rischiamo il carcere ma vogliamo ugualmente aiutare i profughi

migranti

nella valle degli angeli che accolgono i profughi

“noi qui li aiutiamo e rischiamo il carcere”

di Massimo Calandri
in “la Repubblica” del 13 gennaio 2017


Teresa è una giovane maestra di origine italiana. La sua prima volta è stata la primavera scorsa. «Ero in auto coi miei bambini. Ho incrociato la gendarmerie, poco dopo ho intravisto tre ragazzini nascosti dietro un albero. Terrorizzati». Ha accostato, aperto la portiera. «Presto, salite. Vi porto a casa». Li ha ospitati una settimana. «Mi chiamavano mamma, avevano 16 anni». Un mese più tardi i tre erano mille chilometri più lontano. Calais. «Un giorno mi hanno scritto su Facebook. Da Liverpool. Avevano raggiunto i parenti, ce l’avevano fatta». Da allora, Teresa ha accolto non meno di venti migranti. In questi giorni a casa ne nasconde due, fratello e sorella, eritrei, anche loro minorenni, entrati in Francia dopo essere sbarcati in Italia da qualche settimana. Poi c’è Thibaut, contadino. Lui ha cominciato un anno fa: «Anche io li ho trovati sulla strada, subito dopo il confine. Pioveva fitto. Avevano freddo, morivano di fame. Lo sapevo che era un reato, che avrei dovuto segnalarli alla polizia: ma voi non avreste fatto lo stesso?». Gibì, pensionato, è stato arrestato venerdì scorso con altri 3 compaesani: rischiano 5 anni di galera e 35.000 euro di multa secondo la “legge Sarkozy”, che punisce chi agevola l’ingresso o la circolazione di immigrati irregolari. «Ne stavamo accompagnando un gruppo verso una stazione ferroviaria più sicura, ormai non potevano più restare lì dove li avevamo messi». Josianne, allevatrice, racconta che è normale: «Qui nella valle è sempre successo: un secolo fa ospitavamo i migranti italiani che andavano a lavorare a Nizza, a Marsiglia. Una mia bisnonna ne sposò uno. Nel dopoguerra siamo stati noi, da sfollati, ad essere accolti a Torino. Partigiani dell’umanità. E la storia continua». La storia della Val Roia, risalendo il fiume che sfocia a Ventimiglia nei pressi della frontiera. Sei piccoli Comuni francesi abbarbicati sulle montagne (Tenda, Briga, Saorge, Fontan, Sospel, Breilsur-Roya) per meno di seimila abitanti in tutto, un’enclave aspra e solidale come questa terra. Che dal 2015, da quando sono ripresi i controlli alle frontiere, infischiandosene della legge e della possibile galera ospita nelle proprie case migliaia di persone. Migranti. Uomini, donne, soprattutto minori che in attesa di chiarire la loro posizione non dovrebbero lasciare il Paese europeo dove sono stati identificati – l’Italia -, invece varcano comunque il confine in cerca di un’altra vita. Per evitare gli stretti controlli lungo i varchi a ridosso del mare, percorrono a piedi la Statale 20 parallela al fiume o se ne vanno per i binari del treno che viaggia verso Cuneo. E dopo cinque ore di cammino ecco la Francia, i boschi rocciosi delle Alpi Marittime, però non lontano dal Colle di Tenda e nuovamente dal territorio italiano, dove a volte nel loro disperato peregrinare finiscono per errore, sfortuna, destino. «Vado a Parigi ». «Londra». «Stoccolma».

I ragazzi li incontri a tutte le ore percorrendo la statale: si confessano con una ingenuità disarmante, un’insopprimibile luce di ottimismo nello sguardo. Per i gendarmi è un gioco prenderli, riportarli in Liguria. Ma il giorno dopo ecco che tornano a camminare verso nord, cocciuti. Fino a quando non passa qualcuno come Teresa, Thibaut, Gibé, Josianne. Qualcuno che li nasconde, li cura, li sfama, dà loro vestiti e nuova speranza. Per un paio di settimane al massimo. In qualche modo, quelli della valle riescono poi a farli salire su di un treno diretto verso la capitale. «E dopo, si vedrà». Cedric Herrou, che vive a Breil, è diventato il simbolo della valle. L’altra settimana il tribunale di Nizza lo ha condannato a 8 mesi con i benefici di legge. Per “trasporto di migranti” che aveva anche ospitato nella sua cascina. «Continuerò a farlo. Cioè, a fare il mio mestiere: l’agricoltore, quello che dà da mangiare alla gente. Senza preoccuparsi del colore della pelle o dei documenti». Nello stesso giorno è stato assolto un professore universitario di Nizza, Pierre-Alain Mannoni, che a sua volta aveva dato un passaggio dal Roia oltre la frontiera a tre giovani eritree: «Il giudice ha citato la convenzione dei Diritti dell’Uomo, sostenendo che era un mio dovere aiutare delle persone in pericolo». Però la Procura ha presentato appello. Qualche ora più tardi, a Sospel, la polizia ha  fermato 3 auto con a bordo 9 migranti (ma una è riuscita a passare): Gibì e Dan, più due amici, sono stati fermati. Gli stranieri che erano con loro, rispediti in Italia. «Siamo stati rilasciati dopo 24 ore. E nel frattempo alcuni dei ragazzi erano già di nuovo dalle nostre parti».

In questa regione, Provenza-Costa Azzurra – si vota l’ultradestra. Ma non nella Val Roia e meno che mai a Saorge, la “rossa”. Le notizie degli arresti – e qualche delazione, dicono, perché c’è sempre una pecora “nera” – non hanno spaventato nessuno, anzi. “Roya Citoyen”, associazione che distribuisce alimenti e vestiti ai rifugiati – assicurando ogni giorno 200 pasti a chi è rimasto a Ventimiglia – ha cominciato a ricevere aiuti da tutta la Francia. E altri ancora aprono la porta di casa. «A volte accade che in famiglia non si sia tutti d’accordo. Allora, quando il marito in quel momento non c’è, ecco che la moglie ospita qualcuno, o viceversa. Tanto, il coniuge che torna non ha mai il coraggio di mandarli via», spiega Elisabetta. Che non ha paura a parlare, o a farsi fotografare. «Non mi interessa la politica, non faccio parte di movimenti. Come gli altri, non ho una soluzione per quello che accadrà domani. Ma so che devo fare qualcosa per questi ragazzi. Ora. E non credo proprio di violare la legge, anzi. L’umanità non è un delitto».

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