Pio Laghi e i desaparecidos della dittatura argentina

dittatura argentina e il nunzio Pio Laghi

le verità oscurate

la vicenda e una lettera dell’Arcivescovo conservata negli Archivi vaticani, con la scoperta di tante realtà negate su quei sette anni (1976 – 1983)

 ricordo di avere udito con sgomento dalla sua bocca queste parole di risposta (a me che impertinentemente gli domandavo se avesse saputo qualcosa delle trenta mila persone fatte sparire da chi giocava con lui a tennis – “non esageriamo, sì e no se si tratta di cinque mila!”

 Fra le tante e articolate verità che potrebbero venire fuori dall’apertura degli Archivi vaticani riguardante il periodo delle quattro Giunte militari che tra il 1976 e il 1983 governarono con ferocia inaudita l’Argentina, certamente la vicenda dolorosa del Nunzio a Buenos Aires, arcivescovo Pio Laghi, sarà una delle più interessanti, utili e necessarie.
Pio Laghi arrivò a Buenos Aires, accreditato come Nunzio del Papa, il 1° luglio 1974, lo stesso giorno della morte del Presidente Juan Domingo Perón, e finì la sua missione diplomatica il 21 dicembre 1980. Furono, per Pio Laghi, quasi sei anni di grande dolore e sofferenza che segnarono per sempre la sua vita. Lui però non sapeva ancora che era solo l’inizio. Lo scoprì, in Vaticano, già cardinale e allora Prefetto della Congregazione per l’Educazione Cattolica, la mattina del 23 marzo 1997 quando aprì il Corriere della Sera. Il quotidiano a pagina 10 offriva ai suoi lettori un ampio reportage con il titolo «Cardinale e carnefice». Il sottotitolo aggiungeva: «Argentina – Pio Laghi accusato di esser parte integrante della dittatura militare argentina».

Da questo giorno terribile per Pio Laghi partì una corposa campagna stampa, non solo in Argentina, che gradualmente e con la tecnica del martellamento lo presentò quasi come un mostro. In queste denunce, che imputavano al Nunzio di aver preso parte «al sequestro, tortura e omicidi di migliaia di persone», si sono distinte le Madri della Piazza di Maggio, numerosi politici, organi di stampa, in America Latina e in Europa. Il 4 magio 1997 la Presidente delle Madri della Piazza di Maggio, Hebe de Bonafini, insieme con Marta Badillo e l’avvocato Sergio Schocklender, annunciarono una richiesta di processo perché il diplomatico, a loro parere «visitava assiduamente i centri di detenzione clandestini e permetteva le torture e le esecuzioni che vi avevano luogo». L’esposto fu consegnato ai Tribunale di Roma il 21 maggio 1997, giorno del 75.mo compleanno del porporato.

I tempi della missione del Nunzio Laghi
Pio Laghi fu Nunzio a Buenos Aires dal luglio 1974 al dicembre 1980, quindi durante i venti mesi del governo di Isabelita Perón, la vedova che come Vice Presidene prese l’incarico del marito dopo la morte (1º luglio 1974 – 24 marzo 1976) e poi per quasi 4 anni della dittatura di Jorge Videla e compagni. In questi anni l’arcivescovo Laghi dovette fare i conti con situazioni e fenomeni tutti molto gravi e non facili. Da un lato la crisi politico-isituzionale creatasi con la successione di Isabel Perón, persona incapace, nelle mani di personaggi molto discutibili come il suo segretario personale, José López Rega, finanziatore occulto, con soldi dello stato, della «Alianza Anticomunista Argentina» usata per combattere i diversi fenomeni, anche armati, dell’estremismo di sinistra (Montoneros, Ejército revolucionario del pueblo, Uturuncos, Fuerzas Armadas Revolucionarias e altri). All’incrocio micidiale di due terrorismi, insurrezionale e di stato, si è aggiunto, dopo il golpe di Videla, la repressione disumana e totalitaria di militari che dicevano ufficialmente di agire nel nome del cristianesimo per favorire il famigerato «Processo di Riorganizzazione Nazionale». Infine, erano anche gli anni in cui covava sotto le ceneri la tentazione guerriera, sia di Buenos Aires e sia di Santiago del Cile dove comandava il dittatore Augusto Pinochet, che avrebbe condotto a uno scontro bellico devastante se non fosse che s. Giovanni Paolo II, con l’opera straordinaria del cardinale Antonio Samoré, riuscì a scongiurare con una lunga e complessa mediazione.

Le 5mila schede di Pio Laghi
Monsignor Laghi si è sempre difeso con fermezza e dignità da ogni accusa anche di quelle palesemente inconsistenti. Molte volte lamentò l’impossibilità di accedere agli Archivi sia quelli in Vaticano sia a quelli custoditi presso la Nunziatura argentina dove, diceva, c’erano almeno 5.000 schede da lui allestite su vittime della repressione. Bruno Passarelli e Fernando Elenberg, nel loro libro «Il Cardinale e i desaparecidos», scrivono: «Laghi aiutò a salvare vite umane; assistette umanamente e materialmente molti perseguitati; intercedette a favore di detenuti che, abbandonati nelle loro celle, potevano sparire nel nulla in qualsiasi istante, vittime della politica “Notte e Nebbia” alla sudamericana, praticata dai repressori. Inoltre, cercò di verificare dove fossero finiti i “desaparecidos”, per regalare un raggio di speranza ai loro tormentati familiari. Criticò pubblicamente la Giunta Militare e continuò a farlo sebbene ricevesse minacce di morte e si scontrasse duramente con Vescovi e cappellani militari che appoggiavano il regime e con i quali, in quanto Rappresentante Pontificio, era chiamato a convivere e non a scontrarsi».

Questi giudizi si basano su numerose inchieste giornalistiche che dimostrano, per citare solo un dato, che nel 1979 chiese alle autorità argentine chiarimenti complessivamente su 2.388 cittadini e anche se è vero che era amico dell’ammiraglio Emilio Massera – uno di tre membri della Giunta militare – fu dichiarato persona non grata nel 1980 da parte del governo argentino e perciò costretto a lasciare il Paese.

Nel libro sopracitato si legge: «Le testimonianze (Ndr: sull’opera umanitaria di Laghi) non mancano. In una minuta priva di data, il Segretario di Stato Cardinale Jean Villot, si riferisce a un rapporto che Laghi gli aveva inviato pochi giorni prima accennando alla situazione di un gruppo di donne argentine i cui familiari erano stati sequestrati ed erano detenuti o scomparsi. E scrive: «Le sono vivamente grato per le informazioni che ci ha fornito nel contesto di molti altri casi in favore dei quali codesta Nunziatura Apostolica interviene ripetutamente e instancabilmente, presso le autorità competenti, nonostante la scarsa attenzione che queste le prestano».

I conflitti nell’Episcopato
Oltre alla tante gravi e delicatissime situazioni che il Nunzio Laghi deve affrontare durante la sua missione diplomatica ed ecclesiale, già ricordate seppure sommariamente, ce n’era una ancora più difficile e complicata per un servitore del Papa chiamato, per missione e servizio, a difendere e rinforzare l’unità dei vescovi del Paese. La complessa, composita e fragilissima situazione dell’Argentina aveva ferito seriamente il corpo episcopale che a Laghi si presentò molto diviso, litigioso e polarizzato. La dittatura, seppure pagana e totalitaria, riuscì a seminare – appellandosi a parole alla difesa del cristianesimo, in particolare del cattolicesimo, profonde divisioni e antagonismi tra i vescovi al punto che la morte di due di loro, fatti uccidere per le loro posizioni critiche, monsignor Angelelli (1976) e monsignor Ponce de León (1977), per la maggioranza dell’Episcopato per molti anni sono apparse come «semplici incidenti stradali».

C’erano vescovi che si fidavano ciecamente dei dittatori e a loro perdonavano ogni cosa, anche gli eccessi peggiori. C’erano vescovi radicalmente critici, pochi, che si esprimevano però con cautela e misura.

C’erano vescovi, la stragrande maggioranza, che scelsero la discutibile via del dire: «La politica non ci riguarda».

E tutte queste tensioni e differenze s’incorniciavano in una lunghissima controversia sul Concilio Vaticano II, alle cui conclusioni si opponevano ostinatamente molti presuli, richiamati alla disciplina a più riprese da Papa Paolo VI. Intanto il Movimento di sacerdoti per il Terzo Mondo contesteva duramente la gerarchia. C’era inoltre la questione delicatissima della successione del Primate, cardinale Antonio Caggiano (1889 – 1979).

Quando s. Giovanni Paolo II visita per poche ore il Paese, alla ricerca di una via per fermare l’imminente guerra tra Argentina e Cile, sottolinea ai vescovi: «La missione del Vescovo ha sempre un aspetto che non ho motivo di dissimulare. È facile e a volte può essere comodo lasciare le cose diverse abbandonate alla loro dispersione. È facile, collocandosi all’altro estremo, ridurre con la forza la diversità a una uniformità monolitica e indiscriminata. È difficile, invece, costruire l’unità conservando, anzi meglio, fomentando, la giusta varietà. Si tratta di sapere armonizzare i valori legittimi delle diverse componenti dell’unità, superando le naturali resistenze, che sorgono con frequenza da ciascuna di essa. Perciò, essere Vescovo, sarà essere sempre artefice di armonia, di pace e di riconciliazione» (12 giugno 1982). Cinque anni dopo, nel viaggio del 1987, Papa Wojtyla urlerà: «Argentina alzate!».

Le verità degli Archivi che saranno aperti
È certo che l’apertura degli Archivi vaticani sul periodo delle dittature argentine, 1976-1983, ristabilirà la verità sull’operato del Nunzio Pio Laghi, anche lui vittima della «guerra sporca», in particolare dalla stampa sotto controllo del regime che spesso ha attribuito frasi, pensieri o dichiarazioni mai fatte e distorte per farlo apparire, in quanto Rappresentante del Papa, un sostegno del Vaticano alle orrende nefandezze dei dittatori; stampa che non sempre pubblicava le sue smentite o precisazione. Non vi è dubbio che da qui è nata la leggenda nera su Pio Laghi; leggenda assunta da molti che però non si sono accorti di essere rimasti intrappolati nella rete di menzogne dei dittatori.

Non solo per le vittime della «guerra sporca», e per i loro parenti, ma anche per Pio Laghi attendiamo con fiducia l’apertura degli Archivi vaticani, che con ogni probabilità ci permetteranno, per la prima volta, di leggere documenti come la lettera di Pio Laghi al cardinale Jean Villot nel luglio 1976, un impressionante squarcio di verità nelle menzogne circolate per decenni.

***
Ecco un documento di 40 anni fa che si trova negli Archivi che saranno aperti: Lettera rapporto del Nunzio monsignor Pio Laghi al cardinale Segetario di Stato, Jean Villot.

Buenos Aires, 13 luglio 1976
N° 1510/76
OGETTO: Colloquio con il Ministro dell’Interno
A Sua Eminenza
Il Sig. Card. JEAN VILLOT
Prefetto del Consiglio per gli Affari Pubblici della Chiesa.
Città del Vaticano.
(Con allegato)
Eminenza,
Questa mattina mi sono recato alla Casa di Governo dove mi sono incontrato con il Generale Albano Harguindeguy, Ministro dell’Interno dell’Argentina, con il quale ho avuto un colloquio di tre quarti d’ora. Il principale argomento trattato è stato quello riguardante lo stato dei detenuti politici, il sequestro e l’eliminazione di persone, al margine della legge, e la violazione di fondamentali diritti umani.
In seguito all’eccedio di cinque Religiosi Pallottini, il Ministro stesso aveva espresso il desiderio di avere un incontro con me, ed io naturalmente l’ho assecondato, ritenendo conveniente valermi di tale udienza per parlare anche sugli argomenti sopra menzionati.
Circa l’assassinio dei Pallottini, egli mi ha assicurato che l’inchiesta per identificare gli autori prosegue; ha aggiunto che l’increscioso fatto ha prodotto al paese un danno morale incalcolabile, «molto maggiore del danno prodotto dalla bomba esplosa nel quartiere generale della Polizia, che ha causato 20 morti e oltre 60 feriti»; perciò, ha soggiunto, i responsabili devono essere identificati e processati. Mi ha confidato poi di avere degli indizi per concludere che la mano assassina sia «di estrema destra»; ha dato ordine all’alto Comando della Polizia di mettere ogni impegno per far luce sul fatto, al fine di «pulire e riscattare l’immagine stessa del Corpo».
Al Ministro ho consegnato alcuni fogli nei quali avevo trascritto, secondo la categoria, i nomi dei detenuti, dei sequestrati e degli scomparsi, i cui familiari si sono rivolti alla Nunziatura per ottenere il nostro interessamento (Allegato); ho richiamato l’attenzione del Ministro su alcuni casi, che mi sembrano di particolare urgenza e meritevole di speciale considerazione, come quello degli Ingegneri della Commissione per l’Energia Atomica, quello del regista del cinema Raymundo Glayser, quello del Prof. Roberto Bergalli.
Harguindeguy mi ha poi fornito dettagliate informazioni sui sacerdoti tuttora detenuti, a disposizione del potere esecutivo, oppure sotto processo: essi sono 9, di cui 6 erano in carcere ancoro prima del “golpe militare”; cinque sono sotto giudizio e per essi il Pubblico Ministero ha chiesto l’applicazione di pene fino a 8 anni di reclusione; gli altri quattro potranno forse essere espulsi dal paese come «persone non grate», non essendo argentini.
Infine, ci siamo soffermati a parlare dei rifugiati e di coloro che sono qui residenti ma non cittadini dello Stato, se, da una parte, la loro presenza e il loro numero, molto alto, pongono seri problemi di sicurezza per le autorità statali, dall’altra essi hanno dei diritti inalienabile. Circa i detenuti non argentini, ho ricordato casi in cui essi sono mantenuti «incomunicati» e non possono essere visitati nemmeno dall’agente consolare del rispettivo paese: ciò è in contrasto con l’articolo 36 della Convenzione di Vienna sui rapporti consolari, di cui l’Argentina è firmataria.
Il Ministro ha ammesso che in qualche presidio militare, come in quello di Rosario, al comando del generale Díaz Bessone – un tipo molto «duro» – si verificano abusi del genere, ed ha promesso che farà di tutto per portarvi rimedio.
Di fronte all’angustia che ho manifestato, circa atti di violenza compiuta da «squadristi» di destra e circa i metodi inammissibili di lotta contro la sovversione, il Ministro ha concordato con me che «è necessario disarmare tutti i gruppi che agiscono al di fuori della legge dello Stato».
Nel riferire quanto sopra all’Eminenza Vostra profitto della circostanza per porgerLe i sensi del mio profondo ossequio,
di Vosta Eminenza
dev.mo
(firma Pio Laghi)

luis badilla
città del vaticano

“La lista di Bergoglio”

 

 un piccolo libro edito dall’EMI (nelle librerie dal 3 ottobre) racconta della rete clandestina con cui il giovane Bergoglio salvò decine di ‘sovversivi’ dalla ferocia dei dittatori  argentini :  la ricostruzione di S. Magister                                               

Il gesuita che umiliò i generali

di Sandro Magister

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La storia finora mai raccontata della rete clandestina con cui il giovane Bergoglio salvò decine di “sovversivi” dalla ferocia dei dittatori argentini

Nella sua intervista a “La Civiltà Cattolica” che ha fatto il giro del mondo, papa Francesco descrive la Chiesa come “un ospedale da campo dopo una battaglia”, dove la primissima cosa da fare è “curare i feriti”.

Ma che cosa cambia quando la battaglia è in pieno corso?

Nella sua Argentina, tra il 1976 e il 1983, Jorge Mario Bergoglio ha traversato gli anni di piombo della dittatura militare. Sequestri, torture, massacri, 30 mila scomparsi, 500 madri uccise dopo aver partorito in prigione i figli a loro sottratti.

Ciò che fece in quegli anni l’allora giovane provinciale dei gesuiti argentini è rimasto per lungo tempo un mistero. Così fitto da far trapelare il sospetto che avesse assistito inerte all’orrore, o peggio, avesse esposto a maggior pericolo alcuni suoi confratelli, i più impegnati tra i resistenti.

La scorsa primavera, subito dopo la sua elezione a papa, queste accuse furono rilanciate.

Furono anche immediatamente contraddette da voci autorevoli, pur molto critiche del ruolo complessivo della Chiesa argentina in quegli anni: le madri di Plaza de Mayo, il Nobel per la pace Adolfo Pérez Esquivel, Amnesty International. La stessa magistratura argentina aveva esonerato Bergoglio da ogni accusa, dopo averlo sottoposto a interrogatorio in un processo tra il 2010 e il 2011.

Ma se a questo punto era assodato che l’attuale papa non avesse fatto niente di condannabile, ancora restava ignoto che cosa avesse fatto eventualmente di buono in quegli anni terribili, per “curare i feriti”.

Ignoto fino a ieri. Perché a sollevare per la prima volta il velo su questa faccia nascosta del passato di papa Francesco giunge ora un libro edito dall’EMI, piccolo di mole ma esplosivo nei contenuti. Sarà nelle librerie italiane dal 3 ottobre, e poi man mano in altri otto paesi del mondo dove già sono in corso le traduzioni. “La lista di Bergoglio”, si intitola. E il pensiero va subito alla “Schindler’s list” immortalata dal film di Steven Spielberg. Perché la sostanza è la stessa, come dice il seguito del titolo del libro: “I salvati da Francesco durante la dittatura. La storia mai raccontata”.

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C’è nella parte finale del libro la trascrizione integrale dell’interrogatorio cui l’allora arcivescovo di Buenos Aires fu sottoposto l’8 novembre del 2010.

Di fronte ai tre giudici, Bergoglio è incalzato per tre ore e cinquanta minuti dalle domande insidiose soprattutto dell’avvocato Luis Zamora, difensore delle vittime. Un passaggio chiave dell’interrogatorio è quando a Bergoglio chiedono di giustificare i suoi incontri con i generali Jorge Videla ed Emilio Massera, nel 1977.

Due sacerdoti a lui molto vicini, i padri Franz Yalics e Orlando Yorio, erano stati sequestrati e rinchiusi in un luogo segreto. Il primo era stato per due anni suo direttore spirituale e il secondo suo professore di teologia, poi si erano impegnati a fondo con i poveri delle “villas miserias” di Buenos Aires è questo li aveva resi bersaglio della repressione. Quando furono catturati, l’allora provinciale dei gesuiti si attivò per sapere dove fossero detenuti. Lo seppe, erano nella famigerata Escuela Superior de Medicina degli ufficiali della marina, dalla quale pochi uscivano vivi.

Per chiedere la loro liberazione, Bergoglio volle incontrare anzitutto il generale Videla, all’epoca il  numero uno della giunta. E ci riuscì due volte, la seconda convincendo a darsi per malato il sacerdote che diceva messa nella casa del generale e sostituendosi a lui. Dal colloquio col generale, ebbe la conferma definitiva che i due gesuiti erano nelle prigioni della marina.

Non restava quindi che puntare all’ammiraglio Massera, personaggio irascibile e vendicativo. Gli incontri furono anche qui due. Il secondo fu brevissimo. “Io gli dissi: Guardi, Massera, io li voglio indietro vivi. Mi alzai e me ne andai”, ha riferito Bergoglio nell’interrogatorio del 2010.

La notte successiva i padri Yalics e Yorio furono narcotizzati, caricati su un elicottero e scaricati nel mezzo di una palude.

Ma ai due sacerdoti, in sei mesi di prigionia e di torture, era stato fatto credere che erano vittime di una delazione del loro padre provinciale. E in una scheda dei servizi segreti qualcuno scrisse: “Nonostante la buona volontà di padre Bergoglio, la Compagnia di Gesù argentina non ha fatto pulizia al suo interno”, insinuando una sua complicità con la repressione.

“Una canagliata”, tagliò corto a proposito di questa insinuazione il procuratore del processo del 1985 che condannò all’ergastolo sia Videla che Massera.

Quanto ai padri Yalics e Yorio, riconobbero poi entrambi la falsità delle accuse contro il loro superiore, con il quale si rappacificarono pubblicamente. * Ai generali l’allora provinciale dei gesuiti era riuscito a dare di sé l’idea che se ne stesse rintanato nel suo Colegio Máximo di San Miguel, in attesa della bonaccia. Ma quello che il libro rivela per la prima volta è enormemente di più.

Nello Scavo, l’autore dell’inchiesta, cronista giudiziario di “Avvenire”, ha scoperto, rintracciando numerosi scampati e accostando come in puzzle le loro testimonianze, che Bergoglio tesseva silenziosamente una rete clandestina che arrivò a salvare molte decine se non centinaia di persone in pericolo di vita.

Mentre il generale Videla ordiva i suoi piani sanguinosi dai saloni della Casa Rosada, a pochi passi, lungo il vicolo che si addentra nel quartiere di Monserrat, c’era la chiesa di Sant’Ignazio di Loyola, con annessa una residenza dei gesuiti e una scuola. E lì il provinciale dei gesuiti dava appuntamento ai ricercati, per le ultime istruzioni prima di imbarcarli clandestinamente sui battelli che trasportavano frutta e mercanzie da Buenos Aires a Montevideo, in Uruguay, a un’ora di navigazione. Mai i militari avrebbero potuto immaginare che quel sacerdote li avrebbe sfidati così da vicino.

La riuscita di ogni operazione era legata alla segretezza che intercorreva anche tra chi la compiva o ne beneficiava. Le persone che entravano nella rete di protezione organizzata da Bergoglio non sapevano di altri che erano nelle loro stesse condizioni.

Nel collegio di San Miguel arrivavano e partivano, per motivi apparentemente di studio o di ritiro spirituale o di discernimento della vocazione, uomini e donne che in realtà erano ricercati come “sovversivi”. Per metterli al sicuro la meta era spesso il Brasile, dove a sua volta c’era una rete analoga di protezione organizzata dai gesuiti del posto.

Ma era Bergoglio il solo che teneva le fila di tutto. L’anziano gesuita Juan Manuel Scannone, che è oggi il teologo più importante dell’Argentina e più stimato dall’attuale papa, era anche lui all’epoca a San Miguel. Ma non si avvide di nulla. Solo dopo molti anni lui e altri cominciarono a confidarsi e a capire: “Se uno di noi avesse saputo e fosse stato sequestrato e sottoposto a tortura, l’intera rete di protezione sarebbe saltata. Padre Bergoglio era consapevole di questo rischio e per questo tenne tutto segreto. Un segreto che ha mantenuto anche in seguito, perché non ha mai voluto farsi vanto di quella sua eccezionale missione”.

La “lista” di Bergoglio è un insieme di storie personali diversissime, di appassionante lettura, il cui tratto comune è d’essere state salvate da lui.

C’è Alicia Oliveira, la prima donna a diventare giudice penale in Argentina e anche la prima ad essere licenziata dopo il golpe militare, non cattolica e neppure battezzata, entrata in clandestinità, che Bergoglio portava in macchina, nel bagagliaio, dentro il collegio di San Miguel, per farle incontrare i suoi tre bambini.

Ci sono i tre seminaristi del vescovo di La Rioja Enrique Angelelli, ucciso nel 1976 dai militari con un incidente stradale simulato, dopo che aveva scoperto i veri responsabili di numerosi assassini.

C’è Alfredo Somoza, il letterato salvato a sua insaputa.

Ci sono Sergio e Ana Gobulin, impegnati nelle baraccopoli, sposati da padre Bergoglio, lui arrestato e lei ricercata, entrambi salvati e fatti espatriare con l’aiuto dell’allora viceconsole italiano in Argentina, Enrico Calamai, un altro degli eroi della storia.

Come papa, ma prima come uomo, Francesco non cessa di stupire.

 

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