Dio è umiltà e misericordia

Misericordia e umiltà di Dio

Dio, il potere dell’amore, presente “in ogni caos di questo mondo”

suor Ilia Delio ci parla di un Dio che “è con noi in ogni momento a braccia aperte, ridendo quando noi ridiamo, piangendo quando noi piangiamo, gioendo quando noi gioiamo”

 da: Adista Documenti n° 8 del 27/02/2016

è inutile cercare “in alto” e “fuori” ciò che invece è dentro di noi, al centro del nostro essere, nascosto nelle mani e negli occhi di ogni buon samaritano che ci ha soccorso lungo la strada. È qui, appunto, che incontriamo Dio, se intendiamo Dio non come un concetto astratto, ma come «sorgente colma d’amore», come il «potere dell’amore di trasformare la morte in vita». È quanto sostiene la teologa francescana suor Ilia Delio, direttrice del programma di Studi cattolici alla Georgetown University e autrice di libri come From Teilhard to Omega: Cocreating an Unfinished Universe e The Unbearable Wholeness of Being: God, Evolution and the Power of Love. Quello di cui parla Delio è un Dio «così assurdamente vicino, così incredibilmente vicino da costringerci a scoprire il suo volto in ogni caos di questo mondo: ingiustizia razziale, terrorismo, povertà, riscaldamento climatico». Un Dio che «è con noi in ogni momento a braccia aperte, ridendo quando noi ridiamo, piangendo quando noi piangiamo, gioendo quando noi gioiamo

Misericordia e umiltà di Dio

suora Ilia

(…). A metà novembre, mentre correvo per prendere la metro, sono inciampata nella mia valigia atterrando di faccia. A dire il vero è stato il mio mento a sostenere l’impatto. I miei piani per quel giorno hanno subìto un brusco arresto. Sono rimasta stesa a terra, pensando per un momento di essermi rotta la mascella e che non sarei mai più riuscita a parlare. Ero lì sdraiata da neanche un minuto quando ho alzato gli occhi e ho visto il volto di un giovane uomo i cui occhi scuri guardavano intensamente il mio mento ferito. “Signora, sta bene? Posso aiutarla?”. Mi ha preso per il braccio e mi ha sollevato (solo per realizzare che ero ferita anche al ginocchio). Ha avvertito subito la polizia metropolitana e poi mi ha accompagnato nella sala d’attesa della stazione.

Ciò che mi ha più profondamente colpito è stato lo sguardo di quell’uomo gentile. Ricordo di aver alzato gli occhi da terra e di aver visto il suo viso scuro incorniciato da un paio di occhiali neri. I suoi occhi dicevano tutto. Mi ha guardato e ha chiesto: “È ferita?”. Non è stato tanto ciò che ha detto ma il modo in cui lo ha detto: come se in quel momento io fossi l’unico pensiero della sua intera vita. Mi sono sentita profondamente toccata dalla sua compassione e dalla sua premura.

Mi è venuto in mente il passaggio evangelico del buon samaritano (…). Il mio buon samaritano ha aspettato con me finché non è arrivata l’ambulanza, assicurandosi che si prendessero adeguatamente cura di me. Ha saltato tutti i suoi impegni, aspettando 45 minuti prima che venissero a prendermi per mettermi i punti necessari. È vero: ho chiamato subito suor Lisa la quale è venuta immediatamente in mio soccorso ma questo giovane uomo, che non avevo mai incontrato e di cui tuttora non conosco il nome, è stato per me come un fratello. Una volta certo che sarei stata curata adeguatamente ha ripreso la sua strada.

Non so se fosse cattolico, musulmano o di nessuna confessione. Né ha importanza. Nel bel mezzo del mio incidente, nel volto di quell’uomo ho visto Gesù. (…).

DIO È AMORE

In un’omelia sulla natività del Signore, il teologo medievale Bonaventura descrive l’Incarnazione come «il Dio eterno che si inginocchia umilmente e solleva la polvere della nostra natura nell’unione con la sua persona». L’amore divino non è un concetto astratto; è profondamente personale, rivelato a noi nell’umile nascita di un bambino. (…). Non possiamo afferrare totalmente cosa sia Dio perché trattiamo Dio come un concetto, anziché come una profondamente personale «sorgente colma» d’amore, come diceva Bonaventura.

Il cristianesimo vede il mistero dell’amore divino in un modo particolare, come saggezza e Parola espresse nella persona di Gesù Cristo. L’amore divino è auto-espressione e dono di sé: la Parola diventa carne e sangue in mezzo a noi. Le parole d’ordine sono “carne” e “noi”, il Dio “sopra di noi” è “dentro di noi”: il Cielo è venuto sulla Terra.

Guardandoci intorno attraverso Google, potremmo pensare che questo Dio cristiano sia qualcosa di eccessivamente pietistico o di puramente immaginario, considerando la dose quotidiana di guerra, violenza, miseria e corruzione che i media ci dispensano. Un Dio come sorgente colma d’amore è tra noi? Dov’è questo Dio che si è fatto carne? (…). Come potremmo fare una simile affermazione con tanta facilità e sicurezza? Di più: dov’è la prova? Eppure questo è il mistero del Natale: l’amore si inginocchia così tanto da essere nascosto nel volto tuo e mio.

Ugo di San Vittore, della scuola medievale di Chartres, ha scritto che «l’amore va oltre la conoscenza»; l’amore ci porta al di là del visibile nell’esperienza invisibile e ineffabile della vita unitiva. Conosciamo di più attraverso l’amore che attraverso la conoscenza, perché l’amore è basato sulla relazione e sull’esperienza personali. Dire “Dio è amore” e “chi sta nell’amore dimora in Dio” (1Gv 4,16) significa dire che l’esperienza e l’incontro sconfiggono l’idea concettuale del divino. (…). Che cosa questa Parola divina fatta carne ci invita a vedere? Che il mistero dell’amore divino assoluto è assolutamente dato a noi; che la divinità è abbandonata nell’umano (e l’evoluzione della vita conduce all’umano). Il dono è in ciò che è dato, la fonte di Tutto, Amore incondizionato, l’Alfa e l’Omega, è al centro di te e me.

L’AMORE DIMORA ALL’INTERNO

Il filosofo tedesco Martin Heidegger parla di Essere non come argomento concettuale per Dio, ma come attività immanente in questo mondo, una presenza che si dà anziché un Dio creatore trascendente. A suo giudizio, siamo «immersi in un mondo di cose materiali finite che proviamo a controllare per i nostri scopi individuali ma che in definitiva controllano noi, perché abbiamo perso la prospettiva di trattare con queste in un modo che abbia senso».

Accettiamo senza pensare i doni del mondo che ci circonda e la maggior parte delle cose che lo costituiscono. Ci vuole un’“emergenza”, una pausa nella nostra consapevolezza quotidiana per farci rendere conto di ciò che è sempre stato lì in attesa di una nostra risposta. Che potrebbe essere (…) un risveglio della coscienza a ciò che è già presente. (…).

Raimon Panikkar ha scritto che «c’è nell’essere umano un bisogno, un’aspirazione alla conoscenza della fonte della conoscenza, e conoscendo questo tutto diviene conosciuto». Dio è il potere assoluto e la profondità di colui o colei che cerca se stesso. (…). Cerchiamo fuori da noi stessi il senso, mentre dovremmo cercare sempre più dentro di noi. Nel movimento totale del nostro essere, e diventando coscienti di esso, raggiungiamo la consapevolezza della realtà di Dio che dimora tra noi e dentro di noi.

Riflettendo (…) sul potere dell’amore divino in mezzo a noi ci si spalancano gli occhi; l’amore che muove le stelle e i pianeti è lo stesso che dà vita a te e a me. È l’amore al centro del nostro essere e che ci tiene in vita. Questo amore è potente e incondizionato e anche perfettamente libero. Dio è con noi in ogni momento a braccia aperte, ridendo quando noi ridiamo, piangendo quando noi piangiamo, gioendo quando noi gioiamo. Dio condivide nella rovina di questo mondo un’abbondanza di amore divino. È perché Dio è sorgente colma di amore che può condividere le sofferenze delle nostre vite e attraverso queste condurci a nuova vita.

FEDE, AMORE E SOFFERENZA

L’amore di Dio è il potere dell’amore di trasformare la morte in vita. Avere fede in un Dio di amore incondizionato è realizzare quanto Dio sia intimamente vicino. Così vicino che le nostre gioie e i nostri dolori, le nostre tristezze e le nostre angosce sono strettamente avvolte dall’umile abbraccio di Dio. Così vicino che addirittura ci dimentichiamo della presenza di Dio.

Ai suoi tempi, Gesù era immerso in una cultura violenta, una cultura di conflitto. Ma era anche a conoscenza della verità profonda nascosta sotto la superficie del giudizio umano, vale a dire che questo mondo in rovina trasuda Dio. Ci ha chiesto di avere fede, di credere che il Regno di Dio è tra noi e in noi.

Il gesuita Patrick Malone ha scritto: «La fede è più di una formula magica per sconfiggere la preoccupazione, la vergogna, il rammarico, il risentimento che offuscano il nostro sguardo e ci rendono scoraggiati e stanchi. Avere fede non cancella ogni traccia di egocentrismo e di dubbio. Queste cose fanno parte della condizione umana. La fede è ciò che ci conduce alla più profonda verità che siamo fatti a immagine di un amore illimitato e inimmaginabile. E, quando lo dimentichiamo, come Gesù ha ricordato alle autorità religiose del suo tempo, la religione diviene uno scudo, una stampella, un rifugio chiuso anziché un modo per lanciare coraggiosamente noi stessi in un mondo difficile, sapendo che è proprio lì che scopriamo un Dio generoso».

Diceva Bonaventura che non c’è altra strada per il cuore di Dio che quella dell’amore bruciante del Cristo crocifisso. Forse questo non ha molto senso per noi, specialmente nell’epoca di violenza che viviamo. Ma la mia amica Cynthia Bourgeault coglie l’intuizione di Bonaventura nel suo libro The Wisdom Jesus quando scrive: «Può essere che questo regno terreno, non malgrado ma proprio per i suoi spigoli, offra le condizioni affinché si esprimano alcuni aspetti dell’amore divino che non possono diventare reali in altro modo? Questo mondo mostra in effetti cosa questo amore è in un modo particolarmente intenso. Ma quando guardiamo a questo processo in maniera più approfondita, possiamo vedere che questi spigoli di cui facciamo esperienza come di una costrizione evocano allo stesso tempo le più squisite dimensioni dell’amore, le quali richiedono una condizione di finitezza allo scopo di dare un senso, qualità come fermezza, tenerezza, impegno, tolleranza, fedeltà e perdono. Chiarisco. Non sto dicendo che la sofferenza esiste affinché Dio si riveli. Sto solo dicendo che laddove la sofferenza esiste ed è accettata con consapevolezza, lì l’amore divino risplende in tutta la sua luce».

Una volta Dorothee Sölle ha detto che chi non ama non può soffrire (…). Trovare nella sofferenza umana la liberazione dell’amore e amare accettando la sofferenza umana è il percorso dell’amore salvifico, in cui la sofferenza è vinta dalla sofferenza, le ferite guarite dalle ferite. Soffriamo le pene della sofferenza quando viviamo la mancanza d’amore, il dolore dell’abbandono e l’isolamento dell’incredulità. La sofferenza del dolore e dell’abbandono è vinta dalla sofferenza dell’amore che non ha paura di ciò che è malato e brutto ma lo accoglie e lo guarisce. Non è questa la via della misericordia e della compassione? Chiunque entri nell’amore e attraverso l’amore sperimenti l’inestricabile sofferenza della fragile umanità, entra nella storia umana di Dio.

Ecco perché è così difficile spiegare in modo logico una religione che presenta un Dio così assurdamente vicino, così incredibilmente vicino da costringerci a scoprire il suo volto in ogni caos di questo mondo: ingiustizia razziale, terrorismo, povertà, riscaldamento climatico. Troppo spesso vogliamo un Dio che ascolti il nostro grido e sistemi le cose per noi, forte abbastanza da spazzare via le nostre esperienze dolorose. (…). Non è che Dio sia sordo al grido del povero. Piuttosto, Dio è povero. Non è che Dio non veda le nostre lacrime. Piuttosto, anche Dio piange. (…).

Dio non ha altro luogo in cui dimorare che in noi, il che significa che la salvezza richiede la nostra partecipazione. La giovane ebrea olandese Etty Hillesum giunse a questa consapevolezza in una cella di prigione, dove scrisse: «Siamo responsabili di tutte le catastrofi. Perché c’è questa guerra? Forse perché ogni tanto ho l’inclinazione a trattare in malo modo il prossimo. Perché io e il mio vicino e noi tutti non abbiamo abbastanza amore nel profondo… Eppure possiamo sconfiggere la guerra, ogni giorno, ogni istante, sprigionando l’amore che abbiamo dentro». Etty ha aperto il suo cuore alla divinità e, nel mezzo della Shoah, ha trovato Dio che abitava nell’umanità.

COMPASSIONE: LE BRACCIA DELLA MISERICORDIA

Questo “piegarsi” di Dio, questa “folle vicinanza” di Dio, ci dice che Dio vive nel cuore degli esseri umani. La compassione di Dio ha bisogno di mani, occhi e tocco umani. (…). Abbiamo l’enorme potere di guarire questo mondo ferito attraverso l’amore misericordioso, accogliendo lo straniero e accettando la sofferenza dell’altro come nostra.

Ecco perché l’Anno della Misericordia di papa Francesco può essere un anno assiale di cambiamento verso un mondo di pace e giustizia, se lasciamo cadere le nostre gabbie intellettuali, decostruiamo le nostre vite guidate dal consumo e apriamo i nostri cuori al divino girovagando come un mendicante in mezzo a un’umanità sofferente. Il teologo ortodosso Vladimir Lossky ha detto che Dio è come un mendicante di amore che bussa alla porta della nostra anima; ognuno di noi deve scegliere se aprire o meno. Recentemente ho incontrato un giovane uomo che deve aver lasciato entrare Dio, consapevolmente o meno. Mi ha guardato con occhi di amore e sono sicura che, in quel momento, ho visto il volto di Dio

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