il futuro della chiesa finita la ‘cristianità’

la rinascita del cristianesimo

di Enzo Bianchi

 

Il cardinal Matteo Zuppi, nella prolusione al Consiglio permanente della Cei, con sguardo realista ma non angosciato ha evocato le parole più volte ripetute da Benedetto XVI che descrivevano la chiesa di oggi come “una realtà più piccola, più povera, quasi catacombale, ma anche più santa.
La rinascita sarà opera di un piccolo resto, apparentemente insignificante eppure indomito, rinato attraverso un processo di purificazione. Contro il male resisterà il piccolo gregge”.
Sì, ormai è riconosciuto da tutti che la cristianità è finita e che la chiesa, almeno in Occidente, è ridotta a minoranza in diaspora. Questo però, ha precisato Zuppi, non significa che non debba essere una chiesa di popolo, anzi è importante rifuggire ogni logica elitaria.
Questa speranza efficace dovrebbe abitare il cuore dei cristiani e fugare ogni timore di fronte a un dato di fatto da accettare: essere diventati una minoranza. Ciò che è decisivo, in realtà, è che la minoranza sia significativa, portatrice di una bella notizia per l’umanità di oggi. Nella storia sovente sono state le minoranze a determinarne il futuro, in quanto capaci di sollecitare un cambiamento urgente per la convivenza. Certo, se guardiamo all’oggi con occhi paralizzati dalla presenza
dell’oscurità, allora finiamo per sentirci gli ultimi cristiani. Nella Bibbia i profeti alzavano la voce per denunciare l’incredulità e l’idolatria dei contemporanei. Gesù stesso chiamò “generazione adultera e malvagia” coloro in mezzo ai quali viveva e predicava.
Sempre nella storia ritroviamo condanne dell’infedeltà e della mancanza di fede, ma anche  espressioni di smarrimento di fronte ai mutamenti, reazioni che ci appaiono oggi più che mai vicine  a quelle che si registrano nel nostro tempo. Anselmo di Havelberg intorno al 1160 scriveva: “Molti
si stupiscono, s’interrogano e s’indignano: perché tante novità nella chiesa? Chi non sarà  scandalizzato e contrariato da questi cambiamenti, queste novità?”. E quattro secoli dopo Teresa d’Avila: “Non ho ancora cinquant’anni e ho visto tanti cambiamenti nella chiesa che non so più
come vivere. Come andrà a finire? Preferisco non pensarci! Cosa diventeranno questi giovani non oso immaginarlo!”.
Nel secolo scorso il cardinal Verdier, alla vigilia della seconda guerra mondiale, osava scrivere: “Il mondo oggi subisce una crisi di cui non si sa esagerare la gravità! Siamo ormai sull’orlo dell’abisso.
Dai giorni del diluvio non c’è stata una crisi spirituale così profonda!”.
Leggere queste testimonianze ci deve mettere in guardia e indurci a ripensare alle nostre previsioni oggi così negative sulla chiesa.
Manchiamo di sapienza e non abbiamo fondamenti per sperare che sempre il cristianesimo non fa che rinascere. Muta la maniera di viverlo, cambiano le chiese che lo professano e a volte lo tradiscono… Ma il Vangelo come brace sotto la cenere è fuoco che rinasce e brucia il cuore di un piccolo resto, che ha una sola forza: il non temere!

i contrasti dentro la chiesa cattolica e l’opposizione a papa Francesco

“la chiesa divisa”
di Enzo Bianch

Questi sono giorni in cui emergono in modo molto più evidente i contrasti, le conflittualità e le “guerre” all’interno della chiesa cattolica. La morte di Benedetto XVI, l’incauta rivelazione postuma di alcune delle sue parole e dei suoi sentimenti da parte del segretario particolare e lo svelamento dell’identità dell’autore del memoriale attribuito al Cardinal Pell – vero grido di allarme sulla situazione della chiesa –, sono fatti che hanno scosso e scuotono i credenti quotidiani, che non sempre comprendono la materia diventata tanto conflittuale, ma soffrono di questa situazione così nuova per “la gente cattolica”, in balìa del chiacchiericcio delle sacrestie e delle denunce fatte dai media.

L’esito – va detto – non sarà il tanto temuto e paventato “scisma” di una porzione di cattolici, perché questo non è più tempo di fondazioni, ma sarà un silenzioso abbandono della chiesa da parte di molti che si sentono frustrati, stanchi e sovente amareggiati da tante liti fraterne che si consumano con schizofrenia ipocrita: da un lato una corsa al dialogo con i non cattolici, con i credenti delle altre religioni, e si realizzano cooperazioni tra chiese mai viste nella storia del cristianesimo; dall’altro lato c’è intolleranza, non sopportazione di chi, pur cattolico, condivide la stessa fede con uno stile diverso nella liturgia o nel modo di collocarsi nel mondo. Qui la lotta, l’antagonismo sono feroci con delegittimazione reciproca e impossibilità di riconoscere la fraternità che pure ha fondamento nell’unico battesimo.

In una vita ecclesiale così attraversata da polarizzazioni c’è però una novità: gli attacchi, il rigetto, l’insulto verso il papa, attualmente Francesco. La critica al papa era già presente nella chiesa degli ultimi tempi, critica aperta almeno dal pontificato di Paolo VI e poi dei suoi successori, ma le accuse o erano morali (e a tanto si giunse con l’integro papa Montini!), o erano critiche per il governo. Con Papa Francesco invece gli attacchi sono diretti alla sua fede, viene attaccato proprio quello che è il suo carisma: confermare nella fede i fratelli, e si arriva fino alla delegittimazione e all’insulto.

Perché ci si spinge fino ad affermazioni che lo dicono papa eretico, idolatra della dea pagana Pachamama, un papa che distrugge la chiesa? C’è una sola risposta: perché papa Francesco ha osato e osa essere solo un servo del Signore, un cristiano obbediente unicamente all’Evangelo, un esperto di umanità, un uomo che non ha paura dei potenti di questo mondo! Quanto più Francesco fa apparire il Vangelo nella sua nudità tanto più scatenerà le potenze avverse contro di lui e contro la chiesa della quale è al servizio della quale è pastore e servo della comunione.

Nessuna adulazione! Anche papa Francesco, come ogni uomo, ha i suoi difetti, il suo carattere che può non piacere, il suo modo di parlare che può essere più o meno attraente, il suo modo di governare la chiesa che può essere criticato, ma per i cattolici è il successore di Pietro, è colui per il quale Gesù ha assicurato di pregare, è l’uomo fragile e limitato che va giudicato solo per come annuncia il Vangelo e presiede alla comunione plurale della chiesa. Lo sappiamo dai Vangeli: colui che è la “Pietra”, cioè il fondamento della fede, può diventare un fuscello, ma sappiamo anche che ci sarà un gallo che canterà e lo richiamerà.

a proposito del declino vistoso del cristianesimo nel mondo europeo

il cristianesimo: religione o ‘via’ e ‘sequela’?

di E. Bianchi

E. BIANCHI

Un monaco benedettino, vero fratello e amico, raffinato teologo e letterato riconosciuto per i suoi scritti anche poetici, François Cassingena-Trévedy, nel suo ultimo libro scritto nella condizione di esilio dal suo monastero confessa di “restare in contatto costante con la sua chiesa e la sua epoca” della quale mette in luce un evento importante: “l’affondamento di tutto un paesaggio religioso”. Anch’io come cristiano devo confessare che ciò che mi turba di più nella vicenda della fede è questo affondamento, che si potrebbe chiamare “implosione”, del cattolicesimo, questo declino vistoso del cristianesimo, almeno nel nostro mondo, l’Europa!
Per un cattolico che si è affacciato alla maturità della vita con l’orizzonte di una promettente primavera, annunciata soprattutto dall’avvento di Papa Giovanni e del concilio da lui voluto, non è facile assistere oggi a questo tramonto che non è solo fine della cristianità, ma è anche spoliazione di una chiesa attualmente visibile solo più sotto forma di minoranza e in cammino verso la diaspora.
Non credo che quanti hanno nutrito una grande speranza di riforma della chiesa e del suo stare nella storia, nella compagnia degli umani, volessero una chiesa trionfante e più grande: il desiderio era di vivere in una chiesa capace di ascolto dell’umanità, e talmente convinta del primato del Vangelo da assumerne lo stile, la prassi e lo spirito. Ma non è stato così!
Certamente oggi la chiesa cattolica è umiliata dalla sue contraddizione al Vangelo che emergono come scandali soprattutto finanziari e violazioni della dignità della persona umana: ma proprio a partire da questa umiliazione sarà possibile che diventi umile? Oggi alla chiesa è impedito di essere domina nella storia: ma è davvero capace di accoglierlo come beatitudine? Siamo consapevoli che grazie al cammino sinodale voluto da Papa Francesco emergono dal popolo di Dio in modo inedito domande di riforma: ma la chiesa si mostrerà ancora una volta irriformabile?
Ogni giorno nelle diverse chiese si vivono scandali che causano non solo disaffezione, ma anche abbandono della comunità cristiana e tutti siamo testimoni della crescita esponenziale di chiese chiuse, chiese vuote, assemblee nelle quali appaiono solo più teste bianche… La spoliazione che sta avvenendo è vistosa e fa soffrire, ma siamo ancora lontani dal leggerla nella sua forma evangelica. Non è solo questione di povertà, di rifiuto della ricchezza e di condivisione con i poveri: occorre che la chiesa si faccia povera di potere mondano, si spogli del potere giuridico, sieda alla tavola dei peccatori semplicemente seguendo Gesù e frequentando come lui i sofferenti, i bisognosi, gli scarti della società. La chiesa deve sentirsi una “via”, quale la professavano i primi cristiani, e pensarsi nella forma della “sequela”, non in quella di una religione.
Allora vi sarà la conversione del cattolicesimo alla cattolicità e verrà meno il rischio di un cattolicesimo senza cristianesimo, di una religione teista condannata oggi all’autoreferenzialità, a fallaci tentativi di autoconservazione, occupandosi di sé stessa senza un’attesa messianica che gli dia vigore e scacci ogni paura . Allora il Vangelo – come Buona notizia che la morte non ha l’ultima parola perché Gesù Cristo, che è l’amore vissuto all’estremo per l’umanità, l’ha vinta – non resterà più afono e potrà risuonare limpidamente in comunità minoritarie ma significative.
Crolla il paesaggio religioso, ma sotto la cenere resta la brace della fede e – come diceva Aleksandr Men’, la fede cristiana non fa che rinascere.

il natale è nonostante tutto festa di speranza

 

la speranza del Natale

di Enzo Bianchi

 

Se il Natale ha un significato cristiano è questo: non è solo una festa per Gesù che nasce, ma è una festa per il Messia che viene a reintegrare nella pienezza della vita tutti quelli che ne sono privi. Natale è festa di speranza per tutti quelli che, cristiani o non cristiani, vogliono che il mondo cambi.

Nel sapiente e poetico testo di Antoine de Saint-Exupéry, la volpe dice al principe: “Ci vogliono i riti, ovvero ciò che rende un giorno diverso da altri giorni, un’ora diversa da altre ore”. Proprio per questo, vicini al Natale, la festa più celebrata nel nostro occidente, nelle notti più lunghe dell’anno noi cerchiamo di rendere luminosi questi giorni con migliaia di luci che dovrebbero creare un’atmosfera “altra”, gioiosa, nelle nostre città e nelle nostre case.
Le luminarie erano già presenti al tempo dei romani, prima che il cristianesimo si impadronisse di questa ricorrenza del “sole invincibile” per farne la memoria della nascita di Gesù, il Salvatore dei
cristiani, confessato come “sole che non tramonta” e “luce del mondo”. Natale è festa della luce che vince le tenebre, simbolo di un evento desiderato da gran parte dell’umanità: accendere molte luci è
affermare che le tenebre non riescono a sopraffare la luce, è invito a fare festa insieme.
Si diceva nei mesi scorsi che quest’anno, a causa della crisi energetica, non ci sarebbero stati i soliti addobbi luminosi nelle città anche come segno di solidarietà con quelli che soffrono il freddo, soprattutto in Ucraina. Ma poi tutto è stato predisposto come gli altri anni forse perché non sappiamo essere conseguenti con le emozioni che proviamo, e forse perché far festa anche nei giorni cattivi ci può aiutare ad aprire l’umile speranza di un orizzonte luminoso.
Questo Natale arriva come un Natale di guerra, nel quale ci sono tutti i segni che la pandemia non è sconfitta, in un’ora di grave crisi politica nel nostro paese per la mancanza di uomini e donne che abbiano senso di responsabilità, siano esperti dell’arte del governare, nutrano una visione sul futuro della nostra società e testimonino un’etica che sia in grado di contrastare ogni forma di corruzione.
In questi giorni non è facile festeggiare, a meno di restare superficiali, non vulnerabili dalle situazioni di sofferenza che sembrano cancellare ogni speranza. Ubriacati dal clima festoso non ci indigniamo più per la guerra in Ucraina, per i migranti che continuano a morire nel Mediterraneo e sulle fredde rotte europee, per l’oppressione delle donne in Iran, per i maltrattamenti subiti dai carcerati nelle nostre prigioni. Come si può celebrare Natale senza essere consapevoli di queste
realtà delle quali in certi casi siamo anche responsabili?
Mi rincuora il fatto che il Natale, per i cristiani, non dovrebbe essere la festa della nascita di Gesù: si festeggia il fatto che lui è il Veniente che viene a portare giustizia, liberazione, pace per tutte le vittime della storia, per tutti quelli che desiderano, invocano, attendono un cambiamento ! Se il Natale ha un significato cristiano è questo: non è solo una festa per Gesù che nasce, ma è una festa per il Messia che viene a reintegrare nella pienezza della vita tutti quelli che ne sono privi. Natale è festa di speranza per tutti quelli che, cristiani o non cristiani, vogliono che il mondo cambi.

la grande ‘delusione donna’ nella chiesa di papa Francesco

papa Francesco gela il mondo cattolico femminile che chiede parità di genere

«donne prete non previste»

di Franca Giansoldat

 Colpo basso di Papa Francesco alle donne cattoliche tedesche e a quella ampia fetta di sacerdoti e vescovi favorevoli al diaconato femminile, tra cui anche i vertici della conferenza episcopale. «Il principio petrino non prevede che una donna possa accedere al ministero ordinato» ha chiarito il Papa in una intervista ad America, il mensile dei gesuiti americani. Esattamente come hanno fatto i suoi predecessori – da Wojtyla a Ratzinger – anche Bergoglio ha sbarrato la strada ad ogni tipo di riforma, gelando le tante attese che le donne cattoliche tedesche si aspettavano dal pontefice definito sin dall’inizio un riformatore.

Papa Francesco gela il mondo cattolico femminile che chiede parità: «Donne prete non previste»

Sacerdozio femminile nella Chiesa cattolica, «E’ solo questione di tempo» dice il vescovo di Magonza

Papa Francesco ha anche motivato: «La Chiesa è donna. La Chiesa è una sposa. Non abbiamo sviluppato una teologia della donna che rifletta questo. Il principio petrino è quello del ministero. Ma c’è un altro principio ancora più importante, di cui non parliamo, che è il principio mariano, che è il principio della femminilità nella Chiesa, della donna nella Chiesa, dove la Chiesa vede uno specchio di se stessa perché è donna e sposa».

Donne prete, in Germania cresce il fronte cattolico contro il divieto Vaticano, stavolta sono i francescani tedeschi a pronunciarsi

Da tempo in Germania diversi vescovi, teologi, associazioni di cattolici sono decisi a portare avanti questa istanza all’interno del processo di riforma avviato tre anni fa con il cammino sinodale.  

Il presidente dei vescovi tedeschi, monsignor Georg Baetzing ha rassicurato che continuerà a fare pressioni affinchè il ruolo della donna nella Chiesa si possa rafforzare. Si tratta, ha detto, di una questione centrale per il futuro. «Ammettere le donne ai ministeri ordinati dovrà essere facilitato in qualche modo altrimenti il futuro della Chiesa in Germania è difficile da immaginare». Il riferimento di Baetzing riguarda l’emorragia dei cattolici che ogni anno lasciano la Chiesa, motivando questa decisione per la scarsa trasparenza delle strutture ecclesiali, per come sono finora stati affrontati i casi di abusi e per come vengono marginalizzate le donne senza che sia stata una vera parità.

In questo contesto piuttosto acceso c’è anche chi non ha mancato di fare affiorare le contraddizioni di questo pontificato. Per esempio la responsabile dell’organizzazione cattolica Bibelwerk, la teologa Katrin Brockmoeller, che analizzando il modo di predicare di Francesco e i suoi interventi non ha dubbi sulla sua misoginia di fondo. Brokmoeller, per esempio, ha ricordato che spesso il Papa, quando si rivolge al mondo religioso, tira in ballo le donne in modo che da far risuonare «automaticamente un’associazione negativa nei confronti del genere femminile».

Vaticano, match tra Papa e vescovi tedeschi finisce in pareggio: la rivoluzione per donne prete e coppie gay in Germania continua

«Siete uomini, comportatevi da uomini, non da zitelle». Un «linguaggio sprezzante nei confronti delle donne» ha affermato la teologa Brockmoeller. «Il pettegolezzo non è una caratteristica specifica del genere, ma ha a che fare con il carattere personale. Se voleva essere divertente, lo scherzo funzionava attraverso la svalutazione e la discriminazione e quindi non era divertente. Questo paragone è patriarcale e indegno del ruolo del Papa».

A dare manforte al mondo femminile tedesco c’è anche il vicepresidente della Conferenza episcopale tedesca, monsignor Franz-Josef Bode. L’obiettivo a lungo termine è di aprire il dibattito sull’ordinazione sacerdotale delle donne, ha aggiunto il vescovo.

questo papa anticapitalista, ecologista, anticlericalista, popolare e pacifista …

il papa anticapitalista e pacifista non piace più

di Daniela Ranieri
in “il Fatto Quotidiano” 

Ci viene il sospetto che il Papa non stia più tanto simpatico alla stampa padronale.

 Altrimenti non si spiega perché i suoi discorsi, le sue conferenze stampa dall’aereo, i suoi Angelus siano spariti da tutte le prime pagine per finire nei colonnini accanto ai problemi della ginnastica ritmica e all’ultimo best-seller di una influencer.
Si sa che il Papa è inviso alla destra salviniana di marca trumpiana, quella beghina dei rosari e del Sacro Cuore di Maria a cui consacrare le peggiori azioni nei confronti del prossimo, nel caso non sia maschio bianco caucasico, per il principale motivo che Bergoglio predica i valori del Vangelo anziché quelli dei teoconservatori americani. Anche la destra meloniana, quella di “Dio Patria e Famiglia”, non può apprezzare un Papa che predica l’accoglienza, avendo come principale preoccupazione la difesa della “tradizione” e dell’“identità” contro “l’islamizzazione dell’Europa”.
Basta leggere le cosiddette “Tesi di Trieste”, il manifesto ideologico di Fratelli d’Italia: qui un tessuto di destra purissima è impunturato con citazioni dal Vangelo (“Ama il prossimo tuo come te stesso”) per giustificare il principio “prima gli italiani”; “l’immigrazione non è un diritto, e la cittadinanza lo è ancora di meno”; il profugo “è un clandestino fino a prova contraria” e deve essere detenuto in un Cie e rimpatriato o meglio trattenuto a casa sua (come peraltro prevede la dottrina Minniti).
Ora ai conservatori complottisti che vedono il Papa come un alleato della “teoria gender”,
dell’omosessualità e del meticciato, cioè in definitiva di Satana, si aggiungono nuovi nemici silenziosi che – privi di apparato ideologico sovranista e anticonciliare – si limitano a ignorare quello che dice. Per quel centrosinistra che persegue da decenni le politiche neoliberiste che hanno ridotto sul lastrico milioni di persone (5,6 in povertà assoluta), che ha adottato la politica dei respingimenti facendo accordi con la Libia e che ha sposato appieno la linea bellicista Nato-Usa, Bergoglio è una spina nel fianco.
Domenica, pranzando con senzatetto, migranti, poveri adulti e bambini assistiti da Caritas,
Comunità di Sant’Egidio e Acli, il Papa ha fatto un identikit inequivocabile: “Non dobbiamo lasciarci ingannare. Non facciamoci incantare dalle sirene del populismo, che strumentalizza i bisogni del popolo proponendo soluzioni troppo facili e sbrigative. Non seguiamo i falsi messia che proclamano ricette utili solo ad accrescere la ricchezza di pochi”. Con la parola “ingannare” il Papa intende che c’è qualcuno che compie una torsione semantica per farci credere che la realtà sia diversa da quella che è. Ce l’ha con la parte politica che ha affermato la tesi per cui il soggetto sociale pericoloso per chi sta appena meglio è il reietto, non il detentore di privilegi. Questa parte politica non è solo la destra: il povero non è solo il migrante, ma anche il percettore di Reddito di cittadinanza, divenuto ormai il nemico pubblico numero uno per tutti i partiti tranne il M5S. Chi
“persegue la ricchezza dei pochi” non è solo il partito (trasversale) della flat tax, ma anche chi ha smantellato i diritti dei lavoratori per favorire imprese e padronati. Anche la parola “populista”, usata dal Papa, non deve fuorviare. Non sta dicendo che l’establishment mondialista e neoliberista sia meglio (la riprova: per i nostri liberali, alcuni dei quali editorialisti del Corriere, del Foglio etc., è il Papa argentino a essere un pericoloso “populista”, se non proprio un peronista anti-occidentale): sta dicendo che il populismo è un prodotto di quelle politiche. Il Papa dice che il traffico di esseri  umani e di armi vanno sempre di pari passo. Gli aguzzini libici che tengono la gente nei lager in cambio della moneta sonante dei nostri governanti “democratici” sono spesso gli stessi che smerciano armi. Per ciò ha smesso di essere simpatico anche ai lib-dem atlantisti, che dal 24
febbraio parlano solo il linguaggio dei tank e tifano per la marcia su Mosca. Quando disse: “Io mi sono vergognato quando ho letto che un gruppo di Stati si è compromesso a spendere il 2% del Pil per l’acquisto di armi, pazzi!”, il Papa ce l’aveva col governo Draghi e con chi aveva votato quella risoluzione. Quando disse che le guerre vengono fatte anche per “provare le armi”, diede un bel calcio sui denti agli esaltati difensori della democrazia e “dei nostri valori” per mezzo dei blindati Iveco (e non solo politici, ma anche editori e direttori di giornali). La sua frase “fabbricare armi è un commercio assassino” non dovrebbe toccare solo la coscienza del ministro della Difesa che fino a pochi giorni fa commerciava in armi, ma anche tutti quelli che tifano per l’escalation fino alle soglie
della guerra nucleare. Nessuna sorpresa, quindi, se questo papa anticapitalista, ecologista,
anticlericalista, popolare e pacifista finisca nel colonnino delle curiosità.

teologi e biblisti per una costituzione democratica per la chiesa

60 accademici sottoscrivono una costituzione democratica e inclusiva per la Chiesa

60 accademici sottoscrivono una costituzione democratica e inclusiva per la Chiesa

 da: Adista Notizie n° 36 del 22/10/2022  

Una nuova Costituzione della Chiesa che costituisca il fondamento delle sue leggi rivoluzionandone la struttura: è questo il contributo al Sinodo sulla Sinodalità offerto dal Wijngaards Institute for Catholic Research (WICR), think tank internazionale cattolico indipendente fondato nel 1983 dal teologo John Wijngaards (allora docente al Missionary Institute London), impegnato sui temi dell’uguaglianza di genere, dell’etica sessuale e di una governance democratica e responsabile nella Chiesa cattolica.  

«Questa proposta di Costituzione è la migliore idea che la Chiesa cattolica abbia avuto da secoli», ha commentato Mary McAleese, ex Presidente dell’Irlanda, ora Cancelliera del Trinity College a Dublino. «Rispetta la dignità data da Dio a ogni membro, mette Cristo al centro, allenta la morsa soffocante e controllante dell’imperialismo e del clericalismo e fa respirare di nuovo la Chiesa, fa amare di nuovo, includere di nuovo. Abbiamo bisogno di questa Costituzione. È il nostro ponte verso il futuro».     

Il testo della Costituzione, che si può leggere e scaricare anche in lingua italiana dal sito del Centro (disponibile al link), è il risultato di un anno di lavoro di un gruppo internazionale e interdisciplinare di 25 accademici, coordinato dal Wijngaards Institute. La bozza di testo è stata poi ulteriormente vagliata da un gruppo più ampio di studiosi, fino alla redazione del testo definitivo, firmato da oltre 60 esperti internazionali.     

La riflessione parte dalla constatazione che la Chiesa cattolica è attualmente strutturata attorno a una casta sacerdotale di soli uomini, frutto di una selezione interna, che da sola esercita tutto il potere legislativo, esecutivo e giudiziario. Si tratta di una struttura ereditata dal centralismo dell’Impero Romano e dalla società feudale nel Medioevo, in forza della quale i laici, che rappresentano oltre il 99% dei membri della Chiesa, sono esclusi dal suo governo e le donne e le persone LGBTQ lo sono doppiamente a causa del loro genere o orientamento sessuale.   

La nuova Costituzione per la Chiesa cattolica proposta dal Wijngaards Institute – diretto da Luca Badini Confalonieri, autore di diversi libri sulle discriminazioni nella Chiesa e coordinatore di una ricerca interdisciplinari sulle teologie di genere – contempla un radicale ribaltamento di questa struttura, codificando quei tratti democratici coerenti con precedenti biblici e della storia della Chiesa, e i diritti umani fondamentali che i papi hanno incoraggiato gli Stati a rispettare, ma che l’attuale diritto ecclesiastico è ben lungi dall’applicare.   

La proposta di una nuova Costituzione non nasce dal nulla, ma parte dal precedente tentativo vaticano di aggiornamento, quella Lex ecclesiae fundamentalis (“Legge fondamentale della Chiesa”) concepita durante il Concilio Vaticano II la cui bozza finale, dopo anni di lavoro, fu accantonata nel 1981. Essa tende a stabilire un quadro giuridico per i diritti, i principi e gli standard legali concordati a cui tutte le leggi della chiesa devono attenersi e rispetto ai quali devono essere valutate, e mostra come le proposte di riforma della Chiesa possano essere riunite in un quadro giuridico coerente, pragmatico e compatibile con gli studi biblici, la ricerca teologica e i dialoghi ecumenici.    

La Costituzione è stata sottoposta sia alle Conferenze episcopali nazionali dei Paesi di provenienza dei cofirmatari, sia alla Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi; il 26 agosto una copia è stata consegnata a Thierry Bonaventura, responsabile della comunicazione dell’Ufficio sinodale di Roma.    

Nove i principi fondanti: il diritto universale (quindi di tutti i cattolici) a partecipare al governo della Chiesa, come richiesto sia dai loro diritti umani fondamentali (UDHR Art. 21) sia dai loro diritti battesimali; la non discriminazione nella selezione dei candidati a qualsiasi ufficio ecclesiastico, compreso il ministero ordinato, in base alla razza, al genere, al sesso, all’orientamento sessuale, allo stato civile e alla condizione economica o sociale; sussidiarietà e decentramento; elezione democratica dei responsabili, sulla base di una rappresentanza della comunità ecclesiale; consenso delle Chiese a cui le leggi e le dottrine si applicano; separazione dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario; consultazione di specialisti competenti su specifici temi; responsabilità dei vertici: i funzionari della Chiesa che esercitano il potere legislativo o esecutivo devono servire solo per un mandato di cinque anni e devono riferire almeno annualmente sulle loro azioni, inclusa la loro gestione finanziaria; piena libertà nella scelta di aderire o di lasciare la Chiesa.   

Tra i firmatari e co-firmatari della Costituzione, oltre alla già citata Mary McAleese, numerosi teologi e biblisti, e figure di spicco a vario titolo del mondo cattolico internazionale: tra di essi, per non citare che i più noti, Paul Collins, storico e scrittore australiano, il teologo di Tubinga Dietmar Mieth, il vescovo emerito della diocesi australiana di Toowoomba (Australia) William Morris, mandato dal Vaticano in pensionamento forzato per il fatto di aver citato, in una lettera pastorale del 2006, il sacerdozio femminile come una tra le possibili soluzioni della grave carenza di sacerdoti, v. Adista n. 37/11); Todd Salzman, docente di Teologia cattolica alla Creighton University (Nebraska); Patricia Rumsey, docente all’Università di Nottingham e badessa della comunità monastica di Arkley, a nord di Londra, nonché membro del Consiglio della Federazione delle Clarisse di Gran Bretagna; Antonio Autiero, professore emerito di Teologia Morale all’Università di Münster, Germania; la religiosa benedettina Philippa Rath, teologa, storica e politologa, dell’Abbazia di S. Ildegarda a Rüdesheim-Eibingen, membro del Zentralkomitee der deutschen Katholiken (ZdK, “Comitato centrale dei cattolici tedeschi”); il teologo spagnolo José María Vigil, coordinatore della Commissione Teologica Latinoamericana dell’Associazione Ecumenica dei Teologi del Terzo Mondo. Presenti, tra i co-firmatari, anche diversi rappresentanti di altre Chiese cristiane nonché alcune organizzazioni internazionali che hanno approvato la Costituzione: Rete internazionale di riforma della Chiesa (ICRN), l’organismo internazionale Noi siamo Chiesa (WAC International), la Rete dei laici scozzesi (Scottish Laity Network) e Root and Branch Synod, forum inglese di riforma della Chiesa.

un papa poco ‘prudente’!

l’esclusione criminale

di  Tonio Dell’Olio

Quando si parla in pubblico bisogna pesare bene le parole. Quando si parla al mondo ancora di più. Quando si rappresenta un’autorità morale che è guida per i credenti e riferimento per tante persone nel mondo, è necessario misurare gli accenti, gli aggettivi e le virgole. Ieri il Papa ha detto:

“L’esclusione dei migranti è schifosa, è peccaminosa, è criminale non aprire le porte a chi ha bisogno!”

 Certo, la prudenza e la diplomazia avrebbero suggerito toni meno perentori e netti. Forse un giudizio più sfumato sarebbe stato più gradito. Ma poi ci si rende conto che il Vangelo di Gesù non è stato redatto né dalle curie né dalle cancellerie dei governi del suo tempo. E allora un papa non può e non deve prendere le distanze né dal merito né dalla forma del Vangelo che è chiamato ad annunciare. E così ieri Papa Francesco ha dato del criminale, peccatore e schifoso a ogni politico di ogni governo del mondo che in questi anni ha contribuito a varare politiche di respingimento e rifiuto di uomini, donne e bambini che chiedevano pane e dignità. Un tono profetico che pesa bene le parole, misura gli accenti, gli aggettivi e le virgole. D’altra parte le ragioni dei governi le diffondono abbondantemente gli uffici stampa ma chi fa sentire le ragioni dei poveri?

migranti come risorsa per le nostre comunità

papa Francesco:

migranti, potenziale enorme

ecco perché sono una vera risorsa


di Paolo Lambruschi
«Lavoro e sacrificio degli stranieri arricchiscono le nostre comunità»
e una ricerca della Fondazione Moressa conferma l’impatto positivo per l’Italia: 28 miliardi di entrate contro 26 di uscite

Papa Francesco: migranti, potenziale enorme. Ecco perché sono una vera risorsa

«I migranti non basta accoglierli: vanno anche accompagnati, promossi e integrati». Con questa frase, a braccio, papa Francesco si è rivolto ai partecipanti alla Conferenza internazionale sui rifugiati e i migranti promossa dalla Facoltà di scienze sociali della Pontificia Università Gregoriana, in collaborazione con Refugee & Migrant Education Network, la Fondazione Being the Blessing. Il Pontefice ha ribadito che le diversità che portano i migranti, nelle società in cui sono accolti, sono «una ricchezza» e il loro contributo ha «un potenziale enorme».

«Il loro lavoro, la loro capacità di sacrificio, la loro giovinezza e il loro entusiasmo arricchiscono le comunità che li accolgono. Ma questo contributo potrebbe essere assai più grande se valorizzato e sostenuto attraverso programmi mirati», ha aggiunto il Papa, che ha poi chiesto di «riflettere sulle cause dei flussi migratori e sulle forme di violenza che spingono a partire verso altri Paesi. Mi riferisco naturalmente ai conflitti che devastano tante regioni del mondo. Ma vorrei anche sottolineare un altro tipo di violenza, che è l’abuso della nostra casa comune – ha detto il Papa –. Il pianeta è indebolito dall’eccessivo sfruttamento delle sue risorse e logorato da decenni di inquinamento».

Quanto al ruolo di chi accoglie, per Francesco «tutte le istituzioni educative sono chiamate ad essere luoghi di accoglienza, protezione, promozione e integrazione per tutti, senza escludere nessuno».

Nonostante il Covid e gli scostamenti di bilancio per le esauste casse dello stato gli immigrati restano una risorsa. Se si ignora la prevalente narrazione mediatica emergenziale concentrata sui barconi e agli sbarchi dal Nord-Africa e la popolazione dei centri di accoglienza in Italia (80 mila presenze a fine 2020) e la si sposta invece sulla realtà dei 5,2 milioni di immigrati regolarmente residenti nel Belpaese la musica cambia. Secondo uno studio sull’impatto fiscale dell’immigrazione in Italia curata dalla Fondazione Moressa – che il 18 ottobre presenterà il rapporto 2022 sull’economia dell’immigrazione – alla voce uscite si registrano 26,8 miliardi di euro contro 28,2 di entrate. Una conferma di quello che affermava tra le polemiche l’Ocse un anno fa: «I migranti contribuiscono in tasse più di quanto ricevono in prestazioni assistenziali, salute e istruzione».

Il metodo di calcolo della “Moressa” si è basato sui “costi medi”, stimando l’incidenza degli stranieri per ciascuna voce della spesa pubblica in base all’utenza presente in quel determinato servizio nel 2020, anno pandemico.

Sfatiamo per l’ennesima volta stereotipi duri a morire. Data la giovane età media della popolazione straniera residente in Italia, li si trova soprattutto nei reparti maternità e nei pronto soccorso ospedalieri. Per fortuna. Una conferma empirica che l’impatto calcolato sulla sanità pubblica dai ricercatori della Fondazione Moressa è solo 6,1 miliardi di spesa per i pazienti immigrati contro i 130 complessivi.

Alla voce scuola, mantenendo il metodo basato sull’incidenza degli utenti, viene considerato un decimo della spesa totale a favore degli alunni nati all’estero e privi di cittadinanza, in tutto 6 miliardi. I curatori delle ricerca sottolineano un aspetto scomodo e non descritto dai numeri, ma che rende ancor più preziosa la risorsa dei minori stranieri per la scuola. Nell’inverno demografico italiano «la maggiore presenza straniera garantisce la sostenibilità del sistema, che altrimenti vedrebbe chiudere molte scuole e ridurre l’organico».

La voce “servizi sociali, servizi locali e casa” raggiunge complessivamente 1,3 miliardi di euro. L’edilizia pubblica vede il 12,5% a livello nazionale di inquilini immigrati nonostante l’alto livello di bisogno per la mancanza di turnover. Insomma, gli italiani restano sempre primi. Ovviamente la ricerca non può considerare le occupazioni abusive degli alloggi gestiti dai racket etnici afferenti alla mafie italiche. E la situazione dei grandi quartieri popolari metropolitani della capitale come di Milano fa media con altre realtà dove gli stranieri non sono numerosi. Una voce di spesa che invece diminuisce è quella per “immigrazione e accoglienza”, legata al progressivo decongestionamento dei centri di accoglienza.

Infine la spesa previdenziale, altra antica polemica. Secondo un report pubblicato dall’Inps nel luglio 2022, la spesa pensionistica riferita ai cittadini non comunitari ammonta a 1,2 miliardi (0,4% del totale). A questa vanno aggiunte disoccupazione, malattia, maternità, assegni nucleo familiare, pari a 6,2 miliardi. In tutto fanno 8,45 miliardi, il 2,6% del totale.

Ma i migranti non sono solo beneficiari, anzi. Sono soprattutto 4,17 milioni di contribuenti che hanno dichiarato 57,5 miliardi di euro di redditi e versato 8,2 miliardi di Irpef nel 2020. La comunità più rappresentata rimane quella romena con oltre 560 mila contribuenti, seguita da Albania (157 mila) e Cina (147 mila).

Sono consumatori che pagano l’Iva, anche se tra i contribuenti nati all’estero, quasi la metà (48,7%) ha dichiarato un reddito annuo inferiore a 10 mila euro. E sono cittadini che versano per rinnovi di permessi di soggiorno e acquisizioni di cittadinanza quasi 800 milioni. I regolari, comparando entrate e uscite del bilancio pubblico, sono una voce in attivo per 1,4 miliardi. Perché gli immigrati continuino ad essere una risorsa portando benefici economici, ammonisce lo studio, devono però proseguire i processi di integrazione. Un cambio di narrazione dei media aiuterebbe gli italiani ad esserne più consapevoli.

la chiesa divisa sulla politica perché divisa sui poveri

Vaticano diviso sul governo Meloni

ecco chi è preoccupato e chi lo incoraggia

di Nico Spuntoni 

quale sarà l’accoglienza riservata dal Vaticano ad un eventuale governo Meloni? Tra gli addetti ai lavori c’è grande curiosità per ciò che avverrà sull’asse Santa Marta-Palazzo Chigi con la nascita di quello che potrebbe essere il governo più a destra della storia repubblicana

 

Un’anticipazione è arrivata ieri con le parole cardinale Michael Czerny, prefetto del Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale, che ieri ha presentato alla stampa la nuova organizzazione dell’organismo dopo l’entrata in vigore della Praedicate evangelium. Interrogato sulle possibili preoccupazioni della Chiesa per la nascita del nuovo esecutivo italiano, il gesuita canadese ha detto che la risposta spetta alla Chiesa italiana ma ci ha tenuto a ricordare che “quando qualcuno e’ in difficolta’ in mare esiste l’obbligo morale ed umano ad aiutare, non a rendere le cose piu’ difficili”

Il cardinale, uno degli uomini più fidati di Francesco, indossa sempre una croce di legno ricavata da una barca utilizzata da migranti sbarcati a Lampedusa e che dietro ha una targa con la parola “Suscipe”, ovvero “Ricevere”. Il suo riferimento all’accoglienza in una risposta ad una domanda sul nuovo governo italiano sembra far capire il fastidio del capo dicastero per quel blocco navale che ha dominato in questi anni la campagna di Fratelli d’Italia e che però, come ha ricordato recentemente il braccio destro di Giorgia Meloni, il senatore Giovambattista Fazzolari, sarebbe stato previsto dalla missione Sophia dell’Ue.  La frecciata dal Vaticano arriva il giorno dopo l’intervista ad Aldo Cazzullo rilasciata dall’ex presidente della Cei, il cardinale Camillo Ruini, dai toni decisamente diversi: il porporato italiano, infatti, si è dichiarato piuttosto ottimista su un eventuale esecutivo a guida Meloni, dicendo di pensare che la leader di Fdi saprà dissipare le preoccupazioni di chi teme la presenza fiamma tricolore nel simbolo del partito più votato dagli italiani.

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