mons. Bettazzi riconosce la fede e la profezia di Giovanni Franzoni e gliene resta grato

 

in ricordo di Giovanni Franzoni

+ Luigi Bettazzi

già presidente di Pax Christi 

 http://www.paxchristi.it/?p=13132

Pax Christi Italia e Mosaico di Pace mi chiedono di esprimere la loro partecipazione al lutto della famiglia e della Comunità  cristiana di S. Paolo a Roma per la morte di Giovanni Franzoni.

Personalmente lo ricordo, quando era Abate di S. Paolo, alle Assemblee della CEI e agli ultimi due Periodi del Concilio Vaticano II. Penso alla sua attività negli anni caldi dopo il 1968; il suo libro “La terra è di Dio” (cui seguì poi “Anche il cielo è di Dio. Il credito dei poveri”) anticipava i problemi ecologici oggi sul tavolo della politica internazionale. Le sue prese di posizione sulla Chiesa dei poveri e sul dialogo con i comunisti sembrano appartenenti al passato, ma la sua dichiarazione di aver votato comunista lo portò alla “riduzione allo stato laicale”. Il suo temperamento ardente ma soprattutto il legame con la Comunità di S. Paolo, che aveva fondato e diretto fino ai nostri giorni, lo portarono a prese di posizioni di critica e di contestazione molto forti al di là di ogni compromesso (ad esempio di prendere domicilio nella mia Diocesi, pur restando a Roma), che indussero poi la Chiesa a decisioni drastiche.

Era rimasto, anche vivendo da laico (e sposandosi) uomo di fede. L’avevo incontrato il mese scorso, presentando insieme in una parrocchia piemontese il Concilio Vaticano II, di cui eravamo rimasti gli ultimi membri viventi italiani, ed era stato molto pacifico e fraterno. Forse i suoi atteggiamenti di contrasto non permetteranno lo si ponga tra i profeti, accanto a d. Mazzolari e d. Milani, ma non gli tolgono il merito di una profezia – sulla Chiesa dei poveri, sull’ecologia, sulla nonviolenza e la pace – perseguita con sincerità e con coraggio e con la coscienza di una fede sincera. Gliene restiamo grati.

image_pdfimage_print

il commento al vangelo della domenica

IL SEMINATORE USCÌ A SEMINARE

commento al vangelo della quindicesima domenica del tempo ordinario (16 luglio 2017) di p. Alberto Maggi:

Mt 13,1-23

Quel giorno Gesù uscì di casa e sedette in riva al mare. Si radunò attorno a lui tanta folla che egli salì su una barca e si mise a sedere, mentre tutta la folla stava sulla spiaggia. Egli parlò loro di molte cose con parabole. E disse: «Ecco, il seminatore uscì a seminare. Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada; vennero gli uccelli e la mangiarono. Un’altra parte cadde sul terreno sassoso, dove non c’era molta terra; germogliò subito, perché il terreno non era profondo, ma quando spuntò il sole fu bruciata e, non avendo radici, seccò. Un’altra parte cadde sui rovi, e i rovi crebbero e la soffocarono. Un’altra parte cadde sul terreno buono e diede frutto: il cento, il sessanta, il trenta per uno. Chi ha orecchi, ascolti». Gli si avvicinarono allora i discepoli e gli dissero: «Perché a loro parli con parabole?». Egli rispose loro: «Perché a voi è dato conoscere i misteri del regno dei cieli, ma a loro non è dato. Infatti a colui che ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a colui che non ha, sarà tolto anche quello che ha. Per questo a loro parlo con parabole: perché guardando non vedono, udendo non ascoltano e non comprendono. Così si compie per loro la profezia di Isaìa che dice: “Udrete, sì, ma non comprenderete, guarderete, sì, ma non vedrete. Perché il cuore di questo popolo è diventato insensibile, sono diventati duri di orecchi e hanno chiuso gli occhi, perché non vedano con gli occhi, non ascoltino con gli orecchi e non comprendano con il cuore e non si convertano e io li guarisca!”. Beati invece i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché ascoltano. In verità io vi dico: molti profeti e molti giusti hanno desiderato vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono! Voi dunque ascoltate la parabola del seminatore. Ogni volta che uno ascolta la parola del Regno e non la comprende, viene il Maligno e ruba ciò che è stato seminato nel suo cuore: questo è il seme seminato lungo la strada. Quello che è stato seminato sul terreno sassoso è colui che ascolta la Parola e l’accoglie subito con gioia, ma non ha in sé radici ed è incostante, sicché, appena giunge una tribolazione o una persecuzione a causa della Parola, egli subito viene meno. Quello seminato tra i rovi è colui che ascolta la Parola, ma la preoccupazione del mondo e la seduzione della ricchezza soffocano la Parola ed essa non dà frutto. Quello seminato sul terreno buono è colui che ascolta la Parola e la comprende; questi dà frutto e produce il cento, il sessanta, il trenta per uno».

La parabola del seminatore, narrata da Gesù nel vangelo di Matteo all’inizio del capitolo 13, è un incoraggiamento per tutti coloro che annunziano la parola. Il risultato non dipende dal seme, dalla parola, ma dipende dal terreno. Per comprendere questa parabola, occorre rifarsi all’annunzio che si trova nel profeta Isaia, da parte del Signore: “così sarà della mia parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata”. Il Signore assicura che la sua parola contiene in sé un’energia creatrice, la stessa parola del Creatore che disse: “sia la luce e luce fu”, quindi questa parola contiene un’energia creatrice che, quando incontra il terreno adatto, sviluppa tutte le sue potenzialità. Gesù illustra in questa parabola, le possibilità, ed anche le difficoltà, nell’accoglienza di questa la parola. È Gesù stesso che la spiega, quindi, nella seconda parte, andiamo addirittura alla spiegazione, Gesù afferma: “voi dunque ascoltate la parabola del seminatore”, che evidentemente è Gesù, e tutti coloro che seminano questa parola, “ogni volta che un ascolta la parola del Regno”, la parola è del Regno, la società alternativa proposta da Gesù, “e non la comprende”, come mai non la comprende? Non la comprende perché per accogliere il regno, Gesù mette come condizione la conversione. Che significa la conversione? Se fino a oggi hai vissuto per te e per i tuoi bisogni, per le tue necessità, da oggi cambia completamente vita, vivi per il bene e le necessità degli altri, questa è la società alternativa, il regno proposto da Gesù. “non la comprende viene il Maligno”, già Gesù aveva parlato di questo maligno quando, nel capitolo 5, aveva detto: “il vostro parlare sia sì, sì, no, no, il di più viene dal maligno”, che cos’è il maligno? Mentre Dio è amore che si mette a servizio degli uomini, il maligno è il potere che li domina. Allora Gesù avverte che, tutti coloro che vivono sotto la sfera del potere, sono completamente refrattari alla sua parola, infatti dice: “ruba ciò che è stato seminato nel suo cuore: questo è il seme seminato lungo la strada”, quindi inutile seminarlo perché arrivano subito gli uccelli. Che significa questo? Quanti detengono il potere naturalmente vedono, in questo messaggio di Gesù, una minaccia al loro dominio sulle persone, ma anche quanti ambiscono ad ottenere il potere, perché vedono nel messaggio di Gesù un rischio per le proprie ambizioni, ma la categoria più tragica (è composta da) quelli che sono sottomessi al potere, perché vedono nel messaggio di Gesù un attentato alla sicurezza che la sottomissione al potere dà, questi sono completamente refrattari. “Quello che è stato seminato sul terreno sassoso è colui che ascolta la Parola e l’accoglie subito con gioia”, quindi vede in questa parola la risposta al proprio desiderio di pienezza di vita, “ma non ha in sé radici”, cosa significa? che questa parola “non mette radici”, non trasforma l’individuo, “ed è incostante, sicché, appena giunge una tribolazione”, Gesù nell’annuncio dalla parabola diceva “quando spunta il sole”, il sole è fonte, è fattore di vita per la pianta; se la brucia la colpa non è del sole, è che la pianta non ha potuto mettere radici. Allora qui per Gesù l’effetto del sole è la tribolazione o la persecuzione: la persecuzione per l’individuo e per la comunità, non è fattore di distruzione, ma fattore di crescita; se distrugge è perché l’individuo, la comunità non hanno modificato la propria esistenza. E quindi anche questo caso fallisce. “Quello seminato tra i rovi è colui che ascolta la Parola, ma la preoccupazione del mondo e la seduzione della ricchezza soffocano la Parola ed essa non dà frutto”, Gesù ha messo come condizione la conversione, cioè vivi per gli altri e non per te stesso; se vivi per te, ti trovi in condizioni economiche precarie, vedi la soluzione nel denaro, ma appena riesci a raggiungere, ottenere questo denaro, subito nascono nuove ambizioni, nuove esigenze, e di nuovo ti trovi in preoccupazione economica. Allora chi pensa soltanto ai propri bisogni, chi si trova sempre preoccupato per la propria condizione economica, come potrà mai occuparsi dei bisogni, delle necessità degli altri? Infine “Quello seminato sul terreno buono è colui che ascolta la Parola e la comprende”, la comprende appunto perché si è convertito, “questi dà frutto e produce”, per comprendere l’espressione paradossale, ma non tanto, di Gesù occorre conoscere che, nella cultura dell’epoca, da un chicco di grano si ricavava una spiga con sette, otto grani. Quando l’annata era buona, la spiga aveva dieci grani, in occasioni eccezionali si trovava addirittura una spiga con trenta grani, ma era una cosa eccezionale. Ebbene quello che per gli uomini è eccezionale, Gesù lo mette all’ultimo, infatti dice: “produce il cento, il sessanta, il trenta per uno»”, cosa vuol dire Gesù? Quando il terreno è adatto, la parola creatrice sprigiona tutta la sua capacità, tutta la sua potenzialità, in una maniera che l’uomo non può neanche immaginare.

image_pdfimage_print

in morte di G. Franzoni – l’autobiografia di un ‘cattolico marginale’

UN «CATTOLICO MARGINALE»

PRESENTATA IN CAMPIDOGLIO L’AUTOBIOGRAFIA DI GIOVANNI FRANZONI

 da: Adista Notizie n° 20 del 31/05/2014

«Cattolico marginale» è la formula scelta per definire Giovanni Franzoni, la cui autobiografia è stata presentata a Roma, in Campidoglio, lo scorso 20 maggio (Autobiografia di un cattolico marginale, Rubbettino Editore, 2014, pp. 262, 16€)

Una perifrasi dai molteplici significati, perché con l’aggettivo marginale si possono intendere molte cose. Ai margini vive ed opera la «Chiesa di periferia» a cui Franzoni ha scelto di appartenere, ha detto mons. Matteo Zuppi, vescovo ausiliare di Roma Centro, intervenuto alla presentazione del libro per un saluto iniziale. Marginale significa anche la «volontà di tenersi lontano e di rifiutare il potere», ha aggiunto Raniero La Valle. E stare sul margine può voler dire scegliere di «abitare lungo i confini della società e dell’umanità sofferente», ha sottolineato Francesca Brezzi, docente di Filosofia morale all’università Roma Tre.

Ma marginale Franzoni lo è stato anche perché la Chiesa di Roma, guidata allora dal card. Ugo Poletti, decise di metterlo ai margini, di emarginarlo, per le sue tante scelte politiche di laicità, vicine agli impoveriti e agli oppressi ma lontane dall’istituzione ecclesiastica legata mani e piedi in un abbraccio demoniaco alla Democrazia Cristiana, al grande capitale, ai palazzinari, ai potenti della città. Perché quella di Franzoni e della Comunità di San Paolo – prima dentro e poi fuori della basilica di cui è stato abate – è stata una storia strettamente intrecciata a quella della città di Roma. «Senza Franzoni e la Comunità questa storia sarebbe stata molto diversa», ha ricordato La Valle, protagonista anche lui di tante vicende che videro Franzoni fra gli attori principali, dai “cattolici per il no” al referendum per confermare la legge sul divorzio del 1974, ai cattolici che militavano nel Pci e nella Sinistra indipendente. E Paolo Masini, assessore capitolino ai lavori pubblici e alle periferie della giunta guidata dal sindaco Ignazio Marino, ha affermato che «è un dovere e un onore per Roma Capitale (la nuova denominazione del Comune di Roma, ndr) poter ricordare Franzoni e la Comunità di San Paolo».

Sicuramente quella di Giovanni Franzoni non è stata una storia marginale nel senso di ininfluente. Ma una vicenda che ha profondamente segnato la storia della società e della Chiesa italiana post-conciliare. Il libro – curato da due membri della Comunità cristiana di base di San Paolo, Salvatore Ciccarello e Antonio Guagliumi, che hanno raccolto e poi trascritto il racconto direttamente dalla viva voce di Giovanni Franzoni, arricchendolo con una selezione di documenti straordinari, dalla corrispondenza privata di Franzoni con le zie, agli scambi epistolari con i rappresentanti della gerarchia ecclesiastica che poi lo sospesero a divinis, alle lettere di solidarietà di diversi amici, come i vescovi Michele Pellegrino e Luigi Bettazzi oppure fratel Arturo Paoli – racconta questa storia, intersecando «macrostoria e microstoria». L’infanzia e l’adolescenza a Firenze sotto il fascismo e durante la guerra. Gi studi al Collegio Capranica e alla Gregoriana di Roma. L’ingresso nell’ordine dei Benedettini. Gli anni nell’abbazia di Farfa, il trasferimento a Roma nel 1964 come abate di San Paolo fuori le mura, la partecipazione alle ultime due sessioni del Concilio Vaticano II.

Nella basilica di San Paolo, Franzoni si lascia interrogare dalle contraddizioni della città e di un quartiere popolato e popolare come San Paolo, animato anche dalla convinzione che la vita monastica non significa isolamento dal mondo ma impegno nella storia. Prende forma così una comunità “orizzontale” di laici, donne e uomini, che cominciano a riflettere sul che fare per vivere un Vangelo ancorato alla società e alla città, immergendosi nelle vicende sociali e politiche: l’opposizione alla parata militare del 2 giugno e ai cappellani militari, le manifestazioni contro la guerra in Vietnam, il sostegno all’obiezione di coscienza al servizio militare, le lotte degli operai licenziati della Crespi (una fabbrica di infissi non lontana dalla basilica), l’attenzione agli emarginati e agli esclusi, in particolare i reclusi nell’ospedale psichiatrico Santa Maria della Pietà. A San Paolo si realizza anche quella piena partecipazione dei laici alla vita della Chiesa proclamata dal Concilio e mai compiuta: l’omelia della messa domenicale, celebrata in basilica dall’abate Franzoni, viene preparata il sabato sera in un confronto collettivo e paritario con i laici.

Fascisti e cattolici tradizionalisti protestano – passando anche all’azione con irruzioni durante le assemblee e con scritte contro Franzoni sui muri dei palazzi del quartiere –, i gerarchi ecclesiastici mugugnano e guardano a vista la comunità, ma non trovano elementi per intervenire con delle sanzioni. Fino all’aprile del 1973, a causa di una preghiera dei fedeli contro lo Ior, rigorosamente spontanea, letta da un giovane durante la messa domenicale. Il cerchio di stringe, a Franzoni viene imposto dal Vaticano di censurare preventivamente le preghiere, lui rifiuta e il 12 luglio 1973 si dimette da abate, non prima di aver pubblicato la lettera pastorale La terra è di Dio, che conteneva un severo atto d’accusa contro la speculazione fondiaria ed edilizia portata avanti con il silenzio e la complicità dell’istituzione ecclesiastica e contro gli stretti legami fra Chiesa e poteri economici, all’ombra della Democrazia Cristiana. E fuori dal tempio nasce la Comunità cristiana di Base di San Paolo, che l’anno scorso ha celebrato i suoi 40 anni di esistenza (v. Adista Notizie n. 36/13) vissuti con due obiettivi: desacralizzare e riappropriarsi del Vangelo per incarnarlo nella storia, in piena autonomia e libertà di coscienza.

E la storia continua. Nel referendum del 1974 Franzoni si schiera a favore del divorzio e viene sospeso a divinis. Nel 1976, dopo la sua dichiarazione di voto per il Pci, viene dimesso dallo stato clericale. Poi il referendum sull’aborto e il coinvolgimento in tutte le lotte sociali degli anni ‘80 e ‘90. In tempi più recenti l’opposizione alle guerre in Iraq e Afghanistan, il referendum sulla legge 40 contro l’ordine di astensionismo arrivato dal card. Ruini, il sostegno alle battaglie di Beppino Englaro e Piergiorgio Welby, commemorato a San Paolo mentre Ruini gli aveva negato il funerale religioso. Oggi le attività con i profughi afghani accampati alla stazione Ostiense, nell’indifferenza delle istituzioni capitoline; le storiche battaglie contro il Concordato e i cappellani militari, ma anche i percorsi di fede con il gruppo biblico e il gruppo donne che, seguendo il filone della ricerca teologica e biblica femminista, approfondisce le tematiche riguardanti la condizione delle donne nella Chiesa e nella società.

Un’autobiografia che, chiarisce Franzoni, non è «un’apologia e nemmeno un amarcord  ma una storia in cammino che continua ancora».

luca kocci

image_pdfimage_print
image_pdfimage_print