a proposito di Medjugorie: una ‘voce (papale) dal sen fuggita’ o un nuovo corso in Vaticano?

Medjugorje, la conversione scettica del papa

di Marco Marzano*
in “il Fatto Quotidiano” del 10 giugno 2015

veggenti

 

“Ma dove sono i veggenti che ci dicono oggi la lettera che la Madonna manderà alle 4 del pomeriggio? Per esempio, no? E vivono di questo. Questa non è identità cristiana. L’ultima parola di Dio si chiama ‘Gesù’ e niente di più”.

Non ha citato esplicitamente Medjugorje Papa Francesco in questo passaggio della sua omelia di ieri a Santa Marta. E tuttavia è difficile pensare che la sua sferzante ironia non fosse riferita a quel che succede, ormai da trentaquattro anni, nella piccola cittadina dell’Erzegovina. Del resto, lo stesso pontefice aveva annunciato qualche giorno fa che la procedura di valutazione dell’autenticità delle apparizioni della Madonna a Medjugorje è quasi conclusa e che dunque una decisione definitiva sulla questione appare imminente.

Medjugorie chiesa Il sarcasmo del papa è assolutamente ragionevole: la Madonna a Medjugorje rappresenta un fenomeno decisamente “spettacolare” e ipermediatico. Essa appare ad alcuni dei veggenti a orari regolari e conosciuti con largo anticipo; su quelli viene organizzata buona parte del consistente flusso turistico organizzato di pellegrini che raggiunge la località ex jugoslava e che può assistere, dal vivo, come è capitato a me alcuni anni fa, allo spettacolo del “veggente che vede la Madonna”, diramando, subito dopo, immediatamente tradotto in tutte le lingue e poi diffuso dalle varie Radio Maria, il suo messaggio al mondo. Ha ancora ragione il pontefice quando dice che i veggenti “vivono di questo”. I veggenti non sono certo più gli ingenui giovanissimi pastorelli che, nel lontano 1981, annunciarono per la prima volta al mondo di aver visto, sul monte Podbrdo, la Vergine Maria.

Medjugorie croceAlcuni di loro sono diventati dei veri e propri “imprenditori dell’apparizione”: fanno cioè quello di mestiere, ci campano; con soddisfazioni, credo, assai consistenti. Da ogni punto di vista. Se la sentenza vaticana definitiva su Medjugorje fosse la bocciatura che questo passaggio dell’omelia di Francesco sembra evocare saremmo davvero di fronte ad una grandiosa novità storica, alla chiusura di una stagione contrassegnata dal favore vaticano verso le forme più retrive della religiosità popolare tradizionale, verso quella spiritualità miracolistica, sensazionalistica, in generale magica che piaceva tanto a Giovanni Paolo II. Nella visione culturale e politica di quest’ultimo, la religiosità popolare, in tutte le sue forme, appariva come un alleato irrinunciabile nella lotta quotidiana combattuta dalla Chiesa Cattolica contro la secolarizzazione e la scristianizzazione del continente europeo. In quella terribile battaglia era necessario, per il papa polacco, arruolare tutte le forze disponibili sul campo passando sopra alle sottigliezze eccessive, agli inutili distinguo. Per questa ragione, nel caso di Medjugorje, sono state di fatto ignorate le gravi perplessità sull’autenticità delle apparizioni che provenivano dai vescovi della Bosnia Erzegovina e che avrebbero dovuto indurre le autorità vaticane a sconfessare esplicitamente e già dal principio lo strano fenomeno delle apparizioni programmate e quotidiane. Se su questo delicatissimo versante Francesco invertisse la rotta saremmo dinanzi ad una Chiesa Cattolica che finalmente non si spaventa dei “segni dei tempi”, del cambiamento religioso del nostro tempo e che anzi immagina di poterci convivere serenamente, ribadendo il proprio messaggio e rifiutandosi di arruolare forze che provengono da un passato oscuro e premoderno. Forze che, facendosi agio dei bisogni emotivi di tanti, evocano la magia e la superstizione, rischiando di manipolare le coscienze dei più ingenui e allontanandosi così dallo spirito del Vangelo. A me pare che quando Bergoglio sostiene che quella miracolistica “non è identità cristiana” e che “l’ultima parola di Dio si chiama Gesù e niente di più” voglia significare proprio questo: che un cristianesimo nemico della modernità e disposto a compromettersi con i “professionisti della magia” sarebbe una religione che finisce per smarrire se stessa.

A Medjugorje vanno un sacco di curiosi, attirati dallo spettacolo dei “veggenti che vedono”, da quello dei fedeli che cascano in terra come in preda ad un sonno improvviso o degli indemoniati che  si scatenano durante le funzioni, delle statue che sanguinano e delle eclissi inspiegabili. Tutte cose che hanno a che vedere con una soprannaturalità posticcia e un po’ caricaturale, miseri brandelli culturali di un antico mondo incantato.

Medjugorie Madonna Cosa ha a che vedere tutto questo con l’attualità del cristianesimo? Le tantissime parole, l’infinità di messaggi (invero grosso modo tutti uguali), che la Madonna avrebbe consegnato ai veggenti in tutti questi decenni non segnalerebbero forse, se prese sul serio, proprio l’insufficienza del Vangelo, la sua sopravvenuta incapacità di fornire gli strumenti della fede alle donne e agli uomini del nostro tempo? A questa deriva mi sembra ribellarsi Francesco. Speriamo che sia sul serio così e che non si tratti solo di una battuta dal sen fuggita in una calda mattina di giugno. *professore ordinario di Sociologia all’Università di Bergamo

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e la ‘parola’ e le ‘rivelazioni’ di Medjugorie?

 

«L’ultima parola di Dio è Gesù Cristo, non ce n’è un’altra!» 

parola di papa!

Papa Francesco – S. Messa Cappella della Casa Santa Marta 
( ideo e testo)
9 giugno 2015

Non annacquiamo la nostra identità
L’«identità cristiana» trova la sua forza nella testimonianza e non conosce ambiguità: per questo il cristianesimo non può essere «annacquato», non può nascondere il suo essere «scandaloso» e trasformato in una «bella idea» per chi ha sempre bisogno di «novità». E attenzione anche alla tentazione della mondanità, propria di chi «allarga la coscienza» così tanto da farci entrare dentro tutto. Lo ha affermato il Papa nella messa celebrata martedì mattina, 9 giugno, nella cappella della Casa Santa Marta, ricordando che «l’ultima parola di Dio si chiama “Gesù” e niente di più».
 
«La liturgia di oggi ci parla dell’identità cristiana» ha fatto notare Francesco, proponendo subito la questione centrale: «Qual è questa identità cristiana?». Riferendosi alla prima lettura odierna (2 Corinzi 1, 18-22), il Papa ha ricordato che «Paolo comincia raccontando ai Corinzi le cose che hanno vissuto, alcune persecuzioni», e «la testimonianza che hanno dato di Gesù Cristo». E, in pratica, scrive loro: «Io mi vanto di questo — cioè io mi vanto della mia identità cristiana — che è andata così. E Dio è testimone che la nostra parola verso di voi è “sì”, cioè noi vi parliamo dell’identità nostra, quale sia».
 
«Per arrivare a questa identità cristiana — ha spiegato Francesco — nostro Padre, Dio, ci ha fatto fare un lungo cammino di storia, secoli e secoli, con figure allegoriche, con promesse, alleanze e così fino al momento della pienezza dei tempi, quando inviò suo Figlio nato da una donna». Si tratta, dunque, di «un lungo cammino». E, ha affermato il Papa, «anche noi dobbiamo fare nella nostra vita un lungo cammino, perché questa identità cristiana sia forte e dia testimonianza». Un cammino, ha precisato, «che possiamo definire dalla ambiguità alla vera identità».
 
Dunque, nella lettera ai Corinzi l’apostolo scrive che «la nostra parola verso di voi non è “sì” e “no”, ambigua». Infatti, aggiunge Paolo, «il Figlio di Dio, Gesù Cristo, che abbiamo annunciato tra voi, non fu “sì” e “no”: in Lui vi fu il “sì”». Ecco, allora, ha detto il Pontefice che «la nostra identità è proprio nell’imitare, nel seguire questo Cristo Gesù, che è il “sì” di Dio verso di noi». E «questa è la nostra vita: andare tutti i giorni per rinforzare questa identità e darne testimonianza, passo passo, ma sempre verso il “sì”, non con ambiguità».
 
«È vero», ha poi riconosciuto il Pontefice, «c’è il peccato e il peccato ci fa cadere, ma noi abbiamo la forza del Signore per alzarci e andare avanti con la nostra identità». Ma, ha aggiunto, «io direi anche che il peccato è parte della nostra identità: siamo peccatori, ma peccatori con la fede in Gesù Cristo». Infatti «non è soltanto una fede di conoscenza» ma «è una fede che è un dono di Dio e che è entrata in noi da Dio». Così, ha spiegato il Papa, «è Dio stesso che ci conferma in Cristo. E ci ha conferito l’unzione, ci ha impresso il sigillo, ci ha dato la caparra, il pegno dello Spirito nei nostri cuori». Sì, ha ribadito Francesco, «è Dio che ci dà questo dono dell’identità» e «il problema è essere fedele a quest’identità cristiana e lasciare che lo Spirito Santo, che è proprio la garanzia, il pegno nel nostro cuore, ci porti avanti nella vita».
 
«Siamo persone che non andiamo dietro a una filosofia» ha affermato ancora il Pontefice perché «abbiamo un dono, che è la nostra identità: siamo unti, abbiamo impresso in noi il sigillo e abbiamo dentro di noi la garanzia, la garanzia dello Spirito». E «il Cielo incomincia qui, è un’identità bella che si fa vedere nella testimonianza». Per questo, ha aggiunto, «Gesù ci parla della testimonianza come il linguaggio della nostra identità cristiana» quando dice: «Voi siete il sale della terra, ma se il sale perde il sapore, con che cosa si renderà salato?». Il riferimento è al passo evangelico di Matteo proposto oggi dalla liturgia (5, 13-16).
 
Certo, ha proseguito il Papa, «l’identità cristiana, perché siamo peccatori, è anche tentata, viene tentata — le tentazioni vengono sempre — e può andare indietro, può indebolirsi e può perdersi». Ma come può avvenire questo? «Io penso — ha suggerito il Pontefice — che si può andare indietro per due strade principalmente».
 
La prima, ha spiegato, è «quella del passare dalla testimonianza alle idee» e cioè «annacquare la testimonianza». Come a dire: «Eh sì, sono cristiano, il cristianesimo è questo, una bella idea, io prego Dio». Ma «così dal Cristo concreto, perché l’identità cristiana è concreta — lo leggiamo nelle Beatitudini; questa concretezza è anche nel capitolo 25 di Matteo — passiamo a questa religione un po’ soft, sull’aria e sulla strada degli gnostici». Dietro, invece, «c’è lo scandalo: questa identità cristiana è scandalosa». Di conseguenza «la tentazione è dire “no, no, senza scandalo; la croce è uno scandalo; che Dio si sia fatto uomo» è «un altro scandalo» e si lascia da parte; cerchiamo cioè Dio «con queste spiritualità cristiane un po’ eteree, ariose». Tanto che, ha affermato il Papa, «ci sono degli gnostici moderni e ti propongono questo, questo: no, l’ultima parola di Dio è Gesù Cristo, non ce n’è un’altra!».
 
«Su questa strada», ha proseguito Francesco, ci sono anche «quelli che sempre hanno bisogno di novità dell’identità cristiana: hanno dimenticato che sono stati scelti, unti, che hanno la garanzia dello Spirito, e cercano: “Ma dove sono i veggenti che ci dicono oggi la lettera che la Madonna ci manderà alle 4 del pomeriggio?”. Per esempio, no? E vivono di questo». Ma «questa non è identità cristiana. l’ultima parola di Dio si chiama “Gesù” e niente di più».
 
«Un’altra strada per andare indietro dall’identità cristiana è la mondanità», ha proseguito il Papa. E cioè «allargare tanto la coscienza che lì c’entra tutto: “Sì, noi siamo cristiani, ma questo sì…”, non solo moralmente, ma anche umanamente». Perché «la mondanità è umana, e così il sale perde il sapore». Ecco perché, ha spiegato il Papa, «vediamo comunità cristiane, anche cristiani, che si dicono cristiani, ma non possono e non sanno dare testimonianza di Gesù Cristo». E «così l’identità va indietro, indietro e si perde» ed è «questo nominalismo mondano che noi vediamo tutti i giorni».

 

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