apprezzamenti e critiche ‘laiche’ sul ‘questionario’ di papa Francesco

bel giglio

una voce laica sul singolare e inaspettato ‘questionario’ che papa Francesco vuole divulgato capillarmente nella chiesa per sentire cosa pensa il popolo di Dio su tanti problemi della vita quotidiana che tradizionalmente sono stati troppo pudicamente messi nel silenziatoio o trattati con arroganza e saccenteria clericale e moralistica: l’opinione di Stefano Ceccanti (in “Europa” del 7 novembre 2013):

Che penso del questionario del sinodo sulla famiglia

di Stefano Ceccanti*

Il questionario in preparazione del Sinodo straordinario relativo alla famiglia, convocato da papa Francesco nel 2014, è meritorio nel metodo innovativo e non elusivo nel merito, non sto quindi a ripetere qui quanto esso porti una boccata d’aria nuova dato che l’hanno già detto in molti con argomenti condivisibili. Mi concentro quindi esclusivamente sulle poche riserve critiche che mi vengono di getto. 1. Non è ben chiaro perché si debba partire dal grado di conoscenza della Sacra Scrittura e del Magistero anziché dalla lettura dei cambiamenti per poi tentare di valutarli a partire da quella conoscenza. Il punto di partenza rischia di condizionare l’esito in modo non del tutto fecondo. Sacra Scrittura e Magistero non sono un sistema chiuso, c’è un problema di lettura dei segni dei tempi che può far progredire e crescere la comprensione di entrambi (Dei Verbum 8 b) e che può far valutare diversamente le difficoltà pratiche. 2. Il paragrafo 2 sembra voler ricondurre il senso della Sacra Scrittura e del Magistero al concetto di legge naturale. Tuttavia l’allora cardinale Ratzinger nel noto dialogo con Habermas riteneva lui per primo che il diritto naturale fosse uno strumento inservibile nelle società odierne. Per molti versi, in realtà, il messaggio cristiano è una sfida alla natura, a certezze consolidate, il suo fascino sta nella sfida. Peraltro nelle società tradizionali in cui si trovano ancor ad operare alcune comunità ecclesiali quel concetto è ancora usato in senso tradizionalistico, teso pericolosamente a negare l’uguaglianza tra uomo e donna nella famiglia. 3. La famiglia si trova all’incrocio tra Chiesa e società, come luogo di discernimento tra dentro e fuori: non è solo significativa rispetto alla Chiesa, ma anche come luogo di educazione alla coscienza civile e all’impegno nello studio, lavoro e nelle realtà secolari. Non si tratta quindi di «resistere alla complessità della vita e  della cultura attuale», definizione che rischia di sfociare in modelli spiritualistici e integristi, ma di affrontare quella complessità con adeguati criteri di discernimento personale e comunitario. 4. Le situazioni cosiddette “irregolari” (sia le convivenze ad experimentum, sia l’incremento delle separazioni e dei divorziati risposati) non sono solo il prodotto di scelte individuali ma anche di alcuni fenomeni sociali di per sé ambigui o comunque irreversibili come, nelle società più avanzate, l’ampliamento del periodo di adolescenza prolungata tra la maturità sessuale (anticipata) e l’inserimento lavorativo più o meno stabile (ritardato) e, ancor più, la maggiore dignità assunta dalla donna nel matrimonio, non più disponibile ad accettare condizioni anti-umane e anti-cristiane nella coppia. Si può e si deve riproporre certo l’indissolubilità come impegno serio invitando ad evitare o a ridurre la durata delle convivenze ad experimentum, ma ciò è credibile solo se si ha coscienza di questi mutamenti e se si evitano quindi giudizi semplicistici e moralistici che ignorano quei mutamenti collettivi. Lo stesso per “lo snellimento” delle procedure canoniche sulla nullità del matrimonio che va vista in relazione alla coscienza del vincolo che si contrae: una coscienza che, per quanto aiutata pastoralmente, spesso non è (e non sarà) obiettivamente proporzionale all’impegno che si assume. Per prevenire le nullità appare più opportuno insistere sul legame col sacramento del matrimonio e sul rinnovo simbolico periodico delle promesse insieme ad iniziative che non abbandonino le persone dopo la celebrazione del matrimonio anziché insistere, come nel testo, sui sacramenti dell’eucarestia e della riconciliazione. 5. Questo paragrafo consente opportunamente distinguere tra posizione delle Chiese particolari sulla regolamentazione legislativa sulle unioni di persone dello stesso sesso e atteggiamento verso le persone. Tuttavia vi è il rischio di sottovalutare che quelle unioni rispondono a modelli tra loro molto diversi: un conto è il ricondurle tout court al matrimonio e un altro adottare modelli legislativi diversi, che mantengano una distinzione. I giudizi delle Chiese particolari non dovrebbero appiattire le differenze tra questi modelli, cosa ancora non chiara nel dibattito ecclesiale
recente. Altra cosa ancora, a prescindere dalle leggi sulle unioni e dall’attenzione alle persone, dovrebbe essere la solenne condanna alle forme di discriminazione e di repressione verso le persone omosessuali. In generale può esservi nelle coppie di persone omosessuali una fecondità sociale diversa da quella fisica che può meritare anche forme di riconoscimento giuridico. Spesso il tentativo in sé condivisibile di criticare le semplificazioni delle teorie del gender finisce per scivolare in forme di opposizione radicale che possono anche sfociare in legittimazione dell’omofobia e comunque in chiavi di lettura umane e cristiane altrettanto unilaterali quanto quelle che si intendono criticare. Si veda invece un recente equilibrato intervento francese:: http://www.reseaux-parvis.fr/chretiens-en-liberte/la-revue/46-prntation-de-la-revue/537-pour-une– approche-chretienne-du-genre 6. Qualsiasi richiesta che vada nel senso dell’apertura della comunità ecclesiale ai propri figli dovrebbe essere a priori accolta. L’onere della prova deve sempre spettare a chi intenda porre condizioni, che però devono andare pur sempre nell’interesse educativo dei figli. Attenzione poi anche al linguaggio: irregolari sono definibili le situazioni, non le persone o le coppie. In termini cristiani siamo tutti “irregolari” perché la regola eccede di gran lunga i nostri limiti. 7. Qui si è ricondotti alla questione della visione personalistica della sessualità che dovrebbe essere legata alla fecondità del matrimonio nel suo insieme, in chiave teleologica, come in termini pastorali avviene già largamente di fatto, anziché inseguire in modo deontologico e invasivo i singoli atti e i singoli metodi, trattando in quel caso i coniugi, e specialmente le donne, come minorenni nella fede e nella vita.
*www.landino.it

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