ventennio leghista e cattolicesimo veneto

anemoni gialli con farfalla

una riflessione responsabile e puntuale e critica su un ventennio di convivenza tra la Lega Nord e il cattolicesimo veneto da parte di un sacerdote di Treviso, don Giorgio Morlin, a partire da questo interrogativo: “perché nel ricco nord-est, erede di una grande tradizione cattolica e di un’efficienza industriale senza rivali nel mondo, continua ad imperversare una deprimente povertà culturale e una colpevole dissipazione del patrimonio etico che i nostri padri ci hanno lasciato?”

 

Fine di una stagione?

Ventennio leghista e cattolicesimo veneto

La debacle politica dello schieramento berlusconiano-leghista nelle ultime consultazioni amministrative, che hanno coinvolto quasi 7 milioni di elettori in 564 comuni italiani, ha registrato un’autentica Caporetto anche a Tre- viso, da circa 20 anni amministrata e diventata indiscusso feudo leghista del sindaco Gian- Carlo Gentilini, assurto nell’immaginario nazionale a macchietta umoristica di sindaco sceriffo. Vorrei porre alcune mie considerazioni a proposito di una stagione che, probabilmente, si è chiusa per sempre e che merita un’analisi di tipo culturale oltre che politico. L’ex sindaco di Treviso, Gentilini, figura dal linguaggio eccentrico e spesso becero, diventa un caso nazionale nell’ottobre 1997 quando to- glie le panchine della stazione ferroviaria per allontanare «negri e perdigiorno», o quando, nel 2004, in un’intervista alla stampa, spara contro gli omosessuali dicendo: «Darò disposizione ai vigili affinché facciano pulizia etnica dei culatoni!», oppure nel 2005 quando attacca gli immigrati presenti in città affermando perento- rio: «Bisognerebbe vestirli da leprotti per fare pim pum pam con il fucile!». E quando, molto timidamente qualche parroco trevigiano, in nome del vangelo, parla di tolleranza, di accoglienza e di fraternità, il nostro sceriffo punta simboli- camente  il fucile contro «i preti rossi che sono da mandar via a furor di popolo!». A Treviso, durante il ventennio leghista, il linguaggio gentiliniano registra un crescendo misto di folklore truce e di arroganza impunita che incrementa l’immagine popolana e vincente
dello sceriffo,il quale si presenta come paladino della città per difenderla da «comunisti, negri e omosessuali». Un sindaco che, per quanto ri- guarda dichiarazioni ad effetto, fa scuola e moltiplica attorno a sé numerosi proseliti. Come, ad esempio, avviene con il consigliere comunale leghista Bettio il quale, in un’intervista alla stampa del 2004, ha l’impudenza di affermare: «Sarebbe giusto far capire agli immigrati come ci si comporta usando gli stessi metodi nazisti. Per ogni trevigiano a cui recano danno o disturbo, vengono puniti 10 extracomunitari!» (cfr. Repubblica del 4 dicembre 2004). E da ultimo, nell’amarezza della sconfitta all’indomani dei negativi risultati elettorali del giugno 2013, il sindaco, richiamandosi addirittura a Gesù Cristo e al van- gelo, si lascia prendere dalla foga anticomunista di sempre: «Mi sento come un secondo Gesù Cristo che ha parlato nel deserto. Il mio Vangelo non l’hanno capito; la sinistra è come l’Islam che pensa di risolvere i problemi uccidendo e massacrando gli infedeli». Con simili linguaggi e con i molteplici gesti provocatori che conosciamo, in questa lunga stagione si è assistito ad un progressivo e triste dissolvimento di un humus culturale ed etico che, a Treviso, aveva plasmato il tessuto di una convivenza civile e solidale a partire dal dopo- guerra fino ai primissimi anni ’90. Lentamente è andato mutando il dna antropologico della società trevigiana che, nel giro di appena 20 anni, non solo ha fatto una chiara opzione politica per la Lega, arrivando a percentuali bulgare che sfiorano o superano il 50% dei con- sensi ma che sembra anche aver cambiato i suoi valori etico-culturali di riferimento. Cosa e per- ché è accaduto di talmente nefasto nella Marca Trevigiana, conosciuta fin dal medioevo come «la marca gioiosa e amorosa», da diventare nel giro di due decenni «la marca rabbiosa e ranco- rosa»? Cosa e perché è accaduto che la sola parola clandestino, com’era successo per la parola ebreo 60 anni prima, venisse considerata reato e colpisse gli immigrati come una condanna già emessa e pronta ad essere eseguita? Cosa e
perché è accaduto che un territorio, da sempre considerato la sacrestia d’Italia per la sua capillare cultura cattolica e la sua diffusa pratica re ligiosa, entrasse nell’immaginario collettivo italiano come la patria della xenofobia nazionale? E l’ultima ciliegina sulla torta della vergogna padana la possiamo leggere in una pagina Facebook del 13 giugno 2013, dove la militante leghista di Padova, Dolores Calandro, scrive la seguente infamia riferita alla neoministra ita- liana di colore Cécile Kyenge: «Ma non c’è mai nessuno che se la stupri?…». Perché nel ricco Nordest, erede di una grande tradizione cattolica e di un’efficienza industriale senza rivali nel mondo, continua ad imperversare una deprimente povertà cult rale e una colpevole dissipazione del patrimonio etico che i nostri padri ci hanno lasciato? Sono interrogativi quanto mai angoscianti per tutti. Dopo l’attraversamento del lungo tunnel che si spera di lasciare alle spalle, con quest’ultimo passaggio viene oggi posta l’attenzione non solo sull’appartenenza politica ma anche sulla coscienza ecclesiale ed etica di un popolo, quello trevigiano, che si professa cattolico. Una coscienza che, anche a livello di presbiterio diocesano e di comunità parrocchiali nel loro complesso, probabilmente è rimasta latitante proprio nel momento in cui il virus letale entrava subdolamente in circolo nel corpo sociale a corrompere e a dissolvere il tessuto connettivo di una realtà popolare che ha secoli di storia solidale. Nel corso degli anni, senza percepire la gravità del fenomeno degenerativo, è avvenuta al- l’interno di questa realtà una lenta ma micidiale metabolizzazione per cui, ad esempio, si me- scolava banalmente, come niente fosse, la blasfema espressione del cosiddetto dio Po, gene- rata dalla dissacrante e idiota ritualità celtico- leghista, con la fede nel Dio di Gesù Cristo, la sola che qualifica l’identità del cristiano.
don Giorgio Morlin (Treviso)

al presidente della repubblica

Scriviamo al Presidente della Repubblica ed a tutti i parlamentari: non vogliamo essere governati da un condannato con sentenza della Corte di Cassazione per “frode fiscale”.

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Presidente della Repubblica

Secondo la Costituzione Italiana, siamo noi, il popolo sovrano a decidere chi ci deve rappresentare e governare mediante il voto ma nel rispetto della stessa e delle leggi. Ci hanno preso in giro con la legge elettorale il cosiddetto “Porcellum”, dove pochi capipartito hanno deciso e decidono chi e dove candidare coloro che poi eletti decideranno per tutti. Hanno detto a parole di volerla cambiare nel senso di ridarci l’opportunità di scegliere i candidati: tante parole, zero fatti. Noi abbiamo proposto la nostra legge elettorale, che gli toglie potere e lo da al popolo: Ecco la legge elettorale che dovete approvare.

E’ un dovere ed un diritto conoscere chi ci rappresenta e quello che decide per noi: Vogliamo i nomi dei parlamentari che sostengono il condannato per “frode fiscale”.

La situazione peggiora di giorno in giorno. Abbiamo un condannato per frode fiscale in via definitiva con sentenza della Corte di Cassazione leader del PDL partito di maggioranza che governa tutti noi. E’ un paradosso italiano che non mi piace e non condivido.

Ci chiediamo: Perchè calpestare la Costituzione Italiana per salvare un condannato per “frode fiscale”? Ecco che cosa hanno scritto i magistrati della Corte di Cassazione: Silvio Berlusconi fu ”ideatore del meccanismo del giro dei diritti che a distanza di anni continuava a produrre effetti (illeciti) di riduzione fiscale per le aziende a lui facenti capo”. Leggete: Silvio Berlusconi: le motivazioni della sentenza di condanna inerente i diritti Mediaset. E’ gravissimo.

Noi siamo liberi, non tirateci per la giacchetta! Abbiate rispetto. riteniamo che Il consenso popolare non certifica l’impunibilità e l’immunità. Siamo coscienti che seguire la corrente è più facile ma noi sappiamo che Ci vuole coraggio, ma è vitale schierarsi a tutela della Giustizia e della Legalità. Molti si riempiono la bocca con le parole “legalità” e “giustizia” La Legalità non va solo enunciata ma messa in atto e coniugata con la giustizia. Il vero dramma è che La chiarezza, la moralità, l’onestà e la giustizia non garantiscono i voti per governare.

La legalità, la giustizia ed i valori umani come la morale e l’etica devono essere la base sulla quale costruire la politica: Sono morte l’educazione, il rispetto, l’etica e la morale.

E’ un obbligo ritrovare l’“Orgoglio Italia”: rispetto, onestà, legalità, giustizia, merito, capacità, talento, solidarietà, uguaglianza.

Mi spiace ma i miei eroi sono tutti quei morti che hanno dato la vita per noi, per la Giustizia, per la Legalità, per la verità. Sono stati tanti ma per semplicità li simboleggio in Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, due magistrati uccisi per mano della mafia:

Noi chiediamo un governo serio, duraturo e chiaro: Vogliamo un Governo forte, duraturo e politico che pensi al bene del popolo.

Noi pretendiamo un Parlamento senza condannati: Fuori i condannati dal Parlamento.

Noi ci domandiamo come è possibile che deve legiferare un condannato per frode fiscale: Egregio Letta è indecente governare con il condannato per frode fiscale.

Come è possibile che si discute della decadenza attraverso la legge cosiddetta Severino e non c’è una condanna etica, morale e politica da parte di tutti gli altri membri del parlamento: Passaparola: “No, al salvacondotto per Silvio Berlusconi condannato per frode fiscale.”

Noi chiediamo la grazia per i cittadini onesti: Chiedo la “grazia” al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.

Noi vogliamo sapere chi sostiene il condannato per frode fiscale, è un nostro diritto/dovere: Vogliamo i nomi dei parlamentari che sostengono il condannato per “frode fiscale”.

Noi siamo il popolo, chiediamo solo il rispetto della Costituzione e delle leggi: Silvio Berlusconi, la questione è il rispetto della Costituzione Italiane, delle leggi, delle Istituzioni e del popolo.

Abbiamo il Vicepresidente del Consiglio dei ministri Angelino Alfano che ha dichiarato «Presidente, siamo pronti a staccare la spina al governo», ha giurato, «dicci quello che dobbiamo fare e noi eseguiamo, a un tuo segnale noi ci dimettiamo». dove il Presidente è il condannato per frode fiscale Silvio Berlusconi.

Sostituendo alla parola “presidente” le parole realistiche della sentenza emessa dalla Corte di Cassazione “condannato per frode fiscale” si legge “Condannato per frode fiscale, siamo pronti a staccare la spina al governo” ha giurato, “dicci quello che dobbiamo fare e noi eseguiamo, a un tuo segnale noi ci dimettiamo”. Aspettiamo le vostre valutazioni nel merito a tali dichiarazioni.

Tali parole sono di una gravità assoluta per tutte le Istituzioni. Vi chiedo come è possibile essere governati da chi esprime tali pensieri? Quale insegnamento ed esempio ne trae il “popolo sovrano”?

Abbiamo un condannato per frode fiscale tale Silvio Berlusconi senatore della Repubblica assenteista al 99,92 % Qualsiasi altro datore di lavoro avrebbe licenziato un lavoratore assente al 99,92%. che percepisce lo stipendio ovvero i nostri soldi.

Le domande e le riflessioni da comunicarvi sono tante ma per ora vi lascio con quest’ultima riflessione/domanda L’Italia è un paese “normale”?

Vogliamo e Chiediamo le dimissioni del Governo e di tutto il Parlamento. Vogliamo nuove elezioni.

le 10 regole per capire come i potenti ci ingannano

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Noam Chomsky

Chomsky

Le 10 regole per capire come i potenti ci ingannano

Avram Noam Chomsky è il più grande intellettuale vivente, o almeno così è come lo definisce il New York Times.

Nel 1957 pubblica il volume Syntactic structures (Le strutture della sintassi), che contiene in nuce la sua teoria rivoluzionaria sulla grammatica generativo-trasformazionale. Il 16 aprile 2004 ha ricevuto la Laurea honoris causa in Lettere dall’ateneo fiorentino, “quale riconoscimento allo studioso eminente nel campo delle scienze del linguaggio e delle capacità cognitive e all’intellettuale da sempre impegnato in difesa della libertà di pensiero”.

ecco le 10 regole che i potenti usano, attraverso i grandi mezzi di comunicazione, per filtrare e far arrivare alla gente solo determinate informazioni o messaggi.

Conoscendo queste regole possiamo renderci conto di come le nostre menti vengono manipolate ogni giorno.

1 -La strategia della distrazione
L’elemento primordiale del controllo sociale è la strategia della distrazione che consiste nel deviare l’attenzione del pubblico dai problemi importanti e dei cambiamenti decisi dalle élites politiche ed economiche, attraverso la tecnica del diluvio o inondazioni di continue distrazioni e di informazioni insignificanti.
La strategia della distrazione è anche indispensabile per impedire al pubblico d’interessarsi alle conoscenze essenziali, nell’area della scienza, l’economia, la psicologia, la neurobiologia e la cibernetica. Mantenere l’Attenzione del pubblico deviata dai veri problemi sociali, imprigionata da temi senza vera importanza.
Mantenere il pubblico occupato, occupato, occupato, senza nessun tempo per pensare, di ritorno alla fattoria come gli altri animali (citato nel testo “Armi silenziose per guerre tranquille”).

2 – Creare problemi e poi offrire le soluzioni.
Questo metodo è anche chiamato “problema- reazione- soluzione”. Si crea un problema, una “situazione” prevista per causare una certa reazione da parte del pubblico, con lo scopo che sia questo il mandante delle misure che si desiderano far accettare. Ad esempio: lasciare che si dilaghi o si intensifichi la violenza urbana, o organizzare attentati sanguinosi, con lo scopo che il pubblico sia chi richiede le leggi sulla sicurezza e le politiche a discapito della libertà. O anche: creare una crisi economica per far accettare come un male necessario la retrocessione dei diritti sociali e lo smantellamento dei servizi pubblici.

3 – La strategia della gradualità.
Per far accettare una misura inaccettabile, basta applicarla gradualmente, a contagocce, per anni consecutivi. E’ in questo modo che condizioni socioeconomiche radicalmente nuove (neoliberismo) furono imposte durante i decenni degli anni ‘80 e ‘90: Stato minimo, privatizzazioni, precarietà, flessibilità, disoccupazione in massa, salari che non garantivano più redditi dignitosi, tanti cambiamenti che avrebbero provocato una rivoluzione se fossero state applicate in una sola volta.

4 – La strategia del differire.
Un altro modo per far accettare una decisione impopolare è quella di presentarla come “dolorosa e necessaria”, ottenendo l’accettazione pubblica, nel momento, per un’applicazione futura. E’ più facile accettare un sacrificio futuro che un sacrificio immediato. Prima, perché lo sforzo non è quello impiegato immediatamente. Secondo, perché il pubblico, la massa, ha sempre la tendenza a sperare ingenuamente che “tutto andrà meglio domani” e che il sacrificio richiesto potrebbe essere evitato. Questo dà più tempo al pubblico per abituarsi all’idea del cambiamento e di accettarlo rassegnato quando arriva il momento.

5 – Rivolgersi al pubblico come ai bambini.
La maggior parte della pubblicità diretta al gran pubblico, usa discorsi, argomenti, personaggi e una intonazione particolarmente infantile, molte volte vicino alla debolezza, come se lo spettatore fosse una creatura di pochi anni o un deficiente mentale. Quando più si cerca di ingannare lo spettatore più si tende ad usare un tono infantile. Perché? “Se qualcuno si rivolge ad una persona come se avesse 12 anni o meno, allora, in base alla suggestionabilità, lei tenderà, con certa probabilità, ad una risposta o reazione anche sprovvista di senso critico come quella di una persona di 12 anni o meno” (vedere “Armi silenziosi per guerre tranquille”).

6 – Usare l’aspetto emotivo molto più della riflessione.
Sfruttate l’emozione è una tecnica classica per provocare un corto circuito su un’analisi razionale e, infine, il senso critico dell’individuo. Inoltre, l’uso del registro emotivo permette aprire la porta d’accesso all’inconscio per impiantare o iniettare idee, desideri, paure e timori, compulsioni, o indurre comportamenti.

7 – Mantenere il pubblico nell’ignoranza e nella mediocrità.
Far si che il pubblico sia incapace di comprendere le tecnologie ed i metodi usati per il suo controllo e la sua schiavitù.
“La qualità dell’educazione data alle classi sociali inferiori deve essere la più povera e mediocre possibile, in modo che la distanza dell’ignoranza che pianifica tra le classi inferiori e le classi superiori sia e rimanga impossibile da colmare dalle classi inferiori”.

8 – Stimolare il pubblico ad essere compiacente con la mediocrità.
Spingere il pubblico a ritenere che è di moda essere stupidi, volgari e ignoranti …

9 – Rafforzare l’auto-colpevolezza.
Far credere all’individuo che è soltanto lui il colpevole della sua disgrazia, per causa della sua insufficiente intelligenza, delle sue capacità o dei suoi sforzi. Così, invece di ribellarsi contro il sistema economico, l’individuo si auto svaluta e s’incolpa, cosa che crea a sua volta uno stato depressivo, uno dei cui effetti è l’inibizione della sua azione. E senza azione non c’è rivoluzione!

10 – Conoscere gli individui meglio di quanto loro stessi si conoscono.
Negli ultimi 50 anni, i rapidi progressi della scienza hanno generato un divario crescente tra le conoscenze del pubblico e quelle possedute e utilizzate dalle élites dominanti. Grazie alla biologia, la neurobiologia, e la psicologia applicata, il “sistema” ha goduto di una conoscenza avanzata dell’essere umano, sia nella sua forma fisica che psichica. Il sistema è riuscito a conoscere meglio l’individuo comune di quanto egli stesso si conosca. Questo significa che, nella maggior parte dei casi, il sistema esercita un controllo maggiore ed un gran potere sugli individui, maggiore di quello che lo stesso individuo esercita su sé stesso.

 

il vero G20 secondo V. Zucconi

 

Benvenuti al vero G20 del Pontefice

unico leader in un mondo di potenti
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Così la voce di Bergoglio si è imposta sulla stanchezza della politica

Ci voleva un Papa venuto dalle Americhe per dare una lezione all’America. Era necessario il figlio di culture e di continenti diversi, non più ancorato alla stanca Europa, un uomo con il senso innato e istintivo del rimpicciolimento di un mondo senza più tempeste locali ed egemonie indiscusse.

CI VOLEVA uno così per fare quello che i potenti della Terra, nei loro sempre più irrilevanti festival delle vanità come i G20, non riescono a fare: trovare una voce che attraversi gli oceani d’acqua e di rancori. E che meriti di essere ascoltata.
Era stato accolto con molta indifferenza, e con un retrogusto di ironia, l’appello di Francesco alla giornata di digiuno, a quel piccolo gesto di autosacrificio e di autonegazione che è in tutte le religioni, da quelle che noi chiamiamo «primitive» a quelle teologicamente più complesse, una forma intensa e fisica di preghiera e devozione. I grandi media americani, e la cacofonia della Rete, avevano quasi ignorato questa iniziativa, involontariamente riaccreditando la famigerata battuta di Stalin sulle «divisioni del Papa».
E se forse non basterà quella folla multireligiosa e diversa che ieri ha gremito piazza San Pietro come si vedeva soltanto per i lutti e le feste solenni, a deviare la nuova “marcia della follia” verso un’operazione militare dalle premesse incerte e dagli esiti oscuri, qualche cosa è accaduto ieri che non sarà dimenticato né facile da ignorare. Nel mondo di questo 2013, sempre più deluso da un uomo al quale erano stati ingiustamente attribuite facoltà taumaturgiche e premi Nobel ancor prima che governasse, Barack Obama, e certamente non disposto ad affidarsi a personaggi sinistri come Vladimir Putin, la voce del Vescovo di Roma ha riempito un silenzio. Ha gridato nel deserto, ma il deserto si è rivelato brulicante di persone disposto ad ascoltarlo.
Quello di ieri è stato un esperimento. È stato un test destinato forse più a verificare la correttezza della intuizione di Bergoglio che a cambiare istantaneamente la storia. Il Papa, con un’iniziativa improvvisata, decisa con quella sua tecnica impulsiva di muoversi e parlare prima che la ragnatela degli opportunismi e delle prudenze curiali lo imprigioni, ha lanciato una sfida avendo visto, capito, sentito quanto profondamente e trasversalmente rifiutata nel mondo fosse l’ipotesi di una nuova strage per impedire una strage. La preoccupazione di «fare il gioco» di questo o di quello, invitando popoli anche di osservanza diversa a unirsi a questo esorcismo del demone guerriero, non lo ha toccato. Il senso che un errore sia un errore, chiunque lo commetta e chiunque ne tragga vantaggio, lo ha ispirato.
Anche Giovanni Paolo II, nei giorni della scellerata invasione dell’Iraq, come prima di lui Giovanni XXIII nella vigilia della possibile guerra nucleare attorno ai missili sovietici a Cuba, avevano alzato le loro voci. Il Papa polacco, che pure era stato vicinissimo agli Stati Uniti e ai loro interessi collaborando al tracollo del Socialismo Reale, senza ottenere nulla. Il Papa bergamasco forse compiendo il miracolo indiretto e indimostrabile di dissuadere Kruscev dallo spingere il proprio
bluff fino alle estreme conseguenze contro il blocco navale di Kennedy attorno all’isola.
Ma soltanto Papa Francesco ha deliberatamente scavalcato il recinto del proprio gregge mistico, della propria pur enorme “parrocchia”, si è rivolto a chi crede di invocare un Dio diverso, ha ottenuto che dallo “scontro di civiltà”, come piaceva definirlo ai fanatici di ieri che oggi si ritrovano con molti scontri e nessuna civiltà esportata, nascesse un’ipotesi di civiltà comune senza scontro. Ha avvertito il vuoto che il collasso di un ordine mondiale riportato al tragico palliativo della forza aveva creato e ci ha fatto irruzione. Per cercare di riempirlo con le mani vuote.
C’è un elemento di divina follia, anche di estrema ambizione in questo intervento di un Pontefice cattolico romano ancora all’alba del proprio regno. Ma quello che rende credibile, se non ancora efficace, l’azione del Papa è la convinzione che non agisca certamente per vanità personale e neppure necessariamente per fare
propaganda fidei alla propria confessione. Si capisce, o si spera di capire, che lo fa perché considera giusto farlo e che il digiuno e la preghiera di mussulmani ed ebrei, di cattolici e di protestanti, di animisti e di buddhisti arrivano, se arrivano, alle orecchie dello stesso Dio, se c’è.
Proprio il rifiuto sempre più avvertito del cosiddetto «potere temporale» della Chiesa, che ormai si era ridotto a orpelli, congiure di corte, carrierismi, intrighi in affari di stati laici, se non a operazioni finanziarie delittuose, non toglie, ma irrobustisce il potere spirituale. Dà alle iniziative di questo Papa quello che ai pezzi grossi del mondo manca ogni giorno di più: la credibilità. Se non rischiasse anche lui di restare impigliato nella vanagloriosa inutilità, Papa Bergoglio dovrebbe essere invitato al prossimo G20. Il convitato con le mani vuote, ma la coscienza pulita.

Da La Repubblica del 08/09/2013.

Rodotà e la costituzione

 

presentazione del volume 'Pubblico, privato, comune. Lezioni dalla crisi globale'

RODOTA’: “CONSERVATORI? SULLA COSTITUZIONE SI”
«Né una zattera per naufraghi né un onorato rifugio per reduci di battaglie perse».

Stefano Rodotà lo mette in chiaro da subito: davanti a 300 persone stipate in una sala congressi romana a metà strada tra la stazione Termini e l’università La Sapienza, il giurista battezza così l’assemblea “aperta” convocata insieme al presidente di Libertà e Giustizia, Gustavo Zagrebelsky, al leader della Fiom, Maurizio Landini, alla costituzionalista Lorenza Carlassare e al fondatore di Libera, don Luigi Ciotti.

E se il Professore sa bene come non dovrà concludersi il percorso tracciato ieri, più difficile è immaginare l’approdo finale. Quel che è certo, per ora, è che la bussola sarà la Costituzione e la prima tappa è già fissata: appuntamento il 12 ottobre a Roma per una manifestazione. Per adesso c’è un documento, “La via maestra”, che nel frattempo verrà dibattuto in varie città mentre si apre la discussione in Parlamento sulle riforme costituzionali. Un disegno di legge che preoccupa i 5 firmatari del manifesto,convinti che la Carta vada «applicata e non modificata». E pazienza se si passa per «conservatori», come ieri Enrico Letta ha definito quelli che non vogliono mettere mano al bicameralismo o al numero di deputati e senatori.

«L’argomento del premier è capzioso — contrattacca Rodotà — perché si poteva iniziare da lì, senza puntare alla tortuosa modifica del 138 (l’articolo che determina le possibili revisioni della Carta, ndr). Ma se si tratta di difendere i principi della Costituzione allora sì, siamo assolutamente conservatori». Ad ascoltarlo, in platea, c’è soprattutto la sinistra rimasta fuori dal Parlamento. C’è il segretario di Rifondazione Paolo Ferrero e il leader di Azione Civile Antonio Ingroia. In due punti distanti della sala ci sono anche gli ex portavoce del Genoa Social Forum per il G8 del 2001, Vittorio Agnoletto e Luca Casarini. Passa Nichi Vendola che, però, resta defilato e non interviene.

Per il Pd si vedono Corradino Mineo e Vincenzo Vita. Quando tocca a quest’ultimo spiega di essere ancora «iscritto al Pd» e in tanti rumoreggiano. «Un errore — dirà poi Rodotà — non dobbiamo chiuderci nella nostra autoreferenzialità ». Al contrario, si applaude quando Landini avverte: «Non siamo più disponibili a firmare accordi che chiudano le fabbriche. Metteremo in campo gesti di difesa totale dei posti di lavoro. Se necessario, anche con l’occupazione delle fabbriche».

L’altro applauso fragoroso lo incassa Paolo Flores D’Arcais, fondatore di Micromega: «Se fra qualche mese l’unica alternativa elettorale si chiamerà Matteo Renzi, allora vorrà dire che Berlusconi avrà vinto». Nella sala si vedono molti capelli bianchi, diversi trentenni, qualche maglietta di Che Guevara e tanti che 2 anni fa hanno partecipato alla vittoria dei referendum sull’acqua. «È da lì che bisogna ripartire — ricorda Rodotà — per fare “massa critica”. Parlare adesso di struttura organizzativa sarebbe letale e intempestivo. Sinistra Arcobaleno e Rivoluzione civile sono stati due fallimenti. Noi ci proponiamo di incidere sulla politica in modo diverso ». In platea sono avvisati

il prete che ha detto no a celebrare il matrimonio di Belen

 

Don Cavazzana, il sacerdote che ha detto no a Belen:

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“Il matrimonio non è una carnevalata”
di Sara Tripoli

«Sono un prete. Il matrimonio è un sacramento, non un carnevale mediatico. Mi sento a disagio». Don Roberto Cavazzana, parroco della Chiesa di Carbonara, provincia di Padova, ha il tono di chi non ne può più. Stacca il telefono. Si pente e lo riaccende. Poi lo spegne di nuovo: «Voi state facendo il vostro lavoro e io lo capisco. Ecco perché le rispondo, anche se la tentazione sarebbe un’altra». Se il suo obiettivo era la quiete dopo i paparazzi, è andata male: da ore la notizia della sua rinuncia a sposare Belen Rodriguez e Stefano De Martino lo ha reso ancora più celebre. Prima era il sacerdote che doveva celebrare il matrimonio dell’anno. Adesso molto di più: l’uomo di chiesa che si ribella alle regole del gossip.

Don Roberto, ci spiega perché non vuole più sposare Belen?
«I riflettori sono sempre accesi: servizi sulla Chiesa, giornalisti che mi telefonano in continuazione. Io ho da fare, sono un parroco di una unità pastorale. Insegno religione alle scuole medie».

Un sacramento, non gossip. Non è che la sua è una condanna del mondo dello spettacolo, tutta scena e pochi contenuti?
«Ma no, non sono mica un retrogrado, ho 38 anni. Io rispetto tutte le professioni, la mia, la sua, quella di Belen, di Stefano. I pettegolezzi comunque fanno solo male alla gente, questo sì».

Che coppia sono Belen Rodriguez e Stefano Di Martino?
«Una coppia in gamba. Come molte altre che seguo peraltro».

Quando lo ha detto a Belen che non sarebbe stato lei a chiedere il fatidico “Sì”?
«Ma io lo avevo detto a lei e a Stefano. Avevo chiarito subito che li avrei seguiti volentieri nei colloqui prematrimoniali ma che forse avrei avuto degli impegni per il matrimonio. Lo sapevano e la conferma l’ho comunicata a fine agosto».

Quali impegni la tengono lontana dal lago il 20 settembre? Il matrimonio non è fra i compiti di un sacerdote?
«Certo che lo è, ma io ho da fare quello che devono fare i preti. La nostra unità pastorale comprende tre parrocchie: sono 4500 persone».

Perché Belen è venuta fino a Padova per trovare un sacerdote di Padova che celebrasse il suo matrimonio?
«Ci siamo conosciuti ad una cena a casa di Giorgia ed Emiliano lo scorso novembre e poi ci siamo rivisti qualche volta».

Mi scusi don Roberto, chi sono Giorgia ed Emiliano?
«Emiliano Bonazzoli, centravanti del Padova. Io sono un tifoso della squadra. Giorgia è sua moglie ed è amica di Belen».

Siete diventati amici e le hanno chiesto di sposarli?
«Mi hanno chiesto se potevo essere io a seguirli nella preparazione pre-matrimoniale. Ho risposto che lo avrei fatto volentieri».

Venivano ogni volta da Milano a Carbonara?
«Sì, una volta al mese circa. Ma non è detto che venissero apposta. Magari dovevano spostarsi per lavoro ».

Quando venivano nella sua parrocchia non avevano paparazzi al seguito?
«No, per fortuna non li ho mai visti ». .

Ha chiesto lei a don Marco Pozza, detto anche don Spritz perché va a cercare i giovani nei locali della movida padovana, di prendere il suo posto sul pulpito il 20 settembre?
«Sì, gli ho chiesto questo favore. Mi ha risposto che per farmi un piacere lo avrebbe fatto volentieri».

Ha detto di più. Dice che per uno come lui che sta tutto il tempo con i detenuti sposare una delle donne più belle del mondo è un dono del cielo. Lo sapeva?
«Davvero ha detto così?».

In merito anche una bella ‘amaca’ di M. Serra ne ‘La Repubblica’ odierna:

Non viene reso noto dalle cronache che tipo di prete sia don Roberto Cavazzana, parroco di Comignago. Ma il suo rifiuto di celebrare le nozze della signorina Belen e del suo fidanzato ce lo rende immediatamente amico. «Troppo clamore – ha detto – , si rischia che passi in secondo piano il vero significato della cerimonia, che è un sacramento ». In questo paese slabbrato e facilone, ogni richiamo alla serietà delle cose (non solo delle cerimonie) è un indizio di salvezza. Difficile che gli sposini sappiano coglierlo, con tutti quei paparazzi al seguito. Per tutti gli altri, il messaggio di don Roberto non è equivocabile. È uno di quei “preferirei di no” che aiutano a riconquistare senno e libertà di giudizio. Gli hanno fatto notare che sull’altro piatto della bilancia c’è la ricaduta pubblicitaria sull’antica abbazia nella quale l’evento sarà comunque celebrato (da un prete più paziente o più arrendevole). Ha ripetuto che, per quanto lo riguarda, un matrimonio religioso non può e non deve essere un evento mediatico. È un’osservazione tanto calzante quanto travolta e offesa dal crudo svolgersi dei fatti e evolversi del costume. Ma non sempre le cose giuste sono quelle più condivise.

tutte le religioni gridino il loro no alla guerra!

papa veglia

TUTTE LE RELIGIONI GRIDINO NO ALLA GUERRA, UNA SCONFITTA PER L’UMANITA’ : questo il messaggio forte di papa Francesco nella serata di preghiera contro la guerra

“Vorrei chiedere al Signore, questa sera, che noi cristiani, i fratelli delle altre Religioni, ogni uomo e donna di buona volonta’ gridasse con forza: la violenza e la guerra non e’ mai la via della pace!”. Sono parole di Papa Francesco alle veglia di questa sera per la pace in Siria.
“Ognuno – ha invocato – si animi a guardare nel profondo della propria coscienza e ascolti quella parola che dice: esci dai tuoi interessi che atrofizzano il cuore, supera l’indifferenza verso l’altro che rende insensibile il cuore, vinci le tue ragioni di morte e apriti al dialogo, alla riconciliazione: guarda al dolore del tuo fratello e non aggiungere altro dolore, ferma la tua mano, ricostruisci l’armonia che si e’ spezzata; e questo non con lo scontro, ma con l’incontro!”.
In 100 mila sono accorsi all’appello del Pontefice per scongiurare un attacco militare in Siria. E’ stata la cerimonia piu’ lunga mai tenuta in piazza San Pietr

”Il mondo di Dio – ha ricordato Francesco – e’ un mondo in cui ognuno si sente responsabile dell’altro, del bene dell’altro”. “Questa sera – ha aggiunto – nella riflessione, nel digiuno, nella preghiera, ognuno di noi, tutti pensiamo nel profondo di noi stessi: non e’ forse questo il mondo che io desidero? Non e’ forse questo il mondo che tutti portiamo nel cuore? Il mondo che vogliamo non e’ forse un mondo di armonia e di pace, in noi stessi, nei rapporti con gli altri, nelle famiglie, nelle citta’, nelle e tra le nazioni? E la vera liberta’ nella scelta delle strade da percorrere in questo mondo non e’ forse solo quella orientata al bene di tutti e guidata dall’amore?”. “Tutto il creato forma un insieme armonioso, buono, ma soprattutto gli umani, fatti ad immagine e somiglianza di Dio, sono un’unica famiglia, in cui le relazioni sono segnate da una fraternita’ reale non solo proclamata a parole: l’altro e l’altra sono il fratello e la sorella da amare, e la relazione con il Dio che e’ amore, fedelta’, bonta’ si riflette su tutte le relazioni tra gli esseri umani e porta armonia all’intera creazione”.

“Il mondo di Dio – ha detto ancora il Pontefice – e’ un mondo in cui ognuno si sente responsabile dell’altro, del bene dell’altro”. “Questa sera – ha scandito Papa Bergoglio – nella riflessione, nel digiuno, nella preghiera, ognuno di noi, tutti pensiamo nel profondo di noi stessi: non e’ forse questo il mondo che io desidero? Non e’ forse questo il mondo che tutti portiamo nel cuore? Il mondo che vogliamo non e’ forse un mondo di armonia e di pace, in noi stessi, nei rapporti con gli altri, nelle famiglie, nelle citta’, nelle e tra le nazioni? E la vera liberta’ nella scelta delle strade da percorrere in questo mondo non e’ forse solo quella orientata al bene di tutti e guidata dall’amore?”.

 

luciana littizzetto e il linguaggio dei maschi

Gli uomini fanno fatica a dire ti amo.

coccinelle

Lo dicono solo in caso di estrema necessità, tipo quando proprio non ne possono fare a meno, sennò dicono dei surrogati. Dei derivati del ti amo. Che fanno danni come i derivati delle banche. Dite delle cose tipo: sei molto importante per me. E cosa vuol dire molto importante? Anche non pestare una cacca di cane prima di portare le scarpe al calzolaio è molto importante, ma non è mica la stessa cosa che dire ti amo. Dite cose tipo: Mi fai stare bene.
Ma mi fai stare bene lascialo dire a Biagio Antonacci. Dillo al tuo medico Shiatzu quando ti schiaccia i piedi per metterti a posto la cervicale. Oppure sprecate quelle parole tipo tesoro, meraviglia, splendore. Ma splendore cosa? Guardami. Splendo?
Non sono mica una plafoniera? Ma dite ti amo, pezzi di cretini! Se la prima volta vi vergognate mettete la testa nel sacchetto del pane?! Dite “ti amo” mentre vi lavate i denti? Sglrlb? Va bene anche quello. Poi al limite cambiate idea. Dire una volta ti amo non crea nè impotenza nè assuefazione.
Poi il bello è che non capite nulla anche quando siamo noi a dirvi parole d’amore. Se vi diciamo cose romantiche tipo: Amore, guarda che luna.. voi rispondete: Minchia l’una? Pensavo fossero le undici. Andiamo che mi è scaduto il parcheggio. Ma noi vi amiamo lo stesso. Cosi come siete.
Vi amiamo anche quando…vi vantate di aver scritto il vostro nome facendo pipì sulla neve, amiamo i vostri piedi anche se sono armi di distruzione di massa, vi amiamo anche se di notte russate che ci sembra di dormire ai piedi dello Stromboli, vi amiamo anche se per trovarvi per casa basta seguire le tracce come per gli animali servatici, giacca, camicia, canotta, tutto lasciato per terra finchè sul divano non trovi un tizio con la felpa della Sampdoria che gioca alla Playstation, vi amiamo quando per fare un caffè ne spargete un quarto sul tappetino e due quarti sul gas. E poi dite che viene leggero.
Vi amiamo quando avvitate la caffettiera fino allo spasimo che per aprirla dobbiamo chiamare i pompieri, e poi non chiudete i barattoli, appoggiate solo il coperchio sopra cosi appena lo prendi sbadabam cade tutto. Vi amiamo quando sparecchiate la tavola con la tecnica del discobolo, mettendo in frigo la pentola della minestra che poggia su due mandarini.
Vi amiamo quando a Natale scavate il panettone con le dita, quando per farvi un caffè sporcate la cucina che neanche 10 Benedette Parodi.. e pure quando per farvi la doccia allagate il bagno e lasciate la malloppa di peli nello scarico, che sembra di stare insieme a un setter irlandese! Vi amiamo quando diciamo voglio un figlio da te e voi rispondete “Magari un cane” e noi vorremmo abbandonare VOI in autostrada non il cane.
Vi amiamo quando andate a lavare la macchina e ci chiudete dentro coi finestrini aperti, vi amiamo quando fate quelle battute tipo prima di fidanzarti guarda la madre, perché la figlia diventerà cosi, Voi no. Voi spesso siete pirla fin da subito. Vi amiamo quando mettete nella lavastoviglie i coltelli di punta, che quando noi la svuotiamo ci scarnifichiamo, e quando invece di sostituire il rotolo finito della carta igienica usate il tubetto di cartone grigio come cannocchiale.
E’ per amore vostro che facciamo finta di addormentarci abbracciati anche se dormire sul vostro omero ci dà un po’ la sensazione di appoggiare la mandibola su un ramo secco di castagno, e vi amiamo anche se considerate come dogma assoluto che l’arrosto della mamma è più buono di quello che facciamo noi. Il creatore non ha detto: E la suocera fece l’arrosto fatelo sempre cosi in memoria di me.
Insomma, noi vi amiamo anche quando date il peggio, vi amiamo nella buona ma soprattutto nella schifosa sorte. Vi amiamo perché amiamo l’amore che è un apostrofo rosa tra le parole: E’ irrecuperabile.. ma quasi quasi me lo tengo.
Perchè San valentino è la festa dell’amore, declinato in tutte le sue forme. L’amore delle persone che si amano. Anche delle donne che amano le donne e degli uomini che amano gli uomini. MA CHE CI INTERESSA QUELLO CHE FANNO A LETTO.. L’IMPORTANTE E’ CHE LE PERSONE SI VOGLIANO BENE, SOLO QUESTO CONTA.
Pensa che bello sarebbe vivere in un paese dove tutti i diritti fossero riconosciuti. Ma non solo i diritti dei soldi. Quelli dell’anima. Quelli che mi dicono che posso vegliare la persona che ho amato per anni in un letto d’ospedale senza nessuno che mi cacci via perchè non siamo parenti. E poi vorremmo un san valentino dove nessun uomo per farci i complimenti dicesse che siamo donne con le palle. Dirci che siamo donne con le palle non è un complimento. Non le vogliamo. Abbiamo già le tette. Tra l’altro sono due e sferiche anche quelle. Vogliamo solo rispetto. In Italia in media ogni due o tre giorni un uomo uccide una donna, compagna, figlia, amante, sorella, ex.
Magari in famiglia. Perché non è che la famiglia sia sempre, per forza, quel luogo magico in cui tutto è amore.
La uccide perché la considera una sua proprietà. Perché non concepisce che una donna appartenga a se stessa, sia libera di vivere come vuole lei e persino di innamorarsi di un altro.. E noi che siamo ingenue spesso scambiamo tutto per amore, ma l’amore con la violenza e le botte non c’entrano un tubo. L’amore, con gli schiaffi e i pugni c’entra come la libertà con la prigione. Noi a Torino, che risentiamo della nobiltà reale, diciamo che è come passare dal risotto alla merda.
Un uomo che ci mena non ci ama. Mettiamocelo in testa. Salviamolo nell’hard disk. Vogliamo credere che ci ami? Bene. Allora ci ama MALE. Non è questo l’amore. Un uomo che ci picchia è uno stronzo. Sempre. E dobbiamo capirlo subito. Al primo schiaffo. Perché tanto arriverà anche il secondo, e poi un terzo e un quarto. L’amore rende felici e riempie il cuore, non rompe costole e non lascia lividi sulla faccia. Pensiamo mica di avere sette vite come i gatti? No. Ne abbiamo una sola. Non buttiamola via.

(Luciana Littizzetto)

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