, non prevenuta e aperta su tutte le questioni irrisolte e rimosse legate al dogma dell’infallibilità. Non si tratta di banale relativismo, che mina i fondamenti etici della Chiesa e della società. E nemmeno di rigido e insulso dogmatismo legato all’interpretazione letterale. È in gioco il bene della Chiesa e dell’ecumene»

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Hans Kung dice che Francesco ha risposto alla sua richiesta di una libera discussione sul dogma della infallibilità del papa 

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 Hans Küng, il teologo svizzero, dice che ha ricevuto una lettera da Papa Francesco che risponde “alla mia richiesta di una libera discussione sul dogma dell’infallibilità”.
 Küng ha rifiutato di mostrare la lettera al National Catholic Reporter, per “la riservatezza che devo al Papa”, ma dice che  la lettera è datata 20 marzo e che gli è pervenuta  tramite la nunziatura di Berlino poco dopo la Pasqua.
 Küng dice che nella lettera   “Francesco non  ha fissato alcuna restrizione” alla discussione. Küng ha anche detto che egli è molto incoraggiato dalla  recente Esortazione Apostolica, Amoris Laetitia.  “Io non prevedevo  questa  nuova libertà che Francesco ha aperto nella sua esortazione post-sinodale”.  Kung ha scritto  nel comunicato diffuso a NCR e ad altri media.: “Già nell’introduzione, egli scrive  ‘Non tutte le  questioni dottrinali, morali o pastorali devono essere risolti dagli interventi del magistero.”
 Küng aggiunge: “Questo è il nuovo spirito che ho sempre atteso dal magistero” e rende possibile una discussione sull’infallibilità.
 Il 9 marzo, Küng aveva diffuso  un “appello urgente a Papa Francesco per consentire una discussione aperta e imparziale sulla infallibilità del papa e dei vescovi”. L’appello è stato diffuso  contemporaneamente in più lingue  e in tante pubblicazioni.

Dennis Coday, editor di NCR

 di seguito  il testo della dichiarazione sulla lettera del papa che Küng ha rilasciato ai media  

Trasmissione Raitre Che tempo che fa

 Il 9 marzo ho diffuso un   Appello a Papa Francesco perché desse  spazio ad una libera discussione, senza pregiudizi e del tutto aperta, sul problema dell’infallibilità. Essa è stata pubblicata  sulle  principali riviste di diversi paesi. Sono stato felice di ricevere una risposta personale da Francesco  subito dopo Pasqua. E’ del  20 marzo e mi è stata trasmessa  dalla nunziatura del Vaticano a Berlino.

 Della  risposta del papa, i seguenti punti sono importanti per me:
 • Il fatto che Francesco ha risposto  e non ha lasciato, per così dire,  cadere nel vuoto  il mio testo;
 • Il fatto che egli stesso ha risposto e non  tramite il suo segretario privato o il segretario di Stato;
 • Mi ha risposto in  maniera fraterna, in lingua  spagnola, rivolgendosi  a me come Lieber Mitbruder ( “Caro Fratello”) in tedesco e queste parole personali sono in corsivo;
 •Con evidenza  egli ha letto molto attentamente l’Appello, a cui avevo aggiunto una traduzione spagnola;
 • Che è altamente apprezzato delle considerazioni che mi aveva portato a scrivere Volume 5 delle mie opere complete, in cui vi suggerisco di vista teologico che parlano le diverse problematiche che il dogma dell’infallibilità solleva alla luce della Sacra Scrittura e la tradizione con l’obiettivo di approfondire il un dialogo costruttivo tra la chiesa “semper reformanda” del 21 ° secolo e le altre chiese cristiane e nella società postmoderna.

 Francesco  non ha fissato alcun limite alla discussione. Egli ha così risposto alla mia richiesta di dare spazio a una libera discussione sul dogma dell’infallibilità. Penso che sia ora indispensabile utilizzare questa nuova libertà per portare avanti la riflessione sulle  definizioni dogmatiche, che sono  motivo di polemica all’interno della Chiesa cattolica e nel suo rapporto con le altre chiese cristiane.
 Non prevedevo  tutto questa  nuova libertà che Francesco ha aperto nella sua esortazione post-sinodale, Amoris Laetitia. Già nell’introduzione, egli dichiara: “Non tutte le discussioni di questioni dottrinali, morali o pastorali devono essere risolte dagli interventi del magistero”.
 Egli denuncia   “la morale burocratica e fredda” e non vuole che i  vescovi si comportino come se fossero gli “arbitri della grazia”. Egli dice che  l’Eucaristia non è un  premio per le persone perfette   ma è un “nutrimento per i deboli.”
 Egli cita ripetutamente  dichiarazioni fatte al Sinodo dei vescovi o dalle conferenze episcopali nazionali. Francesco non vuole più essere l’unico portavoce della chiesa.
 Questo è il nuovo spirito che ho sempre atteso dal magistero. Sono pienamente convinto che in questo nuovo spirito aperto a  una discussione libera, imparziale del dogma dell’infallibilità, questo problema  chiave per il futuro della Chiesa  potrà essere discusso al meglio.
 Sono profondamente grato a Francesco per questa nuova libertà e ed unisco  il mio grazie di cuore all’aspettativa che i vescovi e i teologi sappiano  senza riserve adottare questo nuovo spirito e unirsi  nel ringraziamento partecipando  a questo compito in accordo con le Scritture e con la  grande tradizione della Chiesa.

 [P. Hans Küng, cittadino svizzero, è professore emerito di teologia ecumenica presso l’Università di Tubinga, in Germania. Questo articolo è stato tradotto dal tedesco da Christa Pongratz-Lippitt.))

H. Kung e l’infallibilità papale

ripensare l’infallibilità?

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testo* di Hans Kung pubblicato da “la Repubblica”  

*Il testo è un’anteprima del quinto volume dell’opera omnia di Küng Unfehlbarkeit in uscita in Germania

 

HANS KUNG HANS KUNG

È difficile immaginare che papa Francesco avrebbe fortemente voluto una proclamazione della infallibilità papale come quella che nel diciannovesimo secolo venne sollecitata da Pio IX con ogni mezzo. Si può invece ritenere che Francesco (come fece a suo tempo Giovanni XXIII davanti agli studenti del collegio greco) dichiarerebbe sorridendo: «Io non sono infallibile».

 

Papa Pio XIIpapa Pio XII

Di fronte allo stupore degli studenti, Giovanni aveva aggiunto: «Sono infallibile solo quando parlo ex cathedra, ma non parlerò mai ex cathedra». Questo tema mi è familiare da tempo. Ecco qualche importante dato storico, che ho acquisito di persona e ho meticolosamente documentato nel quinto volume delle mie opere complete.

 

1950: Il 1° novembre Pio XII proclama come dogma di fronte a una folla gigantesca: «L’immacolata Madre di Dio sempre vergine Maria, terminato il corso della vita terrena, fu assunta alla gloria celeste in anima e corpo». Allora, studente ventiduenne di teologia, accolsi con entusiasmo questo evento.

 

GIOVANNI XXIII NEL 1962 GIOVANNI XXIII nel 1962

Fu dunque un primo infallibile pronunciamento ex cathedra del supremo maestro e pastore della Chiesa cattolica, il quale si appellò alla particolare assistenza dello Spirito Santo, in piena conformità alla proclamazione dell’infallibilità papale avvenuta nel Concilio Vaticano secondo

 

1958: Con la morte di Pio XII giunge alla fine anche il secolo dell’eccessivo culto di Maria promosso dai papi “Pii“. Il suo successore Giovanni XXIII è contrario a nuovi dogmi e la maggioranza del Concilio decide con una votazione aperta di non promulgare un proprio decreto su Maria, anzi, mette in guardia da manifestazioni esagerate di devozione mariana.

 

1965: Nella costituzione pastorale sulla Chiesa si trova – capitolo III sulla gerarchia – l’articolo 25 sull’infallibilità, che però sorprendentemente non viene affatto discusso. Tanto più che di fatto il Vaticano II ha proceduto a un allargamento sconcertante, estendendo espressamente e senza motivazione all’episcopato quell’infallibilità che il Vaticano I aveva attribuito solo al papa.

citta?? del vaticano città del Vaticano

 

1968: Appare l’Enciclica Humanae Vitae sulla regolazione delle nascite. L’enciclica, che vieta come peccato grave non solo la pillola e i mezzi meccanici, ma anche l’interruzione del rapporto sessuale per evitare una gravidanza, viene percepita come un’enorme provocazione. Con essa il papa si pone in contrasto, per così dire, con tutto il mondo civilizzato, richiamandosi al suo infallibile magistero e a quello dell’episcopato. Certo, le proteste formali e le obiezioni materiali sono importanti, ma questa pretesa di infallibilità delle dottrine papali non può proprio essere riesaminata a fondo? Ne faccio un tema di discussione nel mio libro Infallibile? Una domanda, del 1970.

 

I PAPI SANTI IN VATICANO CANONIZZAZIONE DI WOJTYLA E RONCALLI I PAPI SANTI IN VATICANO CANONIZZAZIONE DI WOJTYLA E RONCALLI

1979/1980: Revoca della mia abilitazione alla docenza in teologia cattolica. Che si trattasse di un’azione segreta preparata nel minimo dettaglio, dimostratasi contestabile sul piano giuridico, infondata su quello teologico e controproducente su quello politico, è ampiamente documentato nel secondo volume delle mie memorie, Verità contestata. A quel tempo il dibattito si soffermò a lungo su questa revoca della mia missione sulla infallibilità. Tuttavia, la mia considerazione nella comunità religiosa non poté essere distrutta.

 

E, come avevo previsto, le discussioni sui grandi compiti della riforma non sono cessate. Mi riferisco al dialogo interconfessionale, al reciproco riconoscimento delle funzioni e delle celebrazioni eucaristiche, alle questioni del divorzio e dell’ordinazione sacerdotale delle donne, al celibato ecclesiastico e alla drammatica crisi delle vocazioni, e soprattutto alla guida della Chiesa cattolica. Posi la questione: «Dove state portando questa nostra Chiesa?».

 

I PAPI SANTI IN VATICANO CANONIZZAZIONE DI WOJTYLA E RONCALLI RATZINGERRATZINGER

Dopo 35 anni, questi interrogativi sono attuali ora come allora. Ma la ragione decisiva dell’incapacità di realizzare riforme a tutti questi livelli continua ad essere la dottrina dell’infallibilità del magisterio, che ha portato alla nostra Chiesa un lungo inverno. Come allora Giovanni XXIII, anche oggi papa Francesco cerca con tutte le forze di far soffiare un vento fresco sulla Chiesa. E deve scontrarsi con una forte resistenza, come in occasione dell’ultimo sinodo mondiale dei vescovi dell’ottobre 2015. Non ci si faccia illusioni, senza una “re-visione” costruttiva del dogma dell’infallibilità un reale rinnovamento sarà ben difficilmente possibile.

 

giubileo san pietro giubileo in san Pietro

Tanto più sorprendente, allora, è che la discussione su questo tema sia scomparsa dallo schermo. Molti teologi cattolici, temendo sanzioni come quelle che hanno colpito me, hanno quasi rinunciato a esprimere posizioni critiche sull’ideologia dell’infallibilità, e la gerarchia cerca, per quanto possibile, di evitare un tema così impopolare nella Chiesa e nella società. Solo poche volte Joseph Ratzinger vi si è richiamato, nella sua veste di prefetto della Congregazione per la dottrina della fede. Ma, tacitamente, il tabù dell’infallibilità ha bloccato tutte le riforme che, a partire dal Concilio Vaticano II, avevano sollecitato una revisione di precedenti definizioni dogmatiche.

 

giubileo la messa a san pietro 3 giubileo e la messa a san Pietro

2016: È il mio ottantottesimo anno di vita, e posso dire di non essermi risparmiato per raccogliere i numerosi testi compresi nel quinto volume delle mie opere complete. Ora, con questo libro in mano, vorrei rivolgere di nuovo al papa un appello che ho più volte inutilmente lanciato nel corso di una discussione pluridecennale in materia di teologia e di politica della Chiesa.

 

Imploro papa Francesco, che mi ha sempre risposto in modo fraterno: «Riceva questa ampia documentazione e consenta nella nostra Chiesa una discussione libera, non prevenuta e aperta su tutte le questioni irrisolte e rimosse legate al dogma dell’infallibilità. Non si tratta di banale relativismo, che mina i fondamenti etici della Chiesa e della società. E nemmeno di rigido e insulso dogmatismo legato all’interpretazione letterale. È in gioco il bene della Chiesa e dell’ecumene.

 giubileo la folla a san pietro giubileo la folla a san Pietro

Sono ben consapevole che a lei, che vive “tra i lupi“, questa mia preghiera potrà sembrare poco opportuna. Ma lo scorso anno lei ha coraggiosamente affrontato malattie curiali e perfino scandali, e nel suo discorso di Natale del 21 dicembre 2015 alla curia romana ha ribadito la sua volontà di riforma: “Sembra doveroso affermare che ciò è stato – e lo sarà sempre – oggetto di sincera riflessione e decisivi provvedimenti. La riforma andrà avanti con determinazione, lucidità e risolutezza, perché Ecclesia semper reformanda”.

 

papa a san pietro papa Francesco a san Pietro

Non vorrei accrescere in modo irrealistico le aspettative di molti nella nostra Chiesa; la questione dell’infallibilità nella Chiesa cattolica non può essere risolta dal giorno alla notte. Ma per fortuna lei è più giovane di me di quasi dieci anni e, come tutti ci auguriamo, mi sopravvivrà.

 

E certamente comprenderà che io, da teologo alla fine dei miei giorni, sostenuto da una profonda simpatia per lei e per la sua azione pastorale, abbia voluto, finché sono in tempo, esporre la mia preghiera per una libera e seria discussione sull’infallibilità, motivata come meglio posso nel presente volume: non in destructionem, sed in aedificationem ecclesiae, “non per la distruzione, ma per l’edificazione della Chiesa“. Per me personalmente sarebbe la realizzazione di una speranza mai abbandonata».

il grande problema della chiesa

il teologo H. Kung

“chiesa e fedeli troppo distanti

ora papa Francesco deve reagire”

Kung

“Adesso papa Francesco può appellarsi al responso della maggioranza dei fedeli su temi così importanti, nel confronto con i reazionari della Curia. Il Papa emerito Benedetto XVI mi ha da poco scritto, a me eterno ribelle, una missiva affettuosa in cui s’impegna a sostenere Francesco sperando in ogni suo successo».
Insomma, in sostanza è quasi dire Francesco come Gorbaciov, l’uomo nuovo contro gli ortodossi, ma con la gente al suo fianco. Ecco la voce di Hans Küng, massimo teologo cattolico critico vivente, sul sondaggio- shock pubblicato ieri su Repubblica e il suo effetto nella Chiesa.   


Professor Küng, come giudica il sondaggio sui cristiani nel mondo?

«Presi insieme e analizzati, questi dati rivelano la straordinaria discrepanza tra gli insegnamenti della Chiesa sui temi fondamentali, come la famiglia, e invece la visione reale dei cattolici nel mondo».

Per lei tra i molti risultati del sondaggio quali sono i più importanti?
«Per me la cosa più importante è comunque la stragrande maggioranza di consensi per papa Francesco: l’87 per cento dei cattolici interrogati in tutto il mondo e il 99 per cento degli italiani sono d’accordo con lui. È un’enorme manifestazione di fiducia per il Sommo Pontefice Francesco. Per me è un piccolo miracolo, dopo gli anni della crisi di fiducia che aveva investito la Chiesa negli anni di papa Benedetto. Adesso in meno d’un anno papa Francesco è riuscito nell’inversione di tendenza dei sentimenti dei fedeli di tutto il mondo».

E il papa emerito Benedetto secondo lei sarà felice o triste del responso del sondaggio?
«Naturalmente lo rattristerà vedere questi risultati, specie ripensando oggi agli ultimi mesi vissuti da lui come Pontefice, nel suo mandato. Però sicuramente si rallegrerà del fatto che adesso si va avanti, e lui secondo me pensa più al destino della Chiesa che non di quanto riguardi se stesso».

È solo una sua supposizione o può provare quanto dice sui sentimenti di Joseph Ratzinger in questo momento?
«Io credo che spiegherò al meglio il pensiero di Benedetto citandole frasi della sua recentissima lettera a me».

Benedetto le ha scritto, dopo anni di contrasti? E che cosa le ha scritto?

«Ecco, attenda solo un momento, mi lasci prendere qui sulla mia scrivania affollata quel manoscritto con la carta della Santa Sede intestata a lui personalmente dalla sua residenza di Papa emerito. Data, 24 gennaio 2014. Intestazione, “Pontifex emeritus Benedictus XVI”. “Io sono grato di poter essere legato da una grande identità di vedute e da un’amicizia di cuore a Papa Francesco. Io oggi vedo come mio unico e ultimo compito sostenere il suo Pontificato nella preghiera ». Credo siano parole molto belle. Certo, scritte prima della pubblicazione del sondaggio. Tanto più questa scelta di schieramento del Papa emerito Benedetto mi convince».

E che cosa significa il sondaggio per i vescovi, e in generale per le gerarchie ecclesiastiche?

«Io vorrei distinguere tra tre categorie di prelati. Per i vescovi pronti alle riforme, e ne esistono in tutto il mondo, i risultati del sondaggio significano un grande incoraggiamento: dovranno impegnarsi apertamente per le loro convinzioni, e non restare troppo timidi. Secondo, per i conservatori che hanno le loro riserve: dovrebbero riflettere sulle loro riserve, e dovrebbero ascoltare gli argomenti dei rinnovatori. Terzo, per i vescovi reazionari, presenti non solo in Vaticano ma in tutto il mondo, dovrebbero abbandonare la loro resistenza caparbia e scegliere la ragionevolezza ».

E che cosa significa il sondaggio per la base, per i cristiani? Incoraggiamento alla riforma dall’interno, come sognò invano Gorbaciov per il socialismo reale e l’Impero sovietico?
«È importante il segnale che il movimento per la riforma all’interno della Chiesa ha dalla sua parte la grande maggioranza dei fedeli. Il movimento di riforma è appoggiato dalla base — movimenti di riforma come “Noi siamo Chiesa” — più di quanto non sia apparso finora, più di quanto non sia appoggiato all’interno della Chiesa ufficiale. È un fatto a livello internazionale».

Professore, Lei da decenni chiede cambiamenti e aperture nella Chiesa, fu il primo e ne pagò le conseguenze. Per Lei questo sondaggio è una vittoria, una vittoria amara, o cos’altro?

«Non mi considero come vincitore, non ho condotto la battaglia per me ma per la Chiesa. Ho fatto evidentemente molte esperienze amare, ma è bello vedere un cambiamento nella direzione del Concilio Vaticano II. Ho avuto la grande gioia di poter vedere ancora da vivo il successo delle idee di riforma della Chiesa per cui ho combattuto così a lungo, di poter vedere l’inizio della svolta. Per me è un nuovo impulso vitale, come dice Benedetto, per quest’ultimo tratto del percorso della vita che noi ora abbiamo davanti».

Papa Francesco che conseguenze dovrebbe trarre dai risultati di questo sondaggio?

«Se posso dargli un umile consiglio, dovrebbe andare avanti con coraggio sulla via su cui si è incamminato e non avere paura delle conseguenze ».

Concretamente che significa?

«Spero che usi l’arte del Distinguo che abbiamo imparato entrambi alla Pontificia Università Gregoriana: dove c’è secondo il sondaggio consenso nella Comunità ecclesiale dovrebbe proporre una soluzione positiva al Sinodo. Dove c’è dissenso dovrebbe permettere e suscitare un libero dibattito nella Chiesa. Dove egli stesso è di altra opinione rispetto alla maggioranza dei cattolici, come sul sacerdozio per le donne, dovrebbe nominare una task force di teologi e di altri scienziati

il vecchio H. Kung e la sua ‘battaglia della libertà’ anche per il momento terminale

la libertà di morire

l’ultima battaglia di Hans Küng

KUNG

LA LIBERTA’ DI MORIRE

articolo pubblicato sul Qn (il Giorno, la Nazione, il Resto del Carlino), edizione del 6 settembre 2015

Un’altra provocazione. La più scandalosa, tragica, intima. L’ultima. Passato alle cronache per la contestazione del dogma dell’infallibilità pontificia e la ferma contrarietà alla santificazione di Karol Wojtyla, Hans Küng, fra i principali teologi cattolici contemporanei, in ‘‘Morire felici?’’ (Rizzoli) ingaggia con i vertici della Chiesa una strenue battaglia a favore dell’eutanasia su base volontaria. Sullo sfondo l’aggravarsi del morbo di Parkinson, che di recente l’ha costretto al ricovero in una struttura protetta, e tre esperienze – il decesso del fratello, la lettura degli scritti della psichiatra Elisabeth Kubler Ross su pazienti clinicamente morti e poi usciti dal coma, la lunga agonia dell’amico filologo Walter Jens – che hanno convinto Küng «a decidere da solo quando e come morire».

CONSAPEVOLE  di affrontare un tema tabù nella nostra società, così restia a parlare di morte figurarsi di suicidio assistito, il sacerdote svizzero àncora la sua tesi alla dottrina cattolica. In linea con il magistero, Küng si dice fermamente convinto che la vita sia una dono di Dio. È un regalo che, come asserisce anche il Catechismo, comporta la responsabilità di ciascuno sulla propria vita. E allora, ecco l’interrogativo bruciante, perché derogare a questo impegno proprio nell’ultima fase del transito terrestre? A detta di Küng è da irresponsabili il suicidio per una delusione amorosa o per la perdita del posto di lavoro. Altro è il discorso di chi deve fare i conti con una patologia incurabile, all’orizzonte non ha che un progressivo scivolamento lungo il pendio della demenza e per questo consapevolmente sceglie di ‘riconsegnare’ al Padre la sua esistenza.

«NESSUNO mi convincerà che rassegnarmi a una vita in stato vegetativo sia la volontà di Dio», incalza il teologo ribelle che professa «una fede ragionevole» nell’Aldilà. Il Padre è il Signore della misericordia e della carità, non un tiranno assetato di sangue. La croce di Gesù resta incomparabile. Il senso della sua sequela -– sostiene Küng – non può essere il patire le stesse sofferenze del Cristo, accettandole stoicamente o cercandole con intenti masochistici. Non è una mera imitazione, ma una vita in correlazione col Nazareno. Da condurre con responsabilità. Sino in fondo.

“riabilitate HANS KÜNG!”

APPELLO AL PAPA A FAVORE DEL TEOLOGO SVIZZERO

Trasmissione Raitre Che tempo che fa

I mea culpa della Chiesa avvengono in genere “a babbo morto”, svariati decenni e, più spesso, secoli dopo il “delitto” commesso. Sicché Giovanni Paolo II ha chiesto perdono fra l’altro per lo schiavismo, le stragi degli indios, la condanna di Galileo, i crimini dei cattolici croati nei Balcani. Più coraggiosamente, papa Francesco corregge storture più recenti, pur se è ancora molto ricordato e venerato il pontefice sotto il quale sono avvenute. Per esempio, se Wojtyla aveva sospeso a divinis p. Miguel D’Escoto per la sua partecipazione al governo sandinista, Bergoglio il 1° agosto scorso ha cancellato la sospensione, certo motivandola con il pentimento sincero del sacerdote: «Ha capito di aver sbagliato e il pontefice ha compreso la sincerità del ravvedimento». Chi non accetterà mai di ammettere di avere sbagliato, sempre che questo abbia fatto D’Escoto, è il teologo svizzero e sacerdote Hans Küng, che proprio Giovanni Paolo II privò nel 1979 della missio canonica relativa all’insegnamento della teologia cattolica. E allora per la sua “riabilitazione” si stanno muovendo semplici fedeli, su iniziativa della Parrocchia Universitaria di Montevideo (in Uruguay), con una lettera a Francesco che ha subito raccolto un centinaio di firme in vari Paesi dell’America Latina e in Spagna e Portogallo (ma la sottoscrizione è in continuo aggiornamento). «Si avvicina la fine dei suoi giorni», scrivono di Küng, 86enne e malato di Parkinson. «È ora di restituirgli quello che non chiede, ma che senza dubbio merita. La Chiesa sarà la prima a beneficiarne, con un atto di riconoscimento giusto e pieno d’amore». Sanno i firmatari di trovare in Francesco orecchie ben disposte: egli stesso ha inviato al teologo due lettere e in una di esse il papa ha scritto «resto a disposizione». E allora, scrivono, «ti chiediamo un passo in più: che Küng possa tornare nella sua condizione di “teologo cattolico”». «Sappiamo che non è facile», aggiungono, «ma abbiamo sovrabbondanti prove che sei specializzato in temi difficili».

Sollecita la riabilitazione di Küng anche Manuel Fraijó, teologo e filosofo spagnolo di formazione gesuita, che si pose a fianco di Küng, quando a questi venne ritirata la missio canonica, fino ad accettare di non insegnare più nelle facoltà cattoliche di Teologia e a rinunciare qualche tempo dopo al sacerdozio. Discepolo e amico di Küng (come anche di Karl Rahner, Wolfhart Pannenberg, Jürgen Moltmann, Johann Baptist Metz e José Luis López Aranguren), nell’articolo “La serena certezza del dovere compiuto” pubblicato il 24 dicembre scorso sul quotidiano spagnolo El País, ricorda gli oltre «60 libri, alcuni dei quali molto voluminosi, tradotti in molte lingue», attraverso i quali Küng «ha illuminato i grandi temi della vita umana: Dio, Gesù, la Chiesa, le religioni del mondo, il senso della vita, l’etica, l’aldilà, l’origine della realtà, la bramata pace, la politica e l’economia, la musica ed un ingombrante eccetera». L’anziano teologo svizzero guarda con «entusiasmo» a Francesco, aggiunge Fraijó, trovando nell’attuale papa «grandi somiglianze con l’ammirato Giovanni XXIII» e riconoscendo che sta mettendo mano a «riforme necessarie, lungamente attese e tenacemente difese da lui e da molti altri teologi». Accadrà allora, si chiede Fraijó, che «il papa prenderà il telefono e chiamerà Küng per dirgli che è riabilitato, che la Chiesa non può permettere che muoia come teologo non cattolico uno dei teologi della seconda metà del XX secolo e inizi del XXI che più ha contribuito alla diffusione e all’approfondimento del cattolicesimo nel mondo?».

José María Castillo spera

Di teologi puniti – Wojtyla regnante in coppia con il “suo” prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, card. Ratzinger, poi Benedetto XVI – perché la loro ricerca non si limitava al ruolo di microfono del Magistero ce n’è una teoria. La “riabilitazione” a breve (diciamo nel tempo di questo pontificato) di tutti loro sarebbe davvero un fatto storico ed insieme impensabile, ma per qualcuno di loro (oltre che per Küng, se si confida in quel “francescano” «sono a disposizione») è probabile: per esempio per il teologo spagnolo José María Castillo. Anche a questi il papa ha scritto una lettera. Lo ha rivelato, un po’ obtorto collo, lo stesso teologo in occasione dell’omaggio che gli è stato reso, in quanto maestro della Teologia Popolare, il 27 novembre scorso al Collegio Maggiore Chaminade, Università di Madrid. «Ho ricevuto nell’agosto scorso – ha detto – una lettera del papa, scritta di suo pugno» nella quale Francesco dice: «Ti ho perduto negli anni ‘80 e ora ti ritrovo»; il papa «mi ha detto che ne era rallegrato, ha aggiunto: “Ti chiedo di pregare per me come io prego per te” e ha terminato con un grande abbraccio». Il pontefice fa riferimento a quando (v. Adista nn. 39 e 50/88) Castillo fu destituito dall’insegnamento di Teologia dogmatica dell’Università di Granada (insieme a Juan Antonio Estrada, gesuita come Castillo, e in contemporanea con il claretiano Benjamin Forcano, cui venne sottratta la direzione della rivista Misión abierta) dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, dopo che una commissione di vescovi spagnoli nell’ottobre 1986 aveva pubblicato una nota critica nei confronti dei quaderni di “Teologia Popolare”, di cui il sacerdote era uno dei curatori. Tale teologia, nata sul finire degli anni ‘70 del secolo scorso, era il risultato della preoccupazione derivante dall’allontanamento, dal popolo e dalla gente, della teologia e della predicazione ecclesiastica, della catechesi, del Vangelo, ecc. La maggior parte dei teologi scrive una teologia che non è compresa dal popolo e che non gli interessa, sostiene infatti Castillo. (eletta cucuzza)

Fonte: Adista n. 2/2015

il teologo H. Kung parla della morte umana vissuta con dignità

 

Trasmissione Raitre Che tempo che fa

 

 

 

 

 

segni dei tempi

la morte umana dignitosa

 H.Küng

Il testo che viene pubblicato  riporta in gran parte il discorso che Hans Kung ha tenuto lo scorso anno al momento del ricevimento del premio Artur Koestler. L’occasione per la pubblicazione, come contributo al dibattito sulla delicata questione del fine vita, è il conferimento a Küng del “Grosso d’oro” da parte della città di Brescia il 25 giugno. Küng, contrariamente a quanto previsto, non potrà essere presente per i problemi dovuti ad un aggravamento del suo stato di salute e non potrà tenere la prevista Lectio magistralis su “Rinascita di speranza per la Chiesa e il mondo”.

Ho detto con convinzione sì a questo riconoscimento [1], perché rappresenta un’onorificenza speciale, in quanto mi viene dato non solo per il mio terzo volume di memorie  umanità vissuta) con il suo capitolo “Nella sera della vita”, ma per il mio lavoro di tutta una vita. Una via teologicamente responsabile Ero comprensibilmente ansioso di vedere come un filosofo riesca a comprendere un lavoro complesso di una lunga vita di teologo, Lei, caro collega Dieter Birnbacher, ha assolto a questo compito in modo brillante, profondo e con ampiezza di orizzonti. […] Il laudator non ha parlato solo della mia persona, ma ha fatto anche delle  appropriate riflessioni sul problema: non solo sull’etica mondiale, ma pure su una saggezza mondiale, o saggezza scolastica o dei dogmi e sulla penuria di esempi e di figure di riferimento, in grado di indagare con capacità l’integrazione e la complementarietà tra fede e ragione, religione e illuminismo. In questo nostro evento [2] sono molto importanti le affermazioni di Dieter Birnbacher sull’accettazione etica dell’aiuto a morire, che, secondo la mia e la sua opinione, si basa sulla fiducia in un Dio inteso non come assolutista, ma amoroso. Queste affermazioni mi rallegrano enormemente perché dimostrano che la mia proposta di una via di mezzo teologicamente responsabile, sul diritto all’autodeterminazione per motivi religiosi, ha trovato accoglienza anche nella DGHS (Deutschen Gesellschaft für humanes Sterben, Società tedesca per una morte umana, ndr), così come anche nella  EXIT, spesso diffamate come associazioni senza religione e di tipo materialista. Per questo vi ringrazio tutti sia che siate credenti o non credenti.

Responsabilità per la mia morte

Desidero anche brevemente sfruttare l’occasione per esplicitare meglio la mia posizione che raccoglie sempre più consenso. Ma non deve sorprendere nessuno, il fatto che i nuovi problemi che si presentano e le rispettive soluzioni si scontrino spesso con incomprensioni o malintesi. Ad una sostanziale incomprensione marcata religiosamente o ideologicamente è difficile rispondere e a concreti malintesi ancor più. Per escludere ogni ambiguità dico a chiare lettere: – Non difendo e non ho in mente nessun suicidio; anche alla fine di una vita esiste un omicidio solo se viene commesso per basse motivazioni, imbroglio o violenza contro la volontà dell’interessato.

– Mi prendo la mia responsabilità per la mia morte nel momento che si presenterà, una  responsabilità che nessuno potrà togliermi. Naturalmente non voglio in nessun modo congedarmi subito dalla vita, ma solo ad un momento dato, che spero di riconoscere con lucidità.

– Il Signore, a me ottantacinquenne non manda un segno diretto dal cielo, ma il Signore mi dona, e lo spero, la grazia di riconoscere il giusto momento; perché se fosse troppo tardi, per me si presenterebbe una situazione senza via d’uscita, in una demenza incipiente.

– Che il Signore abbia preparato per me il momento opportuno, non posso dedurlo da documenti biblici e neppure giustificarlo con la ragione; che questa fine sia prematura, è una semplice opinione.

– Nella Bibbia, in nessun passo viene esplicitamente proibito il suicidio; per esempio viene raccontato con approvazione quello di Abimelech, di Sansone e del re Saul. La vita dono e compito

In quanto teologo e cristiano sono convinto che la vita umana, che l’uomo non si è dato da solo, è in fondo un dono di Dio. Ma la vita è anche secondo la volontà di Dio un impegno, un compito, per l’uomo. E’ consegnata alla nostra propria (e non altra) responsabile disponibilità. Questo vale anche per l’ultima tappa della vita: il morire. Nessuno deve essere spinto a morire, così pure nessuno deve essere costretto a vivere. Va da sé che l’uomo deve tener conto “dei limiti della sua libertà  imitata” (Vescovo emerito W. Huber). Ma la domanda precisamente è: quale è il confine che l’uomo non deve superare. La decisione, che io penso fatta non da una coscienza sviata, ma da una scelta fatta con responsabilità, è una decisione esistenziale presa in piena coscienza che resta nelle mani della sola persona interessata.

Ritengo un’arroganza, se i non interessati vogliono giudicare come una persona percepisca in modo soggettivo la propria condizione. Ho affermato più volte: chi crede in una vita eterna in Dio, l’eterno, al di là dello spazio e del tempo, non deve preoccuparsi di un prolungamento eterno del tempo della vita terrena.

La Croce di Gesù è senza paragoni

Non posso tralasciare un rimprovero, che mi viene fatto proprio da simpatizzanti e lettori dei miei libri: seguire Gesù non significa anche prendere su di sé la croce fino alla fine? Nei fatti la croce viene presentata come un oscuro progetto di Dio cosicché le sofferenze umane vengono sublimate e idealizzate. Al contrario la mia opinione è già contenuta nel mio libro di quarant’anni fa “Essere cristiani”: seguire la croce non significa imitare alla lettera la vita terrena di Gesù, non significa perseguire una copia fedele del modello di vita, della sua vita e della sua morte. La croce di Gesù è senza paragoni, unica per il suo abbandono divino ed umano, la sua morte è irripetibile. Non è questo il significato della sequela, l’esser lasciati da Dio e dagli uomini: patire gli stessi dolori, ricevere le stesse piaghe; ma nella propria unica situazione, e nonostante l’incertezza del futuro, fare la propria strada. Detto teologicamente: sequela intesa non nel senso dell’imitazione, ma nel senso della correlazione, della corrispondenza. La sequela della croce e la morte assistita non si escludono. Il mio ultimo passaggio riguarda la realizzazione pratica di una morte assistita umanamente.

Cure palliative e sostegno affettivo, a volte insufficienti

Al riguardo solo due punti:

1) Da tempo io sostengo l’utilità e la promozione dignitosa della medicina palliativa. Aiuta senza dubbio a combattere i dolori, le paure, l’irrequietezza, la mancanza di fiato e altri sintomi pesanti. Le terapie del dolore rendono sopportabile l’ultimo stadio a molti malati terminali e portano ad una morte umana. Ma anche chi fa le terapie del dolore ammette che in alcuni casi è possibile solo una riduzione permanente del dolore; si rende il paziente incosciente, togliendogli la “vigilanza”. I desideri di morte devono essere presi sul serio, ma non tutti possono essere affrontati solo con un di più di affetto. I desideri di morire possono essere dati anche da una permanente perdita di percezioni della propria dignità, o del senso della vita, o dalla mancanza di una possibilità oggettiva di miglioramenti della propria situazione di salute.

2) Il movimento “Hospiz”, che non si propone di intervenire medicalmente per la guarigione o il prolungamento della vita, ma di dare un affetto personale con la parola e l’impegno per una morte umana, è un movimento che io ho sempre sostenuto moralmente e promosso pubblicamente. Ma, il diritto a continuare a vivere non vuol dire l’obbligo a continuare a vivere.

Il processo della morte non deve essere pervertivo portando ad una vita vegetale, segnata da sonde e farmaci. Meno male che almeno nella mia Svizzera la maggior parte degli ospedali lavora secondo il concetto della Palliative care; una strategia adottata dalla politica sanitaria federale a motivo del cambiamento della struttura delle età, per cui aumentano i casi di persone anziane gravemente malate e bisognose di assistenza. La volontà dei pazienti viene presa sul serio; se qualcuno rifiuta acqua e cibo per morire, questo viene rispettato. La volontà di morire con deliberato consenso alla rinuncia del bere e del mangiare può diventare un’alternativa alla morte assistita. Il pensiero ufficiale della Chiesa non mi preoccupa. Posso solo ricordare che ancora oggi la dottrina romana condanna la pillola, la maternità assistita e i condom. Questa insensibilità dimostrata dal magistero nei confronti dell’inizio della vita non dovrebbe ripetersi in merito alla fine della vita umana.

Hans Kung

Note

[1] Si tratta del premio Arthur Koestler che la Società tedesca per una morte umana (DGHS) ha conferito nel 2013 a Hans Kung per il lavoro di una vita.

[2] Si tratta della cerimonia di consegna del premio avvenuta a Bonn l’8 novembre 2013

 

H. Kung: “chiesa e fedeli troppo distanti”

Kung: "Chiesa e fedeli troppo distanti ora Francesco deve cambiarla"
Hans Kung 

H. kung: chiesa e fedeli troppo distanti: ora papa Francesco deve cambiarla

il teologo H. Kung sente che la chiesa sta vivendo un momento importante: l’arrivo di papa Francesco rappresenta una svolta possibile a motivo anche delle risposte che i molti fedeli delle varie chiese locali e conferenze episcopali hanno dato al ‘questionario’ preparativo del ‘sinodo’ sulla famiglia raffigurando al meglio un distacco enorme tra chiesa istituzionale e popolo di Dio
Kung sembra confermato anche dal ‘sondaggio sui cristiani nel mondo’ dove si rende evidente appunto quest ‘scisma sommerso’ come lo chiama P. Prini
è contento Kung ma non lo considera una vittoria personale ma del Concilio: qui sotto l’intervista su tutto questo che Kung rilascia a A. Tarquini per ‘la Repubblica’ odierna:
Il teologo: “Ratzinger mi ha scritto che il Papa va sostenuto”
 “Adesso papa Francesco  può appellarsi al responso  della  maggioranza dei fedeli su temi così importanti, nel confronto con i  reazionari della Curia. Il Papa emerito Benedetto  XVI mi ha da poco  scritto,  a me eterno ribelle, una missiva  affettuosa in cui s’impegna a  sostenere Francesco sperando in ogni suo successo». Insomma, in sostanza è quasi dire  Francesco come Gorbaciov,  l’uomo  nuovo contro gli ortodossi,  ma con la gente al suo fianco. Ecco la voce  di Hans Küng, massimo teologo  cattolico critico vivente, sul  sondaggio-  shock pubblicato ieri su Repubblica e il suo effetto nella Chiesa.
Professor Küng, come giudica il sondaggio sui cristiani nel mondo?
«Presi  insieme e analizzati, questi dati rivelano la straordinaria discrepanza   tra gli insegnamenti della Chiesa sui temi fondamentali, come la  famiglia, e invece la visione reale dei cattolici nel mondo».
Per lei tra i molti risultati del sondaggio  quali sono i più importanti?
«Per  me la cosa più importante è comunque la stragrande maggioranza  di  consensi per papa Francesco: l’87 per cento dei cattolici interrogati in  tutto il mondo e il 99 per cento degli  italiani sono d’accordo con  lui. È un’enorme manifestazione di fiducia  per il Sommo Pontefice  Francesco.  Per me è un piccolo miracolo, dopo gli anni della crisi di  fiducia che aveva investito la Chiesa negli anni di papa Benedetto.  Adesso in meno d’un anno papa Francesco è riuscito nell’inversione di  tendenza dei sentimenti  dei fedeli di tutto il mondo».
E il papa emerito Benedetto secondo  lei sarà felice o triste del responso  del sondaggio?
«Naturalmente  lo rattristerà vedere  questi risultati, specie ripensando oggi agli  ultimi mesi vissuti da lui come  Pontefice, nel suo mandato. Però  sicuramente si rallegrerà del fatto che adesso si va avanti, e lui  secondo me pensa più al destino della Chiesa che non di quanto riguardi  se stesso».
È solo una sua supposizione o può provare quanto dice sui sentimenti di Joseph Ratzinger in questo momento?
«Io credo che spiegherò al meglio il pensiero di Benedetto citandole frasi della sua recentissima lettera a me».
Benedetto le ha scritto, dopo anni di contrasti? E che cosa le ha scritto?
«Ecco,  attenda solo un momento, mi lasci prendere qui sulla mia scrivania   affollata quel manoscritto con la carta della Santa Sede intestata a lui  personalmente dalla sua residenza di Papa emerito. Data, 24 gennaio 2014.  Intestazione, “Pontifex emeritus  Benedictus XVI”. “Io sono grato di  poter essere legato da una grande identità di vedute e da un’amicizia di  cuore a Papa Francesco. Io oggi vedo come mio unico e ultimo compito  sostenere  il suo Pontificato nella preghiera  ». Credo siano parole  molto belle. Certo, scritte prima della pubblicazione  del sondaggio.  Tanto più questa scelta di schieramento del Papa  emerito Benedetto mi  convince».
E che cosa significa il sondaggio per i vescovi, e in generale per le gerarchie  ecclesiastiche?
«Io  vorrei distinguere tra tre categorie  di prelati. Per i vescovi pronti  alle  riforme, e ne esistono in tutto il mondo, i risultati del  sondaggio significano  un grande incoraggiamento:  dovranno impegnarsi  apertamente  per le loro convinzioni, e non restare troppo timidi.  Secondo, per i conservatori che hanno le loro riserve:  dovrebbero  riflettere sulle loro riserve,  e dovrebbero ascoltare gli argomenti   dei rinnovatori. Terzo, per i vescovi reazionari, presenti non solo in  Vaticano ma in tutto il mondo, dovrebbero  abbandonare la loro  resistenza caparbia e scegliere la ragionevolezza  ».
che cosa  significa il sondaggio per la base, per i cristiani? Incoraggiamento   alla riforma dall’interno, come sognò invano Gorbaciov per il socialismo  reale e l’Impero sovietico?
«È importante il segnale che il  movimento  per la riforma all’interno della Chiesa ha dalla sua parte la  grande maggioranza dei fedeli. Il movimento  di riforma è appoggiato  dalla  base — movimenti di riforma come “Noi siamo Chiesa” — più di  quanto non sia apparso finora, più di quanto non sia appoggiato  all’interno della Chiesa ufficiale. È un fatto a livello internazionale».
Professore,  Lei da decenni chiede cambiamenti e aperture nella Chiesa,  fu il primo  e ne pagò le conseguenze.  Per Lei questo sondaggio è una vittoria, una  vittoria amara, o cos’altro?
«Non mi considero come vincitore,  non  ho condotto la battaglia per me ma per la Chiesa. Ho fatto evidentemente   molte esperienze amare, ma è bello vedere un cambiamento nella  direzione del Concilio Vaticano II. Ho avuto la grande gioia di poter  vedere ancora da vivo il successo delle  idee di riforma della Chiesa  per cui ho combattuto così a lungo, di poter vedere l’inizio della  svolta. Per me è un nuovo impulso vitale, come dice Benedetto, per  quest’ultimo tratto del percorso della vita che noi ora abbiamo davanti».
Papa Francesco che conseguenze dovrebbe trarre dai risultati di questo  sondaggio?
«Se  posso dargli un umile consiglio,  dovrebbe andare avanti con coraggio   sulla via su cui si è incamminato  e non avere paura delle conseguenze ».
Concretamente che significa?
«Spero  che usi l’arte del Distinguo che abbiamo imparato entrambi alla  Pontificia Università Gregoriana: dove c’è secondo il sondaggio consenso   nella Comunità ecclesiale dovrebbe  proporre una soluzione positiva   al Sinodo. Dove c’è dissenso dovrebbe  permettere e suscitare un libero   dibattito nella Chiesa. Dove egli stesso è di altra opinione rispetto  alla maggioranza dei cattolici, come sul sacerdozio per le donne,  dovrebbe nominare una task force di teologi e di altri scienziati, di  uomini e donne, per affrontare il tema».

intervista ad H. Kung

 

Trasmissione Raitre Che tempo che fa

Il discusso teologo Hans Küng: “Non mi aggrappo alla vita”

 

intervista a Hans Küng, a cura di Markus Grill

 

in “www.spiegel.de/international” del 12 dicembre 2013 (traduzione: www.finesettimana.org)

 

Hans Küng ha lottato per tutta la vita per le riforme che oggi vengono prese in considerazione dal

 

Vaticano. In un’intervista a Spiegel, l’anziano teologo svizzero parla delle chance di papa

 

Francesco di rivoluzionare la Chiesa, dei motivi per cui Giovanni Paolo II non dovrebbe essere

 

canonizzato e di che cosa spera di venire a sapere in paradiso.

 

Il teologo svizzero Hans Küng è stato una voce che per decenni si è levata a chiedere riforme nella

Chiesa cattolica riguardanti l’infallibilità del papa, il celibato dei preti e l’eutanasia. La difesa delle

proprie posizioni gli è costata l’autorizzazione ad insegnare teologia cattolica e ha spinto molti ad

etichettarlo come eretico. Da ottantacinquenne malato di Parkinson e di altri malanni, osserva la

Chiesa sotto papa Francesco che sta prendendo in considerazione molte delle riforme da lui a lungo

sostenute. Ha recentemente accettato di parlare a Spiegel in una lunga e varia conversazione sulla

sua vita e sulle sue speranze per il futuro della Chiesa.

 

Professor Küng, Lei andrà in paradiso?

 

Certo lo spero.

 

Alcuni diranno che Lei andrà all’inferno perché agli occhi della Chiesa Lei è un eretico.

 

Non sono un eretico, ma un teologo critico e desideroso di riforme. A differenza di molti miei

critici, io uso il vangelo come punto di riferimento, e non teologia, liturgia e diritto canonico

medioevali.

 

Ma l’inferno esiste poi?

 

Alludere all’inferno è un ammonimento che indica che una persona può mancare totalmente

l’obiettivo della sua vita. Non credo in un inferno eterno.

 

Se inferno significa mancare l’obiettivo della propria vita, sembrerebbe una nozione

 

abbastanza secolare.

 

Sartre dice che l’inferno sono gli altri. La gente crea il proprio inferno. Ad esempio, in guerre come

quella in Siria, ad esempio, oppure come in un capitalismo senza regole.

 

In un suo saggio sulla religione, Thomas Mann ammise di pensare alla morte quasi ogni

 

giorno della sua vita. Anche Lei lo fa?

 

In realtà, mi aspettavo di morire prima, perché pensavo che, dato il mio modo di vivere, non sarei

arrivato al mio 50° compleanno. Ora sono sorpreso di aver compiuto 85 anni e di essere ancora

vivo.

 

Lei è andato a sciare per l’ultima volta nel 2008. Come ci si sente quando si sa che si sta

 

facendo una cosa per l’ultima volta?

 

Certamente mi fa venire un po’ di malinconia pensare a quell’ultima volta, quando stavo lassù a

Lech, sulle montagne dell’Arlberg. Mi piace molto l’aria limpida e fredda delle Alpi. Andavo lì

quando volevo liberare la mia mente oppressa. Ma accetto il mio destino. In realtà sono felice di

essere stato in grado di andare a sciare ad ottant’anni.

 

Lei è un uomo vecchio e malato. Ha una forte perdita dell’udito, osteoartrite e degenerazione

 

maculare, che distruggerà la sua capacità di lettura…

 

Sarebbe la cosa peggiore, non essere più in grado di leggere.

 

Le è stato diagnosticato il morbo di Parkinson un anno fa.

 

Eppure lavoro ancora molto ogni giorno. Tuttavia interpreto tutte queste cose come avvertimenti

della mia morte incombente. La mia grafia sta diventando sempre più piccola e spesso illeggibile,

come se stesse scomparendo. Le mie dita non trattengono più. È un dato di fatto che le mie

condizioni generali si sono deteriorate, e tuttavia combatto anche contro tutto ciò.

 

Come?

 

Ogni giorno nuoto un quarto d’ora qui nell’edificio, e faccio esercizi di fisioterapia sul pavimento, e

anche esercizi con la voce, e mi concentro su nuove attività. Inoltre, prendo diverse pillole al

giorno.

 

Lei ha scritto più di 60 libri, è sempre stato un uomo che ha prodotto molto e a cui è sempre

 

piaciuto andare a fondo negli argomenti. Nelle sue memorie, riflette sulla possibilità di

 

diventare presto null’altro che l’ombra di se stesso.

 

Naturalmente le diagnosi e le prognosi dei medici sono imprecise. La mia vista, ad esempio, si sta

deteriorando più lentamente di quanto predetto. Due anni fa il medico mi disse che sarei stato in

grado di leggere solo per altri due anni. Ed ora, riesco ancora a leggere! Ma vivo pensando di aver

poco tempo davanti a me e sono preparato a dire addio in ogni momento.

 

Il suo Parkinson progredirà.

 

Muammad Ali (Cassius Clay), anche lui malato di Parkinson, è apparso alla cerimonia di apertura

delle Olimpiadi di Londra l’anno scorso. È stato fatto sfilare davanti a tutti, assente e muto. È stato

terribile. Penso che sia stata un’idea orribile.

 

Il suo amico, lo scrittore ed intellettuale Walter Jens, è entrato in uno stato di demenza con

 

rapido peggioramento nove anni fa. È morto quest’anno.

 

Sono stato a trovarlo diverse volte, anche poco prima che morisse. Fino a pochi anni fa, il suo volto

si illuminava quando arrivavo da lui. Ma, negli ultimi anni, non ricordava neppure se ero andato a

trovarlo il giorno prima o a distanza di un mese. Alla fine, non mi riconosceva più. Era deprimente

pensare che Jens, uno degli intellettuali più importanti del dopoguerra, era tornato in una specie di

infantilismo.

 

La demenza era un peso anche per Jens o solo per i parenti e gli amici?

 

All’inizio della sua malattia, quando gli si chiedeva come stava, rispondeva quasi sempre

“terribilmente” o “male”. Allo stesso tempo, apprezzava piccole cose, come bambini, animali e

dolciumi. Gli portavo del cioccolato. All’inizio, lo mangiava da solo, ma più tardi dovevo

metterglielo io in bocca. Non riusciamo a sapere che cosa provasse Jens alla fine. Ma non ci si può

aspettare che io accetti di essere in una condizione come quella.

 

Nel 1995, Lei e Jens avete scritto insieme il libro “Morire con dignità”. Come cristiano, lei è

 

autorizzato a por fine alla sua vita?

 

Sento che la vita è un dono di Dio. Ma Dio mi ha reso responsabile di questo dono. La stessa cosa

vale anche per l’ultima fase della vita: morire. Il Dio della Bibbia è un Dio di compassione e non un

despota crudele che vuole vedere le persone passare il massimo tempo possibile in un inferno nel

proprio dolore. In altre parole, il suicidio assistito può essere la forma ultima, finale, di aiuto nella

vita.

 

La Chiesa cattolica considera un peccato l’eutanasia, uno sconfinamento nella sovranità del

 

Creatore.

 

Non ho apprezzato quando il portavoce del vescovo di Rottenburg ha prontamente dichiarato che

ciò che avevo scritto rappresentava l’insegnamento del Signor Küng e non l’insegnamento della

Chiesa. Una gerarchia ecclesiastica che ha avuto idee così sbagliate sul controllo delle nascite, sulla

pillola e sull’inseminazione artificiale, non dovrebbe fare gli stessi errori ora su problemi relativi

alla fine della vita. Dopo tutto, la nostra situazione è fondamentalmente cambiata nel XXI secolo.

L’aspettativa media di età cento anni fa era di 45 anni, e molte persone morivano giovani. Ora ho 85

anni, ma è un’estensione artificiale del mio tempo di vita – grazie a quelle 10 pillole che prendo

ogni giorno e grazie ai progressi dell’igiene e della medicina.

 

La spaventa una lunga e persistente malattia?

 

Beh, ho scritto una direttiva anticipata attentamente formulata, e recentemente mi sono iscritto ad

un’organizzazione per il suicidio assistito. Questo non significa che il mio scopo sia commettere

suicidio. Ma, nel caso che la mia malattia peggiorasse, voglio avere una garanzia di poter morire in

maniera dignitosa. Da nessuna parte nella Bibbia viene detto che una persona debba sopportare fino

in fondo una fine decretata. Nessuno ci dice cosa significa “decretata”.

 

Deve andare in un altro paese per avere accesso al suicidio assistito.

 

Sono un cittadino svizzero.

 

Come funziona esattamente? Lei telefona e dice: “Sto arrivando”?

 

il commento di H. Kung alla ‘evangelii gaudium’

Trasmissione Raitre Che tempo che fa

 

Il vento della curia

di Hans Küng
in “la Repubblica” del 27 novembre 2013

La riforma della chiesa procede: nell’esortazione apostolica “Evangelii Gaudium” Papa Francesco ribadisce non solo la sua critica al capitalismo e al dominio del denaro, ma si dichiara anche inequivocabilmente favorevole ad una riforma ecclesiastica «a tutti i livelli». Si batte concretamente per riforme strutturali come la decentralizzazione verso diocesi e parrocchie, una riforma del ministero di Pietro, la rivalutazione dei laici e contro la degenerazione del clericalismo, per una efficace presenza femminile nella chiesa, soprattutto negli organi decisionali. Si dichiara altrettanto espressamente favorevole all’ecumenismo e al dialogo interreligioso, soprattutto con l’ebraismo e l’Islam. Tutto questo troverà ampio consenso ben oltre l’ambito della chiesa cattolica. Il rifiuto indiscriminato dell’aborto e del sacerdozio femminile dovrebbero suscitare critiche. Mostrano i limiti dogmatici di questo Papa. O forse Francesco subisce le pressioni della congregazione della dottrina della fede e del suo prefetto, l’arcivescovo Gerhard Ludwig Müller? Quest’ultimo ha manifestato la propria posizione ultraconservatrice in un lungo intervento sull’Osservatore Romano (23 Ottobre 2013), in cui ribadisce l’esclusione dai sacramenti dei divorziati risposati. Dato il carattere sessuale della loro relazione vivono presumibilmente nel peccato, a meno che non convivano «come fratello e sorella» (!) Da vescovo di Ratisbona, Müller, fonte di numerosi conflitti con parroci, teologi, organi laici e il comitato centrale dei cattolici tedeschi per le sue posizioni ultraclericali, era discusso e malvisto. Il fatto che nonostante ciò fosse stato nominato da papa Ratzinger, in qualità di fedele sostenitore nonché curatore della sua opera omnia, prefetto della congregazione per la dottrina della fede, non stupì quanto sorprende ora che sia stato da subito confermato in questo incarico da papa Francesco. E già gli osservatori, preoccupati, si chiedono se il Papa emerito Ratzinger per il tramite dell’arcivescovo Müller e di Georg Gänswein, il suo segretario, anch’egli nominato arcivescovo e prefetto della casa pontificia, effettivamente non agisca come una sorta di «Papa-ombra». Agli occhi di molti la situazione appare contraddittoria: da una parte la riforma della chiesa e dall’altra l’atteggiamento nei confronti dei divorziati risposati. Il Papa vorrebbe andare avanti— il “prefetto della fede” frena. Il Papa ha in mente l’umanità concreta — il prefetto soprattutto la dottrina tradizionale cattolica. Il papa vorrebbe praticare la carità — il prefetto si appella alla santità e alla giustizia divina. Il Papa vorrebbe che i sinodi episcopali nell’ottobre 2014 trovassero soluzioni pratiche ai problemi della famiglia anche sulla base delle consultazioni dei laici — il prefetto si basa su tesi dogmatiche tradizionali per poter mantenere lo status quo, privo di carità. Il Papa vuole che i sinodi episcopali intraprendano nuovi tentativi di riforma — il prefetto, già docente di teologia dogmatica, pensa di poterli bloccare in partenza con la sua presa di posizione. C’è da chiedersi se il Papa controlli ancora questa sua sentinella della fede. Va detto che Gesù stesso si è espresso senza mezzi termini contro il divorzio. «Ciò che Dio ha unito l’uomo non separi» (Mt 10,9). Ma lo faceva soprattutto a vantaggio della donna, che nella società del tempo era penalizzata a livello giuridico e sociale e contro l’uomo, che nel mondo ebraico era l’unico a poter avanzare richiesta di divorzio. Così la chiesa cattolica, in qualità di successore di Gesù, pur in una situazione sociale completamente mutata, ribadisce con forza l’indissolubilità del matrimonio che garantisce ai coniugi e ai loro figli rapporti stabili e duraturi. I cristiani neotestamentari non considerano la parola di Gesù riguardo al divorzio una legge, bensì una direttiva etica. Il fallimento dell’unione matrimoniale chiaramente non corrisponde al disegno della creazione. Ma solo la rigidità dogmatica non può ammettere che la parola di Gesù sul divorzio già in epoca apostolica fosse usata con una certa flessibilità, e cioè in caso di «lussuria» (cfr. Mt 5,32; 19,9) e nel caso di separazione tra un partner cristiano e uno non cristiano (cfr. Cor. 7,12-15).
È evidente che già nella chiesa primitiva ci si rendeva conto che esistono situazioni in cui proseguire la convivenza diventa irragionevole. E la credibilità di papa Francesco verrebbe immensamente danneggiata se i reazionari del Vaticano gli impedissero di tradurre presto in azioni le sue parole e i suoi gesti pervasi di carità e di senso pastorale. L’enorme capitale di fiducia che il Papa ha accumulato nei primi mesi del suo pontificato non deve essere sperperato dalla Curia. Innumerevoli cattolici sperano che il Papa esamini la discutibile posizione teologica e pastorale di Müller; che vincoli la commissione per la difesa della fede alla sua linea teologica pastorale; che le lodevoli consultazioni dei vescovi e dei laici in vista dei prossimi sinodi sulla famiglia conducano a decisioni dotate di fondamento biblico e vicine alla realtà. Papa Francesco dispone delle necessarie qualità per guidare da capitano la nave della chiesa attraverso le tempeste di questi tempi; la fiducia dei fedeli gli sarà di sostegno. Avrà contro il vento della curia e spesso dovrà procedere a zig zag, ma la speranza è che affidandosi alla bussola del vangelo (non a quella del diritto canonico) possa mantenere la rotta in direzione del rinnovamento, dell’ecumenismo e dell’apertura al mondo. “Evangelii Gaudium” è una tappa importante in questo senso, ma non è certo il punto di arrivo. (Traduzione di Emilia Benghi)

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