Il musicista e professore rom a proposito della morte delle tre bambine rom bruciate vive

“strage figlia della segregazione. Raggi come gli altri sindaci”

intervista a

Alexian Santino Spinelli

a cura di Angelo Mastrandrea
in “il manifesto” del 11 maggio 2017

«È inutile che Virginia Raggi sia andata sul luogo della strage dopo che questa era avvenuta. Sarebbe dovuta intervenire prima, facendola finita con la politica della segregazione che da anni a Roma viene portata avanti contro i rom».

A botta calda dopo la morte delle tre sorelle nel rogo della loro roulotte a Centocelle, Alexian Santino Spinelli, musicista e docente universitario, autore di libri come Rom, questi sconosciuti (Mimesis editore), non si dice «meravigliato» dell’efferato fatto di sangue. Poteva accadere ed è accaduto, in una città (e un Paese come l’Italia) in cui i rom sono vittime di una «segregazione razziale» che, a suo parere, non è molto diversa da quella patita durante il nazifascismo. Parole nette e dure, anche se il movente dell’omicidio non è ancora chiaro e gli inquirenti tenderebbero a smentire la pista xenofoba.

Quello che è accaduto è mostruoso. Mi chiedo: che colpa potevano avere due bambini? Cose del genere non possono succedere in una società democratica. Invece avvengono perché i rom sono discriminati su base etnica. Qui stiamo parlando di cittadini italiani come tutti gli altri, la democrazia o vale per tutti o non è democrazia, e allo stesso modo la giustizia e l’uguaglianza. Quello che è accaduto a Roma è una grande sconfitta per la società democratica.

Lei chiede da anni la chiusura dei campi e denuncia il business a loro collegato. Le sembra che sia cambiato qualcosa con i 5 Stelle al Campidoglio?

Quando denunciavo la Tziganopoli romana mi consideravano come un pazzo, un personaggio sopra le righe. Invece i fatti mi hanno dato ragione. Mafia Capitale però non è finita: le associazioni che si occupano dei rom sono sempre le stesse. Se in quarant’anni hanno dimostrato di non essere all’altezza, perché sono ancora lì? Io sono un musicista e non un politico, ho sempre organizzato eventi culturali e artistici, ho portato la nostra cultura dove non era mai arrivata, ma non ho voluto mai partecipare a progetti sui rom, perché sapevo che servivano a mantenere lo status quo.

Perché i 5 Stelle non hanno pensato di cambiare qualcosa?

Raggi dovrebbe farla finita con le politiche di segregazione portate avanti dai sindaci che l’hanno preceduta. Dal questo punto di vista, non ci sono distinzioni tra destra e sinistra. Lo hanno fatto tutti.

Cosa si potrebbe fare in concreto, secondo lei?

Ad esempio, creare una Consulta romanì che affianchi le istituzioni sulle grandi questioni che riguardano i rom. A partire dal superamento dei campi, appunto. I rom non sono nomadi per cultura. Siamo stati deportati dall’India, questo non si chiama nomadismo ma mobilità coatta. Quelli che sono arrivati in Italia sono stati cacciati dalle loro case nell’ex Jugoslavia e in Romania. Colpisce che, a commento di un omicidio così efferato, si ascoltino lamentele sui furti ad opera dei rom invece che cordoglio per le giovani vite spezzate. È colpa di quei media che hanno instillato l’odio razziale nei cittadini. Ci sono trasmissioni televisive che non fanno altro. La responsabilità morale è loro e pure dei politici che da tempo dicono le stesse cose. È la stessa propaganda che si sentiva ai tempi del nazismo, quando si bruciavano le sinagoghe e le autorità se la ridevano e stavano a guardare. Non possiamo meravigliarci se poi accadono cose del genere, chiunque le abbia compiute. I centri di propaganda razzista andrebbero chiusi, le autorità dovrebbero intervenire. Oggi avviene come ai tempi del fascismo: alle vittime viene addossata pure la colpa dell’accaduto. Difficile sostenerlo, quando a morire sono due bambine innocenti e una ragazza. La lista dei bambini rom morti in tempo di pace è un bollettino di guerra. Non lo dico io bensì l’Unicef. Il nostro porrajmos (lo sterminio nazista dei rom e sinti, ndr) non è mai terminato. Non si può tacere di fronte a tanta disumanità. È una battaglia da combattere quotidianamente e nella quale, da patriota rom, sono impegnato. Mi sento per questo di rivolgere un appello a papa Francesco, per il quale ho avuto l’onore di suonare in un paio di occasioni: intervenga, abbiamo bisogno della sua solidarietà. Lui può fare più delle istituzioni, che tra l’altro rimangono in silenzio e non fanno nulla. È l’unica persona che può davvero aiutarci

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il vangelo della domenica commentato da p. Maggi

IO SONO LA VIA, LA VERITÀ E LA VITA

commento al vangelo della quinta domenica di pasqua (14 maggio 2017) di p. Alberto Maggi:

Gv 14,1-12

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no, vi avrei mai detto: “Vado a prepararvi un posto”? Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi. E del luogo dove io vado, conoscete la via». Gli disse Tommaso: «Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?». Gli disse Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto». Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi tu dire: “Mostraci il Padre”? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso; ma il Padre, che rimane in me, compie le sue opere. Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me. Se non altro, credetelo per le opere stesse. In verità, in verità io vi dico: chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre».


L’annuncio, da parte di Gesù, del tradimento di Pietro, getta lo sconforto nella comunità dei discepoli, ed è solo l’anticipo di quella tempesta che si avventerà sul suo gruppo. Allora Gesù cerca di incoraggiare il suo gruppo; è così che inizia il capitolo 14 del vangelo di Giovanni. Afferma Gesù: “«Non sia turbato il vostro cuore”, appunto perché c’è stato questo annuncio, “Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me”, perché Gesù unisce la fede in Dio e la fede in lui? Perché Gesù verrà catturato, torturato ed assassinato in nome di Dio, come un bestemmiatore, come un nemico di Dio, e Gesù invece afferma che, tra lui e Dio, c’è la piena sintonia. Poi Gesù dà un’indicazione veramente importante, preziosa, una di quelle indicazioni che, se comprese, cambiano veramente la relazione con il Padre: “Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore”, cosa vuol dire Gesù con questo fatto che ci sono molte dimore? L’immensità di Dio non si può manifestare in una sola persona o in una sola comunità, ma ha bisogno di molteplici forme per fiorire attraverso forme inedite, nuove, originali, di amore, di perdono, di misericordia. Non si tratta qui di una dimora presso il Padre, Gesù non va a preparare appartamenti, ma figli di Dio, ma il Padre che viene a dimorare tra gli uomini. Infatti, più avanti, al versetto 23 dello stesso capitolo, Gesù affermerà: “se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà, e noi verremo a lui, e faremo dimora presso di lui”, quindi ogni individuo, ogni comunità è chiamata ad essere l’unico vero santuario, dove dimora l’amore, la misericordia del Padre. E continua Gesù: “Se no, vi avrei mai detto: “Vado a prepararvi un posto”? Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto”, il termine indica il santuario, che quindi ogni persona diventa questo santuario visibile, “verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi”. Gesù è nella pienezza della dimensione divina, una pienezza che non è un suo esclusivo privilegio, ma una possibilità per tutti i credenti. “E del luogo dove io vado, conoscete la via»”, qual è la via? È quella che Gesù ha indicato: l’amore che si fa servizio.
E qui, a questo punto, c’è la replica di ben tre discepoli, qui nella versione liturgica ne abbiamo soltanto i primi due, il numero tre indica la totalità, quindi incomprensione da parte del gruppo. Il primo è Tommaso, che gli chiede: “«Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?»”. E qui Gesù risponde con questa affermazione importante, solenne: “«Io sono”, con “Io sono” rivendica la pienezza della condizione divina, “la via, la verità e la vita”. Gesù è la via perché lui è la verità; Gesù non dice  di avere la verità, e non chiede ai discepoli di avere la verità, ma di essere la verità. Cos’è la verità in questo vangelo? La verità in questo vangelo è un dinamismo divino, che non si esprime attraverso formule, attraverso la dottrina, ma solo attraverso opere e capacità d’amore. Questa via, che porta a questo dinamismo d’amore, conduce alla vita, e qui l’evangelista adopera il termine che indica la vita indistruttibile. “Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto»”, quand’è che i discepoli hanno conosciuto e veduto il Padre? Nell’episodio precedente, che è stato quello della lavanda dei piedi: Gesù, che è Dio, si è messo al servizio dei suoi, indicando e mostrando chi è Dio. Chi è Dio? Amore generoso, che si mette al servizio dei suoi. Ed ecco la replica del secondo discepolo: “gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo?”, ed ecco l’altra affermazione importante: “Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi tu dire: “Mostraci il Padre”?”. Nel prologo a questo vangelo, l’evangelista aveva scritto che Dio nessuno l’aveva mai visto, soltanto il figlio ne era la rivelazione. Cosa significa questo? Che non Gesù è uguale a Dio, ma Dio è uguale a Gesù. Quindi l’evangelista invita a sospendere tutto quello che si sa, si conosce di Dio, e verificarlo, controllarlo, con quello che lui presenta di Gesù. Se coincide, si mantiene, se si distanzia, o peggio, se è differente, si elimina. Quindi in Gesù c’è l’unica possibilità di conoscere chi è Dio, e chi è questo Dio? L’abbiamo visto: amore che si fa servizio. “Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me?”, ed ecco un’altra affermazione importantissima, “Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso; ma il Padre, che rimane in me, compie le sue opere”: nelle parole di Gesù si manifestano le opere del Padre, e la potenza creatrice del Creatore. Questo significa che ogni singola parola di Gesù, contiene in sé l’energia della stessa azione creatrice, di quel Dio che disse, e quello che disse fu, si realizzò. “Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me. Se non altro, credetelo per le opere stesse”, Gesù non chiede di credere in lui per una dottrina, per una teologia, ma per le opere, le opere che comunicano vita, perché la dottrina è discutibile, le azioni che comunicano vita, si vedono, si possono verificare. Le opere a favore degli uomini, sono l’unico criterio di credibilità per Gesù e i suoi discepoli. E infine un’affermazione che sorprende: “In verità, in verità io vi dico:”, questa duplice ripetizione di verità significa solennemente che quello che affermo ora è vero, “chi crede in me”, cioè chi mi dà adesione, “chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio”, quindi quest’azioni che comunicano vita, tutti le possono fare, ma addirittura, afferma Gesù: “e ne compirà di più grandi”, di Gesù, “di queste, perché io vado al Padre»”, Gesù avverte i suoi discepoli che la sua morte non sarà un’assenza, ma una presenza ancora più intensa. Il fatto che non c’è fisicamente Gesù, non sarà visto come una perdita, ma come un guadagno, e consentirà al discepolo e alla comunità, di compiere le stesse azioni di Gesù, con la stessa sua potenza.

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a proposito della orribile morte delle tre sorelline rom

 

l’orribile morte di Francesca, Angelica ed Elisabeth Halinovich apre a interrogativi inquietanti sul ruolo della propaganda razzista nel discorso pubblico

Sarebbe meglio preoccuparsi. E stare attenti

Francesca, Angelica ed Elisabeth Halinovich. Due bambine piccole e una ragazza bruciate vive dentro una roulotte parcheggiata sul piazzale del supermercato Primavera, quartiere Centocelle, Roma. Le videocamere mostrano l’immagine di un uomo, forse a volto scoperto, che lancia una molotov e poi scappa. La polizia al termine di una giornata confusa smentisce la possibilità di una pista xenofoba, intuendone i disastrosi risvolti: più probabile, dicono, una faida tra rom. I fatti nudi e crudi sono questi, ma intorno ai fatti c’è molto di più. Ci sono, ad esempio, migliaia di commenti in rete – sui siti del Giornale e di Libero i più violenti – che apologizzano il rogo al grido di “tre di meno”. C’è uno stupefacente sfogo di odio collettivo. C’è la consapevolezza che, stavolta, questa roba non sia attribuibile al web: chi scrive (firmando con nome e cognome) «Io mi auguro ke tutti i rom facciano la stessa fine» non fa che echeggiare la violenza verbale con cui la politica e la tv si esprimono da anni sulla questione nomadi, sicurezza, microcriminalità.

Questo irresponsabile, martellante tam tam, negli ultimi due mesi ha subito un ulteriore salto di qualità, approdando dalle ruspe, dai lanciafiamme, dalle bombe da sganciare sui barconi con tutte le analoghe evocazioni di misure di forza estreme ma pur sempre “di Stato”, alla categoria del “facciamo da soli”. Il dibattito sulla legittima difesa, l’elogio dell’armarsi, dello sparare, del risolvere da se’ quel che le istituzioni non risolvono, del diritto a tutelare con le armi in pugno se stessi, la propria famiglia e per esteso la propria comunità, ha portato un elemento aggiuntivo al degrado di un dibattito già irresponsabile, caotico, evocatore di rancori oscuri e incontrollati. E non stupisce che gli inquirenti abbiano così velocemente escluso il raid xenofobo e annunciato la prevalenza di una “pista interna”: sono probabilmente consapevoli del carattere esplosivo della situazione, e della necessità di tamponarla in qualche modo prima che deflagri in mano alle autorità cittadine e alla politica tutta.

Il Far West che ogni giorno viene evocato da una parte della politica e della comunicazione, è lì, dietro l’angolo. Potrebbe succedere, non è impensabile che succeda. Le frasi d’odio con cui ci martellano certe trasmissioni radiofoniche o televisive, la caccia ai voti e agli ascolti fatta rimescolando i rancori

E però, davanti alla consapevolezza che per dodici ore, nella tollerante e disincantata città di Roma, tutti noi abbiamo ritenuto possibile l’ipotesi di una strage dettata da odio razziale, una riflessione collettiva andrebbe fatta. Il Far West che ogni giorno viene evocato da una parte della politica e della comunicazione, è lì, dietro l’angolo. Potrebbe succedere, non è impensabile che succeda. Le frasi d’odio con cui ci martellano certe trasmissioni radiofoniche o televisive, la caccia ai voti e agli ascolti fatta rimescolando i rancori, propagandando il diritto/dovere alla violenza difensiva, screditando il ricorso allo Stato – “Tanto non serve a niente” – e catalogando come “buonismo” ogni appello ai principi di umanità e ogni riferimento al diritto, sono gocce che scavano la pietra. Persino la pietra millenaria della Capitale, dove i sentimenti xenofobi sono rimasti sconosciuti per millenni.

Deve essersene accorta anche Giorgia Meloni, che ieri è stata la prima – quando ancora sembrava prevalente la tesi di un raid punitivo – a tagliar netto con ogni distinguo: «Orrore e profondo dolore – ha scritto – Mi auguro che i responsabili siano presto arrestati e che marciscano in galera per sempre». Chissà se aveva presenti altre stagioni di irresponsabile odio alimentate dalla politica “ufficiale”, per altri motivi, sotto il manto di giustificazioni ideologiche apparentemente più nobili e alte. Un altro rogo di un ragazzo e di un bambino, che chiunque provenga da destra non può dimenticare, e altre parole di disprezzo “razziale” pronunciate contro le vittime prima e dopo i fatti. Non sul web, che non esisteva, ma sui muri cittadini. La parola “Primavalle” è dura da pronunciare in questo contesto, e probabilmente fuori luogo: ma in questa città il solo precedente che viene alla memoria è quello, un’orribile e indimenticabile ferita.

La speranza è che la consapevolezza si allarghi, che si comincino a giudicare impronunciabili e impresentabili certe espressioni, non della Rete – che è solo una risonanza sguaiata di messaggi nati altrove – ma del discorso pubblico. A isolare chi le pronuncia. A demolire l’idea balzana che lo Stato sia impotente davanti al crimine e al degrado. Lo Stato ha poteri colossali, e se li non li utilizza bisogna contestare chi lo gestisce, incalzare i ministri incapaci, i sindaci imbelli, i capi della polizia inefficienti, smettere di votare chi li esprime e li nomina, usare le armi della democrazia e abbandonare l’idea che il fai-da-te ci renda più sicuri, più liberi, perchè è vero il contrario: nel Far West, di solito, sono i miti a soccombere, gli innocenti a morire.

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