la testimonianza di Nathalie Gadéa al C.C.I.T. 2019 in Croazia

 

 

C.C.I.T. 2019 – Trogir  

La missione in cambio

o

la Beatitudine dell’irrigatore irrigato

Nathalie Gadéa

La missione è indissociabile dall’incontro, ne è la condizione stessa. Si tratta di donare una parte della propria vita e sentire è resa trasformata. È, mi sembra, uno dei frutti dell’Annunciazione della Buona Novella, che suscita questa domanda durante la missione di evangelizzazione, chi evangelizza chi ?

Il messaggio conclusivo della manifestazione di Lourdes, intitolato Diaconia 2013, afferma nessuno è tanto povero per non avere qualcosa da condividere e nessuno è troppo ricco per non aver qualcosa da ricevere. Quando sulle vie della missione mi viene data la gioia dell’incontro, in verità, nello stesso tempo condivido e ricevo. Allora corro il rischio di cambiamento, quello delle mie priorità, quello della mia conoscenza e quello delle mie certezze. Poi ne ottengo un altro perché ottengo l’altro.

Per illustrare il mio proposito, rivisiterò alcuni momenti importanti che descrivono la mia amicizia con le famiglie rom romene. Devo confessare che in apparenza nulla mi aveva predestinato a frequentare questo mondo di precarietà ; “lo stesso” mi ha sempre rassicurato e mi soddisfa perfettamente. Però, spinto dal Vangelo sulla via della “diversità”, scopro oggi che l’alterità offre in cambio la Buona Novella.
Impiegato dal « Secours Catholique » per l’accompagnamento delle famiglie rom senza casa, quel giorno sono in cerca di un appartamento per Joanna e i suoi genitori. Vedo la piccola Joanna, in pieno inverno che riscalda le sue mani sul radiatore acceso mentre Tibi, il papà, con lo sguardo sognatore, immagina già la sua famiglia avere casa. Pochi giorni dopo, la risposta arriva. Nonostante l’impegno dell’associazione, il proprietario con pretesti più o meno credibili, si ritira. Quando dò la notizia al papà, i singhiozzi mi bloccano la voce e le lacrime cominciano a scorrere. Riesco a vedere la massa grassa di Tibi, che si avvicina goffamente pronunciando parole per fermare le mie lacrime: « Perché piangi ? Dai che non importa, viviamo in strada già da 3 anni ». Il che raddoppia i miei singhiozzi lasciando Tibi totalmente impotente. È il colmo, Tibi che cerca di consolarmi !

Non so ancora da dove provenga la fonte delle mie lacrime: rabbia, rabbia contro questo proprietario? La vergogna di aver lasciato Joanna sognare questo momento? Il fallimento e l’insucesso dei mio tentativo ? Senza dubbio l’insieme di tutto questo e forse di più! Oggi, comunque, posso dare un nome alla loro fecondità.

Passare dall’atteggiamento di colui che cerca di consolare a quello di “essere consolato” illustra di fatto questa alternanza “dare / ricevere”. Questa postura ci permette di addentrarci nella semplice umanità di due esseri forti e fragili che, nell’umiltà di una relazione di verità, possono alternativamente contare l’uno sull’altro. Il secondo insegnamento si forma sul fallimento della mia lotta con questo proprietario. Il suo rifiuto mi ha liberato dalla posizione di tutto il potere in cui mi ero messo. Non si trattava più di lottare per l’altro, come difensore di poveri e orfani, ma di una lotta da combattere con lui, assumendo il rischio di fallire insieme. Il mio temperamento, il mio carattere, la mia storia mi hanno spesso rappresentato a cavallo con l’armatura del Cavaliere Salvatore che sa in anticipo quello che è buono per l’altro. Questo atteggiamento mette l’altro in una relazione di dipendenza della mia buona volontà e lo posiziona come oggetto e non come soggetto nella relazione. Il giorno in cui una madre Rorn ha rifiutato la giacca a vento che le ho offerto (probabilmente perché il colore o la forma non le andavano bene) ho capito dentro me, che solamente l’altro sa cosa è buono per lui e che è libero di prendere o no il dono. Ripensandoci. che regalo è stato questo rifiuto ! Ed è questa stessa Maria che ha gentilmente rifiutato la mia giacca a vento, scolorita e vecchio stile, che in occasione di un ricovero in clinica mi ha portato un dolce impacchettato in una scatola con un bel nastro : lei che ogni sera aspettava la chiusura del panificio per recuperare pane e dolci invenduti.

È in questo “dare / ricevere” che si gioca la veridicità dell’incontro tra colui che vuole dare da una parte e colui che ricevea o no il dono. Chi dà? Chi riceve? Chi annuncia la buona notizia? Chi è evangelizzato ? Entrambi, senza dubbio. L’umiltà è parte del bagaglio da trasportare perché la strada è costellata di fallimenti, incomprensioni, goffaggine e spesso è la consapevolezza dei miei limiti che mi hanno fatto crescere. Il successo è raramente una fonte di crescita.  La maggior parte delle famiglie che abbiamo incontrato erano rumene, cattoliche e anche ortodosse, e nel corso della loro familiarizzazione sono state fatte delle richieste di battesimo. I genitori di Romolo non hanno mai messo piede nella parrocchia, ma la febbre del loro neonato li spinge a varcarne la soglia. Al di là della difficoltà della lingua e della rapida preparazione, il battesimo si celebra. L’inizio è epico. Mentre la famiglia, tutti col vestito della domenica, è in chiesa e in attesa, la madre rifiuta di entrare. Segue una lunga confabulazione col papà che cerca di domandare qualche cosa in lingua franco-rumena. Per fortuna, un vago ricordo di mia nonna che parlava della cerimonia di « purificazione » (relevailles) dopo i suoi parti mi riviene in mente, ma non saprò mai se la mia intuizione sia stata giusta. Quello che è certo è che il dialogo ha continuato in francese tra me e il giovane sacerdote colombiano. Lui stesso straniero e ignaro di questa pratica ancestrale europea (?) improvvisa alcune preghiere, ricopre la testa della mamma con la stola e è visibilmente riconfortata e la celebrazione del battesimo può quindi continuare. Romulus adesso è parte della famiglia cristiana. Molto orgoglioso di me stesso e di tutti noi, direi « missione apostolica compiuta ». Mi rivedo ancora a fotografare la mamma che firma il registro dei battesimi sull’altare. Mi ci sono voluti un paio di giorni per comprendere e ammirare questi genitori di rito orientale – l’amore per il loro bambino – ha accettato di entrare in chiesa sull’altare – luogo sacro per eccellenza – per ottenere ciò che, in buona fede, abbiamo loro imposto. L’inferno è lastricato di buone intenzioni!
È con le famiglie rom che ho frequentato la scuola dell’umiltà. Mi hanno insegnato a ricevere dagli altri ciò che Dio vuole dirmi oggi. L’altro nella sua diversità è una ricchezza, un dono prezioso che Dio mi offre per crescere in umanità e, oso crederci, in santità.

Poiché i discepoli diventano missionari, più siamo missionari e più impariamo a divenire discepoli. Il mio titolo lo esprimo in un modo molto più volgare attraverso questa nuova Beatitudine : la Beatitudine dell’annaffiatoio annaffiato.

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