”Padre Nostro che sei in Terra”

 Vito Mancuso: “Ripensare il mondo, ma anche l’idea di Dio se non dà più energia”

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agli incontri genovesi di ‘Repubblica delle Idee’, l’intervento del teologo a partire dal quesito eterno sul luogo della presenza divina: “Se un’idea viene superata, va ripensata, così anche il modo di pensare il divino, se non riesce più a interpretare gioie, speranze e dolori degli uomini”

 

di AMALIA MATTEUCCI

 Ti do un fiorino se mi dici dove abita Dio. E io ti do due fiorini se mi sai dire dove non abita”. Nella frase del filosofo viennese Martin Buber è racchiuso tutto il senso di uno dei grandi interrogativi che l’uomo si pone da sempre: dov’è Dio? Una domanda che si fanno da sempre i credenti, ma forse anche più frequentemente di loro gli atei e a cui non è facile dare una risposta. Un applauso lunghissimo accoglie il teologo Vito Mancuso, ospite a Genova per Repubblica delle Idee con l’intervento “Padre nostro che sei in terra”. Ripensare il mondo, tema della manifestazione di Genova, secondo il teologo implica necessariamente ripensare Dio e il suo rapporto con il mondo e con gli uomini

Dov’è Dio? È una domanda che l’uomo si pone da sempre. “Dio, uomo e mondo sono i tre elementi che costituiscono la realtà. Al vertice di questo che possiamo definire una sorta di triangolo filosofico ideale c’è Dio, introiettando il quale gli esseri umani, da massa informe di individui, si trasformano in societas”. Parte da qui e dal bisogno di trovare un punto di riferimento comune il discorso del teologo. Gli uomini, per sentirsi ‘soci’, devono condividere un’idea che trascende l’individualità e che li attrae. Un’idea in grado di farli uscire dalla loro sfera particolare per costruire un’architettura della società. È probabile che la crisi che stiamo vivendo dipenda anche dalla crisi del vertice di quel triangolo che ha perso la forza attrattiva che lo contraddistingue.

Senza rimpianti. “Non voglio dare l’idea di piangere sul presente devastato in nome di un passato ormai andato. Se un’idea viene superata, vuol dire che andava rivista e superata, se la modalità di pensare il divino non è più in grado di interpretare le gioie e le speranze, ma anche i dolori degli uomini, va ripensata”. C’è bisogno di un’idea del divino che infonda energia, dunque, e non che richieda da parte dell’uomo energia per essere sostenuta.

Dio in terra. “Il titolo che ho dato al mio intervento – spiega Mancuso – è un modo per contrastare l’idea tradizionale veicolata dall’incipit del Padre nostro come riportata da San Matteo, cioè che ci sia una distanza tra il luogo in cui risiediamo noi e il luogo  in cui è Dio. Nei quadri a tema sacro si vedono sempre i protagonisti che guardano verso il cielo. Tutti danno questo senso di alienazione. Se Dio è l’assoluto, non può esistere un crepaccio invalicabile tra terra e cielo, perché questo impedisce di pensare Dio come assoluto, ma determinato e quindi in qualche modo nega che sia in Terra. Si smonta la qualifica ontologica essenziale di Dio in quanto essere che abbraccia tutte le cose”. Mancuso parla di Gesù: non è stato lui, insegnandoci il modo in cui dovevamo rivolgerci al Padre, a collocarlo in un luogo determinato. “Gesù non pronunciò mai queste parole, peraltro scritte in greco nel Vangelo di Matteo. Nel Vangelo di Luca manca una collocazione spaziale”.

Dio è dentro di noi – “Gesù ha detto nel Vangelo di Luca – aggiunge Mancuso –  che il Regno di Dio è “dentro di voi” e Sant’Agostino nelle sue Confessioni colloca Dio più interiore dell’intimo, cioè nella profondità del cuore. Una sorta di Io che supera l’Io. Come se contenessimo qualcosa che va oltre noi, che ci trascende. Ma senza immaginare di avere visioni, apparizioni”.

Tre punti di vista. Ci sono, quindi, tre teorie: Dio nei Cieli, dentro di me o, come dice san Paolo nel discorso all’Areopago, il Signore come una sfera che avvolge tutto. Ma c’è modo di far coincidere le cose, di chiarirsi le idee?, chiede Mancuso alla platea. Il teologo punta sulla posta in gioco che spinge gli uomini a continuare a interrogarsi su quesiti che sembrano apparentemente senza risposta. Il discorso appare troppo complicato ammette, ma è il valore del mondo la risposta: “Credere in Dio equivale a individuare un di più rispetto a quello che indichiamo come mondo – dice ancora – . Gli uomini percepiscono una dimensione che la ragione avverte, ma che non riesce a spiegare. Sono i ‘misteri’ dietro cui il clero fa passare troppe cose”.

Sommersi dal mistero. Mancuso cita Norberto  Bobbio, padre del pensiero laico: Bobbio scrive nella sua ultima lettera, pubblicata il giorno dopo la sua morte: “Come uomo di ragione so di essere immerso nel mistero”. Non è la fede che porta al mistero, ma la ragione che ti fa comprendere di essere sommerso dal mistero.

Libertà e determinazione. Molti pensano che gli uomini sono un pezzo di un ingranaggio. Se non c’è trascendenza non c’è libertà. La trascendenza è la libertà di un pezzo di mondo di giungere a superare il suo essere mondo ambiente sociale. Fa l’esempio della mafia, il teologo. Nascendo in Sicilia qualcuno potrebbe pensare sia implicito essere mafioso. Qualcuno può dire di no. “Lasciarsi trascinare dal contesto è più facile, la trascendenza, cioè la libertà di essere altro, è quella energia in più di qualitativamente alto”. Bellezza, dedizione, intelligenza della bontà e bontà dell’intelligenza. “Per alcuni queste cose sono attimi, non la realtà. È vero, sono istanti, ma l’attimo è l’unica realtà. Sono questi attimi il segno della nostra vera natura”.

Dio ovunque. Nell’aria, nella materia, negli esseri viventi e quelli che viventi non sono, ma che sono fatti di materia, di polvere e in quella polvere, c’è il divino. Ogni cosa ha una sua capacità di accoglierlo. Se non ci fosse il principio divino in ogni cosa, ci sarebbe solo il caos. È questa la conclusione a cui arriva Mancuso. Aria, vento, atmosfera e spirito sono soffi che contengono Dio

Il mondo è un processo. Il mondo è un ‘farsi’ delle cose: ha creato la mente e la mente ha creato il cuore che si sa relazionare all’insegna dell’armonia. Si capisce solo così il mondo e si reinterpreta nel suo rapporto con Dio. “Il mondo non è perfetto o imperfetto” chiude Mancuso. Ma bisogna partire dalla parte migliore, il cuore che pensa. Anche Gesù pensava la presenza divina come non chiusa negli spazi cosmici. “Per cogliere l’essenza divina bisogna accostare la terra ai cieli e pensare la presenza divina in ogni frammento”. Questo svelerà il misterium magnum radicato nell’anima umana”.

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scartati!

gli scartati della globalizzazione

di Leonardo Becchetti*
in “La Stampa-Vatican Insider” del 3 giugno 2015

scartati
La globalizzazione doveva portare alla fine della storia, frullando in un omogeneizzato compatto tutte le culture e offrendo dividendi e partecipazione a tutti. Quello che sta accadendo è invece il paradosso di un’uniformità di visione economica e di progresso tecnologico che produce derive identitarie e quantità enormi di “scartati”. Sempre più persone nelle società occidentali non votano, non lavorano né studiano, insomma non partecipano alla vita sociale e questo inevitabilmente finisce per erodere il capitale sociale, quel collante fondamentale di fiducia, cooperazione, reciprocità, dono e senso civico che tiene insieme l’edificio sociale ed economico. La verità è che il progresso tecnologico che automatizza non solo il lavoro routinario ma anche parte di quello creativo non ha bisogno di tutti per funzionare. E’ evidente che in società come queste il problema della distribuzione diventa quello fondamentale. Se volessimo estremizzare per assurdo si potrà arrivare un giorno ad un’unica super macchina che produce e vende tutto quello di cui l’umanità ha bisogno. Il proprietario di questa super macchina sarebbe l’uomo più ricco del mondo e l’unico a percepire reddito ma qui si pone il problema di come fare a sostenere il potere d’acquisto degli esclusi che dovrebbero acquistare i prodotti. Fantapolitica, d’accordo, ma se osserviamo che già oggi gli 85 più ricchi del pianeta hanno la stessa ricchezza dei 3 miliardi dei più poveri e che le banche centrali si affannano ad inondare il mondo di liquidità per sostenere la domanda asfittica ci rendiamo conto che la realtà non è poi così lontana da questo estremo. L’altro enorme problema che abbiamo di fronte, oltre a quello della distribuzione e della sostenibilità sociale dello sviluppo, è quello della sostenibilità ambientale. Soprattutto quando consideriamo quei beni ambientali non appropriabili e non rinnovabili come il clima che rappresentano beni pubblici globali sottoposti ai tradizionali dilemmi che rendono difficile il coordinamento tra diversi paesi sovrani per la riduzione delle emissioni. La metafora più calzante è quella del surfista che “cavalca” una gigantesca onda nell’oceano. Lo osserviamo ammirati in quell’equilibrio precario e non sappiamo se alla fine riuscirà ad arrivare prima dell’onda o se l’onda che lo “insegue” lo travolgerà. In altri termini l’umanità sta correndo per cercare di sfuggire alla catastrofe ambientale (mentre già paga le conseguenze dei danni provocati) ma non sappiamo se sarà in grado di correre abbastanza veloce oppure no. Dell’ambiente parlavano fino ad una decina di anni fa solo gli ambientalisti mentre oggi la sostenibilità è diventata un fattore competitivo di business aprendo molti importanti settori (dal riciclo dei rifiuti che diventano risorsa alla ristrutturazione energetica degli edifici) ma, ancora, non sappiamo se questo basterà. Una soluzione esiste ed è l’economia civile. Il modello tradizionale a due mani dove la somma degli egoismi degli homines economici e delle imprese massimizzatrici di profitto viene riconciliata magicamente ed eroicamente in bene comune dall’azione dei due dei ex machina del mercato e delle istituzioni (benevolenti, perfettamente informate e così solide da non essere catturate dai regolati) non funziona e non può funzionare. La soluzione dell’economia civile è quella di un modello a quattro mani dove l’azione di mercato e istituzioni è integrata e complementata da quella dei cittadini responsabili che fanno cittadinanza attiva e votano col loro portafoglio e dalle imprese pioniere che abbandonano lo schema riduzionista della massimizzazione del profitto per diventare multistakeholder e creare valore economico in modo sostenibile ripartendo lo stesso in modo più equo tra i diversi portatori d’interesse. Quest’economia a quattro mani è anche la soluzione al problema da cui siamo partiti, quello degli scartati perché le aziende responsabili sono di solito aziende low profit e ad alta intensità di lavoro e perché le modalità di ingaggio dell’economia civile coinvolgono i cittadini in molte pratiche di cittadinanza attiva promuovendo inclusione e contribuendo alla creazione di capitale sociale. Al famoso esempio di Keynes che parlava delle buche da riempire come lavori pubblici per superare la
crisi del ’29 l’economia civile contrappone le iniziative di impegno civico e le palestre di capitale sociale e di cittadinanza attiva che non sono semplicemente dei riempitivi per oziosi ma un modo avvincente e coinvolgente di partecipare e di far fiorire la propria vita lavorando per promuovere benessere e dignità di tutti. La soluzione è portata di mano ma ancora non è divenuta mainstream. Cosa aspettiamo ? Dipende solo da noi. Il mercato è fatto di domanda e di offerta e la domanda siamo noi. Se useremo il voto col portafoglio per premiare le aziende leader nella sostenibilità sociale ed ambientale il problema sarà risolto. Mosè convinse gli ebrei ad uscire dall’Egitto nonostante questi ultimi sapessero che rischiavano la vita e la rappresaglia del faraone. A noi serve molto meno perché spostare le nostre scelte di risparmio e di consumo fa parte delle facoltà di scelta assolutamente ammissibili in una società liberale. Il vero faraone siamo noi ovvero l’incapacità di mettersi in moto verso la soluzione di tanti di noi per mancanza di consapevolezza e di coordinamento. La sfida affascinante della wikieconomia sta dunque nel costruire questa consapevolezza e questo coordinamento giorno dopo giorno attraverso il nostro lavoro sui social per creare quel bene comune collaborativo della nuova economia civile. E già questo è un compito bellissimo che risolve il problema dello scarto e della mancata partecipazione. Perché non si tratta di un’opera per uomini soli al comando ma di un lavoro collettivo dove siamo tutti protagonisti.
* economista, docente di Economia politica all’Università di Roma Tor Vergata

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