la scenegiata con la lacrima

il delinquente

il giorno della condanna definitiva di Berlusconi sono numerosissimi gli spunti di riflessione che troviamo nei media

mi piace segnalare questo bello e , come al solito, brillante quadretto di F. Merlo sulla reazione scomposta e melodrammatica di Berlusconi immediatamente dopo la lettura del dispositivo della sentenza (il termine ‘delinquente’ inserito nella foto è da prendere nella sua accezione puramente etimologica, senza nessuna volontà di denigrazione o di additare alla gogna … ):

La sceneggiata con la lacrimuccia

Ieri sera in tv abbiamo rivisto il vecchio attore che per non subire la pena cercava di far pena. Ed è vera pena. È stata infatti una sceneggiata con la lacrima, come il gorgonzola e i fichi. Con un videomessaggio ha mandato in onda il dramma simulato del ricco evasore che si fa povero e vittima e chiede aiuto al popolo che ha frodato. Ricordava lo Stanlio che per malafede piagnucola e si copre la testa con le mani per mitigare la durezza della scoppola di Ollio.

L’amico di Putin e di Gheddafi vuole solidarietà perché ha rubato allo Stato, cioè agli italiani a cui ora si appella. E vuole la rivoluzione contro i giudici.

E il pop è diventato trash quando Berlusconi, seduto alla sua solita scrivania di rappresentanza, ha portato come prova regina del complotto della magistratura la conferma della stessa sentenza in primo, in secondo grado e in Cassazione. Prima ancora di un arretramento della civiltà c’è un arretramento della logica che fa del Berlusconi piangente un caso unico nella storia. Ieri sera con il video del dolore si è infatti impiccato ai suoi stessi sortilegi: il maestro della telecomunicazione è rimasto schiacciato dalla verità delle immagini, è diventato tutto quello che nei tempi felici esorcizzava, gonfio, acceso e fuori misura, ancora mattatore ma nel baraccone della finta pietà. Eppure non hanno condannato lo statista ma l’omuncolo.

La verità è che anche questa condanna non riesce ad essere drammatica, tutta dentro la piccineria del delinquente comune. Pure il caritatevole rinvio all’italiana della sua cacciata dalla politica non ha la grandiosità dello strazio di Craxi, non c’era lapietasche suscitò Forlani ripreso in tv con la bava alla bocca, neppure la complicità di un intero Stato come nel processo Andreotti, meno che mai la profondità di Gava che al carabiniere che pronunziava la formula di rito, «È lei Gava Antonio?», rispose: «Io ero, guagliò. Io ero».

La frode fiscale non rimanda infatti ai foschi destini di tanti politici italiani, all’oltraggio e alla tragedia di Piazzale Loreto, alla drammatica fuga e alla morte di Bettino ad Hammamet. Berlusconi ha rubato i soldi dello Stato, dunque nel suo Pantheon ci sono solo gli evasori truffatori, quel Felice Riva che fuggì a Beirut, i titolari dei conti segreti nei paradisi fiscali, e poi Callisto Tanzi, Ricucci, Coppola, i furbetti e i furboni, i manigoldi finanziari…. Non giganti sulle cui spalle giganteggia il nano, ma nani che nanizzano i giganti.

E il rinvio, che introduce una morbidezza “tecnica” nel peggio, è una invincibile pulsione italiana. Non è una scappatoia come le prescrizioni, le depenalizzazioni ad personam, i lodi e i legittimi impedimenti, ma è il punto debole più efficace per tentare nuove scappatoie. Sicuramente riduce le asperità, leviga le asprezze e permette alla politica di procedere nell’equivoco ancora per molti mesi.

Non ci sono precedenti nella storia d’Italia di un ex premier “arrestato” in villa. Il Tg1 ha pronunziato la parola “carcerazione”, ma nessuna delle sue mille case somiglia al bunker di Hitler né al Gran Sasso di Mussolini e neppure al modesto rifugio di Hammamet, dimore tragiche dove non giravano le patonze né i camerieri sotto forma di avvocati (e viceversa) e neppure i giornalisti a libro paga. Si capisce insomma che Berlusconi non è prenotato in una saga nibelungica ma in un carnevale estivo.

Ed è la prima volta che il telegiornale della Rai lo definisce «ultrasettantenne ». Cade dunque anche la finzione dell’eterna giovinezza, il lifting è stato strappato. E se chiedesse l’affidamento ai servizi sociali, come Forlani e come Previti, gli italiani vi troverebbero la barzelletta e tutti si eserciterebbero a immaginarlo assistito da una giovane badante marocchina, una fantesca giudiziaria, insomma un altro dei mille travestimenti orchestrati nella cantinetta: dopo la poliziotta con la manette, dopo la suorina, ecco la lap dance dei servizi sociali.

Abbiamo avuto Poggiolini e il suo puff pieno di danaro, un ministro della Sanità che bruciava le carte compromettenti dentro un pentolone, abbiamo avuto i terribili suicidi di Moroni, di Gardini, di Cagliari, abbiamo avuto la piramide di Panseca e il conto gabbietta del Pci, ma Berlusconi non riesce ad essere drammatico neppure nella solennità della Cassazione. Gli toglieranno il titolo di cavaliere ma resterà cummenda come nelle gag di Bramieri.

Eppure i suoi giornali hanno lungamente insistito nel reclutare tra gli antenati di Berlusconi i tanti protagonisti di quella politica criminale che è stata qualcosa di più grande, di più vasto e anche di più nobile della miserabile frode fiscale. Con il risultato che anche molti antiberlusconiani, vignettisti compresi, sono caduti nella trappola culturale di immaginare Craxi che dall’Aldilà vuole abbracciare il suo compare nell’Aldiquà.

Non è così. Nel caso di Berlusconi non solo la politica non è all’origine del crimine, ma è stata usata per legittimare il crimine, come fabbrica di impunità.

È vero che la storia del nostro Paese è, in gran parte, storia di criminalità politica, una lunghissima battaglia sui delitti e sulle pene, anche nella variante persecutoria. Scriveva il socialista Filippo Turati nel lontano 1882: “È nel delitto, in questa sciagurata materia che l’Italia ha un primato che non è quello sognato da Gioberti”. E nello stesso anno Pasquale Turiello, che militava nella Destra storica: «Mentre le altre nazioni sono rose dal nichilismo o dal socialismo, l’Italia è corrotta dalla terribile infermità del delitto politico». Ma nessuno può seriamente credere all’autoproclamazione di Berlusconi come continuatore di Crispi e di Giolitti («il ministro della malavita » lo chiamava Salvemini) o della Dc, che utilizzava il bandito Giuliano nella lotta di classe, e neppure dei protagonisti- vittime di Tangentopoli con i suoi crimini ma anche con le sue ingiustizie. Qui non c’è l’onore perduto della grande tradizione degli espatriati socialisti da Filippo Buonarroti ad Andrea Costa, Garibaldi, Salvemini, i fratelli Rosselli, Nenni… Qui il finale grottesco è la perfezionedell’inizio. E si capisce che davvero Berlusconi preferirebbe che dei forsennati lo trascinassero per strada e gli infliggessero qualche atroce supplizio, sceglierebbe lo scempio della folla invece di questo finalissimo da pirla. Patire, da sconfitto, una violenza, sarebbe il modo più sicuro per purificarsi, per farsi subito rimpiangere, per far credere agli italiani che era meglio tenersela cara quella loro abitudine, quel difetto nazionale, quel Cristo che andava protetto dagli squilibrati comunisti. Mal’Italia si limita a sghignazzare, a ridere, a disprezzare .

La frode fiscale, come del resto l’appropriazione indebita, la prostituzione minorile, la corruzione dei magistratiper impadronirsi della Mondadori, la corruzione del teste Mills…, non hanno nulla a che fare con la politica criminale che è una delle anime profonde di questo Paese di colpevoli che ha bisogno periodicamente di farsi cannibale e di sbranare un campione di colpevolezza. Al contrario Berlusconi ha tolto il senso politico anche al più politico dei delitti perché la compravendita dei parlamentari con denaro contante ha degradato persino il trasformismo in reato comune.

Non è dunque vero che questo è stato il processo del secolo, più spettacolare del processo Andreotti, e la sentenza di condanna, sostanzialmente uguale in ben tre gradi di giudizio, non è stata emessa a colpi di maggioranza parlamentare. Eppure per settimane hanno propalato l’idea che l’assoluzione avrebbe segnato il trionfo di Berlusconi ma solo la sua condanna ne avrebbe provocato l’apoteosi. E hanno cercato in tutte le maniere di trascinare nell’aula del Palazzaccio, e di nuovo sulle strade di Roma, il conflitto politico tra centrodestra e centrosinistra. Il tentativo, ancora e sempre televisivo, è quello di trasformare in un martire il solito campione del chiagne e fotte,il peggio della natura italiana, ora certificata dalla Cassazione. Ecco perché ancora più che giustizia è stata fatta chiarezza.

condannato! la fine di un’epoca!

 

 

bel buquet

è la notizia che si è diffusa in un istante in tutto il mondo

S. Berlusconi è stato condannato definitivamente, dalla Cassazione, ieri, per evasione fiscale protrattasi anche negli anni in cui era presidente del Consiglio dei ministri rappresentando ai massimi livelli le Istituzioni

questo sito non ha un intento in primo luogo ‘informativo’ per cui non si dilunga in dettagliate informazioni su un fatto che purtuttavia ha una rilevanza di primissimo piano per il nostro paese che deve prendere atto che per un ventennio è stato governato da un delinquente

si limita a prendere atto con sollievo che è indubbiamente  finita un’epoca e lo fa prendendo a prestito le parole amare ma vere dal sito ‘il mondo di Galatea’:

Lo han condannato. E a me non è venuto nemmeno da scrivere un post in diretta, mentre Porta a Porta mandava in onda una puntata in cui non c’era un plastico costruito ad hoc, ma la sua faccia, però in un video di qualche tempo fa ripescato; e a In Onda, causa l’afa e le ferie, non trovavano nessuno cui far commentare la cosa se non Briatore.

E’ da queste cose che si capisce che, bene o male, è proprio finita un’epoca.

la chiesa dell’ ‘empatia’

 

 

empatia

ogni giorno di più, ad ogni esprimersi del papa, si delinea un’idea nuova di chiesa

si avverte nelle parole di papa Francesco un senso di novità e di innovazione nonostante le sue parole nei contenuti non modificano in nulla la tradizionale impostazione etico-dogmatica cattolica

anche ieri si è espresso con tono nuovo nei confronti della donna nella chiesa, dei divorziati e dei gay

la novità sta nel vivere i problemi della gente con ‘patos’, con ‘empatia’, quasi rappresentando la ‘passione di Dio per il mondo’

così V. Mancuso in un bell’articolo su La Repubblica odierna:

 

E’ molto probabile che i commenti alle dichiarazioni del Papa sulle persone omosessuali si dividano in due correnti tra loro contrapposte. Da un lato coloro che desiderano una decisa riforma delle posizioni della Chiesa cattolica intenderanno le parole del Papa come rivoluzionarie, diverse, foriere di cambiamenti. Dall’altro lato coloro che intendono conservare lo status quo leggeranno le stesse parole del Papa come del tutto coerenti con le posizioni di sempre, quelle ribadite più volte da Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. E occorre dire in verità che, in assenza di atti effettivi di governo da parte di papa Francesco volti a modificare la legislazione canonica vigente, entrambe le posizioni hanno una loro legittimità. Il Papa infatti non ha detto nulla che anche Benedetto XVI non avrebbe sottoscritto, dicendo che: 1) le persone omosessuali in quanto tali vanno accolte e per nulla discriminate, mentre gli atti sessuali delle stesse non possono trovare accoglienza all’interno dell’etica cattolica; 2) per i divorziati risposati il primato deve essere assegnato alla misericordia; 3) la donna deve avere più spazio nel governo della Chiesa, anche se la Chiesa non potrà giungere a concederle l’ammissione al sacerdozio, alle donne cattoliche definitivamente precluso.

Perché allora da parte di tutti nel mondo si avverte nelle parole del Papa un senso di novità e di speranza, di innovazioni? Perché questo entusiasmo per parole che nei contenuti non modificano in nulla la tradizionale impostazione etica e dogmatica cattolica? Io penso che sia per il clima di empatia che circonda la persona del Pontefice e per il bisogno di cambiamento e di riforma che i cattolici di tutto il mondo avvertono. Ma soprattutto per la frase, questa sì del tutto innovativa per un Papa, “chi sono io per giudicare?”. Una frase che, a mio avviso, né Benedetto XVI né Giovanni Paolo II avrebbero mai potuto o voluto pronunciare.

Queste parole collocano il Papa non più tra i capi di Stato e i potenti di questo mondo che per definizione giudicano, ma tra i discepoli di Gesù attenti a mettere in pratica le parole del maestro: “Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati, perdonate e sarete perdonati” (Luca 6,37). Da tutto questo però deve scaturire una conseguente azione di governo finalmente all’insegna della novità evangelica (così come lo sono i gesti straordinariamente semplici e potentissimi di questo Papa).

Ho parlato prima di empatia e vorrei sottolineare che l’empatia è molto importante, non solo, com’è ovvio, a livello psicologico, ma anche a livello teologico. Il termine infatti rimanda alla parola greca pathos,che significa passione, e che costituisce uno dei concetti centrali del cristianesimo, a partire dalla passione di Cristo e dall’amore che definisce l’essenza di Dio, amore che a sua volta è passione e genera passione. Il fatto che papa Francesco sia circondato da un abbraccio di empatia a livello mondiale non si spiega solo a livello umano per la sua carica personale e per la spontaneità e la semplicità dei suoi gesti; si spiega anche a livello teologico e spirituale per il suo essere in grado di rappresentare la passione di Dio per il mondo. Quindi l’empatia che circonda il Papa (e che porta a vedere in ogni sua parola qualcosa di nuovo anche quando di per sé non c’è nessuna novità) è estremamente preziosa, è un segno dello Spirito si direbbe nel linguaggio teologico. E il Papa non la deve deludere, deve esserne all’altezza fino in fondo, venendo incontro al bisogno di cambiamento che la gran parte dei cattolici nel mondo avverte riguardo alla Chiesa.

È infatti insostenibile la posizione cattolica tradizionale riguardo sia alle persone omosessuali, sia alle persone divorziate, sia al ruolo attualmente ricoperto dalle donne all’interno del governo della Chiesa. E occorre coerenza: non si può proclamare a parole il rispetto per le persone omosessuali e la pari loro dignità di figli di Dio e poi giudicare la loro condizione come condannata dalla legge naturale e dalla Bibbia; al contrario, se veramente si vuole mostrare in modo concreto il rispetto di cui si parla nei loro confronti, occorre mettere in atto ermeneutiche conseguenti sia della legge naturale (da intendersi in senso formale come armonia delle relazioni e non come definizioni di ruoli e di comportamenti) sia delle pagine bibliche che condannano le persone omosessuali relegando tali pagine accanto a quelle che favoriscono la guerra o l’inimicizia verso le altre religioni (e che non meritano di essere più prese in considerazione).

Occorre cioè giungere all’evangelico “non giudicare” e “non condannare”. Allo stesso modo se veramente si vuole che sia la misericordia ad avere il primato per i divorziati risposati occorre mettere in atto una disciplina canonica dei sacramenti che conceda loro di accostarvisi senza nessuna discriminazione (segnalo al riguardo il recente libro di Oliviero Arzuffi,Caro papa Francesco. Lettera di un divorziato,Oltre edizioni). Allo stesso modo, infine, se veramente si vuole che la donna abbia maggiore potere all’interno della Chiesa si deve procedere di conseguenza e, anche senza giungere all’ordinazione sacerdotale, si deve permettere che le donne diventino cardinali e ministri con pieni poteri del governo della Chiesa (oggi per accedere al cardinalato occorre essere diaconi o sacerdoti, e le donne possono accedere al diaconato, lo testimonia il Nuovo Testamento, basta leggerlo e applicarlo).

“Chi sono io per giudicare?”, ha detto il Papa e in questo si è fatto discepolo di Gesù. Ma Jorge Mario Bergoglio in quanto pontefice regnante può far sì che questa mentalità non giudicante diventi la prassi corrente della Chiesa in ordine alle persone omosessuali e ai divorziati risposati. Di fronte a lui sta il compito di non deludere l’empatia che lo circonda e le speranze di rinnovamento evangelico di molti credenti e “uomini di buona volontà”.

caro papa …

 

 

lettera a papa Francesco di don Vitaliano

caro papa, la vera indifferenza è quella della chiesa

Santo Padre,

quando alcuni anni fa alle porte della mia canonica bussò un gruppo di immigrati clandestini, non mi ero mai occupato di migranti, ma decisi di ospitarli e farmi carico della loro situazione. In nome del Vangelo non me la sono sentita di dare un’elemosina di circostanza per liberarmene. E come me anche la mia comunità parrocchiale. Ospitavamo gli immigrati nelle aule del catechismo. E, forse, per i bambini del catechismo è stata la più bella esperienza di catechesi concreta, vissuta. Anche quella volta il mio vescovo di allora mi rimproverò e nessuno del presbiterio mi difese.

Nello stesso periodo insieme a pochissimi confratelli e ai famigerati “no global”, affittammo una nave, andammo in Albania e cercammo di portare in Italia il maggior numero di albanesi; nel tragitto anche noi lanciammo una corona di fiori per ricordare i morti di un barcone affondato la notte di Natale. Se non volevamo più piangere i morti – ci dicemmo – conveniva andare noi a prenderli prima che si imbarcassero su pericolose carrette del mare. Anche allora né la Cei, né i partiti e i governi che si spacciano per cristiani, mossero un dito quando ci bloccarono, al ritorno, nel porto di Brindisi. Gli esempi di tragedie di immigrati, dell’omertà della maggior parte dei cattolici e della denuncia inascoltata di pochi, potrebbero essere tanti.

Per anni ho guardato i telegiornali e letto i quotidiani con grande sofferenza e rabbia, anche se con una non spenta speranza di sentire la voce forte e rappresentativa dei vertici della Chiesa italiana che finalmente facesse diventare scelte concrete le bellissime parole dei documenti ufficiali: quando non accogliamo i migranti, spranghiamo la porta a Gesù Cristo presente, vivo e vero nel povero, per trastullarci con l’adorazione eucaristica e le processioni del Corpus Domini, con un’ostia fin troppo asettica che non ci contamina le mani come le carni del povero. Perciò ho seguito con emozione in tv la tua visita a Lampedusa. Mai avrei immaginato che un papa potesse fare un gesto del genere. Ma anche se sono certo della tua sincerità, non mi fido di chi ti circonda: gli stessi che non hanno mai denunciato ciò che tu stai denunciando, gli stessi che hanno fatto arrivare “Pietro” troppo tardi a Lampedusa. Anch’io mi sono posto con te le domande: «Chi di noi ha pianto per questo fatto e per fatti come questo? Chi ha pianto per la morte di questi fratelli e sorelle?». E sono d’accordo con te quando dici: «Siamo una società che ha dimenticato l’esperienza del piangere, del “patire con”: la globalizzazione dell’indifferenza ci ha tolto la capacità di piangere!». Per la verità nella società di cui parli c’è una minoranza, forse una maggioranza silenziosa, che sa ancora piangere per e con chi è colpito dall’ingiustizia; ci sono tanti testardi che non si rassegnano al pensiero unico e cercano di opporsi alla peggiore globalizzazione e all’indifferenza; tra questi, tanti fedeli laici, alcune suore e preti, pochissimi vescovi.

Santo Padre, accettare fino in fondo il Vangelo di Nostro Signore e l’insegnamento della Chiesa dovrebbe portare proprio noi cristiani a denunciare fermamente l’imperante ondata di razzismo, ponendoci di fronte ad un dissidio inconciliabile: all’impossibilità, cioè, di rispettare le leggi dello Stato che si ergono come muro ad arginare la massa dei disperati che preme. Perciò, per non ridurre il tuo grandissimo gesto a qualcosa di stravagante, ti chiedo di far capire anche ai vescovi che una presa di posizione forte della Chiesa Italiana in merito alla questione è inderogabile, una voce levata alta che faccia capire senza equivoci da che parte i cattolici, laici e gerarchia, stanno e devono stare. La storia procede anche senza di noi: le migrazioni sono inarrestabili ed è una forma di grande miopia storica cercare di opporsi a questo fenomeno.

papa Francesco: “la laicità dello stato favorisce il dialogo fra le religioni”

così papa Francesco sulla laicità dello stato e sul rapporto corretto tra stato e chiesa, tale da favorire di fatto la convivenza e i rapporti positivi tra le religioni, in questo dando dei numeri anche ai nostri politici

(vedi link qui sotto)

Bergoglio a Rio: “La laicità dello Stato favorisce la convivenza tra religioni” – Il Fatto Quotidiano.

papa francesco: chi sono io per giudicare i gay?

così, sorprendendo tutti, papa Francesco si espresso oggi sull’aereo nel suo viaggio di ritorno dalla G. M. G. di Rio de Janeiro rispondendo puntualmente ad ogni domanda per un’ora e mezza

La lobby gay non va bene, perche’ non vanno bene le lobby, dice papa Francesco. I gay? ”Io non giudico, se e’ una persona di buona volonta’, chi sono io per giudicare?”. ”Non ho trovato carte d’identita’ di gay in Vaticano, dicono che ce ne sono, credo che si deve distinguere il fatto che e’ gay dal fatto che fa lobby”, afferma il Papa in volo da Rio a Roma. Quanto allo Ior, non sa ancora quale forma avra’ ma comunque dovra’ basarsi su ”trasparenza e onesta”’. Nella mia borsa? ‘Il rasoio, il breviario, l’agenda, un libro da legge

bambino rom nai nato ma vivo e vegeto

 

 

 

 

Dominic è venuto al mondo, ma il mondo non lo sa

mai nato ma vivo

Una storia di apolidia.

Pistoia. C’è un bambino che si chiama Dominic. È venuto al mondo l’anno scorso, una mattina di novembre, mentre fuori imperversava la bufera e la sua casa (la sua baracca) faceva acqua da tutte le parti. Dominic è venuto al mondo ma non è mai nato. Come si può venire al mondo senza mai nascere?, domanderete voi. Ve lo spiego io, ma prima devo ricordarvi che nel mondo dei rom tutto è possibile, tutto è magico, tutto è fantasia. Dovete dunque immaginare due giovani genitori vissuti, come nelle favole, ai margini del bosco, che non sanno di preciso neppure quando sono nati. Dovete immaginare che questi giovani genitori hanno alle spalle una famiglia migrante, o meglio: camminante. Anche se loro ormai non camminano più da tanti anni. Una famiglia che affonda le proprie radici nella Jugoslavia che non esiste più e, ancora più profonde, nella millenaria cultura del popolo rom. Forse esistevano anche, da qualche parte, dei passaporti jugoslavi, ma la carta – c’insegna la storia – è fragile, si strappa, si bagna, si deteriora, ed è per questo, per esempio, che conserviamo ancora gli originali del Petrarca (che era ricco, disponeva di aiutanti e scriveva su della buona pergamena) e invece quelli di Dante, profugo e dalle altalenanti fortune, non esistono più. Dovete immaginare che oggi, dopo tutte queste storie e soprattutto dopo una guerra che ha frantumato un Paese, i due giovani genitori non vantano alcuna cittadinanza, non possiedono né permesso di soggiorno né carta di identità, e dunque – ‘ai fini amministrativi’, come si dice – banalmente ‘non risultano’. Strano, perché io sono stata a casa loro tante volte, ho bevuto il caffè nelle loro tazzine, ho preso in braccio il piccolo Dominic e ho dunque verificato che ‘ai fini della vita’ queste persone ‘risultano’. Come dicevo hanno smesso di camminare, da sempre abitano nella stessa città, percorrono le stesse strade, anche se si trovano nella penosa condizione di ‘apolidia de facto’ che li accomuna a parecchie centinaia di rom ex-jugoslavi in Italia. E dunque che è successo? A novembre, quando è nato Dominic, nessuno ha potuto formare il suo Atto di nascita perché i due giovani genitori non risultano identificabili con certezza. Così Dominic per il momento non risulta mai nato. E qui bisogna addentrarsi in un piccolo paradosso. Tutti concordano su alcune certezze: che l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente e che i bambini sono titolari di alcuni diritti inviolabili, fra i quali il diritto di vivere, di avere un babbo e una mamma, di vedere il proprio nome trascritto su un registro ufficiale (lo dice, fra l’altro, la Convenzione di New York sui diritti del fanciullo); che gli atti di stato civile vengono formati sia nell’interesse delle persone a cui si riferiscono sia in considerazione dell’interesse generale a che determinati fatti siano registrati e conoscibili da chiunque; che questa condizione di ‘invisibilità’ deve cessare di tramandarsi di padre in figlio per generazioni. Il problema è che nessuno dispone di soluzioni che non siano ‘arte di arrangiarsi’ ma piuttosto proposte serie e replicabili per tutti i casi come il nostro. Siamo in un mondo moderno e ben organizzato dove ognuno, fin dalla nascita, inciampa in una sua casella da riempire. Ciascuno di noi deve dimostrare di essere se stesso. Ma per qualcuno tutto ciò non è previsto. Dunque chi deve porre rimedio a quella che a questo punto è una carenza nelle previsioni normative? È consentito cavarsela con un “non c’avevamo pensato”? Da un lato il Comune, pur con la migliore volontà di risolvere la faccenda, non trova il modo di formare atti riguardanti persone la cui identità è incerta. D’altro canto sia Procura della Repubblica che Prefettura ammettono la loro incompetenza in merito, rimandando la questione al Ministero di riferimento, il quale chissà quando risponderà…Neppure le autorità consolari degli Stati sorti dalla dissoluzione della Jugoslavia, molto spesso, riescono a rispondere in tempi rapidi riguardo lo status giuridico di molti rom, ormai italiani di fatto ma non di diritto. Nel frattempo, aspettando che la Pubblica Amministrazione superi i propri imbarazzi e si decida a esprimersi chiaramente sulla condizione dei rom apolidi, nelle nostre città vivono persone inesistenti, che non possono avere un documento, non possono iscriversi al servizio sanitario, non possono prendere la patente, non possono lavorare, non possono sposarsi e, come abbiamo visto, non riescono neppure a nascere.

Barbara Beneforti

la chiesa che sogna papa Francesco

 

 

pellerossa

la chiesa che ha in mente papa Francesco non è affatto la chiesa dalle grandi strutture e che si impone per la sua solennità ieratica ma lontana dai problemi della gente

delinea con chiarezza una ‘chiesa di strada’ che si fa prossima ai poveri e ai lontani: “i ‘vip’ da invitare in parrocchia sono i poveri e i lontani”

così a Rio de Janeiro in occasione della giornata  mondiale della gioventù:

 

 La cattedrale è a forma di piramide Maya, una struttura grandiosa di 80 metri, ma celebrando davanti a un migliaio di vescovi da tutto il mondo il Papa afferma che i veri «vip» da invitare in parrocchia sono «i poveri e i lontani». Nel Teatro municipale davanti a politici, diplomatici, imprenditori e intellettuali chiede una «visione umanistica dell’economia e una politica che realizzi partecipazione», contro gli elitarismi, e per «sradicare la povertà».

Tra gli orgogli architettonici della Chiesa e della società brasiliane papa Francesco propone la sua visione della convivenza sociale che non escluda nessuno. Ma è poche ore dopo, durante il pranzo nel palazzo arcivescovile Sao Joaquin con i cardinali del Brasile, la presidenza della Conferenza episcopale e i vescovi della regione, che traccia il suo sogno di una «chiesa di strada» in grado di fronteggiare il «lato oscuro della globalizzazione» e di tornare a parlare a quelli che si sono allontanati.

Molti di quanti hanno lasciato la Chiesa cattolica brasiliana sono confluiti nelle sette e movimenti pentecostali: in Brasile i cattolici praticanti sono oggi attorno al 64 per cento, 8 anni fa, in occasione della visita di Benedetto XVI, le statistiche li davano a più dell’80 per cento. Ma papa Bergoglio non nomina le sette nè cita le statistiche. Piuttosto offre una riflessione molto articolata, innervata nel documento di Aparecida, la V assemblea di tutti i vescovi latinoamericani, alla cui stesura ha collaborato da cardinale, nel 2007.

È il suo sogno di una chiesa aperta, che vada verso le periferie, agli «incroci», «una Chiesa di ‘riconciliazione’, ‘di strada’ , non un ‘transatlantico alla deriva’, ma una ‘bussola’ per l’uomo contemporaneo, che ha «smarrito senso, non ha un nido, subisce violenze sottili e rotture interiori, solitudine e abbandono».

Papa Francesco denuncia «il mistero difficile della gente che lascia la Chiesa; di persone che – dice – dopo essersi lasciate illudere da altre proposte, ritengono che ormai la Chiesa, la loro Gerusalemme, non possa offrire più qualcosa di significativo e importante, e allora vanno per strada da soli, con la loro delusione».

Tanti se ne sono andati, ricorda, «perchè chiedono qualcosa di più alto, di più forte, di più veloce». Il Papa chiede ai vescovi di imparare dai pescatori (il miracolo di Aparecida è collegato a alcuni pescatori, ndr) e dai poveri la capacità di «parlare del mistero», di lavorare contro «muri, abissi, distanze», di ricordare che «le reti della Chiesa sono fragili, forse rammendate, e la barca della Chiesa non ha la potenza dei grandi transatlantici che varcano gli oceani». Questa Chiesa deve reimparare «la grammatica della semplicità».

«Priorità della formazione», «collegialità e solidarietà», «stato permanente di missione e conversione pastorale», ha detto, sono le «sfide» per la Chiesa, che deve essere «capace di riscoprire le viscere materne della misericordia». E se non vuole rischiare la «sterilità» deve smettere di «ridurre l’impegno attivo delle donne nella Chiesa, bensì promuovere il loro ruolo». Infine l’esempio della Chiesa in Amazzonia, dove non va «con la valigia in mano per andarsene dopo aver sfruttato». «Educazione, salute e pace», le «urgenze brasiliane», interpellano la Chiesa in Brasile.

Hitler ha ucciso pochi rom!

 

 

camponomadi24

Deputato francese: “Hitler non ha ucciso abbastanza rom”

 

Bufera per le parole di Gilles Bourdouleix in un campo nomadi. È stato espulso del partito e denunciato per apologia di crimine contro l’umanità

 A quanto pare le sparate razziste dei politici non sono un’esclusiva italiana. La Francia è scossa dalle parole pronunciate lunedì da Gilles Bourdouleix, deputato centrista dell’UDI e sindaco di Chloet, durante una visita in un campo nomadi non autorizzato nel suo comune.

Il parlamentare ha ironizzato sulla fede religiosa dei presenti, per lo più evangelici: “questi per me sono una setta”. Poi, quando questi hanno iniziato a chiamarlo razzista e a fargli il saluto nazista, si è rivolto agli agenti che lo accompagnavano e ha detto: “”Forse Hitler non ne ha uccisi abbastanza”.

Quando il caso è finito sul ‘Courrier de l’Ouest’, Bourdouleix ha negato tutto e ha denunciato per diffamazione il quotidiano, che però ha pubblicato la registrazione delle sue parole. Un “falso”, ha insistito il deputato, che però ha convinto l’Udi ad espellerlo.
”Quelle parole sono inqualificabili e incompatibili con i valori del nostro partito”, ha affermato il segretario generale dell’Udi Jean-Christophe Lagarde. “Sono esterrefatto, e’ stato superato ogni limite. Invito tutte le forze repubblicane a dar prova di responsabilita”, ha detto invece il portavoce del Ps, David Assouline.

Si muove anche la giustizia: Bourdouleix è stato denunciato per “apologia di crimine contro l’umanità”. Già in passato era stato denunciato per un’altra sparata contro i nomadi: ”Di quella gente – disse allora – abbiamo paura, hanno tutti i diritti per loro. Sono pronto a prendere un camion pieno di m… per versarglielo in mezzo ai camper”.

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