cos’è ‘salvezza’ in un mondo post-moderno?

la «buona notizia» in un mondo postmoderno

a proposito del nuovo libro di Joseph Moingt L’UMANESIMO EVANGELICO

Moingt

 

di Luca Miele
in “Avvenire” del 20 novembre 2015

È un pensiero “pro-vocante” quello del gesuita francese Joseph Moingt. Un pensiero che si appella alla «prassi umanizzata» che deve orientare come una stella la fede, che chiede di disfarsi coraggiosamente del “religioso” e di ridisegnare i confini e il senso stesso del sacro

«Si tratta – scrive Moingt – di riscoprire fino a che punto Gesù ha “umanizzato” Dio. Potremmo dire che la salvezza è nel cammino di umanizzazione dell’uomo, e che è Gesù ne ha dato l’impulso “umanizzando” Dio, insegnandoci a guardare a Dio come al Padre che abbiamo in comune, il Padre di tutti gli uomini, insegnandoci che si onora Dio non frequentando il tempio – Gesù non ha mai portato i discepoli al tempio, comunque non a cerimonie religiose, nel Vangelo non ce n’è traccia -, ma lo si onora rimettendo i debiti, amando i nemici»

Ma se è questa la portata “eversiva” dell’umanesimo evangelico, che ne è del sacro dinanzi alla sua carica dirompente? Fino a che punto esso spezza quel nesso – mortifero – tra sacro e violenza, tra il «linciaggio fondatore », l’ombra del capro espiatorio di cui parla Girard e la comunità religiosa che da esso trae origine? E ancora, fino a che punto l’umanesimo evangelico spinge a ripensare il tempio e la sua pretesa di ‘recintare’, di radicare in un luogo (e solidificare in una prassi) il sacro? Per il gesuita francese «Gesù per primo ha secolarizzato il sacro».

«È importante – scrive il teologo – comprendere che il rito cristiano attribuisce un carattere sacro innanzitutto alla relazione con gli altri perché lo spazio sacro non è quello del tempio materiale. Lo spazio sacro, lo leggiamo soprattutto in Paolo, è il nostro corpo come individui ed è il corpo sociale che formiamo gli uni con gli altri’. Lo spazio sacro è quello che Paolo chiama ‘corpo di Cristo’, cioè l’insieme dei cristiani che si uniscono tra di loro per irradiare la fraternità nel loro ambiente». La sfida dell’uscita dal religioso si fa più pressante (e rischiosa) nel tempo del disincanto, nell’orizzonte post-moderno «svuotato dalla speranza del regno di Dio».

Moingt la affronta in maniera diretta, dura: quale salvezza per la Chiesa? «L’avvenire può essere solo quello del Vangelo», esso «non consiste nell’assicurare innanzitutto la propria sopravvivenza in quanto istituzione religiosa, ma nel permettere al Vangelo di Gesù di passare al mondo attraverso di essa per annunciargli la salvezza, e adempierla». È insomma, sembra suggerire il teologo francese, il tempo del rischio: il rischio radicale del ritorno, della risalita nel tempo fino all’origine della Chiesa, una «nascita fuori luogo e fuori religione» sulle orme di Gesù «morto da bestemmiatore, in stato di esecrazione, fuori religione». «Tutta la predicazione di Gesù – scrive il teologo – è centrata sul regno di Dio di cui annuncia la prossima venuta e anzi la presenza già all’opera nel mondo, e la sua sola preoccupazione è insegnare ai suoi uditori, e innanzitutto agli apostoli che le trasmetteranno ad altri dopo di lui, le disposizioni interiori, le virtù e le opere di giustizia e di santità capaci di incamminarli verso questo Regno»

Joseph Moingt L’UMANESIMO EVANGELICO Qiqajon Pagine 144

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