il razzismo naviga in internet, soprattutto nei social-media

misoginia, omofobia e odio online

le regioni e le città più intolleranti

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La mappa dell’intolleranza, creata da Vox – Osservatorio Italiano sui Diritti, inquadra le aree geografiche dove i messaggi di odio via Twitter sono più intensi e i periodi nei quali le violenze si intensificano. Per il settimo anno consecutivo le donne svettano quale categoria più odiata via Twitter.

Odio online, intolleranza, tweet e messaggi violenti all’indirizzo di donne, persone omosessuali, migranti, persone con disabilità, ebrei e musulmani. La mappa dell’intolleranza creata da Vox – Osservatorio Italiano sui Diritti, fotografa nel dettaglio l’odio via social. Il rapporto, realizzato in collaborazione con alcuni poli universitari italiani, monitora quali sono le città dove la geolocalizzazione dei tweet che contengono parole considerate sensibili è più alta.

Com’è stata realizzata la mappa

La mappa prende in analisi il periodo gennaio-ottobre 2022 e mira a identificare le zone dove l’intolleranza è maggiormente diffusa nei confronti di 6 gruppi: donne, persone omosessuali, migranti, persone con disabilità, ebrei e musulmani. Sono stati estratti 629.151 tweet dei quali 583.067 negativi (il 93% circa vs. 7% positivi). Una relazione che assume particolare significato a ridosso del Giorno della memoria, il 27 gennaio, data nella quale l’antisemitismo registra un picco di messaggi. Ecco quali sono le città più intolleranti e quali sono le categorie più prese di mira dall’odio online.  

Omofobia

Dopo anni di indifferenza, o quasi, da parte degli odiatori online, le persone omosessuali sono di nuovo prese di mira. Non accadeva dal 2016. Un’inversione di tendenza, che evidenzia un attacco ai diritti della persona. Tra le zone più intolleranti, il Veneto, la Calabria e la città di Bari.

Infografica sull’omofobia – Vox Osservatorio sui diritti

Antisemitismo  

A Roma e nel Lazio si registra l’antisemitismo più forte. L’odio, si legge, contro gli ebrei diminuisce, ma si radicalizza e si concentra nelle date simbolo, come la Giornata della Memoria. Esplode anche in occasione delle aggressioni contro gli ebrei in alcune città. E si lega alle manifestazioni antisemite internazionali.

Disabilità

UmbriaSardegna e Sicilia le Regioni con l’incidenza più alta di tweet d’odio indirizzati a persone con disabilitàBolognaCaserta e Novara le città con più concentrazione di tweet intolleranti.

Islamofobia 

PiemonteNord Est ed Emilia sono tra le zone a più alto tasso di tweet islamofobi. A fomentare l’odio via social, eventi internazionali legati al terrorismo, come la sentenza di Parigi per l’attentato al Bataclan. O l’uccisione in Siria durante un raid aereo Usa di due terroristi dell’Isis.

Misoginia

CasertaTerni e Bologna, le città con l’incidenza più alta di tweet d’odio contro le donne. Per il settimo anno consecutivo le donne svettano quale categoria più odiata via Twitter. È un triste primato, che si accompagna all’innalzamento dei picchi di odio in concomitanza con i femminicidi, segno tragico del rapporto sempre più stretto tra lo sciame d’odio online e la violenza agita.

Xenofobia  

L’arrivo dei barconi dei migranti e dei profughi dall’Ucraina hanno scatenato intolleranza e odio. Le polemiche politiche e l’attenzione dei media riaccendono l’attenzione degli hater, che colpiscono soprattutto in VenetoLazio e Puglia, con una concentrazione maggiore tra Venezia, Verona e l’area tra Terni e Roma.

Odio online: i risultati della relazione

Secondo il rapporto, nel 2022 la rilevazione, che ha riguardato il periodo gennaio-ottobre, “ha attraversato un periodo di forti turbolenze, segnate dalla guerra in Ucraina, dalla crisi energetica, dalle elezioni politiche, con un cambio di governo, e dall’inflazione: così anche quest’anno ansie, paure, difficoltà si sono affastellate nel vissuto quotidiano delle persone, contribuendo a creare un tessuto endemico di tensione e polarizzazione dei conflitti. Un dato su tutti fotografa al meglio la realtà che oggi rappresenta l’odio online e il ruolo di cinghia di trasmissione che i social svolgono tra i mass media tradizionali, la politica e alcune sacche di forte malcontento, che trovano sfogo ed espressione proprio nelle praterie dei social. La forte polarizzazione rappresentata dall’aumento evidente e notevolissimo delle percentuali dei tweet negativi a fronte del totale dei tweet rilevati. Il che indica una maggiore radicalizzazione dei discorsi d’odio. Come precisa il rapporto, le aree prive di colorazione, non indicano assenza di tweet discriminatori, ma luoghi che mostrano una percentuale più bassa di tweet negativi rispetto alla media nazionale”.

I picchi di odio a seconda degli eventi più importanti

“Contro le donne, in occasione dell’elezione di Giorgia Meloni a presidente del Consiglio e della sua scelta di usare il maschile per il suo titolo. Drammatica, la concomitanza dei picchi d’odio con i femminicidi, come purtroppo le rilevazioni della Mappa dell’Intolleranza evidenziano da anni”.

“Contro le persone con disabilità, in concomitanza con un’omelia di papa Francesco che invitava a considerare la disabilità una sfida per costruire insieme una società più inclusiva. E in seguito alla notizia di un taxista veronese, rifiutatosi di prendere a bordo un disabile”.

“Nei riguardi delle persone omosessuali, in occasione del monologo di Checco Zalone al festival di Sanremo, che ha raccontato una favola LGBTQ, e in generale in concomitanza con aggressioni omofobe”.

“Contro i migranti, in occasione degli sbarchi e dei discorsi di papa Francesco improntati all’accoglienza e all’inclusione”.

“Contro gli ebrei, in occasione della Giornata della Memoria e ogni qualvolta si verifichino aggressioni contro ebrei, di stampo antisemita”.

“Contro i musulmani, in occasione della sentenza per l’attentato a Parigi al Bataclan e dell’uccisione in Siria da parte degli americani di due dirigenti dell’Isis”.

il clima di ostilità verso i migranti e la responsabilità dei media

 

il ministro dell’interno Matteo Salvini durante un talk show televisivo, 20 giugno 2018

Il ruolo di giornali e tv rispetto al razzismo in Italia

“Qual è la responsabilità dei mezzi d’informazione rispetto al crescente clima di ostilità verso immigrati e rifugiati in Italia?”

a questa domanda risponde il prezioso rapporto dell’associazione Carta di Roma, che da anni monitora i toni usati da giornali e tv per parlare del fenomeno migratorio. Lo studio aiuta a capire come sia stato possibile passare rapidamente da un contesto accogliente verso i rifugiati, i migranti e i richiedenti asilo a un atteggiamento diffuso di paura e ostilità. L’ultimo rapporto, Notizie di chiusura, scritto insieme all’Osservatorio di Pavia, è stato presentato l’11 dicembre alla camera dei deputati e offre un’analisi del ruolo che i mezzi d’informazione hanno giocato nell’ultimo anno (l’analisi è aggiornata al 31 ottobre del 2018).

Il legame troppo stretto tra mezzi d’informazione e politica è uno dei principali indiziati in un momento storico in cui la campagna elettorale è perenne e gli immigrati sono diventati protagonisti dei programmi politici di alcuni partiti. Sempre più spesso i politici rilasciano interviste senza contraddittorio, soprattutto in tv: “Una delle principali caratteristiche della tematizzazione della questione migratoria nel 2018 è certamente la politica, protagonista a tutti i livelli, italiano, interstatale ed europeo”.

Secondo il rapporto di Carta di Roma, nel 2018 il 43 per cento delle notizie sull’immigrazione contiene un riferimento esplicito a una dichiarazione o a un’azione politica e in alcuni mesi, come luglio e agosto, la percentuale raggiunge il 53 per cento. “Se si guarda all’agenda dei notiziari nel loro complesso, la politica è presente in media nel 21 per cento delle notizie. Dato che suggerisce la sovrapposizione dell’agenda politica con quella dell’immigrazione e viceversa”, si legge nel rapporto. Come spiega Ilvo Diamanti nella prefazione, la questione migratoria è diventata “il tema principale” dei discorsi dei politici, determinando una polarizzazione e uno scontro nel dibattito pubblico:

I migranti sono al centro di un confronto, o meglio, uno scontro politico e di valori. Che spinge sulla leva delle emozioni. Anche per questo il tema risulta meno frequente e frequentato sui giornali di carta. Non solo, cioè, perché i giornali di carta hanno subìto un pesante ridimensionamento, negli ultimi anni. E, dunque, sono meno utili sul piano della risonanza e della propaganda. Ma soprattutto perché, per suscitare emozioni, funziona molto meglio la televisione. Che, come ha rilevato l’Osservatorio di Demos-Coop nelle scorse settimane, continua a essere il medium più seguito dagli italiani, per informarsi quotidianamente: 87 per cento (mentre i giornali di carta sono consultati, regolarmente, da meno del 20 per cento dei cittadini). Così, mentre nel corso degli ultimi mesi sulle prime pagine dei giornali l’immigrazione ha occupato uno spazio minore rispetto all’anno precedente, nei telegiornali e nei notiziari di prima serata sono divenuti un tema ricorrente.

L’influenza della tv
Il rapporto ha rilevato che l’attenzione sul fenomeno migratorio è stata maggiore in tv e minore sulla carta stampata. Sulle prime pagine dei principali quotidiani nazionali, si è assistito a una riduzione delle notizie sul tema rispetto agli anni precedenti: nel 2018 sono state 834, contro le 1.006 dello stesso periodo nel 2017. Invece nei telegiornali di prima serata delle reti Rai, Mediaset e La7 è aumentato il numero delle notizie sull’immigrazione: 4.058 nei primi dieci mesi del 2018, il 10 per cento in più rispetto all’anno precedente.

La questione dei flussi migratori è stata preponderante mentre sono diminuiti gli articoli e le notizie sul tema dell’accoglienza

I due quotidiani che hanno dedicato più notizie al tema dell’immigrazione nel 2018 sono Avvenire (251) e Il Giornale (190). La Stampa, la Repubblica e il Corriere della Sera hanno pubblicato un numero di notizie in prima pagina simile, che oscilla dalle 137 della Stampa alle 123 del Corriere della Sera. La significativa diminuzione degli arrivi di migranti nella seconda metà del 2017 e nel 2018 non ha coinciso con una riduzione del numero di titoli giornalieri e di notizie sul tema. Se nel 2015 c’è stato in media un titolo ogni otto migranti arrivati sulle coste italiane, nel 2018 questo rapporto è diventato di un titolo ogni due migranti.

Allarmismo
Se si analizzano i temi maggiormente trattati, emerge che la questione dei flussi migratori è stata preponderante (dal 23 per cento del 2015 al 47 per cento del 2018), mentre sono diminuiti gli articoli e le notizie sul tema dell’accoglienza (dal 54 per cento del 2015 al 17 per cento del 2018). Nel 2018 si è registrata una diminuzione dei toni allarmistici. Circa un quarto delle notizie (24 per cento) ha avuto toni allarmistici, rispetto al 46 per cento dell’anno precedente. I titoli rassicuranti sono passati dal 5 per cento del 2017 al 12 per cento del 2018.

Le categorie tematiche più sensibili ai toni allarmistici sono quelle che riguardano la criminalità e 
la sicurezza (56 per cento) e il terrorismo (55 per cento). Un certo allarmismo è stato registrato anche nella voce che riguarda i flussi migratori (19 per cento), per l’uso reiterato dei termini “invasione”, “allarme”, “emergenza” e la presenza di toni aspri e preoccupati sull’intensificazione degli scontri tra paesi europei, l’assenza di soluzioni condivise, il caos alle frontiere nazionali nel cuore dell’Europa.

Il rapporto di Carta di Roma ha studiato anche l’uso delle parole chiave nel corso degli ultimi anni, e il filo conduttore rimane sempre l’emergenza: “Nel 2013 la parola simbolo dell’anno è stata Lampedusa, la cornice era quella della crisi umanitaria. Il termine simbolo dell’anno successivo, il 2014, è stato Mare nostrum, la crisi si ampliava e diventava inarrestabile. Nel 2015 la parola simbolo è stata Europa e la cornice ha assunto i caratteri di una crisi politica. Il termine simbolo del 2016 è stato muri, quelli reali e quelli simbolici alzati ai confini e nel cuore dell’Europa, la cornice è diventata quella di una crisi sistemica dell’Unione europea. La parola simbolo del 2017 è stata ong e la cornice è diventata crisi di rigetto. Nel 2018, la parola simbolo è stata Salvini, protagonista di 865 titoli, la cornice è diventata quella dello scontro di valori, per l’inasprirsi del confronto politico europeo e lo sfaldamento del tessuto condiviso di valori comunitari”.

“Pacchia, crociera, clandestino, la paghetta dei 35 euro, invasione, sono le parole con cui la politica ha fatto la sua propaganda, ma che sono rimbalzate su tutti i giornali e su tutti i telegiornali, senza contraddittorio”

ha detto durante la conferenza stampa di presentazione del rapporto Valerio Cataldi, presidente dell’associazione Carta di Roma. Come a dire che la politica è da sempre anche propaganda, ma il ruolo dell’informazione sarebbe quello di verificare e sottoporre a contraddittorio gli slogan dei politici. Se nell’anno che verrà avremo un’immagine più realistica del fenomeno migratorio molto dipenderà dall’accuratezza e dall’indipendenza dei giornalisti che sulla carta stampata e in tv si occuperanno di questo tema.

l’Italia è davvero il Paese degli omicidi? come nasce la xenofobia

paura e luoghi comuni alleati della xenofobia

di Vittorio Emiliani
in “Trentino” del 9 aprile 2017

Tutti i nostri telegiornali grondano sangue, ogni giorno. Ma l’Italia è davvero il Paese degli omicidi? No, no, e poi no. Siamo di fronte a un sensazionalismo irresponsabile che addensa su quanti, anziani soprattutto, si informano soprattutto dalle tv, un clima continuo e pesante di insicurezza. Totalmente sproporzionato rispetto alle cifre reali della criminalità in Italia, e poiché questo rivolo continuo di sangue che esce dal televisore viene per lo più collegato all’aumento dell’immigrazione, con inaccettabili speculazioni politiche, il danno si moltiplica.

Quali sono i dati certi, reali? Dal 2010-11 al 2015-16 gli omicidi volontari sono calati da 517 a 430, cioè del 15%. Pensate che soltanto nel 1991 erano ancora 1.910, cioè quasi cinque volte di più e la metà era attribuita a mafia-camorra-’ndrangheta, mentre oggi alla malavita organizzata vengono imputati appena 50 omicidi volontari, l’11,6%. Da una parte si tira un sospiro di sollievo, dall’altra ci si deve allarmare di più, nel senso che le varie mafie sparano molto di meno perché sono entrate nei gangli vitali dell’economia, degli affari, dell’import-export attraverso la connivenza di tanti “colletti bianchi”. Però l’Italia è un Paese nel quale si assassina meno che in Finlandia, Belgio, Grecia, Irlanda, Portogallo, Regno Unito, Austria e Danimarca. Per non parlare ovviamente degli Stati Uniti e anche dei Paesi Baltici. Siamo alla pari, se non leggermente sotto, rispetto a Francia, Spagna, Olanda, Germania. Ma lì i Tg nazionali non danno notizia di “un nuovo omicidio” in qualche sperduto paese. Da noi sì, e con evidenza sempre straordinaria. Dal 2010 agli inizi del 2013, secondo dati ufficiali della polizia di Stato, anche le vittime di femminicidio risultano diminuite dell’8,5%. Non so in seguito. In quel periodo hanno rappresentato il 31% di tutti gli omicidi. Una vera e propria impennata registrano invece le denunce di stalking: + 27,7% ammontando a 22.144. Quindi l’aumento dell’immigrazione, della popolazione straniera residente, pur salita da 3 a 5,4 milioni nell’ultimo decennio (+83,7%), non ha prodotto incrementi nel numero di omicidi che anzi sono decisamente calati. Perché accettare in silenzio gli spropositi dei vari Salvini?

Analogo discorso per le rapine: mentre i furti hanno registrato un incremento del 3,5 %, le rapine risultano diminuite dalle 35.831 del 2010-11 alle 33.314 (-7,0%). Se dovessimo stare alle cronache del profondo Nord dove pesca voti la Lega, si dovrebbe affermare che la pressione malavitosa percepita è molto ma molto più forte del fenomeno criminoso reale. Che viene ampliato interessatamente da alcune forze politiche xenofobe in modo irresponsabile e purtroppo anche da tanti mezzi di dis/informazione. Per mancanza di professionalità. Bisogna dire, a questo punto, che gli stanziamenti governativi per la sicurezza sono aumentati circa 1 miliardo nel periodo esaminato, come pure quelli per le spese di gestione e per gli investimenti tecnico-logistici della polizia. Va meno bene il rapporti pensionamenti-assunzioni, deficitario nel 2012-13, alla pari (2.190 pensionati e altrettanti assunti) nel biennio successivo. A proposito di realtà “percepita” e di realtà “vera” si parla e straparla di una «fiumana di richiedenti asilo».

Le cifre dell’Unione europea ridimensionano nettamente il fenomeno. Nel 2015 nella Ue i richiedenti asilo sono stati 441.800 in Germania (35,2%), 174.435 in Ungheria (13,9%), 156.11 in Svezia (12,4%) e 83.245 in Italia (6,6%). Se poi rapportiamo il loro numero con quello degli abitanti, prima diventa l’Ungheria, seguita da Austria, Finlandia, Germania e Italia. La quale, certo, ha tutti i problemi dei Paesi di primo approdo. Ma non è, ripeto, quello nel quale si fermano poi i migranti pur cresciuti nel 2016. Mi scuso per le molte cifre esibite e però bisognava pur documentare fenomeni come quello criminale nelle loro reali dimensioni smentendo i pericolosissimi luoghi comuni di un sensazionalismo giornalistico e politico davvero dissennato che ragiona (se ragiona) a spanne. Ma che Paese siamo diventati?

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