recupero della ‘teologia della liberazione’?

Gutierrez

La teologia liberata e liberante

È in atto il superamento dell’incomunicabilità della teologia della liberazione (TdL) col magistero
Conquiste, correzioni e discussioni per un pensiero utile alla Chiesa
Il senso degli interventi vaticani e il cammino dei teologi
Il silenzioso lavoro di quattro decenni

fuori dai riflettori dei media la ‘teologia della liberazione’ ha forse dato i suoi frutti migliori nel ripensamento costante e umile, e ora li offre alla chiesa perché mai dimentichi i poveri, preferiti di Dio e immagine vivente del Cristo crocifisso e risorto

 

La pubblicazione del libro scritto a quattro mani dal card. G. Müller e dal teologo G. Gutiérrez, indicato come padre della TdL (Teologia della Liberazione), Dalla parte dei poveri, pare aver messo fine, se non al dibattito e alla discussione, quantomeno all’incomunicabilità tra il magistero e la stessa TdL, aprendo il tempo del dialogo costruttivo.

All’esito ha contribuito la fine del socialismo reale con l’attrattiva del marxismo e lo scorrere del tempo che ha portato diversi teologi a ripensare, alla luce delle critiche ricevute, quanto debba restare e quanto invece debba essere superato all’interno della teologia liberazionistica. Ma non senza peso è stato anche il pontificato di papa Francesco. In quanto pensiero umano su Dio, la TdL può anche scomparire dopo aver segnalato la necessità di mantenere vivo l’aspetto fondante, ovvero il rapporto Vangelo/poveri ai quali è preferenzialmente destinata la buona notizia. A partire da loro, il Vangelo diventa richiamo esigente ad una conversione delle strutture economiche e politiche, generatrici di ingiustizia e di sfruttamento.

Per una valutazione interna della TdL e dei cinquant’anni dal concilio in America Latina (cf. Sett. 39/2012, pp. 8-9).

Per molti essa è la trasposizione contestuale e continentale delle istanze del concilio Vaticano II, ove si afferma che le gioie e i dolori dell’umanità appartengono indissolubilmente al corpo ecclesiale e in modo specifico le sofferenze degli impoveriti devono trovare eco e difesa nella comunità dei discepoli di Gesù. Tale ansia evangelizzatrice e liberatrice, si sedimenta nelle riunioni continentali dei vescovi latinoamericani che si traduce nel metodo vedere-giudicare -agire e nella scelta preferenziale per i poveri e i giovani sempre riaffermate nelle assemblee di Medellín (1968), Puebla (1979), Santo Domingo (1992) e Aparecida (2007). La necessità di riflettere a partire dalla fede per servire i poveri e difenderne la dignità umana, viene a calarsi negli anni ’60-’70 in una realtà continentale segnata dai venti della guerra fredda: gli stati latinoamericani vivono sotto dittature militari violente e repressive, alleate ai potentati economici, in conflitto anche violento con i movimenti di guerriglia di ispirazione marxista. Le tre correnti maggiori Alcuni rappresentanti del movimento teologico della TdL non vedono altra possibilità di agire a favore degli sfruttati se non alleandosi con i rivoluzionari, non trovando altre possibilità di lettura della realtà in grado di giustificare l’impegno politico liberazionista. Si viene a creare in questa corrente, minoritaria ma amplificata volutamente nelle sue prospettive, una sorta di contaminazione tra marxismo, fede, Bibbia e agire concreto. Si fi- nisce col leggere la Bibbia con categorie esclusivamente sociologiche e si fa della lotta di classe, anche violenta, l’unica strada per servire i poveri. A questa corrente si rivolgerà direttamente l’istruzione vaticana del 1984 Libertatis nuntius, che segnalerà il pericolo di rileggere i dati della rivelazione alla luce della prospettiva marxista, creando un corto circuito inaccettabile. L’istruzione vaticana successiva del 1986 – Libertatis conscientia – offrirà ai credenti le coordinate per essere nel processo di liberazione veri discepoli del Cristo unico liberatore dell’umanità dal peccato e dalla morte. Ci sono state altre correnti significative. Come quella derivante dalla predicazione e dall’azione di vescovi lungimiranti, ancorata al magistero sociale della chiesa dalla prassi storica dei popoli latinoamericani, escludendo la violenza o la rivoluzione armata. Di essa hanno fatto parte i più conosciuti teologi: G. Gutiérrez, i fratelli Boff (Clodovis e Leonardo), J. Sobrino, J. Ellacuría, S. Galilea, E. Dussel. Anche questa corrente però, pur escludendo odio e violenze, ha ricevuto critiche notevoli. Il punto più discusso è l’identificazione, in alcuni, del proprio impegno con quello dell’intellettuale organico (Gramsci). I dati della fede sono tali solo come stimolo per la prassi, sottomettendo così tutto il patrimonio biblico ad una selezione fatta in funzione dell’azione efficace da realizzare nella società, spingendo i cristiani ad una militanza quasi totalizzante. L’urgenza legittima di ridare vita ai poveri portava a considerare la TdL come l’unica forma valida di tutta la teologia, escludendo qualsiasi altra prospettiva accusata di ideologizzare, nell’ottica dello status quo, la fede e di servire il potere oppressore. Il martirio È esistita anche una corrente che, senza rinnegare l’analisi sociale, ha posto l’attenzione sulle energie proprie della religiosità del popolo per ritrovare in esso le coordinate per resistere all’ingiustizia imperante e sostenere progetti di trasformazione della società senza farsi condizionare da ideologie atee. La sapienza del popolo, soggetto attivo della sua storia, è alimento vitale per costruire una teologia autenticamente liberatrice che lo aiuti a produrre una prassi efficace ma libera da schemi socioolitici estranei al suo humus vitale. Di questa corrente i nomi più importanti sono quelli di alcuni teologi argentini come L. Gera e J.C. Scannone (che è stato professore di papa Francesco), e facenti capo alla Facoltà di teologia dei gesuiti di Buenos Aires. Le nette critiche del magistero sono state utili per un valido ripensamento della TdL, anche se va detto con amarezza che molti le hanno utilizzate non come elementi teologici, bensì politici, volendo eliminare e far tacere tutta la voce della Chiesa latinoamericana che invece si spendeva coraggiosamente a favore del popolo povero, indipendentemente dall’adesione formale a una teologia, seppur importante, come è stato il caso ad esempio, di mons. Oscar Romero ucciso in San Salvador nel 1980. Diversi teologi si sono fatti carico di rivisitare le questioni metodologiche della TdL in modo che fosse davvero più aderente alla natura stessa della teologia in quanto intelligenza della fede che divenisse anche intelligenza dell’amore, in grado di guidare la testimonianza cristiana a favore della giustizia e fraternità, a partire dalla qualità rinnovatrice insita alla fede stessa. Anzitutto G. Gutiérrez, negli anni successivi alle prese di posizione del magistero e rispondendo anche alle osservazioni a lui fatte nel 1985 dalla Conferenza episcopale del Perù, ha avuto modo di focalizzare alcuni punti importanti. Egli afferma che il sorgere della teologia è radicato non solo nell’efficacia della prassi, bensì in un’esperienza mistica, ovvero nell’incontro col Dio della vita, presente nel mondo dei poveri. La struttura che realmente cementa e sostiene la prassi trasformatrice è la spiritualità, la rea- le esperienza globale di vita come assenso e totale donazione al Signore percepito come il vivente nel cuore della storia. L’esperienza di questa spiritualità si nutre di gratuità poiché ci si sente sostenuti dalla grazia di Cristo nella gioia interiore alimentata dal Risorto. Si manifesta concretamente come infanzia spirituale, ovvero come disponibilità ad abbandonarsi totalmente nelle mani di Dio condividendo i patimenti dei poveri al cui fianco aprire squarci di speranza nella lotta spasmodica tra le forze di morte e quelle della vita. Spiritualità e prassi Il primo momento della teologia è quindi per Gutiérrez la fede che si esprime in preghiera e im- pegno. La scelta preferenziale per i poveri è conseguentemente teocentrica poiché in essi agisce il Dio vivente e la prassi del credente a loro favore è cristocentrica, poiché trova in Gesù la sua origine e regola definitiva. Si comprende il cammino compiuto dal teologo peruviano: non è la prassi a determinare la fede e la Rivelazione, ma è la fede a guidare l’impegno a favore degli oppressi. In questa prospettiva si è posto anche il teologo argentino J.C. Scannone. Egli riconferma l’utilità e la necessità di una teologia contestuale che si caratterizzi come intellectus misericordiae, ovvero come riflessione sulla verità della fede che faccia scoprire come questa verità sia amore condiscendente e gratuito della Trinità per l’umanità intera a partire però dagli esclusi e dai sofferenti. L’autore che maggiormente ha insistito sulla qualità della dimensione cristocentrica della TdL è stato Clodovis Boff,in un poderoso studio di ripensamento delle sue prospettive, Teoria do método teológico, (Petropolis 1998). La teologia, anche quella a favore dei poveri, ha come fondamento la fede in Dio e non la realtà concreta da trasformare. L’ortoprassi suppone l’ortodossia. Il giudizio sulla verità della prassi deriva dalla parola di Dio. La definizione classica dela TdL come riflessione critica sulla prassi storica alla luce della parola di Dio – sottolinea C. Boff – non considera la prassi come istanza determinante ma viene sottomessa al giudizio della fede che resta criterio definitivo di orientamento. All’accusa che la TdL sottometta la fede alla prassi, C. Boff ora risponde che è la prassi giustamente a essere sottomessa alla fede, luce unica che illumina la vita personale e la storia intera. Collocare la prassi all’inizio di ogni ri- flessione teologica è, per C. Boff, un cedimento alla modernità e una fissazione culturale nell’idea del sapere-potere che si esprime nell’attivismo tecnico-storico. La prassi che si concretizza nell’amore non deve essere cieca, ma veritiera, altrimenti vi è il rischio di amare un idolo qualsiasi e non il Dio vivo rivelato in Gesù. La ragione teologica non è immediatamente utilitaristica. La teologia serve per conoscere il Dio amore: essa conosce per amare e ama per liberare e promuovere la vita. L’azione testimoniale come tale è un fine medio, quello ultimo è godere la comunione con Dio sommo bene. La fede, quindi, resta sempre la ragione formale del fare teologia anche in contesti di sofferenza e di ingiustizia, riaffermando il primato di Dio, non però un Dio astratto ma coinvolto nella salvezza anche storica delle sue creature. I nuovi cammini Questa prospettiva riaffermata più volte da C. Boff, anche alla vigilia dell’incontro dei vescovi latinoamericani in Aparecida (Brasile), ha trovato un’opposizione critica nel fratello Leonardo Boff, secondo il quale la realtà dei poveri resta atto primo del fare teologia in quanto in essi è presente il Dio della vita. La TdL deve restare an- corata alla sua primigenia intui zione: servire alla liberazione de- gli oppressi amati e preferiti da Dio stesso nella vita storica di Gesù. Sinceramente, non si vede una contraddizione insanabile tra le prospettive dei fratelli Boff. Leonardo invita a guardare i poveri con gli occhi amorevoli di Dio e depositari della sua preferenza, Clodivis ci ricorda che in tale impegno a loro favore non possiamo però esaurire tutta l’esperienza cristiana o ridurla a prassi limitata sebbene necessaria. Il rischio di esaurire la fede in strategia è sempre presente e per questo la luce della fede deve sempre illuminare la testimonianza del credente nella mischia pericolosa della storia da cambiare nella logica del regno di Dio. Bisogna aggiungere che, anche negli anni del silenzio e delle censure, la TdL ha proseguito il suo cammino di riflessione, aprendosi a nuove prospettive e tentando di rispondere a nuove sfide. Anzitutto si è posta al servizio dell’inculturazione della fede nelle culture indigene dell’America Latina. Ha riflettuto con profondità sulla necessità di difendere l’ambiente, deturpato e stravolto dalla sete di ricchezza, considerandolo dono di Dio da difendere e da custodire. È nata una teologia ecoliberatrice di cui tutto il mondo ha bisogno se vogliamo avere un futuro come umanità. Così l’autore brasiliano Jun Mo Sung si è preso il compi- to di elaborare una critica teologica dell’economia odierna per poter abbattere alla radice la visione idolatrica del liberismo imperante ed escludente. Fuori dai riflettori dei media, la TdL ha forse dato i suoi frutti migliori nel ripensamento costante e umile e ora li offre alla Chiesa per- ché mai dimentichi i poveri preferiti di Dio e immagine vivente del Cristo crocifisso e risorto.

Antonio Agnelli

(in ‘Settimana’- attualità pastorale del 29.9.2013)

irrinunciabilità dell teologia della liberazione

 

Boff

Teologia della liberazione  irrinunciabile

La storia del mondo è innanzitutto l’arena complessiva della lotta drammatica tra le forze dialettiche di grazia e libertà da un lato e peccato e oppressione dall’altro. Ma la storia nel suo nucleo più intimo è comunque storia della salvezza, perché Dio – in quanto creatore e redentore del mondo e dell’uomo – ha posto se stesso come fine oggettivo del movimento storico e dell’azione umana di liberazione.

Chi dunque partecipa attivamente alla liberazione, sta dalla parte del Liberatore divino. Nella pratica, si tratta della partecipazione trasformante al processo storico verso il fine trascendente e immanente di esso. Chi agisce per la liberazione, sta già dalla parte di Dio, che egli ne abbia piena consapevolezza o meno (…).

È possibile mostrare il radicamento della Teologia della liberazione originale nella rivelazione biblica e nella grande tradizione teologica e dottrinale della chiesa. E se anche – per quel che riguarda l’elaborazione delle proprie fondamenta – ci si possa ancora trovare in una fase di sviluppo, le carenze e le incongruenze emerse in alcune prese di posizione, dal forte impatto mediatico, di singoli rappresentanti della Teologia della liberazione non possono mettere in discussione la validità delle sue grandi acquisizioni di fondo.

Sulla base delle esigenze della vita ecclesiale e della stessa teologia è necessario affermare che la chiesa nel terzo mondo, ma anche la chiesa come chiesa universale, non può rinunciare a un ulteriore sviluppo e a un’applicazione della Teologia della liberazione. Solo per mezzo della Teologia della liberazione, la teologia cattolica – sul piano universale e a livello di svolta storica epocale – ha potuto emanciparsi dal dilemma dualistico di aldiquà e aldilà, di felicità terrena e salvezza ultraterrena; o, rispettivamente, da un dissolversi monistico di un aspetto nell’altro. È un dilemma, tuttavia, che il marxismo non già ha generato, ma solo espresso.

Non da ultimo per queste ragioni la Teologia della liberazione sarebbe anche da considerare come un’alternativa radicale alla concezione marxista dell’uomo e all’utopia storica da essa scaturita. Proprio la pretesa metodologica della Teologia della liberazione – quella di prendere avvio da una prassi trasformante – non è altro che la riformulazione dell’evento originario della teologia: prima c’è la sequela di Cristo e da questa scaturisce anche la formulazione della professione su chi è realmente Gesù.

Può darsi anche che, nell’attuale congiuntura, nell’opinione pubblica l’interesse per la Teologia della liberazione sia in calo. Ma alla luce delle oggettive questioni irrisolte, essa svolge un’opera indispensabile per il servizio della chiesa di Cristo a favore dell’umanità, un servizio trasformante, sul piano della riflessione e della pastorale. La Teologia della liberazione è irrinunciabile, sia sul piano regionale sia per la comunicazione teologica universale.

GERHARD LUDWIG MÜLLER Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede

da vaticanisider.lastampa.it

la rivincita della ‘teologia della liberazione’

 

 

 

papa veglia

Il vangelo dei poveri

Con Papa Francesco la rivincita della teologia della liberazione

di Serena Noceti
in “l’Unità” del 17 settembre 2013

Sono passati sei mesi dall’elezione di papa Francesco: lo stile di vicinanza assunto fin dal primo saluto, il linguaggio libero dai paludamenti di un sacro per tanti incomprensibile e non significativo, l’attenzione all’esistenza umana e ai suoi bisogni, il riconoscimento di valore dei cammini plurali e spesso difficili di chi – credente e no – cerca verità, i segni chiari e incisivi di una fede coerente perché tradotta in scelte di amore e giustizia per tutti, sembrano orientare i cristiani sulle vie di una presenza nuova e insieme offrire un’«anima» alle necessarie, attese ma finora insperate, riforme strutturali che attendono la Chiesa cattolica per una piena attuazione del Concilio Vaticano II. Già con la scelta del nome, Papa Francesco ha richiamato i cristiani all’essenziale: alla scelta radicale di un vangelo che è pienezza di vita per tutti, in particolare per i poveri, gli emarginati, «coloro che non hanno diritto ad avere diritti» (H. Arendt). È in questo orizzonte di una chiesa che sta esplorando le vie antiche del vangelo di Gesù di Nazareth e le vuole declinare in modo nuovo in un contesto secolarizzato e pluralista, dopo i lunghi secoli della societas christiana, che si può collocare l’incontro avvenuto mercoledì scorso tra il Papa e Gustavo Gutierrez. Il teologo peruviano, riconosciuto come il «fondatore» della teologia della liberazione, era in Italia per partecipare al congresso dell’Associazione teologica italiana, e poi presentare al Festival della letteratura di Mantova il saggio scritto nel 2004 con Gerhard Ludwig Müller, oggi prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, Dalla parte dei poveri. Teologia della liberazione, teologia della chiesa. Fortemente criticata, quando non avversata, da una parte della gerarchia cattolica, oggetto di due pronunciamenti della Congregazione per la dottrina della fede negli anni 80, accusata di ideologizzazione e immanentizzazione della fede, di ridurre la salvezza a una liberazione dalla povertà economica, di dipendere dalla lettura marxista della storia e di giustificare la lotta di classe e il ricorso alla violenza, rappresenta una delle correnti teologiche più significative e feconde del post-Concilio. Nata nell’America Latina della seconda metà degli anni 60, dalla volontà di incarnare il Vaticano II e di individuare categorie adeguate per pensare i temi classici di ogni teologia (Dio, Cristo, la Chiesa, l’uomo) in un contesto segnato dalla miseria, dalla sperequazione economica, dalla ferocia di dittature militari, ha offerto alla Chiesa intera prospettive inedite per pensare criticamente la fede cristiana, interrompendo di fatto la «pretesa» europea di essere il luogo primario e di riferimento del pensare teologico. Sono passati 45 anni dalla prima conferenza di Gutierrez (Chimbote, Perù, luglio 1968) che sostituiva al concetto di «sviluppo» il paradigma della «liberazione» e sono innumerevoli le voci di teologi e teologhe che, con sensibilità diverse e in diversi contesti continentali, hanno contribuito a ripensare la fede cristiana in questa prospettiva, tanto che è bene oggi parlare di «teologie della liberazione» al plurale. Per tutti rimane determinante lo sguardo sulla realtà e sulla rivelazione e la collocazione assunta: l’opzione preferenziale per i poveri, per coloro che Gutierrez definisce gli «insignificanti» agli occhi del mondo. In un tempo che sembra accettare passivamente la condizione di miseria di milioni di esseri umani, che misura tutto sul registro economico e non vuole ridiscutere l’attuale assetto neoliberista e gli equilibri della globalizzazione, la teologia della liberazione appare necessaria a una Chiesa che voglia essere «chiesa povera e dei poveri», come dichiara Papa Francesco: essa ribadisce – senza paura – che il Dio del Vangelo di Gesù sta dalla parte di coloro che sono schiacciati dal peso della vita e delle ingiustizie, senza speranza e senza futuro. Mentre denuncia che la povertà (economica, culturale, sociale) è inumana (e antievangelica), la teologia della liberazione afferma che è necessario lottare contro la povertà e le cause che la generano, non rassegnarsi all’ingiustizia, promuovere la dignità di tutti. Ai cristiani ricorda che non
si aderisce a una verità astratta e astorica su un divino puramente trascendente, ma si opera per una trasformazione del mondo secondo quella rivelazione su Dio e sull’uomo che Gesù ha proposto: nessuna ortodossia che non sia ortoprassi; nessun discorso sulla fede che non nasca da un concreto coinvolgimento nel contesto sociale di appartenenza e da una attenta lettura della storia; nessuna opera di misericordia per i singoli che dimentichi gli scenari dell’interdipendenza del genere umano. Esperienza e riflessione sull’esperienza, mediazione, prassi: tre parole chiave per vivere la vita cristiana anche in Europa, ma anche tre sollecitazioni per una rivisitazione dell’esercizio della politica oggi. Perché la teologia della liberazione rappresenta, indubbiamente, una delle voci più provocatorie nel dialogo culturale, che oltrepassa – per le vie di intelligenza della realtà adottate e per il coinvolgimento attivo con i movimenti di lotta per la giustizia – il solo ambito della vita della chiesa cattolica per condividere preziose suggestioni sull’umano con chiunque si preoccupi del bene comune.

bisogno di teologia della liberazione?

 

Boff
Perché ritorna la teologia della liberazione?

di Aldo Maria Valli

  Papa Francesco che riceve a Santa Marta Gustavo Gutiérrez, il padre della teologia della liberazione, è una notizia. Una visita in qualche modo anticipata dall’Osservatore romano che aveva parlato diffusamente del sacerdote peruviano. È vero che il domenicano, a differenza di altri esponenti di quel filone teologico, non è mai stato condannato da Roma, ed è altrettanto vero che l’attuale prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, l’arcivescovo Gerhard Ludwig Müller, è addirittura un allievo di Gutiérrez nonché suo intimo amico. Ma lo spazio che il giornale della Santa Sede ha recentemente dedicato al libro scritto da Gutierrez e Müller (Dalla parte dei poveri. Teologia della liberazione, teologia della Chiesa, Edizioni Messaggero – Emi) segna comunque una svolta ed è indice di un clima cambiato. L’edizione italiana del libro scritto da Gutiérrez e Müller (uscito in Germania nel 2004) è stata presentata nei giorni scorsi a Mantova alla presenza dei due autori e anche a questo incontro l’Osservatore romano ha dato spazio grazie a una bella intervista di padre Ugo Sartorio al teologo peruviano. Nel libro il teologo Müller mette nero su bianco: «Il movimento ecclesiale e teologico dell’America Latina, noto come teologia della liberazione e che dopo il Vaticano II ha trovato un’eco mondiale, è da annoverare, a mio giudizio, tra le correnti più significative della teologia cattolica del XX secolo». E ancora: «Solo per mezzo della teologia della liberazione la teologia cattolica ha potuto emanciparsi dal dilemma dualistico di aldiquà e aldilà, di felicità terrena e salvezza ultraterrena». Papa Francesco è su questa stessa linea. Il che non autorizza certamente a sostenere che il pontefice argentino sia diventato un supporter della teologia della liberazione. Lui, semmai, è legato alla cosiddetta teologia del pueblo, che ha in Lucio Gera (immigrato italiano arrivato in Argentina da bambino) il fondatore e che recupera la religiosità popolare e accoglie l’opzione preferenziale per i poveri rifiutando però la dottrina marxista della lotta di classe e il rischio di ridurre la Chiesa a una sorta di agenzia sociale. Tuttavia è indubbio che in altri tempi il giornale della Santa Sede non avrebbe dedicato tanta attenzione a Gutierrez. Papa Francesco sa bene che il confronto con la cultura atea, terreno privilegiato da Joseph Ratzinger e in generale dalla teologia europea, non può essere l’unico sul quale impegnarsi. Certo, resta un terreno importante (come dimostra la lettera inviata dal papa a Eugenio Scalfari), ma accanto ad esso occorre recuperare quell’altra grande sfida rappresentata dalle vecchie e nuove povertà. Una sfida che la Chiesa può raccogliere in modo credibile e fruttuoso soltanto se a sua volta vive la povertà. In questo senso l’esperienza del teologo Müller è significativa. L’attuale prefetto dell’ex Sant’Uffizio conobbe Gutierrez e la teologia della liberazione negli anni Ottanta, durante un soggiorno in Perù. Vissero due settimane con i contadini delle Ande e con i poveri delle baraccopoli e solo dopo tennero una settimana di riflessione e di studio. Fu così che Müller capì che la teologia della liberazione non nasceva da una disputa teorica ma aveva concretamente a che fare con la vita dura e con la sofferenza dei poveri e con le cause che provocano la povertà. Papa Bergoglio è passato da un’esperienza analoga. Anche lui, in Argentina, ha toccato con mano la povertà ed è andato dai poveri, e anche lui, come Müller, ritiene che se il marxismo è stato il grande problema del XX secolo, il neoliberismo selvaggio è il grande scandalo del secolo XXI. Ecco perché Francesco, pur condannando un certo “progressismo adolescenziale” che ancora fa breccia nei cuori di alcuni cattolici, non esita a recuperare quanto, dal suo punto di vista, ci può essere di buono e di valido nella teologia della liberazione. Ed ecco perché, come spiega padre Sartorio sull’Osservatore, «con una papa latinoamericano, la teologia della liberazione non poteva rimanere a lungo nel cono d’ombra nel quale è stata relegata da alcuni anni, almeno in Europa».

da eretica a irrinunciabile

Muller-con-Gutierrez
La Teologia della liberazione è irrinunciabile

La storia del mondo è innanzitutto l’arena complessiva della lotta drammatica tra le forze dialettiche di grazia e libertà da un lato e peccato e oppressione dall’altro. Ma la storia nel suo nucleo più intimo è comunque storia della salvezza, perché Dio – in quanto creatore e redentore del mondo e dell’uomo – ha posto se stesso come fine oggettivo del movimento storico e dell’azione umana di liberazione.

Chi dunque partecipa attivamente alla liberazione, sta dalla parte del Liberatore divino. Nella pratica, si tratta della partecipazione trasformante al processo storico verso il fine trascendente e immanente di esso. Chi agisce per la liberazione, sta già dalla parte di Dio, che egli ne abbia piena consapevolezza o meno (…).

È possibile mostrare il radicamento della Teologia della liberazione originale nella rivelazione biblica e nella grande tradizione teologica e dottrinale della chiesa. E se anche – per quel che riguarda l’elaborazione delle proprie fondamenta – ci si possa ancora trovare in una fase di sviluppo, le carenze e le incongruenze emerse in alcune prese di posizione, dal forte impatto mediatico, di singoli rappresentanti della Teologia della liberazione non possono mettere in discussione la validità delle sue grandi acquisizioni di fondo.

Sulla base delle esigenze della vita ecclesiale e della stessa teologia è necessario affermare che la chiesa nel terzo mondo, ma anche la chiesa come chiesa universale, non può rinunciare a un ulteriore sviluppo e a un’applicazione della Teologia della liberazione. Solo per mezzo della Teologia della liberazione, la teologia cattolica – sul piano universale e a livello di svolta storica epocale – ha potuto emanciparsi dal dilemma dualistico di aldiquà e aldilà, di felicità terrena e salvezza ultraterrena; o, rispettivamente, da un dissolversi monistico di un aspetto nell’altro. È un dilemma, tuttavia, che il marxismo non già ha generato, ma solo espresso.

Non da ultimo per queste ragioni la Teologia della liberazione sarebbe anche da considerare come un’alternativa radicale alla concezione marxista dell’uomo e all’utopia storica da essa scaturita. Proprio la pretesa metodologica della Teologia della liberazione – quella di prendere avvio da una prassi trasformante – non è altro che la riformulazione dell’evento originario della teologia: prima c’è la sequela di Cristo e da questa scaturisce anche la formulazione della professione su chi è realmente Gesù.

Può darsi anche che, nell’attuale congiuntura, nell’opinione pubblica l’interesse per la Teologia della liberazione sia in calo. Ma alla luce delle oggettive questioni irrisolte, essa svolge un’opera indispensabile per il servizio della chiesa di Cristo a favore dell’umanità, un servizio trasformante, sul piano della riflessione e della pastorale. La Teologia della liberazione è irrinunciabile, sia sul piano regionale sia per la comunicazione teologica universale.

GERHARD LUDWIG MÜLLER Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede

papa Trancesco e la teologia della liberazione

 

 

 

Gutierrez

L’ultima svolta di  papa Francesco

La Chiesa sdogana la Teologia della liberazione

di Andrea Tronielli

Tra Vaticano e Teologia della Liberazione scoppia la pace. Dopo le condanne degli anni Ottanta, gli eccessi e le incomprensioni, la Tdl ottiene piena cittadinanza nella Chiesa. Lo “sdoganamento” si inserisce nel nuovo clima portato dall’elezione del primo Papa latinoamericano e dalla ripresa del processo di beatificazione del vescovo martire Oscar Romero. L’ulteriore prova è l’ampio spazio che l’Osservatore Romano dà oggi agli scritti del teologo peruviano padre Gustavo Gutierrez, il domenicano considerato fondatore della Teologia della Liberazione.
In realtà il processo nasce già nell’ultimo scorcio del pontificato di Benedetto XVI: è stato infatti Ratzinger a volere come suo secondo successore alla guida della Congregazione per la dottrina della fede, l’ex Sant’Uffizio, l’arcivescovo tedesco Gerhard Ludwig Müller. Un prelato da lui ben conosciuto, che per lunghi anni ha trascorso le vacanze andando a lavorare con i campesinos latinoamericani e ha intrattenuto un approfondito dialogo con il più importante e autorevole teologo della liberazione, il domenicano peruviano Gustavo Gutierrez. Entrambi hanno firmato nel 2004 un volume pubblicato in Germania. Ma allora Müller era soltanto un vescovo tedesco, non il «custode» dell’ortodossia cattolica. Il fatto che quel volume sia ora pubblicato in Italia, (Dalla parte dei poveri. Teologia della liberazione, teologia della chiesa; coedizione Edizioni Messaggero Padova – Editrice Missionaria Italiana, pp. 192, euro 15, in libreria dal 9 settembre) e venga presentato domenica prossima dai due autori al Festivaletteratura di Mantova, sta a significare che il Prefetto Müller, oggi a capo di quella Congregazione che condannò negli anni Ottanta alcuni eccessi della Teologia della Liberazione, considera quei suoi contributi ancora pienamente validi e attuali.
Non si tratta dunque di un incidente di percorso, ma di un’uscita pensata a ben soppesata, destinata a chiudere, almeno nelle intenzioni, il capitolo delle guerre teologiche del passato. Le opere di Gutierrez, con Ratzinger Prefetto dell’ex Sant’Uffizio, furono sottoposte ad esami per lungo tempo, senza mai venire censurate o condannate.
In realtà la Santa Sede ha condannato soltanto la TdL che usa l’analisi marxista, non l’intera Teologia della Liberazione. E in uno dei saggi pubblicati nel libro proprio Müller descrive i fattori politici e geo-politici che hanno finito per condizionare, lungo gli anni, certe accuse contro la Tdl, in un epoca in cui un certo capitalismo si sentiva «definitivamente vittorioso». Per non parlare del documento segreto, ugualmente citato dal successore di Ratzinger nel libro, e preparato per il presidente Ronald Reagan dal «Comitato di Santa Fé» nell’anno 1980, cioè in anticipo di quattro anni rispetto alla prima della prima Istruzione vaticana sulla Tdl. Vi si sollecitava il governo americano a procedere in maniera aggressiva contro la «Teologia della liberazione», rea di aver trasformato la Chiesa cattolica in «arma politica contro la proprietà privata e il sistema della produzione capitalista».
Con il Papa venuto «dalla fine del mondo», che non è stato mai indulgente con le ideologie né con l’approccio intellettuale di certa teologia filomarxista, ma che da arcivescovo era abituato a visitare da solo senza scorta le «favelas» di Buenos Aires e ora parla di una «Chiesa povera e per i poveri», la riconciliazione tra Vaticano e Teologia della Liberazione si compie.
Con il Prefetto dell’ex Sant’Uffizio che in un libro mette la sua firma accanto a quella di padre Gutierrez. Per far capire a tutti che nella Chiesa parlare dei poveri non significa fare pauperismo e denunciare l’ingiustizia patita dai deboli non significa essere marxisti, ma soltanto e più semplicemente, cristiani.

guardare al povero con sguardo ‘teologale’

 

ama

 

LA TEOLOGIA DELLA LIBERAZIONE DI FRONTE AL POVERO

Dio si è incarnato come povero. E questo ha un significato teologico molto chiaro: non é che Gesù sia un ricco che si maschera da povero, ma Dio ha voluto incarnarsi come povero perchè questo è il suo modo di essere. Nella povertà, infatti, ci sono dei valori intrinseci che sono quelli che costruiscono il Regno: essenzialità, solidarietà, generosità, fiducia e abbandono in Dio, condivisione, etc.
In quest’ottica, la principale differenza fra la Teologia della Liberazione e un certo modo di intendere la Dottrina Sociale della Chiesa, è che per quest’ultima i poveri sono sopprattutto un problema sociale e etico, che interpella la nostra coscienza. Per la Teologia della Liberazione, invece, prima ancora di essere un problema sociale, i poveri hanno uno status teologale: Gesù si identifica con loro (Mt 25,31-46), cioè è lì che ci incontriamo con Dio, e quindi è a partire dai valori dei poveri che Dio vuole costruire il suo Regno. Detto in altri termini, i poveri ci evangelizzano, nel senso che sono i depositari di quei misteri che Dio ha nascosto ai sapienti e ai potenti di questo mondo (Mt 11,25). È questa la intuizione fondamentale della Teologia della Liberazione, una intuizione che è profondamente radicata nel Vangelo, e che quindi rappresenta una ricchezza per tutta la Chiesa universale.

Il “Buon Samaritano” in America Latina
E’ a partire da questa intuizione che i Teologi della Liberazione leggono la Bibbia. E così, letta in America Latina, la Parabola del Buon Samaritano assume una valenza particolare, come ci insegna Jon Sobrino.
L’uomo che si trova “mezzo morto” al lato della strada che va da Gerusalemme a Gerico non si trova lí per caso o per fatalitá: sta morendo perchè dei “briganti” l’hanno “spogliato” e “percosso”. Oggigiorno i briganti sono un intero sistema, il sistema neoliberale che spoglia milioni di poveri dei loro diritti fondamentali e poi li lascia mezzi morti al bordo della strada.
Il sacerdote e il levita vedono il ferito ma “passano oltre”, non si fermano per aiutarlo: perchè? La principale ragione é che hanno paura: i briganti, forse, sono ancora lì nascosti da qualche parte, e potrebbero attaccare ancora. Ma non è solo questo; anche se i briganti se ne sono già andati via, il sacerdote e il levita non vogliono far niente che possa dar loro fastidio: fermarsi presso il moribondo e ridargli vita è una cosa che non fa piacere ai briganti, perché il moribondo potrebbe averli riconosciuti e potrebbe denunciarli. Il sacerdote e il levita, pii israeliti, preferiscono non immischiarsi in queste cose ‘politiche’ e “passano oltre”. Le questioni politiche sono questioni di vita o di morte per la gente. E noi spesso vi “passiamo oltre”.
Arriva poi il Buon Samaritano, che ha “compassione” del moribondo: gli “fascia le ferite”, e lo porta a una locanda perchè possa recuperare pienamente la salute. La compassione del Samaritano sfida i briganti probabilmente nascosti lì vicino da qualche parte: la misericordia implica la disponibilità ad affrontare i ladroni e gli oppressori di questo mondo. Senza questo coraggio di affrontare il peccato strutturale che produce la morte di tanti nostri fratelli non è possibile nessuna misericordia, e si “passa oltre”.
Il sacerdote e il levita frequentavano il Tempio tutti i giorni (oggi si potrebbe dire che andavano a messa quotidianamente). Noi siamo abituati a vedere il Samaritano come una figura molto positiva, peró allora il Samaritano – per il pio israelita – era uno ‘scomunicato’, un nemico di Israele, una persona spregevole, una figura pericolosa, escluso dalla salvezza che Dio riserva ai suoi figli. Attualizandolo all’oggi, si potrebbe chiamarlo il “Buon sovversivo” o il “Buon comunista” o il “Buon Islamico”. Ebbene, dice Sobrino, la Chiesa – se questo é necessario per difendere i poveri e gli oppresssi – deve avere il coraggio di farsi chiamare ‘samaritana’, comunista o filoislamica. Mons. Romero molte volte fu accusato d’essere comunista solo perché difendeva la vita dei poveri. Una Chiesa che fascia le ferite degli oppressi moribondi sa che sará perseguitata, calunniata, minacciata, sa che la chiameranno ‘samaritana’, ‘sovversiva’. Ma non per questo si arrende o cede alle minacce dei potenti. Come dice mons. Romero, “Noi riconosciamo Gesú come unico Re: Lui solo vogliamo amare e seguire, a Lui solo ci inginocchiamo… Anche padre Octavio Ortiz voleva seguire Gesú, e per questo l´hanno ucciso: gli hanno schiacciato la faccia, non é stato possibile ricomporla. Ma proprio in questo periodo in cui i nostri sacerdoti sono perseguitati e uccisi crescono le vocazioni sacerdotali; molti giovani entrano nei nostri seminari e, come l’apostolo Tommaso, vogliono seguire Gesú e dicono: ‘Andiamo con Lui, e moriamo con Lui!’ ” (Gv11,18).

La teologia como espressione d’amore
Tanti anni fa invitarono Gustavo Gutierrez, il fondatore della teologia della liberazione, a un Convegno internazionale su Giovanni della Croce. Molti si meravigliarono: cosa c’entra un teologo della liberazione – impegnato sui problemi sociali – con la figura di una grande mistico come Giovanni della Croce? E Gutierrez spiegò: ‘C’entra molto. Tutta l’opera di Giovanni della Croce ci descrive un Dio innamorato di noi. Attraverso i suoi scritti Giovanni della Croce vuole convincerci che Dio ci ama. Ebbene, quando viviamo tra poveri che devono affrontare ogni giorno problemi legati all’ingiustizia, alla corruzione, all’oppressione, alla violenza, alla povertà, davvero si domandano: ma Dio ci ama? Per cui il problema centrale della Teologia della liberazione è: come dire al povero ‘Dio ti ama’? Come rendere credibile per i poveri la Buona Novella in un contesto di ingiustizia e violenza?’

Per molto tempo si è pensato che la teologia ha una finalità di tipo eminentemente intellettuale: dimostrare, fin dove è possibile, l’esistenza di Dio e spiegare – in un linguaggio razionale – le verità della fede. Ma in termini biblici non è assolutamente evidente che la priorità della teologia sia dare una spiegazione razionale della nostra fede.
Il popolo d’Israele non sentiva la necessità di dare una spiegazione razionale dell’esistenza di Dio, perchè per loro Dio era una realtà evidente, Qualcuno che sperimentavano tutti i giorni della loro vita. Il problema, per il popolo d’Israele, non era sapere se Dio esiste ma verificare se Dio continua ad amare il suo popolo o si è stancato di lui. Il punto centrale della rivelazione non è la trasmissione di verità o dogmi. Gesù non si è incarnato per insegnarci dei dogmi, ma per farci sapere che Dio “ci ama fino alla fine” ed è disposto a dare la sua vita per amor nostro. Per cui la prima risposta che Dio si aspetta da noi non è una risposta di tipo intellettuale: Dio non ci chiede – come prima cosa – di accettare i dogmi di fede, ma di accogliere la sua chiamata amando i nostri fratelli come Lui ha amato noi. Il comandamento di Gesù è: Amatevi come io vi ho amato!
Anche la teologia, come attività cristiana, deve rispondere a questo comandamento: è un’espressione d’amore e non deve ridursi ad essere una mera riflessione razionale sulla Parola. La finalità della vita cristiana è la carità, la costruzione del Regno. Anche la teologia, dunque, dev’essere orientata alla costruzione del Regno e alla trasformazione della società.
Non sempre i teologi sono stati consapevoli di questo. Perciò Jon Sobrino parla di ‘peccaminosità’ della riflessione teologica: quando la teologia rimane ad un livello astratto e si disinteressa completamente della sofferenza in cui vivono milioni di esseri umani, sta commettendo peccato, il peccato di cinismo. E’ quindi urgente che la teologia si converta al Vangelo della pace, della giustizia e dell’amore.

i poveri e la teologia

 

croce

La Teologia della Liberazione di fronte al povero

Dio si è incarnato come povero. E questo ha un significato teologico molto chiaro: non é che Gesù sia un ricco che si maschera da povero, ma Dio ha voluto incarnarsi come povero perchè questo è il suo modo di essere. Nella povertà, infatti, ci sono dei valori intrinseci che sono quelli che costruiscono il Regno: essenzialità, solidarietà, generosità, fiducia e abbandono in Dio, condivisione, etc.
In quest’ottica, la principale differenza fra la Teologia della Liberazione e un certo modo di intendere la Dottrina Sociale della Chiesa, è che per quest’ultima i poveri sono sopprattutto un problema sociale e etico, che interpella la nostra coscienza. Per la Teologia della Liberazione, invece, prima ancora di essere un problema sociale, i poveri hanno uno status teologale: Gesù si identifica con loro (Mt 25,31-46), cioè è lì che ci incontriamo con Dio, e quindi è a partire dai valori dei poveri che Dio vuole costruire il suo Regno. Detto in altri termini, i poveri ci evangelizzano, nel senso che sono i depositari di quei misteri che Dio ha nascosto ai sapienti e ai potenti di questo mondo (Mt 11,25). È questa la intuizione fondamentale della Teologia della Liberazione, una intuizione che è profondamente radicata nel Vangelo, e che quindi rappresenta una ricchezza per tutta la Chiesa universale.

Il “Buon Samaritano” in America Latina
E’ a partire da questa intuizione che i Teologi della Liberazione leggono la Bibbia. E così, letta in America Latina, la Parabola del Buon Samaritano assume una valenza particolare, come ci insegna Jon Sobrino.
L’uomo che si trova “mezzo morto” al lato della strada che va da Gerusalemme a Gerico non si trova lí per caso o per fatalitá: sta morendo perchè dei “briganti” l’hanno “spogliato” e “percosso”. Oggigiorno i briganti sono un intero sistema, il sistema neoliberale che spoglia milioni di poveri dei loro diritti fondamentali e poi li lascia mezzi morti al bordo della strada.
Il sacerdote e il levita vedono il ferito ma “passano oltre”, non si fermano per aiutarlo: perchè? La principale ragione é che hanno paura: i briganti, forse, sono ancora lì nascosti da qualche parte, e potrebbero attaccare ancora. Ma non è solo questo; anche se i briganti se ne sono già andati via, il sacerdote e il levita non vogliono far niente che possa dar loro fastidio: fermarsi presso il moribondo e ridargli vita è una cosa che non fa piacere ai briganti, perché il moribondo potrebbe averli riconosciuti e potrebbe denunciarli. Il sacerdote e il levita, pii israeliti, preferiscono non immischiarsi in queste cose ‘politiche’ e “passano oltre”. Le questioni politiche sono questioni di vita o di morte per la gente. E noi spesso vi “passiamo oltre”.
Arriva poi il Buon Samaritano, che ha “compassione” del moribondo: gli “fascia le ferite”, e lo porta a una locanda perchè possa recuperare pienamente la salute. La compassione del Samaritano sfida i briganti probabilmente nascosti lì vicino da qualche parte: la misericordia implica la disponibilità ad affrontare i ladroni e gli oppressori di questo mondo. Senza questo coraggio di affrontare il peccato strutturale che produce la morte di tanti nostri fratelli non è possibile nessuna misericordia, e si “passa oltre”.
Il sacerdote e il levita frequentavano il Tempio tutti i giorni (oggi si potrebbe dire che andavano a messa quotidianamente). Noi siamo abituati a vedere il Samaritano come una figura molto positiva, peró allora il Samaritano – per il pio israelita – era uno ‘scomunicato’, un nemico di Israele, una persona spregevole, una figura pericolosa, escluso dalla salvezza che Dio riserva ai suoi figli. Attualizandolo all’oggi, si potrebbe chiamarlo il “Buon sovversivo” o il “Buon comunista” o il “Buon Islamico”. Ebbene, dice Sobrino, la Chiesa – se questo é necessario per difendere i poveri e gli oppresssi – deve avere il coraggio di farsi chiamare ‘samaritana’, comunista o filoislamica. Mons. Romero molte volte fu accusato d’essere comunista solo perché difendeva la vita dei poveri. Una Chiesa che fascia le ferite degli oppressi moribondi sa che sará perseguitata, calunniata, minacciata, sa che la chiameranno ‘samaritana’, ‘sovversiva’. Ma non per questo si arrende o cede alle minacce dei potenti. Come dice mons. Romero, “Noi riconosciamo Gesú come unico Re: Lui solo vogliamo amare e seguire, a Lui solo ci inginocchiamo… Anche padre Octavio Ortiz voleva seguire Gesú, e per questo l´hanno ucciso: gli hanno schiacciato la faccia, non é stato possibile ricomporla. Ma proprio in questo periodo in cui i nostri sacerdoti sono perseguitati e uccisi crescono le vocazioni sacerdotali; molti giovani entrano nei nostri seminari e, come l’apostolo Tommaso, vogliono seguire Gesú e dicono: ‘Andiamo con Lui, e moriamo con Lui!’ ” (Gv11,18).

La teologia como espressione d’amore
Tanti anni fa invitarono Gustavo Gutierrez, il fondatore della teologia della liberazione, a un Convegno internazionale su Giovanni della Croce. Molti si meravigliarono: cosa c’entra un teologo della liberazione – impegnato sui problemi sociali – con la figura di una grande mistico come Giovanni della Croce? E Gutierrez spiegò: ‘C’entra molto. Tutta l’opera di Giovanni della Croce ci descrive un Dio innamorato di noi. Attraverso i suoi scritti Giovanni della Croce vuole convincerci che Dio ci ama. Ebbene, quando viviamo tra poveri che devono affrontare ogni giorno problemi legati all’ingiustizia, alla corruzione, all’oppressione, alla violenza, alla povertà, davvero si domandano: ma Dio ci ama? Per cui il problema centrale della Teologia della liberazione è: come dire al povero ‘Dio ti ama’? Come rendere credibile per i poveri la Buona Novella in un contesto di ingiustizia e violenza?’

Per molto tempo si è pensato che la teologia ha una finalità di tipo eminentemente intellettuale: dimostrare, fin dove è possibile, l’esistenza di Dio e spiegare – in un linguaggio razionale – le verità della fede. Ma in termini biblici non è assolutamente evidente che la priorità della teologia sia dare una spiegazione razionale della nostra fede.
Il popolo d’Israele non sentiva la necessità di dare una spiegazione razionale dell’esistenza di Dio, perchè per loro Dio era una realtà evidente, Qualcuno che sperimentavano tutti i giorni della loro vita. Il problema, per il popolo d’Israele, non era sapere se Dio esiste ma verificare se Dio continua ad amare il suo popolo o si è stancato di lui. Il punto centrale della rivelazione non è la trasmissione di verità o dogmi. Gesù non si è incarnato per insegnarci dei dogmi, ma per farci sapere che Dio “ci ama fino alla fine” ed è disposto a dare la sua vita per amor nostro. Per cui la prima risposta che Dio si aspetta da noi non è una risposta di tipo intellettuale: Dio non ci chiede – come prima cosa – di accettare i dogmi di fede, ma di accogliere la sua chiamata amando i nostri fratelli come Lui ha amato noi. Il comandamento di Gesù è: Amatevi come io vi ho amato!
Anche la teologia, come attività cristiana, deve rispondere a questo comandamento: è un’espressione d’amore e non deve ridursi ad essere una mera riflessione razionale sulla Parola. La finalità della vita cristiana è la carità, la costruzione del Regno. Anche la teologia, dunque, dev’essere orientata alla costruzione del Regno e alla trasformazione della società.
Non sempre i teologi sono stati consapevoli di questo. Perciò Jon Sobrino parla di ‘peccaminosità’ della riflessione teologica: quando la teologia rimane ad un livello astratto e si disinteressa completamente della sofferenza in cui vivono milioni di esseri umani, sta commettendo peccato, il peccato di cinismo. E’ quindi urgente che la teologia si converta al Vangelo della pace, della giustizia e dell’amore.

da giovaniemissione.it

assedio finito tra vaticano e teologia della liberazione?

giustizia

dopo la persecuzione subita sotto i due precedenti pontefici, sembra che tiri aria nuova sotto papa Francesco

sembra che si possa parlare di assedio finito: il dubbio e le speranze dei teologi della liberazione

qui di seguito riflessioni in questo senso tratte da Adista:

 Tra il Vaticano e la Teologia della Liberazione pare che ci sia proprio aria di pace. L’assedio implacabilmente mantenuto alla TdL sotto i pontificati di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI è sembrato allentarsi già con la nomina di Gerhard Ludwig Müller alla guida della Congregazione per la Dottrina della Fede: amico di uno dei fondatori della corrente teologica latinoamericana, il peruviano Gustavo Gutiérrez (la cui ortodossia è stata peraltro certificata dallo stesso Ratzinger, in seguito a un non irrilevante percorso di revisione da parte del teologo), il nuovo prefetto aveva nel suo biglietto da visita affermazioni decisamente favorevoli alla TdL, la quale, a suo giudizio, è «ortodossa perché è ortoprassica» e «ci insegna il modo giusto dell’agire cristiano, perché procede dalla vera fede».

Ci ha pensato poi papa Bergoglio, con il suo auspicio di «una Chiesa povera e per i poveri» e con il suo stile semplice e sobrio a suscitare l’entusiasmo di vari teologi della liberazione, i quali – malgrado i suoi scritti e le sue pratiche pastorali (nonché la sua condotta nei confronti delle vittime del regime militare argentino) fossero andati fino ad allora in un’altra direzione – hanno voluto cogliere nelle parole e nei gesti del nuovo papa non tanto una forma di adesione alla TdL quanto una traduzione concreta di quanto tale teologia ha sempre sostenuto. Servono tuttavia passi concreti per valutare la fondatezza o meno di tali entusiasmi, come quello che ha chiesto a papa Bergoglio mons. Pedro Casaldáliga per il tramite di Adolfo Pérez Esquivel. Come riporta infatti Religión Digital (27/6), il Premio Nobel argentino, prima della sua udienza con il papa, ha chiamato il vescovo emerito di São Felix do Araguauia, il quale ha approfittato dell’occasione per trasmettere a Bergoglio due richieste: che difenda gli indigeni e che riabiliti i teologi della liberazione perseguitati e condannati.

«È vero – ha dichiarato Pérez Esquivel dopo il suo incontro con il papa – che vi sono stati problemi con molti teologi della liberazione. Bisogna rivedere molte cose. Le teologie non sono mai definitive, sono cammini da costruire». Quanto alla risposta che darà Bergoglio, il Premio Nobel si è mantenuto prudente: «C’è tempo per tutto, sono passati appena 100 giorni dalla sua elezione. Non sono facili i cambiamenti in Vaticano. Bisogna aspettare. Non attendiamoci cambiamenti improvvisi, perché non ci saranno». Tuttavia, Pérez Esquivel si è detto convinto che il papa «promuoverà la riconciliazione con la Teologia della Liberazione. Il papa è un pastore, altri sono stati dei funzionari. Questa è la differenza».

Il tema del rapporto tra Bergoglio e la TdL continua pertanto ad essere al centro di analisi e dibattiti. «In passato – scrive per esempio il gesuita Jorge Costadoat Carrasco, professore della Pontificia Università Cattolica del Cile e direttore del Centro Teologico Manuel Larraín (Reflexión y Liberación, 24/6) – Jorge Mario Bergoglio è stato contrario alla Teologia della Liberazione? Probabilmente in più di un punto. Attualmente, papa Francesco è un avversario di questa teologia? L’impressione è che non lo sia». E il fatto che tanti teologi della liberazione si siano identificati con il nuovo papa, vedendo in lui «qualcuno che punta sui poveri», è, secondo il gesuita, sicuramente un segnale di grande importanza.

Ma c’è anche chi ritiene che lo stile di papa Bergoglio richiami una prospettiva completamente distinta dall’approccio antisistemico della TdL. Secondo Maciek Wisniewski (La Jornada, 21/6), per esempio, la cifra dell’austerità del papa riflette «una critica “morale”» agli «“eccessi” di imprese, banche e mercati» che finisce per rivelarsi completamente innocua rispetto alla necessità di «una soluzione politica alla crisi»: «Papa Francesco – afferma – critica il culto del denaro (“vitello d’oro”), ma non mette in discussione la nostra fede nel capitalismo».Sui segnali di un diverso atteggiamento in Vaticano rispetto alla Teologia della Liberazione e sulla loro reale consistenza si sofferma anche il teologo colombiano Héctor Alfonso Torres Rojas, il quale, tra l’altro, interpreta come un segno del favore papale verso la TdL la scelta di fare dono alle autorità latinoamericane ricevute in udienza del documento della V Conferenza dell’episcopato latinoamericano, svoltasi ad Aparecida nel 2007 (che tuttavia, al di là del recupero formale di alcuni elementi chiave, riflette una prospettiva ecclesiocentrica e autoreferenziale quanto mai distante dal regnocentrismo su cui pone l’accento la Teologia della Liberazione). Di seguito il suo articolo (Redes Cristianas, 30/6), in una nostra traduzione dallo spagnolo. (claudia fanti)

Non è mai troppo tardi

di Héctor Alfonso Torres Rojas

Recentemente, il prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede (ex Sant’Uffizio o Inquisizione), il cardinale tedesco Gerard Müller, ha dichiarato che la Teologia della Liberazione non confligge con la teologia cattolica: «Il movimento ecclesiale e teologico dell’America Latina, noto come “Teologia della Liberazione”, che dopo il Vaticano II ha trovato un’eco mondiale, è da annoverare, a mio giudizio, tra le correnti più significative della teologia cattolica del XX secolo». Müller ricopre questa carica dall’anno scorso, per volontà di Benedetto XVI. Mi ha sorpreso che, fin dall’inizio, sia stato presentato come grande amico e ammiratore di Gustavo Gutiérrez, “padre” della Teologia della Liberazione.

È meritevole che Müller riconosca le carenze e/o gli errori della CdF, soprattutto considerando il fatto che egli collaborò personalmente alla redazione delle due istruzioni su e contro la TdL nel 1984 e nel 1986.Vi sono state diverse manifestazioni di consenso rispetto alla dichiarazione del cardinale. Bene. Però… a cosa si deve?

Penso a due possibili ragioni.

La prima: alcuni segnali di papa Francesco? Ho letto da qualche parte che il papa sta facendo dono alle autorità latinoamericane che si recano a visitarlo del testo della V Conferenza dell’episcopato latinoamericano, svoltasi ad Aparecida nel 2007, della cui redazione l’allora card. Bergoglio è stato uno dei protagonisti. E ad Aparecida si è respirata Teologia della Liberazione.

La seconda: un passo significativo verso un’autentica o relativa libertà di ricerca e di espressione di idee teologiche, senza timori e tremori? E quale migliore simbolo che la riabilitazione della TdL?Qualche mese fa un teologo ipotizzava che una delle ragioni dell’abdicazione di Benedetto XVI potesse essere la constatazione del fallimento ecclesiale della teologia, la “sua teologia”, che aveva cercato di imporre a partire dal pontificato di Giovanni Paolo II. Come prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, Ratzinger ha condannato circa 200 teologi e teologhe di tutti i continenti e di diverse culture. Che ne era allora dell’inculturazione della fede?Questa sistematica condanna di altre teologie non solo ha portato discredito al Vaticano ma ha condotto anche all’enorme crisi che attraversa la Chiesa-Popolo di Dio.Se le domande che formulo sono valide, benvenuto sia il nuovo atteggiamento vaticano, così atteso e necessario. Di più: estremamente urgente.

Tuttavia ho alcuni però…

Primo però. Affinché questo nuovo atteggiamento sia oggi più credibile, il contesto dei Diritti umani esige da tutte le autorità Verità, Giustizia e Riparazione. E, ancor di più, dichiarazione e/o convinzione di non reiterazione.Diciamo, per meglio comprenderci, che il primo principio, la Verità, si sta realizzando. La TdL presenta più verità che errori.Mancano però la giustizia e la riparazione verso i teologi e le teologhe che sono stati così maltrattati, e persino umiliati. Verso gli uni e le altre si sono applicati, in modo arrogante, giudizi affrettati che hanno condotto ad un’ingiusta applicazione del Codice di Diritto Canonico.

Non ha rappresentato un’umiliazione e un’evidente violazione dei diritti umani il fatto di aver obbligato Leonardo Boff a un anno di silenzio assoluto? È necessario andare a leggersi e a rileggersi il racconto di Leonardo Boff, seduto sul banco degli imputati di fronte al card. Ratzinger. Non ha rappresentato un’umiliazione il silenzio imposto alla religiosa e teologa Ivone Gebara, obbligata a lasciare il Brasile? Se non mi sbaglio, sono stati i casi più estremi… Ma per l’Inquisizione sono passati Gustavo Gutiérrez, Jon Sobrino…

Il card. Gerard Müller, in consonanza con le dichiarazioni di papa Francesco sulla Chiesa dei Poveri, ha l’obbligo evangelico ed etico di chiedere perdono alla Chiesa dei Poveri latinoamericana per i soprusi commessi contro le sue pratiche pastorali e contro i teologi e le teologhe dalla Congregazione per la Dottrina della Fede. Come pure per i soprusi da parte di altre istanze vaticane contro sacerdoti e vescovi (Romero, Méndez Arceo, Proaño…), contro la Clar (Confederazione latinoamericana e caraibica dei religiosi e delle religiose, alla quale, negli anni Ottanta fu proibito di sviluppare e portare avanti una proposta di lettura e rilettura biblica, cioè di Nuova Evangelizzazione), le Comunità ecclesiali di Base (CEBs), differenti movimenti laicali…

Secondo però. Per rendere credibili i venti di rinnovamento vaticani, è necessario chiudere i processi condotti dalla CdF contro latinoamericani e latinoamericane.

Terzo però. Il riconoscimento della TdL dovrà estendersi alle teologie progressiste dell’Europa, alle teologie africane e asiatiche…

Quarto però. Nei processi portati avanti dalla CdF sono state scomunicate diverse persone. A partire dalla prassi di Gesù di Nazareth estranea a qualsiasi scomunica, a partire dal Vangelo della Fraternità nella Comunità, a partire dalla logica della Chiesa dei Poveri, a partire dalle esigenze dei diritti umani, tali scomuniche devono essere riviste e analizzate con una nuova prospettiva.

Quinto però. L’ultimo ma più grande e importante. Come cambiare la teologia che domina oggi varie generazioni di vescovi, sacerdoti, religiosi, religiose, laici e laiche? Una teologia che è molto lontana dallo spirito e dalla logica della teologia del Concilio Vaticano II, delle teologie progressiste condannate e non insegnate e ancor più della Teologia della Liberazione e dei suoi sviluppi.

La maggior parte dei vescovi, dei sacerdoti, delle religiose e dei religiosi, dei laici e della laiche è stata formata nell’ambito di una teologia e di una pastorale che dà molta più importanza alle pratiche religiose che al Vangelo come Forza di Liberazione. Vescovi e sacerdoti che «non odorano di pecora» ma di incensi e rituali perché, come ha affermato varie volte papa Francesco, si sono convertiti in una “Chiesa autoreferenziale”, chiusa in se stessa e nella sacrestia, che non si avventura nelle “periferie”.

La speranza è che le parole e i gesti di papa Francesco siano resi credibili da una prassi abbondante.

subito la beatificazione di monsignor Romero

CITTA’ DEL VATICANO – Papa Francesco vuole una rapida conclusione della causa di beatificazione di monsignor Oscar Arnulfo Romero, l’arcivescovo di San Salvador ucciso da un sicario il 24 marzo 1980, mentre celebrava la messa nella cappella di un ospedale della capitale salvadoregna.

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