“vi chiedo scusa” – papa Francesco chiede perdono ai poveri

papa Francesco

le scuse ai poveri

 Se Dio è venuto a capovolgere le gerarchie e le priorità dell’uomo, la Chiesa è se stessa solo se sta dalla parte dei poveri e ne condivide le sofferenze. Scandalizza sia quando si disinteressa di loro mentre rende onori ai potenti in cambio di sovvenzioni e privilegi fiscali sia quando organizza servizi assistenziali dall’alto e dal di fuori. Il paternalismo rende il cibo molto amaro. Il grande dramma della chiesa è che si crede nel giusto imitando le tecniche di sopravvivenza proprie delle classi agiate. Ha introiettato la sua sottocultura e la sua antievangelica visione antropologica.

 Con i poveri sembra trovarsi in imbarazzo. Si infastidisce più per le loro pretese che per la corruzione di un amministratore pubblico. Non si fa problemi a stringere la mano di dittatori o guerrafondai democratici, mentre evita quella dei senzanome che si trovano appena fuori dalla porta. Accetta doni e riconoscimenti da imprenditori senza scrupoli mentre si tiene ben lontano dalle proteste di licenziati e precari. La vediamo continuamente protesa in uno sforzo di compatibilità con il potere nonostante la sua devastante perfidia sociale. Preferisce l’accordo con i potenti al sostegno delle rivendicazioni dei poveri.  Continua ad attribuire all’esterno la colpa della perdita di credibilità non accorgendosi che il problema sta nella imbarazzante contraddizione della sua vocazione. Siamo costretti a cercare testimoni credibili e facciamo fatica a trovarli. È un duro lavoro perché occorre far riemergere dalla polvere e dal pregiudizio i loro testi e poter così riascoltare la loro voce profetica spesso zittita a suo tempo dalla gerarchia. E torniamo così a respirare. Altre volte capita invece che a distanza di anni o secoli, la Chiesa si riappropri di un messaggio che aveva prima ostacolato. Di solito succede quando non può più incidere nella realtà oltre la sala convegni dove viene celebrata la tardiva e inutile riabilitazione.

 

Testo di Papa Francesco

“E vi chiedo scusa se vi posso aver qualche volta offeso con le mie parole o per non aver detto le cose che avrei dovuto dire. Vi chiedo perdono a nome dei cristiani che non leggono il Vangelo trovando la povertà al centro. Vi chiedo perdono per tutte le volte che noi cristiani davanti a una persona povera o a una situazione di povertà guardiamo dall’altra parte. Scusate.

Il vostro perdono per uomini e donne di Chiesa che non  vogliono guardarvi o non hanno voluto guardarvi, è acqua benedetta per noi; è  pulizia per noi; è aiutarci a tornare a credere che al cuore del Vangelo c’è la povertà come grande messaggio, e che noi – i cattolici, i cristiani, tutti – dobbiamo formare una Chiesa povera per i poveri; e che ogni uomo e donna di qualsiasi religione deve vedere in ogni povero il messaggio di Dio che si avvicina e si fa povero per accompagnarci nella vita”.

(Papa FrancescoDiscorso aipartecipanti al Giubileo delle persone socialmente escluse, 11/11/2016)

“cari figli vi chiedo scusa”

bruxelles905

attentati di Bruxelles

la lettera di una giornalista ai figli

“vi chiedo scusa, ero certa che vi avremmo risparmiato la guerra”

E’ una lunga lettera quella che la giornalista francese Béatrice Delvaux ha scritto ai suoi figli. Pubblicata sul giornale Le Soir all’indomani degli attentati di Bruxelles, è una lettera commovente, nella quale la giornalista si rivolge ai suoi ragazzi e, insieme, a un’intera generazione per chiedere scusa. Scusa perché, scrive,
Caro Tu, sono vent’anni che ti mento. Non ho che una scusa: io stessa ho creduto alle mie bugie per 20 anni. Ti ho venduto questo mondo come quello delle possibilità, dei grandi viaggi, di quegli spazi che tu potevi sondare… Io, io che ero certa che ti avremmo risparmiato la guerra, rinchiudendola nei libri di storia o in quegli aneddoti  che la nonna o il nonno ti raccontavano, eppure sbagliavo“.
Preoccupata per il futuro dei suoi figli e dei loro coetanei, la giornalista racconta l’orrore ma ricorda anche i passi avanti fatti negli ultimi decenni, dalla fine del servizio militare alla conquista dell’uguaglianza tra uomo e donna, ai matrimoni con persone delle stesso sesso:
Eravamo assolutamente certi di aver sotterrato quei demoni che avevano costruito i campi di concentramento, i genocidi, il napalm. i goulag. Goulag? Hai persino creduto che ti parlassi di un piatto ungherese. Ne abbiamo tanto riso, ricordi? Perché dovremmo aver paura? I nostri genitori l’avevano fatta la guerra, ma loro avevano anche, in seguito, costruito la pace. Loro stessi avevano dato vita a quell’Europa che doveva salvaguardarci dalle nostre follie, dalle nostre derive. Noi abbiamo davvero creduto in quel mondo che ti abbiamo promesso,  per la semplice ragione che l’abbiamo visto affermarsi. Abbiamo visto cadere i muri, le ideologie, le barriere, ma non erano che commerciali. Io, tua madre, ho approfittato dell’uguaglianza crescente con gli uomini, di quei diritti per cui abbiamo combattuto e che abbiamo inscritto nella legge. Io, tuo padre, non ho dovuto fare il servizio militare perché ho vissuto gli ultimi spasmi di quel mondo. Poiché non era più il momento delle armi, ma delle coscienze. Non era più il momento di invadere i vicini per sottometterli, ma di soggiornare da loro, farsi sedurre imparando la lingua dell’altro, in tenda, in camper o, ancora prima, con sacchi a pelo, per poi arrivare a quell’Erasmus che tu dovresti – dovresti? – fare tra qualche mese. Avevamo vinto l’odio – “Mai più tutto questo”, non era altro che uno slogan, era diventato un luogo comune, una convenzione, un’affermazione di diritto”.
Il dolore di quanto accaduto a Bruxelles si fa strada parola dopo parola nel lungo scritto:
Quindi, no! Io non volevo che tu vedessi quei corpi triturati, quelle carni esplose alla stazione di Maelbeek. Maelbeek, a due passi da casa tua, Maelbeek, centro di Bruxelles, con quel nome che suona come uno scherzo, che è un punto di ritrovo: “Ci vediamo a Maelbeek”, “Scendi a Maelbeek”, “Ci siamo baciati a Maelbeek”? Quindi, no! Io non volevo che tu ieri ascoltassi il pianto di quei bambini terrorizzati, persi nel fumo dell’esplosione, unico filo conduttore nell’orrore, mentre cercavano la fuga da quella metro sventrata, triturata, uccisa“. “Caro Tu – prosegue – Dopo la collera, la tristezza, è arrivo il tempo di chiederti scusa. Ti implorare il tuo perdono. Ma di dirti anche che sentirti qui, al mio fianco, mi dà la forza per raddrizzare la testa. E credere nel domani“.
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