l’ex fabbricante di armi contro le armi e la guerra

Io ex fabbricante di armi dico: la guerra è una follia

intervista a Vito Alfieri Fontana a cura di Alessandro Gisotti
in “L’Osservatore Romano” del 10 gennaio 2024

«Papà, ma allora tu sei un assassino?». Quella domanda rivoltagli dal figlio all’età di 8 anni rimarrà sempre come una lama nel cuore di Vito Alfieri Fontana. Anche oggi tanti anni dopo, quel momento non è facile da ricordare per questo ingegnere barese di 72 anni che ha vissuto due vite: la prima da progettatore e produttore di letali mine anti-uomo a capo della Tecnovar, azienda di famiglia economicamente di successo. E poi la seconda, diametralmente opposta: quella da capo sminatore nei Balcani, territorio sconvolto dalle guerre e infestato proprio da quelle armi subdole e micidiali che sono le mine. Vito ha raccontato questa parabola drammatica, sofferta e al tempo stesso intessuta di coraggio e speranza in un libro scritto con il giornalista di «Famiglia cristiana», Antonio Sanfrancesco, dal titolo emblematico: Ero l’uomo della guerra. In questa intervista con i media vaticani, l’ex produttore di armi convertitosi in operatore umanitario commenta anche le parole di
Papa Francesco sul disarmo e lancia un accorato appello a chi, come lui in passato, produce e vende strumenti di morte.
Ingegnere, lei ha detto in questi anni — anche nel suo libro “Ero l’uomo della guerra” — di aver vissuto due vite. Quella del produttore di mine e quella di sminatore, di chi quegli strumenti di morte cerca di neutralizzarli. Lo spartiacque non è arrivato d’improvviso, ma è maturato nel tempo. Innanzitutto grazie a suo figlio…
Quando mio figlio è cominciato a crescere, ha iniziato a farsi e farmi delle domande. Quando casualmente si è trovato faccia a faccia con il fatto che io producessi delle mine, facessi delle armi, mi ha chiesto: «Se fai le armi, allora tu sei un assassino…». Sono quelle cose che ti fanno capire la percezione che viene dall’esterno di quello che fai. È la cosa più semplice da capire in fondo: chi fa le armi, volente o nolente, aiuta a far del male agli altri. E mio figlio mi ha anche detto forse la cosa più ovvia: «Papà, magari le armi le fanno altri, tante persone nel mondo, ma perché le devi fare tu?». Queste parole sono state la prima pietra d’inciampo.
Poi nella sua “conversione” ha avuto un ruolo pure don Tonino Bello e in particolare un ragazzolegato proprio al vescovo pugliese presidente di Pax Christi…
Sì, nel 1993, quando parte la Campagna internazionale per la messa al bando delle mine antiuomo, in quel momento mi arriva un invito a parlare da parte di don Tonino Bello, da Pax Christi, di cui lui era presidente. Aveva scritto nell’invito: «Cerchiamo di trovare un punto di discussione. Possibile che non si possa parlare fra uomini di pace e chi fa la guerra?». Don Tonino che aveva organizzato questo incontro purtroppo non vi partecipò perché nel frattempo morì. Il suo gruppo però volle tenere questa discussione lo stesso e mi trovai di fronte, non scherzo, a duecento persone che mi interrogavano anche pesantemente. Io risposi senza problemi, fino a quando un ragazzo, un volontario di Pax Christi, alla fine della discussione mi scosse quando chiese: «Ingegnere, Lei sarà pure simpatico però la notte, quando va a dormire, cosa sogna? E possibile che Lei sogna una “bella guerra”, è possibile che Lei sogna una guerra per vendere tante mine?».
La sua azienda, la Tecnovar, era una azienda che fatturava miliardi di lire. Un’azienda di famiglia.
Il suo cambio di vita ha incontrato anche tante incomprensioni, difficoltà. Ma lei è andato avanti per la sua strada. Cosa l’ha spinta a percorrere un sentiero così difficile?
Quando ti prende il chiodo, il chiodo in testa, il tarlo della coscienza, come si fa a mettere di nuovo mano alla penna sul tavolo da disegno e a progettare qualcosa che può fare del male agli altri? A quel punto non ci riesci più. Perché devo farlo? Effettivamente aveva ragione mio figlio. Certo questo comporta delle incomprensioni, che tu rompi con una parte della famiglia, che ti trovi, non proprio il vuoto attorno, ma capisci che gli altri non vogliono capire… Però, si va avanti.
Cosa ha provato le prime volte che si è trovato dall’altra parte? A guidare, con l’organizzazione  Intersos, lo sminamento di aree infestate da mine anti uomo — in particolare nella ex Jugoslavia —
simili a quelle che la sua azienda aveva prodotto fino a poco tempo prima?
Ci si sente male perché una parte di te la senti sotto terra. È una strana sensazione, cioè ti senti domandare dentro: «Guarda che hai combinato?». I primi cinque minuti sono di paura, perché non
sai se sarai capace, di andare contro te stesso. Poi, alla fine, la paura passa… Però, all’inizio, è imbarazzante. Mi sentivo veramente male ed ero molto severo con me stesso.
Lei ha raccontato che, nella sua vita di industriale delle armi, partecipava a fiere ed eventi dove incontrava più o meno sempre le stesse persone. Eventi dove non si considerava il male che si
faceva con queste armi…
In quelle occasioni non si parlava mai di vite umane. Una mina anti-uomo è una mina buona se riesce a perforare una piastra di metallo di 50cmx50cmx5mm. Non si parla di uomini, non ci sono bambini che vengono considerati. Non ci sono soldati, che poi perdono le gambe o la vita…La perforazione della lastra, quello è l’obiettivo e su quello si lavora.
L’epilogo del suo libro si intitola “Il passato che non passa”. Il peso della prima delle due vite si fa sentire anche sulla seconda, inevitabilmente…Due milioni e mezzo di mine prodotte, alcune migliaia disinnescate. Un bilancio impari, annota amaramente. Anche per la sua coscienza…
Sì, se consideriamo una vita sola… Il mio impegno ora è anche a favore di circa 10.000 persone che in tutto il mondo hanno fatto il mio ultimo lavoro, quello di sminatore. Persone che si spaccano la schiena ogni anno, ogni giorno, ogni ora del giorno per levare le mine. Spero di aver dato un contributo anche avendo posto in luce questo problema, avendo incoraggiato questa gente che sta facendo “miracoli” in questi anni. Non parlo solo dei Balcani, parlo dell’Asia, dell’America, dell’Africa, con dei successi incredibili. Quindi, certo il bilancio mio, come persona, è impari, però sono inserito in un gruppo incredibile di gente che sta facendo un grande lavoro.
A proposito di questa ultima considerazione, lei ha anche collaborato con il premio Nobel per la pace Jody Williams a favore della Campagna mondiale contro le mine anti uomo, che portò alla Convenzione di Ottawa. Un accordo citato positivamente da Papa Francesco nella Esortazione apostolica “Laudate Deum”. Oggi non sembra esserci un movimento dal basso, popolare, sul disarmo come avviene per altri temi, per esempio la crisi ecologica…
Diciamo che la Convenzione di Ottawa aveva in fondo un nemico abbastanza limitato. I fabbricanti di mine erano una minima parte e sinceramente neanche difendibili…Le questioni ambientali
coinvolgono molte più persone e quindi hanno naturalmente molto più seguito. Io dico però che almeno i cristiani dovrebbero avere sempre in testa — non credo di sbagliarmi — che, nel Vangelo, i pacificatori, gli operatori di pace sono l’unico gruppo umano che Gesù definisce «figli di Dio»: «Beati gli operatori di pace perché verranno chiamati figli di Dio». Dovremmo sempre ricordarcene, è una grossa responsabilità. Potremo essere uno solo, potremo essere 10.000, però se siamo definiti in un certo modo non possiamo tirarci indietro.
La guerra in Ucraina, la guerra in Medio Oriente e poi tanti altri conflitti dimenticati dalla Siria allo Yemen. Il Papa ha messo tante volte in luce un paradosso: ci si arma per sentirsi più sicuri, ma aumentano le guerre e di conseguenza l’insicurezza globale. Lo ha fatto anche rivolgendosi al
Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede lunedì scorso…Si può spezzare questo circolo vizioso o dobbiamo rassegnarci a vivere in questa situazione?
Rassegnarsi mai! Purtroppo però il 2024 è un anno travagliato: ci saranno le elezioni presidenziali negli Stati Uniti. Quindi tutti gli avvenimenti internazionali, secondo me, gireranno intorno a quella
situazione, e ci sarà una grande turbolenza internazionale. È chiaro che a un certo punto i conflitti devono smettere, perché le guerre non possono essere infinite, e in quel momento bisognerà interporsi. Avremo un anno difficile, dopo bisognerà rimboccarsi le maniche e cercare di guarire le
ferite che noi tutti, come comunità umana, abbiamo inferto ai nostri fratelli.
Il Papa ha anche detto il giorno di Natale che la gente vuole pane, non armi. Madre Teresa aveva levato un appello simile, ricevendo il premio Nobel per la Pace, nel 1979…
Noi dobbiamo essere consapevoli che le armi vengono detenute sì e no dall’1 per cento della popolazione quando c’è una guerra. Le armi vengono manovrate, usate o programmate da pochissime persone rispetto ai danni che fanno. Io quello che ho visto andando in questi teatri di guerra, in queste realtà devastate, è che la gente aveva bisogno — come dice il Papa — di pane, aveva bisogno di lavoro, di ricostruire, e non aveva certo bisogno di armi! E questo vale per il 99  er cento delle persone. Mi ha fatto sempre impressione questo fatto: che tu potevi mettere assieme ex nemici purché li mettessi a lavorare, cioè che dessi loro un lavoro, una paga adeguata perché potessero tornare con dignità a casa. Allora ho visto proprio spegnersi le antiche rivalità. Con me,
nell’attività di sminatore, hanno lavorato ortodossi, cattolici, musulmani, ma anche parecchi atei…E non c’era nessun problema quando una persona collaborava con altre e portava il pane a casa: è
quella la prospettiva che la politica dovrebbe avere: distribuire pane invece che armi! Non pane — dico io — regalato o rubato, ma pane guadagnato. Si programmasse del lavoro, bonifiche, ricostruzioni…si programmassero irrigazioni, energie alternative.
«Per dire “no” alla guerra bisogna dire “no” alle armi», ha detto il Papa il giorno di Natale.
«Perché — ha aggiunto — se l’uomo, il cui cuore è instabile e ferito, si trova strumenti di morte tra le mani, prima o poi li userà». Cosa ne pensa sulla scorta anche della sua esperienza personale?
Io vorrei completare così queste parole del Papa: fare una guerra è come tagliare un albero. Fare la pace è come piantare un albero. Per tagliare un albero non ci metti niente, ci vuole un’arma! Per fare la pace devi piantare l’albero, lo devi seminare, averne cura per vederlo crescere. Quindi, alla sofferenza del momento della guerra segue poi il disagio, la fatica e la sofferenza della ricostruzione. È pazzesco. L’uso delle armi è una follia! Ci sono tutte le possibilità di vivere cooperando anche se la si pensa diversamente. Lavoro e dignità. Insomma, io non so perché non si
vuole arrivare a capire questo.
Lei ha oggi 72 anni vissuti intensamente e con un percorso di vita non comune. Cosa si sentirebbe di dire a chi, come lei in passato, produce e vende armi? Perché dovrebbe smettere di farlo, come ha fatto lei?
Io mi rivolgerei più che altro a chi sente di avere una fede. Io ho parlato con molte persone su questo. Se tu mi dici di produrre il motore per un’automobile o il motore di un carrarmato, io non dovrei avere alcun dubbio…
Io dico questo: se hai fede, devi essere conseguente. Specialmente noi che crediamo nella Parola di Dio, nella Bibbia, come possiamo odiarci fino al punto di distruggere le speranza degli altri, dei nostri fratelli? Solo questo vorrei dire.
I dati sulle mine nel mondo In Siria e Ucraina il maggior numero di vittime
Nel corso del 2022 è stato registrato un aumento delle vittime a causa della presenza delle mine a livello mondiale. È quanto certificano i dati più recenti in materia, diffusi a novembre del 2023 nel rapporto annuale Landmine Monitor, a cura della International Campaign to Ban Landmines.
Secondo il rapporto, le mine e i residuati bellici esplosivi hanno provocato la morte o il ferimento di 4.710 persone in 49 Stati. I civili sono particolarmente esposti ai rischi legati alle mine e ai residuati bellici esplosivi: costituiscono infatti l’85 % delle vittime registrate. E di queste 1.171 sono bambini.
Il maggior numero di vittime annuali si è avuto in Siria (834) e in Ucraina (608). Nel contesto del conflitto in Ucraina, rispetto al 2021, il Paese ha visto decuplicare il numero di vittime civili per le mine. Seguono Yemen e Myanmar in cui si sono registrate rispettivamente più di 500 vittime.
Secondo i dati del Landmine Monitor 2023, mine antipersona sono state impiegate da parte di gruppi armati non statali in: Colombia, India, Myanmar, Thailandia e Tunisia, nonché in otto Stati nella regione del Sahel: Algeria, Benin, Burkina Faso, Repubblica Democratica del Congo, Mali, Niger, Nigeria e Togo. Per il rapporto i Paesi contaminati da mine antipersona sono 60.
Un totale di 30 Stati che hanno aderito alla Convenzione ha riferito di aver eliminato tutte le aree minate dal proprio territorio da quando il Trattato per la messa al bando delle mine è entrato in vigore nel 1999.
Il sostegno globale all’azione contro le mine – riferisce sempre il rapporto di Landmine monitor – è stato pari a 913,5 milioni di dollari, che rappresenta un aumento del 52% rispetto al supporto fornito
nel 2021. Di questa cifra 162,3 milioni di dollari sono stati destinati alle attività in Ucraina.




le armi non partoriscono pace

la società civile

 «un errore puntare sulle armi»

la protesta dei pacifisti


Pax Christi: manca la politica e prevale l’ipocrisia. Rete pace e disarmo: attenti, le forniture finiscono anche nelle mani sbagliate. Marcia Perugia-Assisi: soldi tolti alla lotta contro la povertà

«Un errore puntare sulle armi»: la protesta dei pacifisti

di Luca Liverani 

Armi, ancora armi, solo armi. Senza uno sforzo parallelo per individuare una soluzione diplomatica. È questa la lettura condivisa nel mondo delle associazioni per il disarmo e la pace, di fronte al prossimo decreto, il sesto, per l’invio di armamenti italiani alle forze armate ucraine.

«Il governo Meloni segue la stessa linea di Draghi, secretando l’elenco delle armi inviate dall’Italia», dice Francesco Vignarca, coordinatore delle campagne della Rete italiana pace e disarmo. Gli “omissis” nel decreto producono un doppio rischio. «Che si tratti di armi che finiscono anche nelle mani sbagliate», ad esempio gruppi mercenari attivi anche in altri teatri o organizzazioni criminali. «E la segretezza permette al Cremlino di alimentare polemiche basate su fake news», dice Vignarca. Nessuna trasparenza nemmeno sui costi, lamenta Rete pace e disarmo: «Abbiamo calcolato che nel 2022 gli invii di armi ci sono costati 485 milioni. Il ministro Tajani ha parlato genericamente di un miliardo di euro». Un’opacità che impedisce anche di capire «se si tratta di armamenti vecchi, che avremmo dovuto comunque rottamare, oppure sistemi che andranno rimpiazzati. È stato calcolato che gli aiuti militari Nato potrebbero portare all’industria militare americana nuovi ordini per 22 miliardi di dollari». Tutti elementi, sottolinea Vignarca, «che prescindono dal dibattito se inviare armi sia giusto o sbagliato». Ma c’è un altro aspetto: «Ogni invio è stato giustificato dalla propaganda politica dicendo: “sono le armi che cambieranno il corso della guerre”. A marzo i razzi anticarro Javelin, a giugno i lanciarazzi Himars, a dicembre i missili Patriot, ora i tank Leopard». Di certo c’è che «nessun tipo di arma ha avvicinato una soluzione politica. La diplomazia non è stata mai messa in campo seriamente. E la politica continua a ignorare le altre guerre: Siria, Congo, Etiopia…».

Pax Christi ribadisce il suo no all’invio di armi: «Siamo con Papa Francesco che a marzo diceva che per fermare le guerre non bisogna alimentarle», dice don Renato Sacco, consigliere nazionale di Pax Christi. «Non sono le armi che mancano, ma la politica. E si gioca con le parole sfiorando l’ipocrisia: a Ramstein si è detto che “la Nato formalmente non è coinvolta”». Anche Pax Christi teme che il flusso di armi prenda vie sbagliate: «Il procuratore Nicola Gratteri non ha dubbi». E avverte: « Non abituiamoci alla guerra, non consideriamola accettabile. Sento parlare di un collegamento di Zelenski a Sanremo. Da esperti di calcio, gli italiani si sono trasformati tutti in strateghi. Ma ignoriamo le altre guerre tormentano palestinesi, curdi, armeni allo stesso modo degli ucraini». Senza contare i rischi dell’escalation: «A due anni dall’approvazione del bando Onu sulle armi nucleari, non sottovalutiamo come “propaganda” la minaccia atomica di Putin».

«È dall’inizio che diciamo che gli ucraini hanno tutto il diritto di difendersi, l’errore è puntare sulla guerra e solo sulla guerra», spiega Flavio Lotti, coordinatore della Marcia della Pace Perugia Assisi. «Ci hanno detto che le armi servivano a riequilibrare sul campo il confronto coi russi – ricorda – ma questo sesto invio è la prova che quella tesi è fallita. La guerra è in stallo e si punta ad armi sempre più letali. Le stragi continuano nel vuoto dell’iniziativa politica. Temo che il decreto verrà approvato senza un ampio dibattito, in cui si prenda atto che è tempo di scegliere un’altra strada. La politica è drammaticamente muta, maggioranza e opposizione». E le armi dissanguano anche in altro modo: «Ogni armamento sottrae risorse per la lotta alle disuguaglianze e alla povertà. In Italia, in Ucraina, ovunque».




armi, armi, armi, … a danno dell’ambiente e dei paesi più poveri

le armi battono il clima 38 volte
di Tonio Dell’Olio
in “www.mosaicodipace.it” del 16 novembre 2022


Un articolo di Lucia Capuzzi sulle pagine di Avvenire di oggi ci informa dello “studio del
Transnational Institute, presentato in occasione della Cop27 che compara, con minuziosa
precisione, gli stanziamenti per le forze armate dei differenti governi con quanto destinato alla lotta al cambiamento climatico”. I dieci Paesi più ricchi spendono in armi trentotto volte la somma che investono negli aiuti climatici. “La Commissione Europea prevede un incremento del budget per gli eserciti da parte dei propri membri intorno ai 200 miliardi. Washington ha approvato un bilancio senza precedenti di 840 miliardi. La Russia, pur nel mezzo della crisi economica, porterà i fondi per l’esercito a quota 83,5 miliardi nel 2023, + 27 per cento. Molto di questo denaro è sottratto alla transizione energetica piuttosto che ai fondi per le vittime – incolpevoli, riconoscono tutti – della catastrofe ambientale”. Oltre il danno anche la beffa: le dieci nazioni che investono di più in strumenti di morte (Usa, Cina, Russia, Gran Bretagna, Francia, Giappone e Germania) sono le stesse che inquinano di più e che pertanto dovrebbero risarcire i paesi più poveri per i danni che provocano su loro.




papa Francesco che parla di pazzia della guerra è più realista dei realisti

“il papa parla di pace, ma…”

cq5dam.thumbnail.cropped.500.281.jpeg

“Il Papa parla contro il riarmo, ma… Il Papa fa il Papa, ma… Il Papa non può che dire ciò che dice, ma…”. C’è sempre un “ma” che in tanti imbarazzati commenti accompagna l’inequivocabile no alla guerra pronunciato da Francesco, per contestualizzarlo e depotenziarlo. Non potendo interpretare nel senso voluto le parole del vescovo di Roma, non potendo in alcun modo “piegarle” a sostegno della corsa al riarmo freneticamente intrapresa a seguito della guerra di aggressione scatenata da Vladimir Putin contro l’Ucraina, allora se ne prendono elegantemente le distanze, dicendo che sì, il Papa non può che dire ciò che dice ma poi deve essere la politica a decidere. E la politica dei governi occidentali sta decidendo di aumentare i già tanti miliardi da spendere per nuove e sempre più sofisticate armi. Miliardi che non si trovavano per le famiglie, per la sanità, per il lavoro, per l’accoglienza, per combattere la povertà e la fame.

La guerra è un’avventura senza ritorno, ripete Francesco sulle orme dei suoi immediati predecessori, in particolare di san Giovanni Paolo II . Anche le parole di Papa Wojtiła in occasione delle due guerre all’Iraq e della guerra nei Balcani vennero “contestualizzate” e “derubricate”, pure dentro la Chiesa. Il Papa che all’inizio del pontificato chiese di «non avere paura» nell’aprire «le porte a Cristo» nel 2003 supplicò invano tre governanti occidentali intenzionati a rovesciare il regime di Saddam Hussein, chiedendo loro di fermarsi. A distanza di quasi vent’anni, chi può negare che il grido contro la guerra di quel Pontefice non fosse soltanto profetico, ma anche imbevuto di profondo realismo politico? Basta guardare alla rovina del martoriato Iraq, trasformato per lungo tempo nella sentina di tutti i terrorismi, per comprendere quanto lungimirante fosse lo sguardo del santo Pontefice polacco.

Oggi accade lo stesso. Con il Papa che non si arrende all’ineluttabilità della guerra, al tunnel senza uscita rappresentato dalla violenza, alla logica perversa del riarmo, alla teoria della deterrenza che ha imbottito il mondo di così tante armi nucleari in grado di annientare diverse volte l’umanità intera.

«Io mi sono vergognato — ha detto nei giorni scorsi Francesco — quando ho letto che un gruppo di Stati si sono impegnati a spendere il due per cento del Pil nell’acquisto di armi, come risposta a questo che sta succedendo adesso. La pazzia! La vera risposta non sono altre armi, altre sanzioni, altre alleanze politico-militari, ma un’altra impostazione, un modo diverso di governare il mondo ormai globalizzato — non facendo vedere i denti, come adesso —, un modo diverso di impostare le relazioni internazionali. Il modello della cura è già in atto, grazie a Dio, ma purtroppo è ancora sottomesso a quello del potere economico-tecnocratico-militare».

Il no alla guerra di Francesco, un no radicale e convinto, non ha nulla a che vedere con la cosiddetta neutralità né può essere presentato come una posizione di parte o motivata da calcoli politico-diplomatici. In questa guerra ci sono gli aggressori e ci sono gli aggrediti. C’è chi ha attaccato e ha invaso uccidendo civili inermi, mascherando ipocritamente il conflitto sotto il maquillage di una «operazione militare speciale»; e c’è chi si difende strenuamente combattendo per la propria terra. Il Successore di Pietro questo l’ha detto più volte con parole chiarissime, condannando senza se e senza ma l’invasione e il martirio dell’Ucraina che dura da più di un mese. Ciò non vuol dire però “benedire” l’accelerazione della corsa al riarmo, peraltro già iniziata da tempo dato che i Paesi europei hanno aumentato le spese militari del 24,5% a partire dal 2016, perché il Papa non è il “cappellano dell’Occidente” e perché ripete che oggi stare dalla parte giusta della storia significa essere contro la guerra cercando la pace senza mai lasciare nulla di intentato. Certo, il Catechismo della Chiesa cattolica contempla il diritto alla legittima difesa. Pone però delle condizioni, specificando che il ricorso alle armi non deve provocare mali e disordini più gravi del male da eliminare, e ricorda che nella valutazione di questa condizione ha un grandissimo peso «la potenza dei moderni mezzi di distruzione». Chi può negare che l’umanità si trovi oggi sull’orlo del baratro proprio a causa dell’escalation del conflitto e della potenza dei «moderni mezzi di distruzione»?

«La guerra — ha detto ieri all’Angelus Papa Francesco — non può essere qualcosa di inevitabile: non dobbiamo abituarci alla guerra! Dobbiamo invece convertire lo sdegno di oggi nell’impegno di domani. Perché, se da questa vicenda usciremo come prima, saremo in qualche modo tutti colpevoli. Di fronte al pericolo di autodistruggersi, l’umanità comprenda che è giunto il momento di abolire la guerra, di cancellarla dalla storia dell’uomo prima che sia lei a cancellare l’uomo dalla storia».

C’è dunque bisogno di prendere sul serio il grido, l’appello del Papa: è un invito rivolto proprio ai politici a riflettere su questo, a impegnarsi su questo. C’è bisogno di una politica forte e di una diplomazia creativa, per perseguire la pace, per non lasciare nulla di intentato, per fermare il vortice perverso che in poche settimane sta facendo tramontare le speranza di una transizione ecologica, sta ridando nuove energie al grande business del commercio e del traffico delle armi. Un vento di guerra che mettendo indietro le lancette dell’orologio della storia ci fa ripiombare in un’epoca che speravamo fosse stata definitivamente archiviata dopo la caduta del Muro di Berlino.

di ANDREA TORNIELLI




la cifra monstre di 25,8 miliardi di euro per le armi

assurdo con la complicità di tutti i partiti

spesa militare italiana da record

nel 2022 sfiorati i 26 miliardi di euro

i dati dell’Osservatorio Mil€x rivelano che nel 2022 la spesa militare italiana tocca la cifra monstre di 25,8 miliardi di euro. I nuovi armamenti segnano il record storico di 8,3 miliardi di euro. Mentre i premi Nobel propongono il disarmo. Eppure continua il silenzio assordante di politici e media mainstream

Lo aveva annunciato e l’ha subito fatto. «Ci dobbiamo dotare di una difesa molto più significativa e bisognerà spendere molto di più di quanto fatto finora», aveva detto Mario Draghi lo scorso 29 settembre durante la conferenza stampa sulla “Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza” (Nadef), il primo passo in vista dell’elaborazione della legge di bilancio.

Spesa militare: un 2022 da record

Ed ecco che la spesa militare prevista per l’anno prossimo supererà il muro dei 25 miliardi di euro (25,8 miliardi). Lo rivela uno studio dell’Osservatorio Milex sul bilancio previsionale dello Stato per il 2022.

«Il Bilancio del Ministero della Difesa per il 2022 – riporta Milex – sfiora i 26 miliardi di euro con un aumento di 1,35 miliardi, ma vanno poi aggiunti gli stanziamenti di altri ministeri».

Dal 2017 la spesa militare italiana ha continuato a crescere soprattutto per l’acquisto di nuovi armamenti: sono ben 8,3 miliardi di euro stanziati nel 2022, un miliardo in più rispetto al 2021 ed un record storico.

L’Italia ha nuovi programmi di riarmo

Nei mesi scorsi il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, ha infatti sottoposto all’approvazione del Parlamento un numero senza precedenti di programmi di riarmo: diciotto, di cui ben tredici di nuovo avvio, per un valore già approvato di 11 miliardi di euro e un onere complessivo previsto di 23 miliardi.

La parte del leone è dell’aeronautica militare con programmi per oltre 6 miliardi di euro. C’è di tutto: dai fondi per il nuovo caccia Tempest (2 miliardi dei 6 previsti), che si aggiungerà agli F-35, ai nuovi eurodroni classe Male; dagli aerei Gulfstream per la guerra elettronica alle nuove aerocisterne per il rifornimento in volo. Una grossa fetta della torta è destinata alle nuove batterie missilistiche antiaeree per missili Aster (2,3 miliardi di euro) e ai nuovi blindati Lince: ben 3.600 rimpiazzeranno i 1.700 già in dotazione all’esercito.

Nuovi armamenti: record di spesa militare italiana

Non solo. La scorsa settimana – riporta ancora l’Osservatorio Milex – il ministero della Difesa ha richiesto alle commissioni Difesa di Camera e Senato l’approvazione di otto nuovi programmi di riarmo tra cui spiccano due nuovi cacciatorpedinieri lanciamissili classe Orizzonte da circa 1,2 miliardi l’uno che saranno prodotti da Fincantieri.

Fanno riferimento alla Marina anche il programma per la nave supporto per le operazioni subacquee degli incursori del Comsubin da 35 milioni, una trentina di blindati anfibi 8×8 da sbarco di Iveco e Oto Melara da 10 milioni l’uno e altrettanti gommoni armati da sbarco dal prezzo unitario di quasi un milione e mezzo.

Si tratta di programmi targati ancora “SMD 2021”, cioè relativi al 2021: annata che straccia ogni record storico con ben 31 richieste presentate per un valore complessivo finanziato di oltre 15 miliardi di euro e in proiezione un onere complessivo di oltre 30 miliardi di euro.

Leggi anche:
• Armi all’Egitto: l’Italia continua a venderle, ma manca collaborazione per Regeni 
• Commercio di armi: cinque anni di vendite folli a chi calpesta i diritti umani 

spesa militare italia
Anfibio 8×8 dell’Iveco – Foto di pubblico dominio (via Wikimedia Commons)

Italia al comando della missione in Iraq

Nel frattempo, il ministero delle Difesa è in procinto di incrementare il contingente militare in Iraq per poter assumere il comando della missione della Nato: trasformerà la partecipazione militare italiana in una vera operazione di combattimento rispetto a quella che finora era solo una presenza per la difesa di aree sensibili e per l’addestramento dell’esercito iracheno.

Per adempiere al nuovo compito i vertici militari si sono affrettati a chiedere di poter armare i droni Reaper con missili aria-terra e bombe a guida laser – trasformandoli così da semplici ricognitori a veri bombardieri – e di dotarsi di una flotta di Hero-30, i cosiddetti “droni kamikaze” che si autodistruggono nel colpire l’obiettivo.

I veri scopi delle missioni militari

Missione militare il cui vero scopo è quello di proteggere gli interessi delle multinazionali del petrolio e del gas. Come ha rivelato una ricerca di Greenpeace, due terzi delle spese delle operazioni militari all’estero dei paesi europei riguardano la difesa di fonti fossili: l’Italia negli ultimi quattro anni ha speso 2,4 miliardi di euro nelle missioni militari collegate a piattaforme estrattive, oleodotti e gasdotti che riguardano l’Eni.

Del resto il ministero della Difesa non nasconde più, come faceva in passato, il desiderio di «disporre di uno Strumento militare in grado di esprimere le capacità militari evolute di cui il Paese necessita per tutelare i propri interessi nazionali»: lo riporta la “Direttiva per la politica industriale della Difesa” emanata dal ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, lo scorso 29 luglio.

Leggi anche:
• Eni: tutti gli articoli sul processo Eni Nigeria pubblicati da Osservatorio Diritti
• Multinazionali in Africa: lo sfruttamento che spiega perché è così povera

spesa militare italiana
Fonte: Osservatorio Mil€x

Il silenzio omertoso dei politici nazionali

Programmi di riarmo e missioni militari che meriterebbero un ampio confronto pubblico, oltre che nelle aule parlamentari, perché rivelano un radicale cambiamento della politica estera e di difesa dell’Italia.

Invece, tranne qualche rara voce, tutto tace. Un silenzio omertoso avvolge, ormai da anni, le decisioni che riguardano le spese militari e i programmi di armamenti e coinvolge non solo il mondo della politica, ma anche la quasi totalità dell’informazione nazionale, soprattutto quella televisiva.

Spesa militare mondiale raddoppiata dal 2000: ecco una “semplice proposta per l’umanità”

Non è un caso, quindi, che anche l’appello di cinquanta premi Nobel e scienziati, tra cui Carlo Rubbia e Giorgio Parisi, abbia trovato l’ennesimo silenzio dei leader politici italiani. L’appello chiede ai governi di tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite di avviare trattative per una riduzione concordata della spesa militare del 2% ogni anno per cinque anni.

«La spesa militare, a livello globale, è raddoppiata dal 2000 ad oggi, arrivando a sfiorare i duemila miliardi di dollari all’anno»scrivono i Nobel. «Il meccanismo della controreazione alimenta una corsa agli armamenti in crescita esponenziale che equivale a un colossale dispendio di risorse che potrebbero essere utilizzate a scopi migliori».

Da qui la loro “Semplice proposta per l’umanità” che può essere sottoscritta anche da semplici cittadini (qui il link per firmare). Un piccolo segno, forse, ma necessario almeno per far sentire ai rappresentanti politici nazionali che è tempo di cominciare a dire anche qualche “Signor No!”.




c’è da sperare che il delirio delle armi non arrivi anche da noi …

fucili e corone di pallottole

quando il culto delle armi arriva in chiesa

gli adepti della setta del reverendo Moon considerano le armi un diritto dato da Dio per tutelare il genere umano

Armi in chiesa

armi in chiesa

La vergogna di un paese di un c’è un culto perfino religioso delle armi: così molti fedeli si sono presentati in chiesa con l’Ar-15, il fucile semiautomatico prodotto dalla compagnia statunitense Armalite e usata da Nikolas Cruz per compiere la strage nel liceo di Parkland.
Ma il fucile è considerato anche il simbolo della “verga di ferro” citata nel Libro dell’Apocalisse, secondo l’Associazione Spirituale per l’Unificazione del Mondo Cristiano (o Chiesa dell’unificazione, come è più nota a livello mondiale).
Per questo motivo i fedeli di questo credo (fondato dal reverendo coreano Sun Myung Moon, morto nel 2012) sono stati incoraggiati a portalo con sé nella cerimonia di rinnovo dei voti nuziali che ha avuto luogo mercoledì a Newfoundland, in Pennsylvania. Sposi e spose si sono presentati in massa: reggevano gli AR-15 e il capo di molti di loro era circondato da una corona metallica, in alcuni casi una corona fatta di pallottole.
Le armi erano scariche: un addetto alla porta le ha controllate tutte scrupolosamente. Uno dei vertici dell’Associazione ha puntualizzato alla stampa americana che si trattava di benedire le coppie e non «gli oggetti inanimati» considerandoli tuttavia dei semplici «corredi religiosi». Ma ovviamente non è v




p. Zanotelli indignato per l’economia di guerra di Italia ed Europa

è questo il nostro Natale di pace?

 Alex Zanotelli

sono indignato davanti a quest’Italia che si sta sempre più militarizzando

 

Lo vedo proprio a partire dal Sud, il territorio economicamente più disastrato d’Europa, eppure sempre più militarizzato. Nel 2015 è stata inaugurata a Lago Patria (la parte della città metropolitana di Napoli) una delle più importanti basi NATO d’Europa, che il 5 settembre scorso è stata trasformata nell’Hub contro il terrorismo (centro di spionaggio per il Mediterraneo e l’Africa). Sempre a Napoli, la famosa caserma della Nunziatella è stata venduta dal Comune di Napoli per diventare la Scuola Europea di guerra, come vuole la Ministra della Difesa F. Pinotti.

Ad Amendola (Foggia), è arrivato lo scorso anno il primo cacciabombardiere F-35 armabile con le nuove bombe atomiche B 61-12. In Sicilia, la base militare di Sigonella (Catania) diventerà nel 2018 la capitale mondiale dei droni. E sempre in Sicilia, a Niscemi (Trapani) è stato installato il quarto polo mondiale delle comunicazioni militari, il cosidetto MUOS.

Mentre il Sud sprofonda a livello economico, cresce la militarizzazione del territorio (forse, non è per caso che così tanti giovani del Sud trovino poi rifugio nell’Esercito italiano per poter lavorare!).

Ma anche a livello nazionale vedo un’analoga tendenza: sempre più spese in armi e sempre meno per l’istruzione, sanità e welfare. Basta vedere il Fondo di investimenti del governo italiano per i prossimi anni per rendersene conto. Su 46 miliardi previsti, ben 10 miliardi sono destinati al ministero della Difesa: 5.3 miliardi per modernizzare le nostre armi e 2.6 per costruire il Pentagono italiano ossia un’unica struttura per i vertici di tutte le nostre forze armate, con sede a Centocelle (Roma).

L’Italia, infatti, sta investendo sempre più in campo militare sia a livello nazionale, europeo e internazionale. L’Italia sta oggi spendendo una barca di soldi per gli F-35, si tratta  di 14 miliardi di euro!

Questo, nonostante che la Corte dei Conti abbia fatto notare che ogni aereo ci costerà almeno 130 milioni di euro contro i 69 milioni previsti nel 2007. Quest’anno il governo italiano spenderà 24 miliardi di euro in Difesa, pari a 64 milioni di euro al giorno. Per il 2018 si prevede un miliardo in più.

Ma è ancora più impressionante l’esponenziale produzione bellica nostrana: Finmeccanica (oggi Leonardo) si piazza oggi all’ottavo posto mondiale. Lo scorso anno abbiamo esportato per 14 miliardi di euro, il doppio del 2015!

Grazie alla vendita di 28 Eurofighter al Kuwait per otto miliardi di euro, merito della ministra Pinotti, ottima piazzista d’armi. E abbiamo venduto armi a tanti Paesi in guerra, in barba alla legge 185 che ce lo proibisce. Continuiamo a vendere bombe, prodotte dall’azienda RMW Italia a Domusnovas (Sardegna), all’Arabia Saudita che le usa per bombardare lo Yemen, dov’è in atto la più grave crisi umanitaria mondiale secondo l’ONU (tutto questo nonostante le quattro mozioni del Parlamento Europeo!) L’Italia ha venduto armi al Qatar e agli Emirati Arabi con cui quei Paesi armano i gruppi jihadisti in Medio Oriente e in Africa (noi che ci gloriamo di fare la guerra al terrorismo!). Siamo diventati talmente competitivi in questo settore che abbiamo vinto una commessa per costruire quattro corvette e due pattugliatori per un valore di 40 miliardi per il Kuwait.

Non meno preoccupante è la nostra produzione di armi leggere: siamo al secondo posto dopo gli USA! Sono queste le armi che uccidono di più! E di questo commercio si sa pochissimo.

Quest’economia di guerra sospinge il governo italiano ad appoggiare la militarizzazione dell’UE. È stato inaugurato a Bruxelles il Centro di pianificazione e comando per tutte le missioni di addestramento, vero e proprio quartier generale unico. Inoltre, la Commissione Europea ha lanciato un Fondo per la Difesa che, a regime, svilupperà 5,5 miliardi d’investimento l’anno per la ricerca e lo sviluppo industriale nel settore militare.

Questo fondo, lanciato il 22 giugno, rappresenta una massiccia iniezione di denaro pubblico nell’industria bellica europea. Sta per nascere la “PESCO-Cooperazione strutturata permanente” dell’UE nel settore militare (la Shengen della Difesa!).

“Rafforzare l’Europa della Difesa – afferma la Mogherini, Alto Rappresentante della UE, per gli Affari Esteri- rafforza anche la NATO”.

La NATO, di cui l’UE è prigioniera, è diventata un mostro che spende 1000 miliardi di dollari in armi all’anno. Trump chiede ora ai 28 Paesi membri della NATO di destinare il 2% del Pil alla Difesa. L’Italia ne destina 1,2 %. Gentiloni e la Pinotti hanno già detto di Sì al diktat di Trump. Così l’Italia arriverà a spendere100 milioni al giorno in armi. E la NATO trionfa, mentre è in forse il futuro della UE. Infatti, è la NATO che ha forzato la UE a creare la nuova frontiera all’Est contro il nuovo nemico, la Russia, con un imponente dispiegamento di forze militari in Ucraina, Polonia, Romania, Bulgaria, in Estonia, Lettonia e con la partecipazione anche dell’Italia.

La NATO ha stanziato 17 miliardi di dollari per lo “Scudo anti-missili”. E gli USA hanno l’intenzione di installare in Europa missili nucleari simili ai Pershing 2 e ai Cruise (come quelli di Comiso). E la Russia sta rispondendo con un altrettanto potente arsenale balistico.

Fa parte di questo piano anche l’ammodernamento delle oltre duecento bombe atomiche B-61, piazzate in Europa e sostituite con le nuove B 61-12. Il ministero della Difesa ha pubblicato in questi giorni sulla Gazzetta Ufficiale il bando di costruzione a Ghedi (Brescia) di nuove infrastrutture che ospiteranno una trentina di F-35 capaci di portare cadauno due bombe atomiche B61-12. Quindi, solo a Ghedi potremo avere sessantina di B61-12, il triplo delle attuali! Sarà così anche ad Aviano? Se fosse così, rischiamo di avere in Italia una forza atomica pari a 300 bombe atomiche di Hiroshima! Nel silenzio più totale!

Mai come oggi, ci dicono gli esperti, siamo vicini al “baratro atomico”. Ecco perché è stato provvidenziale il Trattato dell’ONU, votato il 7 luglio scorso, che mette al bando le armi nucleari. Eppure l’Italia non l’ha votato e non ha intenzione di votarlo. È una vergogna nazionale.

Siamo grati a papa Francesco per aver convocato un incontro, lo scorso novembre, in Vaticano sul nucleare, proprio in questo grave momento in cui il rischio di una guerra nucleare è alto e per il suo invito a mettere al bando le armi nucleari.

Quello che non riesco a capire è l’incapacità del movimento della pace a mettersi insieme e scendere in piazza a urlare contro un’Italia e Unione Europea che si stanno armando sempre di più, davanti a guerre senza numero, davanti a un mondo che rischia l’olocausto nucleare. Eppure in Italia c’è una straordinaria ricchezza di gruppi, comitati, associazioni, reti che operano per la pace. Ma purtroppo ognuno fa la sua strada.

E come mai tanto silenzio da parte dei vescovi italiani? E che dire delle parrocchie, delle comunità cristiane che si apprestano a celebrare la nascita del “Principe della Pace?”

“Siamo vicini al Natale – ci ammonisce papa Francesco – ci saranno luci, ci saranno feste, alberi luminosi, anche presepi… tutto truccato: il mondo continua a fare guerra!”.

Oggi più che mai c’è bisogno di un movimento popolare che contesti radicalmente questa economia di guerra.

 

 




la ‘giornata mondiale dei poveri’ e le enormi spese per le armi

disarmo integrale

l’impegno per la pace deve diventare prassi pastorale

Succede spesso. Lo dobbiamo ammettere. Spesso si fanno i convegni, si torna contenti e soddisfatti. E i documenti finiscono nel cassetto… Credo che non si possa dire così della conferenza a cui ho partecipato lo scorso 10-11 novembre “Prospettive per un mondo libero delle armi nucleari e per un disarmo integrale”, promossa dal Dicastero vaticano per il servizio dello sviluppo umano integrale. Questo incontro che ha ribadito con fermezza un “no” alle armi nucleari ha avuto un grosso stimolo proprio da Papa Francesco che, ricevendo in udienza i circa 350 partecipanti, ha detto:

“Anche considerando il rischio di una detonazione accidentale di tali armi per un errore di qualsiasi genere, è da condannare con fermezza la minaccia del loro uso, nonché il loro stesso possesso, proprio perché la loro esistenza è funzionale a una logica di paura che non riguarda solo le parti in conflitto, ma l’intero genere umano”.

Il testo integrale del discorso del Papa è facilmente reperibile su Internet. Ora sta a tutti noi, non solo ai partecipanti al convegno, dare gambe e tradurre in scelte questa “condanna” di Francesco, che si inserisce in un cammino più grande del magistero della Chiesa, dalla Pacem in Terris, alla Gaudium et Spes.

Sappiamo bene come il tema della pace, declinato come “no” alla guerra, alla produzione e vendita armi (vedi messaggio alla Settimana sociale di Cagliari) siano un punto fisso del magistero di Francesco. E sappiamo che l’Italia non ha aderito al Trattato firmato lo scorso 7 luglio all’Onu. Dobbiamo chiedere con forza al governo italiano di aderire! E sappiamo anche che sul territorio italiano a Ghedi e ad Aviano sono presenti decine  di testate nucleari ben più potenti di quelle di Hiroshima. 

Il lavoro non manca e il convegno appena concluso è una tappa, fondamentale, di un cammino già iniziato sia dalla Santa Sede sia da tutte quelle persone, gruppi, movimenti e associazioni che da anni si impegnano per un disarmo nucleare e integrale, per un mondo libero dalle armi.

Non a caso erano presenti 11 premi Nobel, compresa la rappresentante di Ican, premio Nobel per la pace 2017. Una tappa. Ma non un traguardo raggiunto. Il cammino continua. Per questo il convegno non va archiviato. Ma deve diventare spunto per una ripresa del cammino anche nelle scelte pastorali. Spesso questi temi sono assenti dai dibattiti delle nostre parrocchie. Non sono temi affrontati nelle catechesi, negli incontri di riflessione e formazione. Spesso si rischia di dire che Papa Francesco dice delle belle cose… Ma poi lo si lascia solo. Ecco allora che ognuno deve proseguire questo percorso nella propria realtà e nel proprio territorio.

L’impegno per la pace – la denuncia delle armi nucleari – deve diventare prassi pastorale. Non può restare un impegno di nicchia solo per qualcuno. La pace deve diventare l’impegno di tutti i credenti… Ben sapendo che “Cristo è la nostra pace”.

 

“Le armi di distruzione di massa, in particolare quelle atomiche – ha affermato papa Francesco -, altro non generano che un ingannevole senso di sicurezza e non possono costituire la base della pacifica convivenza fra i membri della famiglia umana, che deve invece ispirarsi ad un’etica di solidarietà”. Non dimentichiamo che pochi giorni fa il Papa parlava di armi e guerra come di “suicidio dell’umanità”.

(*) coordinatore nazionale di Pax Christi




la vergogna del nostro parlamento con le mani sporche di sangue

un parlamento con le mani insanguinate

 

Tonio Dell’Olio

in Mosaico dei giorni

 

 

301 voti contrari e 120 a favore. La Camera dei Deputati ha respinto le richieste rivolte al Governo per bloccare la vendita di armi a Paesi in guerra o responsabili di violazioni dei diritti umani come peraltro disposto dalla legge 185/1990 e dal Trattato internazionale sul commercio delle armi.

http://www.mosaicodipace.it/mosaico/i/3053.html

 




allarme armi

“Italia a mano armata”. L'allarme di Famiglia Cristiana sulla proliferazione di armi da fuoco

“Italia a mano armata”

l’allarme di Famiglia Cristiana sulla proliferazione di armi da fuoco

da: Adista Notizie n° 14 del 08/04/2017
 

Sono 1.265.484 le licenze per armi rilasciate nel 2015 in Italia. Che siano state concesse per uso sportivo (con un aumento 18,5%), per caccia (l’aumento è del 12,4%) o per difesa personale (questo dato è leggermente in calo, forse perché per ottenere armi per difesa personale occorre motivarne la necessità), il dato allarmante resta la proliferazione di armi leggere da fuoco lungo tutto lo Stivale, alla quale si accompagna un numero inquietante di vittime – 4 al mese secondo l’OPAL, Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere e le politiche di difesa e sicurezza di Brescia – come per esempio i 23 femminicidi su 115 commessi nel 2016 con armi da fuoco legalmente detenute. A lanciare un grido d’allarme è il settimanale dei Paolini, Famiglia Cristiana, con un’inchiesta pubblicata sul numero 13/2017, in edicola il 23 marzo, dal titolo “Italia a mano armata. Troppe pistole e licenze ‘facili’”.

A fare il punto della situazione, in un Paese il cui sport nazionale sembra ormai la caccia, Giorgio Beretta (analista dell’OPAL), Fausto Cardella (magistrato, procuratore generale a Perugia) e Marco Bruniera (dirigente della sezione di Treviso del Tiro a Segno Nazionale), a colloquio con i giornalisti Eugenio Arcidiacono ed Elisa Chiari.

Il fornaio di Vasto che si è vendicato di un pirata della strada che aveva investito e ucciso la moglie, il ristoratore lodigiano che ha sparato ad un ladro, la violenza femminicida di un viterbese che ha colpito la ex e si è poi tolto la vita con la stessa arma, il ventenne di Giaveno (To) che durante una rissa estrae la pistola del padre e uccide un motociclista: sono solo alcuni casi recenti di omicidi commessi con armi legalmente detenute, concesse senza troppi complimenti e fuori dal controllo delle questure, che non riescono a monitorare costantemente e capillarmente: «Dal nostro database – afferma Beretta – emerge che solo l’omicidio commesso dal ristoratore di Lodi sarebbe riconducibile alla legittima difesa: tutti gli altri sono femminicidi, vendette, conseguenze di liti familiari». È del tutto evidente, prosegue Beretta, «che per uccidere o uccidersi ci sono molti altri modi oltre le armi da fuoco, ma l’alto numero di casi di omicidi e di suicidi commessi da chi le deteneva ufficialmente non per uso personale, ci porta a dire che forse ci vorrebbe una legislazione più restrittiva», in particolar modo sulle licenze per caccia e sport, che rappresentano un escamotage per chi intende acquistare un’arma per difesa personale e che vengono concesse con troppa leggerezza: basta presentare un certificato medico e un attestato di idoneità rilasciato del Tiro a Segno Nazionale. Una seria riforma della legislazione, spiega l’analista dell’OPAL, dovrebbe ridurre da sei a due anni la licenza per sport e caccia, poi dovrebbe ridurre drasticamente il numero di armi detenute consentite, dovrebbe inoltre rendere obbligatorio un sistema di controllo sull’effettivo uso che si fa di queste armi e poi dovrebbe costringere lo “sportivo” o il “cacciatore” a comunicare alla famiglia la presenza di armi in casa, cosa che l’attuale legislazione non prevede.

A stuzzicare il dibattito nell’opinione pubblica, in seguito ad alcuni casi di attualità, è stata la proposta di estendere la legittima difesa, oggi regolamentata in maniera stringente dall’art. 52 del Codice Penale, secondo il quale la difesa, per essere legittima, deve essere proporzionata al pericolo e che il pericolo sia effettivamente in atto. Su questo argomento, sul ddl in Senato che prevede l’innalzamento delle pene per reati di rapina e furto in appartamenti, e sul delicato rapporto tra sicurezza, autodifesa e diffusione di armi, Famiglia Cristiana ha discusso con il magistrato Cardella, secondo il quale «una società è più sicura quando a maneggiare le armi sono le persone deputate a farlo per mestiere e per dovere». «Ci si dimentica troppo spesso di valutare che l’arma aumenta il pericolo per chi la impugna: anche un ladro può sentirsi legittimato a sparare per salvarsi la vita e di solito dei due è il più pratico di armi». La responsabilità politica di chi invita ad allargare l’uso di armi per “legittima” difesa è grande e grave, sembra affermare tra le righe il procuratore, fermo sostenitore della prevenzione con strumenti passivi, come l’antifurto e la vigilanza privata. Insomma, «la difesa spetta allo Stato» e detenere armi crea più problemi di quelli che si crede di risolvere: «Quante volte accade – conclude Cardella – che l’arma regolarmente detenuta è servita a far finire in tragedia una relazione degenerata o una lite tra vicini? Ha senso temere il terrorismo dei lupi solitari senza preoccuparsi delle conseguenze di un’arma in mano a chiunque?».