benvenuti!

 

la mia casetta

Benvenuto nella mia casa, benvenuto nella mia home!

Mi chiamo luciano e mi piace parlare e dialogare cogli amici. Sono anche un frate francescano e sacerdote, ma non voglio convincere o convertire nessuno. Mi piace parlare con tutti di ciò che muove la mia vita, e questa mia home la puoi considerare come la  ‘casa del dialogo’ anche e soprattutto con le posizioni più distanti dalle mie perché sento che questo mi arricchisce: per questo nella mia casetta di mattoni ho esposto una targhetta che ho riesposto anche qui: “la mia casa è aperta a tutti”.

la mia casa è aperta a tutti

Come uomo e come frate e sacerdote mi piace pensare (e ‘sognare’) che nell’unico mondo che ci è dato di vivere possiamo e dobbiamo vivere meglio. Credo nella possibilità di cambiarlo in meglio. Anche nella chiesa penso si debba radicalmente cambiare molto per renderla più autenticamente evangelica. Il Concilio Vaticano II° cinquanta anni fa ha avviato una rivoluzione che però è rimasta incompiuta perché non dobbiamo partire dalla chiesa, nel nostro riflettere e operare, ma dalla vita. La vera domanda che è necessario porsi è: quale umanità noi sogniamo? per quale progetto di umanità noi ci impegniamo, ci battiamo? Esso dovrebbe rappresentare il sogno che Dio ha per il mondo: un sogno di vita, di giustizia, di pace, di accoglienza, di fraternità, concepito a partire dai più deboli, dalle persone che fanno più fatica. Solo dopo possiamo domandarci: rispetto a tutto questo, di quale chiesa abbiamo bisogno?

Ma se il progetto di umanità corrisponde al sogno che Dio ha per l’uomo, non possiamo non domandarci subito dopo: quale Dio? Sembra a volte che in modo indistinto ci si possa rivolgere al dio dei ricchi e al dio dei poveri; al dio che legittima le guerre ed al dio di chi si impegna con perseveranza per la non violenza attiva e per la pace; al dio di chi fa appello – in nome di una qualche ‘identità cristiana’- alle discriminazioni e al razzismo e al dio di chi accoglie l’altro, lo straniero, il diverso da me; al dio di chi è morto per contrastare le mafie e al ‘ dio dei mafiosi’; al dio di chi è legato al potere e al dio di chi sta con gli umili e cammina coi poveri della terra … Ecco: l’interrogativo su ‘quale chiesa?’ secondo me rimanda alla domanda su ‘quale Dio?’. Ma anche su ‘quale Gesù?’: il Gesù delle devozioni o il Gesù di quella provocazione rivoluzionaria che il Vangelo continua a suggerirci quotidianamente?: dunque: ‘quale umanità?’, ‘quale Dio?’, ‘quale Gesù?’, e solo da ultimo: ‘quale chiesa?’

La chiesa è solo un segno dentro la storia, segno di una possibile umanità ‘altra’, alternativa a quella che abbiamo realizzato. Anche noi sacerdoti dobbiamo interrogarci sul senso e sul ruolo della nostra missione – ‘quali preti?’ – solo dopo aver cercato di rispondere a tutte le domande che ho appena evocato. Così possiamo evitare ogni sorta di autoreferenzialità, cioè un atteggiamento in cui la chiesa guarda a se stessa, al proprio interno e ai propri bisogni e interessi e ha col mondo un rapporto di competizione, o  di paura, o di sospetto: sentimenti che ispirano prediche, ammonimenti, condanne, al limite pii consigli moralistici, ma non spirito di vero confronto, apertura, ascolto, dialogo. E’ importante ascoltare molto prima di parlare…

Indubbiamente viviamo in tempi complessi, e la sofferenza, la crisi che attraversa tutta la società, compresa la chiesa.  Non credo, tuttavia, che si possa parlare di una generale crisi della religione. Di ‘religione’ penso, modestamente, che ce ne sia anche troppa nella nostra società: non mancano di certo le celebrazioni, i riti religiosi … rilanciati continuamente anche dai media. Altra cosa è la chiesa della fede, la chiesa del Vangelo, una chiesa esigente, questa, perché chiama a scelte radicali, perché il mondo ha bisogno di una grande spinta alla giustizia, di un grande processo di umanizzazione. Il pregare stesso dovrebbe essere meno una serie di formule o riti e più una vibrazione profonda dell’essere dentro la storia, con riferimento all’ ‘ulteriorità’, certo, ma non nel senso di una fuga dal mondo, e l’impegno per la giustizia dovrebbe riassumere tutte le dimensioni della nostra vita.

Dobbiamo ritornare ad annunciare la parola di Dio come una parola profetica, sempre immersa nella storia, o meglio nelle molteplici ‘storie’ delle persone in carne e ossa che incrociano il nostro cammino. Perché ciò sia possibile è necessario che la chiesa si liberi dall’abbraccio mortale con il potere politico, economico e militare. Quando la chiesa diventa una ‘chiesa del potere’ non è più di fatto ‘chiesa’, popolo di Dio, chiesa di Gesù Cristo, presenza nel mondo della paternità universale di Dio.
Padre Luciano Meli

Padre Luciano Meli

image_pdfimage_print

un grande grazie a papa Francesco

 

«Signore Gesù, Tu che sei la luce del mondo,

ti ringraziamo per il dono di papa Francesco,

grazie per la sua testimonianza di semplicità

grazie per la sua attenzione agli ultimi, ai poveri, ai dimenticati

grazie per la capacità di parlare a tutti

grazie per il coraggio di andare controcorrente

grazie per la sapienza di chiamare bene il bene e male il male.

Signore Gesù, tu che ci hai fatto scoprire la misericordia,

insegnaci a capire e seguire la lezione di perdono

che ha contraddistinto tutta la vita di papa Francesco.

Aiutaci a capire che non esiste peccato,

che il Padre buono non perdoni.

E se qualche colpa papa Francesco ha commesso,

tu abbine misericordia in virtù della forza del suo amore.

Signore Gesù che sei amico e fratello di tutti,

grazie per l’umiltà di papa Francesco

grazie per l’insegnamento che non c’è nessun uomo

che possa essere considerato superiore agli altri

grazie per gli abbracci ai malati e ai dimenticati

grazie per averci fatto capire con papa Francesco

che dobbiamo amare chi nessuno ama.

Signore Gesù tu che sei il maestro della pace,

insegnaci a capire, come ha sempre detto papa Francesco

che non esiste nessuna guerra giusta

che ogni conflitto è sempre una sconfitta

che sparare in nome di Dio è una bestemmia

che bisogna cercare anche il più piccolo appiglio

per trasformare i pensieri bellicosi in sogno di pace.

Signore Gesù che ami la vita come nessuno,

insegnaci, come ha testimoniato papa Francesco

che non esiste nessuna esistenza

che non valga la pena di essere vissuta

che siamo tutti amati da Dio come figli unici

che ogni vita va custodita e difesa sempre

dal concepimento alla sua fine naturale.

Signore Gesù tu che ci chiedi di pregare sempre,

fa che impariamo sull’esempio di papa Francesco

il valore del dialogo tra le Chiese e le religioni

insegnaci a ripulire il nostro vocabolario

dalle parole che dividono e feriscono,

guidaci ad essere una comunità di credenti

che mettono Dio e non l’uomo al centro.

Signore Gesù tu che hai amato i poveri,

insegnaci a essere, come papa Francesco

uomini e donne che vivono l’essenziale

persone libere dalle schiavitù delle mode

e capaci di guardare agli altri non per ciò che hanno

ma per quello che sono e possono diventare

alla luce della speranza che nasce dalla fede.

Signore Gesù tu che ci aspetti tutti nel tuo Regno,

stringi nel tuo abbraccio papa Francesco,

e a noi che piangiamo la sua scomparsa

e sentiamo il vuoto della sua assenza

insegna a custodirne le parole e i gesti

perché forti del suo esempio e della sua testimonianza

sappiamo riconoscere in Te l’unico re della nostra vita.

Amen

image_pdfimage_print

il commento al vangelo della domenica

pasqua di risurrezione
SHOMER MA MI-LLAILAH
(Sentinella quanto manca della notte?)
Luca 24,1-12
il commento di E. Ronchi al anelo della domenica di pasqua
Era ancora notte, e loro si sono messe per strada.
“Il primo giorno, al mattino presto, esse si recarono al sepolcro”. La notte durerà ancora ma il mattino sta venendo (Is 21,12).
È notte anche per noi, davanti al mostro evidente del male assoluto che si chiama guerra.
Luca non scrive il soggetto di questo andare, ma lo sappiamo tutti che sono loro, le donne, quelle che ci raccontano la morte e le sette parole di Gesù in croce, che hanno raccolto il suo grido, che l’hanno profumato ancora una volta con oli aromatici per contrastare, come possono, come sanno, la morte.
Davanti alla pietra rovesciata e al vuoto angosciante, per le donne non c’è subito la fede, si alza solo l’immensa domanda: cos’è questo?
La fede non è immediata, è un lavorìo, un esile filo, scalpello su dura pietra, e comincia con il domandare: cos’è questo che accade?
Sono necessari due angeli e una nuova annunciazione. Dice Luca che sono sfolgoranti, quasi vestiti di lampi, di scampoli di luce: perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui. È risorto.
Una cascata di bellezza, un’abbagliante luce che da un nome a Gesù: “Colui-che è-vivo!”: quello che avete visto chiudere nella roccia, quell’uomo che vi ha aperto orizzonti infiniti, è vivo.
La differenza tra fede e non fede non è Gesù, è la Pasqua di Gesù!
Non è un fantasma, non è un ricordo: è lui!
Lui c’è, ma non qui; è altrove, è più avanti, cercatelo dappertutto ma non fra le cose morte, non nei cimiteri, è in giro per le strade, per gli occhi, per i cuori, bussa alle case, aspetta che gli si apra e i suoi teli profumano di sole.
Lo incontri, ci inciampi addosso, lo urti, ti tocca, ti parla, ti abbraccia.
E’ risorto! E lo dicono con un verbo umile e concreto: Si è svegliato. Non sanno come dire la risurrezione, e allora Luca, Marco, Matteo usano i verbi del mattino, quando riprendiamo vita, lavori, amori, gioie e fatiche. Si è svegliato, svegliamoci da questa vita assopita!
Svegliati, alzati. Guarda, ascolta, immagina cieli nuovi e apri le tue braccia!
Noi siamo così, come quelle donne, siamo creature di desiderio e di stupore. E’ illogica la Pasqua, è tutto contro ogni ragione, quella mattina.
Ma la vita non si misura da quanti respiri facciamo, si misura da tutti quei momenti che ci tolgono il respiro.
Nella mattina di Pasqua, tra donne, profumi e parole di angeli c’è un’armonia di segni cosmici nuovi, di partenze al levar del sole, dentro il profumo del giardino, nell’intrecciarsi armonioso della prima stagione dell’anno, il primo plenilunio, il primo giorno della settimana, la prima ora del giorno.
Non vediamo la luce, è ancora notte, “c’è ancora il suono che fa il silenzio” (F. Guccini), ma il giorno nuovo viene.
Il dolore è a un passo, ma è a un passo anche l’amore, stupendamente vivo.
image_pdfimage_print

il commento al vangelo della domenica

E L’ASINO?
il commento di E. Ronchi al vangelo della domenica delle Palme
Il racconto della passione e morte di Gesù è la lettura più bella e regale che si possa fare. La croce è l’immagine più pura e alta che Dio ha dato di se stesso. «Per sapere chi sia Dio devo solo inginocchiarmi ai piedi della Croce» (Karl Rahner).
Mentre stiamo per ripercorre i giorni supremi della nostra storia, il primo brano del vangelo che ci viene incontro riferisce la festa che circonda Gesù mentre scende dal Monte degli Ulivi e si avvia verso Gerusalemme, a dorso d’asino.
Ad ogni ritorno della settimana santa riemerge dalla memoria un dialogo di molti anni fa con un monaco trappista dell’abbazia di Orval, in Belgio. Un giorno, mentre lo aiutavo nel suo lavoro, ad un certo punto gli chiesi: «Mi permetta una domanda, padre: le è mai successo di stancarsi di Dio? Di averne abbastanza della comunità, dei voti, delle esigenze del vangelo? Le è mai successo?
A me, sì. Cosa possiamo fare quando ci si stanca di Dio?». Pensavo che mi avrebbe risposto qualcosa tipo: quanto sei indietro nella fede! Come è possibile stancarsi di Dio? O con una delle tante frasi fatte che ho ascoltato sulla bocca di tanti…
Lui invece mi guardò con occhi profondi e dolci, e cominciò a parlarmi di san Bernardo e di un suo commento al vangelo dell’ingresso di Gesù a Gerusalemme. Ricordo solo l’essenziale, ed era questo: «nel giorno che noi chiamiamo delle palme, nel corteo che accompagna Gesù giù dal Monte degli Ulivi, c’è chi canta, chi applaude, chi fa ala e stende i mantelli, chi agita rami di palma, un giardino che cammina. Alcuni sono più vicini a Gesù, camminano al suo fianco, altri sono più indietro e lontani. Aria di festa per tutti…, ma c’è un personaggio che non partecipa a quell’atmosfera gioiosa, una creatura che fa più fatica di tutti, doppia fatica, e si stanca: è l’asino su cui è seduto Gesù, con il suo puledro, che sente tutto il peso di quella strada ripida, sotto la soma di quell’uomo sconosciuto che trasporta; eppure non si ferma, continua a salire. L’asino è quello che fa fatica più di tutti, ma è anche il più vicino a Gesù. Ne sente il calore, e la vicinanza. Così succede anche noi» mi diceva «quando facciamo fatica, oppure sentiamo il peso della preghiera, della vita secondo il vangelo, del ministero, della comunità, quando non abbiamo più voglia, possiamo pensare all’asino del corteo delle Palme, forse siamo come quella creatura i più vicini a Cristo: stiamo portando lui e il peso del vangelo, lui e le fatiche della missione. Portiamo pietre d’angolo per un mondo nuovo. L’importante è non arrendersi, perché poca strada ancora e ormai ecco Gerusalemme».
Perseverare, perché -diceva don Lorenzo Milani- : Fino a che c’è fatica c’è speranza”.
image_pdfimage_print

il commento al vangelo della domenica

ECCO FACCIO UN CUORE NUOVO, PER TE
Gv 8,1-11
il commento di E. Ronchi al vangelo della quinta domenica di quaresima
Una trappola ben congegnata: ‘che si schieri, il maestro, o contro Dio o contro l’uomo’. Gli condussero una donna… e la posero in mezzo.
Donna senza nome, che per scribi e farisei non è una persona, è il suo peccato; anzi è una cosa, che si prende, si porta, si mette di qua o di là, dove a loro va bene. Si può anche mettere a morte. Sono gli integralisti che mettono Dio contro l’uomo, e la religione diventa omicida.
“Maestro, secondo te, è giusto uccidere…?” Quella donna ha sbagliato, ma la sua uccisione sarebbe ben più grave del peccato che vogliono punire.
Gesù si chinò e scriveva col dito per terra…: e ci invita, quando tutti attorno gridano, a una pausa, a tacere, a mettersi ai piedi non di un codice penale ma del mistero della persona.
“Chi di voi è senza peccato getti per primo la pietra contro di lei”.
Gesù butta all’aria tutto il vecchio ordinamento legale con una battuta sola, con parole definitive e così vere che nessuno può ribattere. E se ne andarono tutti.
Allora Gesù si alza, ad altezza del cuore della donna, ad altezza degli occhi, per esserle più vicino; si alza con tutto il rispetto dovuto a un principe, e la chiama ‘donna’, come farà con sua madre: Nessuno ti ha condannata? Neanch’io lo faccio. Eccolo il maestro vero, che non s’impalca a giudice, che non condanna e neppure assolve, fa un’altra cosa: le consegna il futuro che serve per vivere. Va’ e d’ora in poi non peccare più: ha fiducia in lei, spera in lei, vede in noi il santo prima del peccatore.
Il Signore sa sorprendere ancora una volta il nostro cuore fariseo: non chiede alla donna di confessare il peccato, non di espiarlo, neppure le domanda se è pentita. È una figlia a rischio della vita, e tanto basta a Colui che è venuto non per giudicare ma per salvare. La prima legge di Dio è che ogni suo figlio viva! Non si interessa di rimorsi, ma di futuro: infatti non le domanda da dove viene, ma dove è diretta; non le chiede conto del suo passato, ma del suo domani. E intinge la penna, come uno scriba sapiente, nella luce e non nelle ombre di quella creatura con il suo inconfondibile colpo d’ala. Il rabbi le dice: Va’, esci dal tuo passato e vai verso il tuo cuore nuovo, e porta lo stesso perdono a chiunque incontrerai.
Le scrive nel cuore la parola ‘futuro’. Le dice: ‘Donna, tu sei capace di amare ancora, tu puoi amare bene, amare molto. Questo farai…’.
Gesù apre le porte delle nostre prigioni, o prigionieri li rimette in cammino nel sole. Lui sa bene che solo uomini e donne perdonati e amati possono seminare attorno a sé perdono e amore. I due soli doni che non ci faranno più vittime.
Che non faranno più vittime, né fuori né dentro di noi.
image_pdfimage_print

il commento al vangelo della domenica

FIGLIO DI DOMANI
Luca 15,11-32
il commento di E. Ronchi al vangelo della quarta domenica di quaresima
Un padre aveva due figli.
Un incipit che causa subito tensione, perché nella Bibbia le storie di fratelli non sono mai facili, raccontano di violenza e menzogne, di riconciliazioni mancate. La fraternità non è un dato da cui partire, ma un progetto da costruire.
Io voglio bene al figlio prodigo. Quante volte i ribelli in realtà sono solo dei richiedenti amore. Il ragazzo se ne va, un giorno, con la sua parte di “vita”, di eredità, in cerca di felicità, e crede di trovarla nelle cose. Il padre lo lascia andare, anche se teme che si farà male. Un uomo saggio.
Ma quella che sembrava la vita ideale, si rivela un lento morire; si dissangua di umanità, fino a ritrovarsi solo e affamato in una porcilaia.
Allora rivede la sua casa, la casa del padre, la sente profumare di pane.
Ci sono persone con così tanta fame che per loro Dio non può che avere la forma di un pane (Gandhi).
Qualcosa gli si muove dentro, rientra in sé e decide di tornare. La vita gli ha insegnato a volare raso terra, lui non chiederà di essere il figlio di ieri, ma uno dei servi di adesso.
Non torna perché ha capito, ma perché ha fame. Ma al Padre importa solo che tu ritorni verso casa.
Il padre lo vide da lontano e gli corse incontro.
L’uomo cammina, Dio corre.
L’uomo si avvia, Dio è già arrivato.
E ci ha già perdonato in anticipo di essere come siamo, prima che apriamo bocca.
Non domanda: da dove vieni, ma: dove sei diretto?
Non chiede: perché l’hai fatto? Ma: vuoi ricostruire la casa?
Non si lancia in un: te l’avevo detto! Ma: hai fame?
Non è esperto in rimorsi quel padre, ma in abbracci.
Il perdono di Dio non libera il passato, fa di più:
libera il futuro, ci rende figli nuovi.
Non ci sono personaggi perfetti nella Bibbia, li cerchi invano, è piena di gente che cambia strada e idee, di ripartenze sotto il vento delle passioni, ma poi alla fine sotto il vento di Dio.
L’ultima scena gira attorno all’altro figlio, che non sa sorridere, che non ha la musica dentro, che non ha la festa nel cuore.
Il ragazzo bravo in tutto è triste, come se fosse ai lavori forzati; per lui la bella vita era l’altra, quella del fratello.
Ma il padre nella sua casa vuole figli, e non servi ubbidienti; esce e lo prega di entrare: vieni, è in tavola la vita!
Il ragazzo avrà capito? Sarà entrato? Si saranno guardati, abbracciati? Non ci viene detto.
Ed ecco la grande domanda: perché neppure l’ombra di un castigo? È giusto il padre della parabola? Dio è così? Così eccessivo, così tanto, così oltre?
Sì, è l’immensa rivelazione per la quale Gesù darà la vita: Dio è solo amore.
E l’amore non è giusto, è sempre oltre, è centuplo, è eccedenza. E sempre un po’ fuorilegge.
Così è il mio Dio, il Dio di Gesù, il Dio che ancora m’innamora.
image_pdfimage_print

la nascita di Israele è una storia coloniale

la nascita di Israele è una storia coloniale accettarlo è doloroso ma serve alla pace

di Anna Foa
in “La Stampa” del 20 marzo 2025

Il libro dello studioso di origine palestinese Rashid Khalidi, Palestina. Cento anni di colonialismo, guerra e resistenza, ci racconta la storia di questo secolare conflitto visto dalla parte dei palestinesi.
Khalidi, la cui famiglia apparteneva agli strati più elevati dell’élite palestinese, è nato nel 1948 a New York City, dove suo padre era un alto funzionario dell’Onu. Un suo pro-prozio era stato un importante funzionario sotto il governo ottomano, a lungo sindaco di Gerusalemme. Studioso di  rilievo, docente all’università di Chicago e alla Columbia, Rashid Khalidi è stato anche attivamente
coinvolto nelle vicende politiche: era a Beirut durante la guerra del Libano del 1982, e ha partecipato attivamente alle trattative tra palestinesi e israeliani a Madrid e a Washington.
In questo libro, Khalidi fa ampio uso tanto dei documenti pubblici che delle memorie famigliari
oltre che della sua stessa esperienza politica. Ne risulta una scrittura affascinante in cui l’uso
rigoroso delle fonti documentarie si mescola con quello delle memorie famigliari e personali.
Il filo rosso che percorre il libro, che caratterizza la storia secolare del conflitto, è il “colonialismo”.
Tutta la storia del conflitto, dalla nascita del sionismo ad oggi, è infatti analizzata nell’ottica
coloniale. Come già per Edward Said, il grande studioso autore di “Orientalismo”, quella della
nascita di Israele è per Khalidi una storia coloniale, sia pure di un colonialismo diverso da quello
che ha caratterizzato le potenze europee nei secoli XIX e XX. Quello “di insediamento”,
caratterizzato dall’insediamento di coloni e dall’espulsione più o meno ampia dei precedenti abitanti.
L’analisi in chiave coloniale dell’intera storia di Israele è così il filo rosso del libro. Altri studiosi,
dando maggior rilievo agli elementi di rinascita nazionale presenti inizialmente nel sionismo, fanno
invece risalire la caratterizzazione coloniale ad anni più recenti, il 1948 con la Naqba (la cacciata
dei palestinesi con la guerra) o il 1967 con l’inizio dell’occupazione. Comunque lo si voglia
interpretare, questo del colonialismo resta un tema su cui nessuno studioso serio può fare a meno di
soffermarsi e su cui il libro di Khalidi apre una discussione importante e, credo, necessaria. Questa
coloniale non è, vorrei sottolinearlo, un’interpretazione adottata solo dalla storiografia palestinese,
ma da molti studiosi israeliani e americani, la maggior parte dei quali ebrei. Inoltre, lungi dal trarre
dall’etichetta coloniale la conseguenza della necessità di distruggere lo Stato di Israele, Khalidi
immagina scenari per il futuro che non sono molto diversi da quelli di una buona parte degli
studiosi post-sionisti israeliani, sostenitori di un’Israele che non sia più lo Stato degli ebrei, ma uno
Stato democratico in cui tutti, ebrei e non ebrei, godano degli stessi diritti.
Decisa è anche, nel libro, la valutazione negativa della cosiddetta stagione di Oslo, le trattative fra
israeliani e palestinesi che dalla conferenza di Madrid a quella del 2000 di New York hanno portato
al fallimento della nascita di uno Stato, ai cui negoziati pure Khalidi aveva partecipato.
Particolarmente netto il giudizio negativo sugli accordi di Oslo e sull’incapacità di negoziare dei
vecchi dirigenti dell’OLP, troppo a lungo lontani dalla situazione reale della Palestina.
Infatti Khalidi non si limita a condannare in maniera netta la politica israeliana, che vede in tutta la
sua storia politica, sia con i governi laburisti che con quelli del Likud, come volta a creare uno Stato
fondato sull’oppressione dei palestinesi, e nella cui volontà di pacificazione non crede. La sua
critica, in molti casi durissima, è anche rivolta alle organizzazioni palestinesi, tanto l’OLP che
Hamas, che vede oscillare fra l’incapacità di darsi dei progetti politici e la scelta del terrorismo e
della violenza. Questa scelta, scrive, «oltre a sollevare gravi questioni legali e morali e a privare i
palestinesi di un’immagine mediatica positiva, a livello tattico si è dimostrata enormemente
controproducente».
In quest’ottica, nessuna indulgenza per il 7 ottobre nella postfazione al libro, scritta nella primavera
del 2024 (mentre il testo si fermava al 2019). La lettura del secolo di guerra, una guerra sempre per
lui asimmetrica, in cui i palestinesi sono sempre visti come i più deboli tra i due contendenti, non lo
spinge a giustificare il terribile attacco terroristico del 7 ottobre, ma piuttosto a riflettere sulle
possibilità che si aprono anche dopo questa data. Il trauma collettivo seguito in Israele al 7 ottobre
ha portato ad esacerbare le attitudini verso i palestinesi della società israeliana, spingendone molta
parte a sostenere il governo di estrema destra, afferma. Una nuova fase è iniziata, particolarmente
letale e distruttiva, in cui tuttavia si riconoscono ancora le tracce della storia precedente. La pace
che Khalidi auspica, anche se la vede sempre più allontanarsi nel tempo, è «una pace fondata
sull’ammissione delle dolorose realtà storiche e sullo smantellamento delle strutture di oppressione,
basata sulla giustizia, sulla parità di diritti e sul riconoscimento reciproco». Uno scenario su cui
anche gli israeliani che si oppongono a questa guerra e a questo governo non possono che
concordare.

image_pdfimage_print

il messaggio di L. Segre ai giovani del forum internazionale giovanile

miei cari ragazzi state attenti, l’odio è sempre in agguato

di Liliana Segre

il messaggio della senatrice Liliana Segre che apre  il Change the World Model
United Nations di New York, il più grande forum internazionale giovanile, a cui partecipano 4.000  studenti provenienti da oltre 140 Paesi.

Care ragazze e cari ragazzi, sono molto felice di rivolgermi a voi che siete la migliore garanzia per
il futuro. Il tempo è una strana variabile, comincia oggi come l’attimo fuggente. Velocissimo. Ecco
perché vorrei chiedervi di fermarvi un attimo per ascoltare, in silenzio, i vostri pensieri.
Voi che siete i cittadini del mondo dominato dai social, una dimensione sempre più interconnessa,
uno spazio in cui vengono condivisi – sarebbe meglio dire esibiti – opinioni, punti di vista, stati
d’animo, umori, che sembrano sentimenti e invece nella stragrande maggioranza dei casi sono
pulsioni.
La pulsione più inquietante e la più radicata nell’animo umano, ha a che fare con l’odio. E io ne sono
la testimone vivente, avevo più o meno la vostra età quando ho conosciuto l’odio che si fa sistema,
teoria e pratica, dell’uomo contro l’uomo.
Uscita per buona sorte dal campo di sterminio di Auschwitz, porto con me quella storia sulla pelle:
l’odio inciso. Ecco perché è importante ricordare anche a voi giovani sentinelle della Memoria che
la memoria è la funzione del mondo. A voi che avete scelto questo percorso, affinché siate pronti ad
indagare le ragioni dell’altro prima di volere affermare le vostre.
La buona pratica dell’ascolto che si mescola al dialogo nella diversità resta il miglior strumento di
comprensione e di crescita. È l’elogio dell’imperfezione tanto caro alla Nostra indimenticata Rita
Levi Montalcini.
In un’epoca in cui il mondo sembra spesso diviso da parole di odio è fondamentale che ci fermiamo
a riflettere su cosa vogliamo realmente costruire. L’odio non crea mai nulla di buono: è una forza
distruttiva che lascia solo macerie, divisioni e sofferenza. Proprio in questo momento di difficoltà
voi, le nuove generazioni, avete un’opportunità unica e un’importante responsabilità: quella di
rispondere a tutto questo con un linguaggio diverso, con una forza positiva che può cambiare
davvero le cose.
Ribellatevi all’aggressività e alla violenza che passa attraverso le parole e atterra direttamente dentro
le nostre vite.
Le parole che scegliamo di pronunciare, le azioni che decidiamo di intraprendere possono
trasformare la realtà. Non ci sono muri da alzare, ma ponti da costruire. La nostra forza sta nella
capacità di guardare al futuro con speranza e determinazione, di lavorare per la pace, per la
solidarietà, per un mondo fatto di comprensione di ciò che è diverso da noi. L’aggressività, la
violenza, l’intolleranza, il razzismo, l’antisemitismo, l’odio per chi è diverso dilagano anche nel
discorso pubblico. Neanche le grandi istituzioni ne sono immuni, così che addirittura gli organismi
sovranazionali come l’ONU sembrano incapaci di rispondere alle sfide del nostro tempo.
Eppure io, bisnonna, quando vi guardo, quando vi parlo, vedo e sento la speranza del cambiamento.
Voi siete avamposti di pace, nel cuore custodite i semi del bene, del buono. Ciascuno, però, deve
farli germogliare in gesti concreti e prese di posizioni precise: contro l’indifferenza e l’intolleranza,
che sono l’altra faccia dell’odio.
Dovete essere voi i veri protagonisti di questo cambiamento necessario. Non siate spettatori passivi
del nostro tempo, perché Voi siete chiamati a scrivere il nostro futuro. Siate ambasciatori d’amore
contro l’odio e guardate al presente con il giusto stupore, perché alla fine di ogni notte sorgerà il
sole e avrà il vostro sorriso.
Abbiate sempre in mente le parole di Martin Luther King: “Occorre piantare il melo anche sotto le
bombe”.
Coraggio ragazze e ragazzi, buon lavoro.

image_pdfimage_print

il commento al vangelo della domenica

IL TEMPO VERTICALE DELL’ATTESA
 Luca 13,1-9
il commento di E. Ronchi al vangelo della terza domenica di quaresima
Un vangelo di cronache sanguinose, disgrazie e stragi, contemporaneo all’uomo di sempre.
La risposta di Gesù è netta: non è Dio che fa cadere torri o palazzi, non è la mano di Dio ad architettare tragedie o guerre.
E tuttavia nei giorni del dolore la prima domanda che brucia è un’altra: perché, Dio? Dov’eri quel giorno? Quando la mia bambina è stata investita da quell’ubriaco, dov’eri?
Dio era lì, e moriva nella tua bambina; era lì anche in quel giorno dell’eccidio dei Galilei nel tempio; era là come il primo a subire violenza, il primo dei trafitti.
E non c’è altra risposta al pianto del mondo che il primo vagito dell’alleluia pasquale.
Se non vi convertirete, perirete tutti. Non è una minaccia all’umanità, non c’è nessuna scure calata alle radici dell’albero.
È un lamento, una supplica. E’ Dio che ci implora: convertitevi, invertite la direzione di marcia, ovunque voi siate. Nella politica del potere, nell’economia che uccide, nell’ecologia derisa, nella finanza padrona del mondo, nell’investire in nuove armi.
Non è l’uomo che si rivolge a Dio, qui è Dio che si rivolge all’uomo e ci prega, ci implora: tornate umani!
Bellissima la poesia di J. Donne che ci ricorda: Non domandarti per chi suona la campana/ Essa suona sempre un poco anche per te.
Conversione è un termine austero, ma sulla bocca di Gesù ha un altro suono; vuol dire essere freschi, essere rinnovabili; essere nuovi e incamminati. Vieni di qua, il cielo è più azzurro, l’aria è più limpida. La vite, l’ulivo, il fico sono pieni di frutti. Di qua è più bello!
E il vangelo ci porta via dai campi della morte, per farci camminare nei campi della luce.
“Sono tre anni che vengo a cercare e in questo fico non ho trovato un solo frutto. Mi sono stancato, taglialo!”
No, padrone!
Il contadino sapiente che è Gesù, dice: “no, padrone; no alla misura breve del demolire, sì alla misura lunga della pazienza e della cura. Sì al tempo verticale che sa aspettare.
Proviamo ancora, un altro anno e poi vedremo”.
Lui ha fiducia in me: l’albero dell’umanità è sano e ha radici buone, tu non sei sterile e forse porterai frutto.
Il mio Dio ortolano lascia la scure e si appoggia, si aggrappa a un forse, a una parolina che ci fa sbirciare nel cuore di Dio. Un forse che profuma di speranza come fai a negarlo?
Il finale della piccola parabola resta aperto, non è detto cosa sarà del frutto futuro. Ma è detto l’atto di fede di Dio in me: tu puoi diffondere un gusto di bontà, la dolcezza di un piccolo fico. Tu puoi.
Signore, tu vedi in me il santo prima del peccatore, la luce prima del buio. E io spero in te perché tu speri in me, credo in te perché tu credi in me.
image_pdfimage_print

perché il boom delle destre nazionaliste

non solo Trump o Israele:

la ‘finestra di Overton’ spiega anche il boom delle destre nazionaliste

politica, economia e cultura del Grande Mediterraneo

di Claudia De Martino

Il politologo statunitense Joseph P. Overton (1960-2003) ha coniato un modello, la “finestra di Overton”, che è diventato celebre negli anni ’90 per spiegare come fosse possibile rendere progressivamente accettabili idee che la società in una data epoca rigettava in blocco.

Interessato a spiegare al grande pubblico il ruolo svolto dai think-tanks nel forgiare nuove idee e concezioni del mondo, si soffermò sull’efficacia della persuasione politica, che riesce gradualmente a spostare interi segmenti di opinione pubblica da posizioni di fermo rigetto di determinati principi a atteggiamenti di cauta apertura fino all’accettazione totale di un nuovo modello e all’identificazione di quest’ultimo come paradigma interpretativo del mondo. Overton spiegò quindi che ogni società è in continua trasformazione e che non ha senso ritenere che idee percepite come maggioritarie nel passato (si pensi, ad esempio, alle concezioni collettivistiche o religiose in Europa), poiché hanno rappresentato dei valori etici e una bussola per intere generazioni, debbano continuare a guidare gli individui di un’epoca successiva.

Perché una nuova idea possa emergere occorre che si producano delle condizioni ad essa favorevoli, ovvero che le sia permesso quell’impercettibile passaggio dallo stadio di “impensabile” ad una prima forma di tolleranza e di circolazione nella società, che precede il suo radicamento nelle masse. Overton illustra un percorso contraddistinto da 8 tappe: l’avvio si snoda a partire dalla “impensabilità” iniziale, che viene sfidata da un pensatore/un politico solitario che la sdogana, per poi avanzare grazie alla sua “radicalità”, livello in cui un’idea disturba e viene percepita dai più come estrema ma comincia comunque a circolare, per lasciare il passo gradualmente alla sua “accettabilità”, momento in cui l’idea circola ampiamente e viene considerata come una tra tante sul mercato delle idee, fino a trasformarsi in “sensatezza”, quando la maggioranza di individui iniziano ad attribuirle un alto valore esplicativo, per poi tradursi nella fase della “diffusione”, quando ormai è stata adottata dalle masse, e infine giungere allo stadio supremo della “legalizzazione” quando viene incorporata a livello istituzionale dai governi e dagli stati e diventa il nuovo paradigma esplicativo di una determinata epoca storica. ⁠

Trump taglia la ricerca: l’Ue pensa a un passaporto speciale per i cervelli. L’interesse “inusuale” dei ricercatori Usa per la Germania

Del resto, la storia abbonda di esempi in cui il binomio impensabilità/radicalità di certe idee (si pensi all’Olocausto, solo per citare l’esempio più eloquente) fu inizialmente offuscato dall’assunzione di una strategia graduale, che applicando la discriminazione degli ebrei e delle altre categorie considerate impure a poco a poco, partendo dall’esposizione di simboli distintivi come la “stella di David”, e intensificando di anno in anno le persecuzioni, fece passivamente accettare ai cittadini europei l’utilità di un genocidio con camere a gas e di una guerra mondiale senza proteste, scioperi di massa o insurrezioni popolari.

Scorrendo l’attualità ci si accorge di quanto questo processo di “apertura di finestre di idee” stia esclusivamente favorendo l’avanzare ineluttabile delle destre, contro cui le sinistre mondiali non riescono a produrre alcuna forma alternativa di pensiero. Solo considerando il Medio Oriente, l’immagine della Riviera di Gaza proposta da Trump gioca esattamente su questo terreno: essa ha già superato numerosi stadi impercettibili di cui l’opinione pubblica si è accorta solo parzialmente – la legittimazione delle conquiste territoriali del ’67 (Gerusalemme, le alture del Golan, l’area C della Cisgiordania) a dispetto delle risoluzioni Onu e contro il diritto internazionale nel suo primo mandato presidenziale, il “piano di pace del secolo” che di pace aveva solo il titolo – per preparare il terreno alle proposte avanzate nel secondo mandato trumpiano, quelle di una pulizia etnica nella Striscia.

Se Trump è ancora percepito come un personaggio “radicale” in Europa, è perché tra Europa e Usa si è instaurata una sorta di dissonanza cognitiva, per cui quello che è diventato accettabile oltreoceano – e non solo ammissibile, ma, secondo lo schema di Overton, ormai legalizzato dall’assunzione di una carica presidenziale – ancora fortunatamente non lo è nel Vecchio continente, in cui forse questo passaggio è più lento a compiersi.

Tuttavia, non bisogna solo focalizzarsi su Israele e Trump, perché il mondo corrente abbonda di esempi: la Russia di Putin, ad esempio, attraverso i fondi elargiti a partiti “fratelli” ormai indifferentemente collocati all’estrema destra e all’estrema sinistra, è riuscita gradualmente a far passare il messaggio che lo shock dell’aggressione territoriale unilaterale all’Ucraina del febbraio 2022 può trasformarsi, a dispetto dei fatti e di 190mila morti tra le due parti, in una giustificata e nobile guerra di difesa per la dignità del popolo russo, ipoteticamente umiliato dalla Nato a guida Biden e quindi dall’intero Occidente, all’interno di una concezione del mondo strutturalmente diviso in sfere di influenza intangibili ma perpetue, le cui linee di demarcazione vanno accettate come placche tettoniche e non come il prodotto di scelte e orientamenti politici costantemente in movimento.

Ucraina e Medio Oriente, i cittadini americani delusi dagli sforzi di Trump per la pace: crolla il tasso di approvazione per il suo lavoro

Infine, senza nemmeno considerare il paradigma della politica di potenza che si sta di nuovo imponendo nelle relazioni internazionali, sarebbe sufficiente citare i paradossi della sponsorizzazione delle ultime due edizioni delle conferenze sul clima da parte dei Paesi maggiori produttori di petrolio, come l’Azerbaijan e gli Emirati Arabi Uniti; la scelta dell’Arabia Saudita nel marzo 2024 per guidare una commissione Onu sulla parità di genere; il ritorno del reato di blasfemia in Europa sotto la copertura di incitazione all’odio razziale; la riproposizione del prototipo della casalinga stile anni ’50 in Europa e America (tradwives) come modello femminista; l’ossessione per la retorica della chiusura dei confini e la sovranità nazionale che non riduce minimamente i flussi migratori (si veda l’effetto Brexit e i centri per migranti in Albania); la guida di un partito neonazista e xenofobo come AfD in Germania da parte di una dirigente lesbica, residente in Svizzera e sposata con un’immigrata; la singolare incongruenza tra maggiore sostegno ai partiti xenofobi in Europa nelle aree a minore immigrazione e molti altri esempi che potrebbero essere addotti su come questo XXI secolo, seguendo lo schema di Overton ma forse anche la sovrabbondanza di fake news propagandate da media irresponsabili o conniventi, ci stia inducendo a considerare normale il regresso sociale e culturale a cui stiamo spianando la strada.

image_pdfimage_print

il commento al vangelo della domenica

LECH LECHA’
il commento di E. Ronchi al vangelo della seconda domenica di quaresima
il 9,28b-36
E il Signore disse ad Abramo: vattene dalla tua terra e dalla casa di tuo padre! «Lech lechà», gli disse, “vai verso te stesso”.
Sei tu la meta, non casa, terra o patria.
A un bambino che nasce, cosa augureresti?
A un uomo, a una donna di oggi, con la terra che brucia, cosa diresti?
Le stesse parole di Dio ad Abramo, “lech lechà”, vattene da questa visione del mondo, sporca e bugiarda.
Vattene da questa storia, dove ha ragione il più armato, il più violento, il più immorale.
Vai a te stesso.
Dentro di te non hai armi, non cercare di riempire i tuoi vuoti con la violenza. Ma non senti dentro che la pace è più umana che non uccidere?
E poi gli direi, come Dio ad Abramo: alza la testa, conta le stelle. Perditi con gli occhi nel cielo a fare quello che sembra impossibile.
L’immensità ti rende giudice davanti ad ogni dittatore.
Guarda in altro modo, guarda da un altro punto di vista, non quello piccolo di casa, di patria, ma con l’ottica del grande, dell’infinito, dell’immenso, delle stelle e del loro mistero.
Questa domenica della luce ci ricorda che abbiamo urgente bisogno di una trasfigurazione, di un cambiamento radicale. Di andare via da questi bassipiani per guardare le cose dall’alto.
Mentre pregava il suo volto cambiò di aspetto.
Pregare trasforma, contemplare ti cambia il cuore, e tu diventi ciò che contempli; diventi come Colui che preghi.
Guardano i tre, e sono storditi perché gettano lo sguardo sull’abisso di Dio.
“Che bello, Signore!” esclama Pietro. La mia fede per essere pane, sale, luce, lievito deve discendere da un “che bello” gridato a piena voce, da un innamoramento.
Dio è bellissimo. E ha un cuore di luce, come Gesù sul monte.
Che questa immagine resti viva nei tre discepoli, e in tutti noi; viva per i giorni in cui il volto di Gesù invece di luce gronderà sangue, come sarà nel Giardino degli Ulivi, come oggi accade nelle infinite guerre del mondo, nelle infinite croci dove Cristo è ancora crocifisso nei suoi fratelli. Alza la testa, guarda la luce del Tabor, guarda le stelle e vai, ritorna al cuore.
Preghiamo non per convincere Dio, ma perché ci aiuti ad essere fedeli ai piccoli del mondo contro tutti i potenti: “tienili per mano, baciali in fronte”.
Ci aiuti a credere che, nonostante tutte le smentite, il filo rosso della storia è saldo fra le tue dita e che noi dobbiamo porre mano non al futuro del mondo ma al mondo del futuro, oltre il muro d’ombra delle cose e degli avvenimenti.
Per capire le linee di fondo su cui camminare abbiamo le ultime parole del Padre in quel giorno luminoso:
“questi è mio figlio, ascoltatelo, ascoltate Lui”.
image_pdfimage_print