in tempi di coronavirus fede e preghiera, sì, ma non fanatismo personale ed ecclesiale

 

 

“così papa Francesco ci insegna a riscoprire il divino che è in noi”

intervista a Alberto Maggi

a cura di Paolo Rodari
in “la Repubblica” del 28 marzo 2020

«Le messe senza popolo online? Non mi piacciono. Purtroppo molti preti sono stati abituati così. Per loro non c’è salvezza senza un Dio che da fuori viene a salvare l’uomo. Se si toglie loro la celebrazione della messa non sanno cosa fare. Non capiscono che il Signore è già in noi, si fa pane nella parola. Egli è dentro l’uomo e chiede solo di andare ad aiutare gli altri».

Alberto Maggi, fine biblista, sacerdote e teologo, commenta il momento presente. Il Papa ha detto che è possibile, in attesa che tutto torni alla normalità, chiedere perdono a Dio dei propri peccati pregando nel silenzio. Un ritorno alla preghiera personale e intima spesso elusa da una Chiesa che vuole invece avere il controllo sui fedeli.

Padre Maggi, alcune cronache raccontano di sacerdoti che celebrano con i fedeli di nascosto. Cosa pensa?

«Assurdo. Danno anche la comunione sotto le due specie, bevendo dal calice sostenendo che tanto è sangue di Cristo e come tale non può trasmettere il virus. Questa non è fede, è fanatismo. Giocano a fare i cristiani delle catacombe e non sanno che provocano un’ecatombe».

Un errore grossolano di visione di sé, di Dio e del mondo? 

«Pensano di essere gli unici intermediari fra la gente e Dio, ma il Signore non ha bisogno di intermediari. Dio è stato per troppo tempo visto come esterno all’uomo e lontano. Gesù ha superato ciò. Giovanni dice che a chi ama il Padre, Gesù e lo stesso Padre verranno in lui. Dio si manifesta non quando alziamo le mani al cielo, ma quando ci rimbocchiamo le maniche e aiutiamo gli altri».

Per un certo clero tutto ciò significherebbe perdere il controllo sui fedeli e per certi fedeli uscire da una visione clericale della fede.

«Se Dio sta nel cuore dell’uomo non lo puoi controllare. Ma quando scopri Dio dentro di te tutto cambia. Non devi più cercarlo e vivere per lui, ma vivi di lui. Dio non ti chiede più nulla».

A cosa serve chiedere a Dio di fermare la pandemia?

«Dio non può fermarla, non può cambiare il corso della storia, ma può dare all’uomo la sua forza per viverla».

Come si spiega questo tempo così difficile?

«I danni del coronavirus sono anche il prodotto di una politica che all’inizio ha privilegiato gli interessi economici di pochi a discapito del bene comune. Francesco in Laudato Sì chiede una cura per la casa comune che pochi perseguono. Il paradiso perduto è da guadagnare adesso».

In che senso?

«Francesco fa sua una lettura profetica del racconto della creazione. Il libro della Genesi non guarda al passato, non è storia ma teologia. L’autore non descrive il rimpianto per un passato, ma la profezia per il paradiso da costruire»

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il commento al vangelo della domenica

le lacrime di chi ama, una lente sul mondo

 

il commento di Ermes Ronchi al vangelo della quinta domenica di quaresima (29 marzo 2020):

 In quel tempo, un certo Lazzaro di Betània, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella, era malato. Maria era quella che cosparse di profumo il Signore e gli asciugò i piedi con i suoi capelli; suo fratello Lazzaro era malato. Le sorelle mandarono dunque a dire a Gesù: «Signore, ecco, colui che tu ami è malato». All’udire questo, Gesù disse: «Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato». […]

Il racconto della risurrezione di Lazzaro è la pagina dove Gesù appare più umano. Lo vediamo fremere, piangere, commuoversi, gridare. Quando ama, l’uomo compie gesti divini; quando ama, Dio lo fa con gesti molto umani. Una forza scorre sotto tutte le parole del racconto: non è la vita che vince la morte. La morte, nella realtà, vince e ingoia la vita. Invece ciò che vince la morte è l’amore. Tutti i presenti quel giorno a Betania se ne rendono conto: guardate come lo amava, dicono ammirati. E le sorelle coniano un nome bellissimo per Lazzaro: Colui–che–tu–ami. Il motivo della risurrezione di Lazzaro è l’amore di Gesù, un amore fino al pianto, fino al grido arrogante: vieni fuori! Le lacrime di chi ama sono la più potente lente d’ingrandimento della vita: guardi attraverso una lacrima e capisci cose che non avresti mai potuto imparare sui libri. La ribellione di Gesù contro la morte passa per tre gradini: 1. Togliete la pietra. Rotolate via i macigni dall’imboccatura del cuore, le macerie sotto le quali vi siete seppelliti con le vostre stesse mani; via i sensi di colpa, l’incapacità di perdonare a se stessi e agli altri; via la memoria amara del male ricevuto, che vi inchioda ai vostri ergastoli interiori. 2. Lazzaro, vieni fuori! Fuori nel sole, fuori nella primavera. E lo dice a me: vieni fuori dalla grotta nera dei rimpianti e delle delusioni, dal guardare solo a te stesso, dal sentirti il centro delle cose. Vieni fuori, ripete alla farfalla che è in me, chiusa dentro il bruco che credo di essere. Non è vero che «le madri tutte del mondo partoriscono a cavallo di una tomba» (B. Brecht), come se la vita fosse risucchiata subito dentro la morte, o camminasse sempre sul ciglio di un abisso. Le madri partoriscono a cavallo di una speranza, di una grande bellezza, di un mare vasto, di molti abbracci. A cavallo di un sogno! E dell’eternità. Ad ogni figlio che nasce, Cristo e il mondo gridano, a una voce: vieni, e portaci più coscienza, più libertà, più amore! 3. Liberatelo e lasciatelo andare! Sciogliete i morti dalla loro morte: liberatevi tutti dall’idea che la morte sia la fine di una persona. Liberatelo, come si liberano le vele al vento, come si sciolgono i nodi di chi è ripiegato su se stesso, i nodi della paura, i grovigli del cuore. Liberatelo da maschere e paure. E poi: lasciatelo andare, dategli una strada, e amici con cui camminare, qualche lacrima, e una stella polare. Che senso di futuro e di libertà emana da questo Rabbi che sa amare, piangere e gridare; che libera e mette sentieri nel cuore. E capisco che Lazzaro sono io. Io sono Colui–che–tu–ami, e che non accetterai mai di veder finire nel nulla della morte.

(Letture: Ezechiele 37,12–14; Salmo 129; Romani 8,8–11; Giovanni 11,1–45)

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