il commento al vangelo della domenica

nel cuore di Dio l’alfabeto della vita

il commento di E. Ronchi al vangelo della quattordicesima domenica del tempo ordinario – ano A 

In quel tempo Gesù disse: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza (…).«Ti rendo lode, Padre, perché hai rivelato queste cose ai piccoli».

Il Vangelo registra uno di quegli slanci improvvisi che accendevano di stupore le parole di Gesù: i piccoli, i bambini, le donne, i poveri lo capiscono subito. In tutta la Bibbia l’economia della piccolezza esce diretta del cuore di Dio e attraversa come uno spartiacque la nostra storia: Dio scommette su coloro sui quali il mondo non scommette.   
E Gesù ne è felice. Nonostante il brutto momento: Giovanni il Battista è arrestato, i capi religiosi e politici lo braccano, i villaggi attorno al lago, dopo la prima ondata di entusiasmo, si sono allontanati. Ed ecco che in quell’aria di sconfitta, Gesù, anziché deprimersi, si stupisce, si incanta di Dio: una meraviglia. Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro: le sue mani, dove appoggiare la stanchezza e riprendere il fiato del coraggio. Imparate da me… Andare da Gesù è andare a scuola di vita. Quest’uomo senza poteri ma regale, libero come il vento, che nessuno ha mai potuto comprare o asservire e fonte di libere vite, insegna a vivere bene.  
Imparate da me che sono mite e umile di cuore…Il maestro è il cuore. Andare tutti a scuola di cuore! Tutti a imparare il cuore di Dio! Dove c’è l’alfabeto della vita. Dio stesso non è un concetto, ma il cuore dolce e forte della vita. Imparate da me, dal mio modo, delicato, senza violenza e senza arroganza. Il mio giogo è dolce e il mio peso è leggero. Un giogo: che cosa è oltre che un oggetto da museo della civiltà contadina? Oltre il ricordo degli animali da tiro, la loro grande fatica? È una metafora che non sentiamo amica: abbiamo fatto di tutto per scuoterceli di dosso, i gioghi. Gesù però dice: il mio giogo, un giogo che rimane suo, non ce lo butta addosso, con il duro della vita. Il giogo resta il suo, lui continua aggiogato allo stesso legno.  
A me dice: «amico d’avventura, siamo in due; non sei solo, inchiodato alla fatica del vivere, del prenderti cura di qualcuno; siamo insieme allo stesso solco, allo stesso aratro». Don Tonino Bello immaginava: «Siamo angeli con un’ala soltanto e possiamo volare solo abbracciati». Gesù è l’altra mia ala, il mio ‘cireneo’, aggiogato ai miei amori, alla mia fatica, ai miei sogni, il vero maestro che non dà ulteriori obblighi, ma ulteriori ali. Prendete il mio giogo, cioè prendete su di voi l’antica novità del vangelo, che è ossigeno, che non ferisce mai ciò che sta al cuore dell’uomo, non proibisce mai ciò che all’uomo dà gioia e vita. E coglierete la legge profonda, la corrente calda che scorre sotto tutte le pagine del libro dell’esistenza, le feconda, le colora. E le fa profumare d’universo.

(Letture: Zaccaria 9, 9-10; Salmo 144; Romani 8,9.11-19; Matteo 11,25-30)

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il commento al vangelo della domenica

possediamo soltanto ciò che doniamo agli altri


Possediamo soltanto ciò che doniamo agli altri
il commento di E. Ronchi al vangelo della tredicesima domenica del tempo ordinario – anno A
In quel tempo, Gesù̀ disse ai suoi apostoli: «Chi ama padre o madre più̀ di me non è degno di me; chi ama figlio o figlia più̀ di me non è degno di me; chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me. Chi avrà̀ tenuto per sè́ la propria vita, la perderà̀, e chi avrà̀ perduto la propria vita per causa mia, la troverà (…)».
Chi ama la propria famiglia più di me, non è degno di me. Ma allora chi è degno di te, Signore, della tua altissima pretesa? Padre madre fratello figlia… sono le persone a me più care, indispensabili per vivere davvero. Sono loro che ogni giorno mi spingono ad essere vero, autentico, a diventare il meglio di ciò che posso diventare. Ma la sua non è una competizione di emozioni, da cui sa che non uscirebbe vincitore se non presso pochi eroi, o santi o profeti dal cuore in fiamme. Eppure lo sappiamo che nessuno coincide con il cerchio della sua famiglia. Anche già per unirsi a colei che ama, l’uomo lascerà il padre e la madre!
Il Vangelo, croce e pasqua, un’eternità di luce, non si spiegano interessandosi solo della famiglia, e neppure una storia di giustizia, un
mondo in pace. Bisogna rompere il piccolo perimetro e far entrare volti e nomi nel cerchio del proprio sangue, generare diversamente vita e futuro; staccarsi, perdere, spezzare l’eterna ripetizione di ciò che è già stato. Chi avrà perduto, troverà. Perdere la vita, non significa farsi uccidere: una vita si perde solo come si perde un tesoro, donandola. Noi possediamo, veramente, solo ciò che abbiamo donato ad altri. Come la donna di Sunem della prima lettura, che d’impulso dona al profeta Eliseo piccole porzioni di vita, piccole cose: un letto, un tavolo, una sedia, una lampada, e riceverà in cambio una vita intera, un figlio, insieme al coraggio del futuro. Risento l’eco delle parole di Gesù: Chi avrà perduto la sua vita per causa mia la troverà. Gesù parla di una causa per cui vivere, che vale più della stessa vita. E Lui, che l’ha perduta per la causa dell’uomo, l’ha ritrovata. Infatti il vero dramma dei viventi è non avere niente e nessuno per cui valga la pena mettere in gioco e spendere la propria vita. E a noi, spaventati dall’impegno di dare vita e di seguire una causa che valga più di noi stessi, Gesù aggiunge una frase dolcissima: chi avrà dato anche solo un bicchiere d’acqua fresca non perderà il premio. Croce e acqua, il dare tutto e il dare quasi niente. I due estremi di uno stesso movimento, un gesto vivo, significato da quell’aggettivo così evangelico: fresca! L’acqua, fresca dev’essere! Vale a dire procurata e conservata con cura, l’acqua migliore che hai, acqua affettuosa, bella, con dentro l’eco del cuore. La vita nell’acqua: stupenda pedagogia di Cristo, secondo cui non c’è nulla di troppo piccolo per chi vuol bene. Dove amare non equivale ad emozionarsi o a tremare per una creatura, ma si traduce con l’altro verbo sempre di corsa, semplice e concreto, fattivo, urgente di mani limpide e allegre come acqua fresca: il verbo dare.
(Letture: 2 Re 4,8-11.14-16a; Salmo 88; Romani 6,3-4.8-11; Matteo 10,37-42) 
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il commento al vangelo della domenica

non temere, hai un nido nelle mani del Signore

Non temere, hai un nido nelle mani del Signore
il commento di E. Ronchi al vangelo della dodicesima domenica del tempo ordinario

In quel tempo, Gesù disse ai suoi apostoli: «Non abbiate paura degli uomini, poiché nulla vi è di nascosto che nonsarà svelato né di segreto che non sarà conosciuto. (…) E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; abbiate paura piuttosto di colui che ha il potere di far perire nella Geènna e l’anima e il corpo. (…)

«Non temete, non abbiate paura, non abbiate timore». Sono le tre leggi del buon educatore: non avere paura, non fare paura, liberare dalla paura. È la pedagogia umanissima di Gesù: quello che conta è una relazione nuova, in cui non ci sia nulla che possa avere a che fare con la paura (C. Sommariva). Eppure io ho paura, perché i passeri continuano a cadere a terra, bambini a migliaia sono rapiti, violati, sommersi in mare, sepolti nella sabbia, venduti per un denaro, gettati via in un cassonetto appena spiccato il loro breve volo.«Ma neppure un passero cade senza il volere di Dio». Allora è Lui che spezza il volo ai passeri? No. Il Vangelo non dice questo, letteralmente dice: senza (àneu, nel greco biblico) il Padre: neppure un passero cadrà a terra senza Dio, che sarà lì, che ci va di mezzo, in ogni volo, in ogni croce, in ogni caduta. E allora il dramma non è solo nostro, «il dramma è anche di Dio» . Che non spezza ali, le guarisce, le rafforza, le allunga, le accarezza: «tu sei nel cuore delle cerve e sotto le ali delle rondini» (Turoldo) e ne sostieni il volo. Noi vorremmo non cadere mai, e planare in voli lunghissimi e sicuri. Ma ci soccorre una buona notizia, un grido da rilanciare dai tetti: «Non abbiate paura: voi valete più di molti passeri Voi avete il nido nelle mani di Dio». Voi valete: che bello questo verbo! Per Dio, io valgo. Valgo di più di molti passeri, di più di tutti i fiori del campo, di questa e di tutte le primavere che verranno; valgo per lui di più di quanto osavo sperare. Finita la paura di non contare, di dover sempre dimostrare qualcosa. «Non temere» tu vali di più. Per come sei. Così come sei. Al punto che «ti conta tutti i capelli in capo». Il niente dei capelli: Qualcuno mi vuole bene frammento su frammento, fibra su fibra, cellula per cellula. Per chi ama, niente dell’amato è insignificante, nessun dettaglio è senza emozione. Bello questo Dio che fa per me l’impensabile, ciò che nessuno ha mai fatto, ciò che nessuno farà mai.Verranno notti e reti di cacciatori, verrà anche la morte, ma: nulla mai ci potrà separare dall’amore di Dio (Rm 8,39). Sì, è vero: i passeri e i capelli non sono esentati dalla morte. Ma Gesù mi insegna il diritto a rivendicare fino all’ultima fibra di questo mio corpo che ha testimoniato la bellezza e la fatica del vivere.«Temete piuttosto chi ha potere di far morire l’anima». L’anima può morire? Si. Il lento morire di chi passa i giorni a lamentarsi, diventa schiavo dell’abitudine, non rischia e non cambia… «Lentamente muore chi non viaggia, chi non legge, chi non ascolta musica, lentamente muore chi non trova grazia in se stesso» (Martha Medeiros).

(Letture: Geremia 20,10-13; Salmo 68; Romani 5,12-15; Matteo 10,26-33)

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il commento al vangelo della domenica

le sei azioni affidate agli apostoli per il mondo

il commento di E. Ronchi al vangelo della undicesima domenica del tempo ordinario (anno A)


In quel tempo, Gesù, vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore. Allora disse ai suoi discepoli: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe perché mandi operai nella sua messe!». Chiamati a sé i suoi dodici discepoli, diede loro potere sugli spiriti impuri per scacciarli e guarire ogni malattia e ogni infermità (…). 

«Gesù, vedendo le folle ne sentì compassione». Tutto ciò che segue è generato dalla compassione, termine di una carica e intensità infinite: il Maestro prova dolore per il dolore del mondo, il molto dolore dell’uomo. Gesù è la compassione, il pianto di Dio fatto carne. Piangere è amare con gli occhi.

«La messe è molta…» Ciò che il suo occhio guarda non è lo sterminato accampamento umano dove ha piantato la sua tenda, vede invece molti raccolti di dolore, tante messi di paure, e greggi di pecore sfinite perché non hanno pastore. La sua risposta è un dolore che lo prende alle viscere. E chiama i dodici e lo affida loro: dovranno preservare, custodire, salvare la compassione, il con-patire, il meno zuccheroso dei sentimenti. Salvarlo e seminarlo nel mondo, attraverso sei azioni: predicate, guarite, risuscitate, sanate, liberate e donate.  
La missione è duplice: predicare e guarire la vita, o almeno prendersene cura. E il rapporto è sbilanciato, uno a cinque. Cinque opere per guarire, una per narrare. Per proclamare che «Dio è così, si prende cura e guarisce. Dio è vicino a te, con amore”» Forse ci saremmo aspettati una risposta più risolutiva al dolore delle folle, un soccorso più efficiente: perché il Signore soccorre la fragilità dell’uomo con la fragilità di altri uomini, anziché con la sua onnipotenza? Perché Lui interviene per i suoi figli, attraverso gli altri suoi figli. La risposta di Gesù alla sofferenza del mondo sono io. “Dio salva attraverso persone” (R. Guardini).

«Pregate il Signore della messe perché mandi operai»… e capisco: “manda me, Signore, come operaio della compassione, raccoglitore di dolore. Manda me come lavoratore della pietà, mietitore di sofferenza; manda me, a mangiare pane di pianto con chi piange, a bere calici di lacrime con chi soffre, a lottare con tutti contro il male. Manda me, Signore, con mani che sostengono e accarezzano, con parole che fasciano il cuore”. La compassione di Dio spezza lo schema buoni/cattivi, meritevoli o no. Posa due binari sui quali andare oltre i deserti aridi del paradigma buono/cattivo: sono le mani della pietà e le labbra della preghiera, che rendono l’amore cristiano ciò che deve essere, un amore sempre meno selettivo. Ogni figlio di Dio che ha bevuto alla Fonte Amorosa della vita, merita di bere un sorso al mio piccolo ruscello.

«Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date».​Scandalo e bellezza: Dio non aspetta di essere riamato, intanto ama; non attende di essere ricambiato, intanto dona. Gesù è il racconto di questo Dio inedito, passione di compassione, annuncio che solo un amore senza condizioni può generare amanti senza condizioni.

(Letture: Esodo 19,2-6a; Salmo 99; Romani 5,6-11; Matteo 9,36-10,8)

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il commento al vangelo della domenica

 il Corpo di Cristo «lievito di vita»


Il Corpo di Cristo «lievito di vita»

il commento di E.Ronchi al vangelo del Corpus Domini Anno A
In quel tempo, Gesù disse alla folla: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo. (…) Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».
«Ricordati del cammino», sussurra la prima Lettura. Ricordati! Perché l’oblio è la radice di tutti i mali. Ricorda il deserto e il monte, il vento delle piste, la bellezza dell’anima affaticata dal richiamo di cose lontane. E poi la manna scesa all’improvviso, quando non l’aspettavi più.Ricordati del tuo deserto tra scorpioni e serpenti, ma soprattutto dell’acqua giunta sotto forma di una risposta, un amore bello, un amico, una musica. Improvvisi squarci si sono aperti a dirti che non sei solo, che non sei smarrito tra le dune del deserto.

Che Dio è acqua e pane incamminati verso la tua fame. La mia forza è sapermi cercato, con la mia vita distratta e le risposte che non do; sapermi desiderato è tutta la mia pace. Io vivo di Dio. Ricordati del cammino: dialoga con la storia della tua vita, rimani nella tua sorgente limpida. Il Vangelo oggi ha solo otto versetti, e Gesù a ripetere per otto volte: Chi mangia la mia carne vivrà in eterno. Quasi un ritmo incantatorio, una divina monotonia, nello stile di Giovanni, che avanza per cerchi concentrici e ascendenti, come una spirale; come un sasso che getti nell’acqua e vedi i cerchi delle onde che si allargano sempre più. È il discorso più dirompente di Gesù: mangiate la mia carne e bevete il mio sangue. Un invito che sconcerta amici e avversari, e lui che ostinatamente ne ribadisce, per otto volte, come in otto cerchi, la motivazione, sempre più chiara e diretta: per vivere, semplicemente vivere, per vivere davvero. Altro è vivere, altro è lasciarsi vivere. È l’incalzante convinzione di Gesù di possedere qualcosa che cambia la direzione e la qualità della vita. È il dono di Dio. Il dono di Dio è Dio che si dona: si dona e si perde dentro le sue creature come lievito dentro il pane, come pane dentro il corpo.

«Carne, sangue, pane di cielo» indicano la totalità della sua vicenda umana e divina, le sue mani di carpentiere con il profumo del legno, le sue lacrime, le sue passioni, la polvere delle strade, la casa che si riempie di profumo, la pietra che rotola via. E Dio in ogni fibra. Un pezzo di Dio in me perché io salvi un pezzetto di Dio nel mondo. Il suo invito pressante significa: mangia e bevi ogni goccia e ogni fibra di me. Vivi di me. Prendi la mia vita come misura alta del vivere, come lievito del tuo pane, seme del tuo campo, sangue delle tue vene, allora conoscerai cosa sia vivere davvero. Mangiare e bere Cristo significa più che «fare la comunione» eucaristica, è «farmi comunione con Lui». Il Verbo si è fatto carne perché la carne si faccia Spirito. L’Eterno cerca la nostra setacciata briciola di cielo; per poi ridarcela, luminosa e serena.

(Letture: Deuteronòmio8,2-3.14b-16a; Salmo 147; 1 Corinzi 10,16-17; Giovanni6,51-58)

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il commento al vangelo della domenica

La Trinità è specchio del senso dell’universo

il commento di E. Ronchi al vangelo della Santissima Trinità Anno A

In quel tempo, disse Gesù a Nicodemo: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio, unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio»

Per dire la Trinità, Gesù usa nomi di famiglia, di casa, nomi che abbracciano e stringono legami: Padre, Figlio, Spirito buono, alito che fa respirare la vita. La festa della Trinità è l’annuncio che Dio non è in se stesso solitudine, ma comunione, legame, abbraccio. Che ci raggiunge e ci dà il suo cuore plurale. Allora capisco perché la solitudine mi pesa così tanto e mi fa paura: perché è contro la mia natura. Allora capisco perché quando sono con chi mi ama, sto così bene: perché realizzo la mia vocazione. La Trinità è lo specchio del mio senso ultimo, e del senso dell’universo: tutto incamminato verso un Padre fonte di libere vite, verso un Figlio che mi innamora, verso uno Spirito che accende di comunione le nostre solitudini. Anche l’autopresentazione di Dio sul monte Sinai, davanti al suo grande amico Mosè, ha nomi caldi: misericordioso, pietoso, lento all’ira, ricco di grazia e di fedeltà (Es 34,6). Mosè è salito con fatica, due tavole di pietra in mano, e Dio sconcerta lui e tutti i moralisti, scrivendo su quella rigida pietra parole di tenerezza. E Mosè capisce e prega: “Che il Signore cammini in mezzo a noi, venga in mezzo alla sua gente. Non resti sul monte, guida alta e lontana, ma scenda e si perda in mezzo al calpestio del popolo”. Tutta la Scrittura ci assicura che nel calpestio del popolo, nella polvere dei nostri sentieri, lo Spirito accende i suoi roveti e i suoi profeti; il Padre rallenta il passo sul ritmo del nostro; il Figlio è salvezza che ci cammina a fianco: «venuto non per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato» (Gv 3,17). Lui non condanna e neppure giudica: «Io non giudico!» (Gv 8.15). Parola dirompente, da ripetere alla nostra fede paurosa settanta volte sette! Io non giudico, né per sentenze di condanna, né per verdetti di assoluzione. Posso pesare i monti con la stadera e il mare con il cavo della mano (Is 40,12), ma l’uomo non lo peso e non lo misuro: lo amo; non preparo né bilance, né tribunali, perché non giudico, io salvo.

“Di’ loro ciò che il vento dice alle rocce,/ ciò che il mare dice alle montagne. / Dì loro che una bontà immensa penetra l’universo,/ dì loro che Dio non è quello che credono, /che è un vino di festa, un banchetto di condivisione / in cui ciascuno dà e riceve./ Dì loro che Dio è Colui che suona il flauto /nella luce piena del giorno, / si avvicina e scompare, e ci chiama alle sorgenti./ Dì loro l’innocenza del suo volto, /i suoi lineamenti, il suo sorriso. /Dì loro che Egli è il tuo spazio e la tua notte,/ la tua ferita e la tua gioia. /Ma dì loro, anche, che Egli non è ciò che tu dici di Lui, che la sua tenda è sempre oltre… (Comm. Franc. Cistercense).

(Letture: Esodo 34,4-6.8-9; Daniele 3, 52-56; 2 Corinzi 13, 11-13; Giovanni 3,16-18)

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se don Milani fosse vivo oggi …

ho fatto finta di essere Don Milani e ho scritto al presidente della repubblica …

Onorevole Mattarella,
vengo a sapere che il 27 maggio, giorno corrispondente al centenario della mia nascita sulla terra, verrà a visitare il “mio paese” e la mia tomba.
Un passo importante e significativo , verso un uomo e sacerdote assolto dall’accusa di “ apologia e incitamento alla diserzione e alla disobbedienza civile” solo in quanto morto, mentre il mio coimputato per gli stessi reati è stato condannato.
Non presumo che con questo gesto Lei abbia deciso di comunicare al mondo che condivide al 100% le mie opinioni ed i miei scritti. Ma forse Lei vuole esternare la sua adesione ai principi più importanti tra quelli che volevo insegnare ai miei ragazzi: o a quelli che più direttamente riguardano la carica che lei ricopre, la più importante della Repubblica.
Forse però ha mutato alcune delle sue opinioni; e forse intende prendere le distanze da alcuni gesti suoi e delle istituzione che lei rappresenta. Forse oggi lei intende comunicare che condivide la mia affermazione “Dovevo ben insegnare come il cittadino reagisce all’ingiustizia. Come ha libertà di parola e di stampa.. Come il cristiano reagisce anche al sacerdote e perfino al vescovo che erra. Come ognuno deve sentirsi responsabile di tutto”? A maggior ragione, aggiungo oggi, chi occupa la massima carica dello Stato.
La scuola, come lei sa, è stata tutta la mia vita. Ho criticato duramente, con la durezza che mi imponeva il Vangelo, la scuola del mio tempo. Una scuola che respingeva i ragazzi, come un inutile ospedale che “cura i sani e respinge i malati”. La scuola di oggi respinge ancora : ‘ISTAT ci informa che 13,1% sono 18-24enni che hanno abbandonato precocemente il sistema di istruzione e formazione. Tra i giovani senza cittadinanza italiana è al 35,4%, all’11,0% tra gli italiani. Oggi come ieri “voi dite d’aver bocciato i cretini e gli svogliati. Allora sostenete che Dio fa nascere i cretini e gli svogliati nelle case dei poveri. Ma Dio non fa questi dispetti ai poveri. E’ più facile che i dispettosi siate voi.”. Lo scrivevano i miei ragazzi nella Lettera a una professoressa. Conta forse, signor presidente, di mandare un autorevole richiamo alla scuola di oggi? Che si autodenomina, sciaguratamente, “del merito”; bollando come “non meritevoli “ analfabeti, poveri e stranieri? Tra quanti abbandonano precocemente la scuola, quanti sono i figli delle classi agiate? Quanti di loro potrebbero permettersi di passare ad un “diplomificio” per procurarsi l’agognato “pezzo di cata”?
Dal Il 31 gennaio 2015 i Lei ricopre la carica di presidente della Repubblica. Quindi “supremo garante della Costituzione e capo supremo delle Forze Armate”.
Ha assunto la presidenza mentre era in corso la partecipazione italiana alla guerra in Afghanistan, scatenata dagli USA con il pretesto della “caccia a Bin Laden”, successivamente catturato e linciato dai marines statunitensi in Pakistan, mai processato né condannato da nessun tribunale statunitense o internazionale. Lei non ha interrotto immediatamente la partecipazione italiana a quella guerra, palesemente incostituzionale. Anche il pretesto dei vincoli NATO, come lei sa, era inconsistente: né l’Afghanistan, né alcun altro paese hanno mai aggredito gli Stati Uniti.
La guerra è finita “da sola” lasciando la popolazione afghana, ed in particolare le donne, in una condizione inaccettabile. Ritiene ancora che la decisione italiana i parteciparvi fosse giusta? Fosse compatibile con i principi della Costituzione che “ripudia la guerra”, all’articolo 11?
Oggi l’Italia partecipa, attraverso un massiccio invio di armi, alla guerra in Ucraina. Partecipazione alla quale non siamo formalmente obbligati , e che ci esclude automaticamente, come parte in causa, da qualunque possibilità di farci attivi promotori di pace. L’Italia persegue una pace giusta o la vittoria sul campo delle forze armate ucraine?
Che cosa aspetta, a prendere posizione contro l’invio di armi, presidente? Che dalla terza guerra mondiale “a pezzi” si passi a quella intera? Che si torni alla coscrizione obbligatoria? Che si metta mano all’arsenale nucleare che, sia detto per inciso, custodiamo in basi militari solo formalmente italiane, ma di fatto di proprietà statunitense? Che senso da oggi lei alla partecipazione italiana al trattato di non proliferazione nucleare?
Che cosa aspetta a sostenere i diritti degli obiettori di coscienza russi ed ucraini? Eppure l’Italia ha riconosciuto, sia pure tardivamente e a prezzo di anni di carcere per i suoi profeti-obiettori il diritto all’obiezione, sia in tempo di guerra, sia in tempo di pace. Russi ed ucraini obiettori hanno forse meno diritti dei nostri concittadini?
E non venga a sostenere proprio a Barbiana che l’invio di armi all’Ucraina è l’unica posizione degna di uno stato “etico”. Non solo perché centinaia di altri stati non le inviano, sarebbe una ben misera argomentazione; ma soprattutto perché uno stato che partecipa da decenni a guerre per il mondo in violazione dell’articolo 11 della propria costituzione, che ha consegnato Ocalan e Abu Omar ai loro aguzzini, che discrimina bambini e ragazzi perché nati altrove, che respinge i richiedenti asilo, che ha graziato i piloti del Cermis, che accetta senza battere ciglio che mille persone l’anno perdano la vita sul lavoro, che spende miliardi in armi mentre il suo territorio affonda nel fango, che ha centinaia di aerei da combattimento ma solo 19 canadair per spegnere gli incendi, che impone alle navi che soccorrono i naufraghi di girare mezzo Mediterraneo prima di farli sbarcare, non ha diritto a definirsi “stato etico”
Lei ha avallato la decisione governativa di portare al 2% del PIL la spesa militare italiana. Una decisione formalmente legittima, ma che fa gridare di indignazione chiunque incontri un povero, subisca o veda il dissesto idrogeologico del nostro paese, tocchi con mano il cattivo stato di manutenzione delle nostre scuole, le classi sovraffollate, la carenza di insegnanti di sostegno. Come cristiano, lei avrebbe avuto il dovere di “gridare dai tetti” che questa è una grave ingiustizia. Ma non ha neppure ritenuto opportuno rinviare il provvedimento alle Camere.
L’Italia finanzia la guardia costiera libica, un’organizzazione criminale che riacciuffa i migranti e li riconsegna ai lager. Con il contributo italiano. Non uso la parola “lager” per “dare più forza al discorso”, come talvolta sceglievo di fare con i miei scritti. La uso perché l’ha usata il papa. Che ha dichiarato che si potrebbe paragonare l’azione della guardia costiera libica a quella di un ipotetico individuo che vedesse un ebreo fuggire dal lager e richiamasse l’attenzione dei nazisti.
Tra pochi giorni, tornando da Barbiana, la sua agenda prevederà la partecipazione alla tradizionale parata militare del 2 giugno; un’inutile ostentazione di forza e prepotenza che sarei tentato di paragonare al gorilla che si batte il petto o al gatto che gonfia il pelo. Vi parteciperà ancora una volta, Presidente? E troverà il coraggio di pronunciare parole di pace, di fronte ad ordigni micidiali ( che fanno “vedove ed orfani, come ho scritto nella “lettera ai cappellani militari” e che sottraggono risorse ai poveri? Ai poveri italiani e ai poveri di tutto il mondo?)
“Se voi avete il diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri, io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni sono la mia Patria, gli altri i miei stranieri”. Lei ed io apparteniamo alla stessa Patria, presidente Mattarella?
Se invece l’omaggio che ha voluto rivolgermi è semplicemente un atto esteriore e formale, e non avrà alcuna ripercussione futura sul rispetto della carta costituzionale, cui lei è tenuto come cittadino, come supremo magistrato e come cristiano, allora la saluto e la invito a riprendere al più presto la strada, ora un po’ meno dissestata, che ho percorso nel 1954, e che la riporterà rapidamente a Roma.
Con il dovuto rispetto (e solo quello davvero dovuto)
Lorenzo Milani, sacerdote della Chiesa Cattolica.

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i non pochi nemici di papa Francesco …

gli oppositori alla chiesa di Francesco

di Víctor Codina

Victor Codina, autore di questo articolo, è originario della Spagna. Nel 1948 entrò nella Compagnia di Gesù; compì gli studi in filosofia e teologia a Barcellona, Innsbruck, Roma e Parigi. Dopo aver insegnato per qualche tempo teologia a Barcellona, a partire dai primi anni Settanta vive in America Latina. Dal 1982 risiede in Bolivia, dove ha insegnato all’Università cattolica boliva. È autore di numerose opere di carattere teologico tradotte anche in italiano. Il seguente articolo è stato pubblicato su Iglesia viva (1° agosto 2019) redeamazonica.

Introduzione storica

Non è la prima volta né è strano che nella Chiesa ci siano gruppi dissenzienti e oppositori, a partire da Paolo che affrontò Cefa ad Antiochia (Gal 2,14) fino ai giorni nostri.

Ci furono dai primi concili e fino agli ultimi due. Nel concilio Vaticano I (1870) un gruppo di vescovi e teologi furono contrari alla definizione dell’infallibilità pontificia. Alcuni non accettarono il concilio e si separarono da Roma dando origine ai cosiddetti Vetero-cattolici. Altri, senza abbandonare la Chiesa, non vollero partecipare né assistere all’ultima votazione conciliare sull’infallibilità e qualcuno di essi fu così indispettito da gettare tutti i documenti conciliari nel Tevere.

Un secolo dopo (1970) emerse nuovamente la problematica sull’infallibilità, con dispute teologiche tra la voce critica di Hans Küng, da un lato, e Karl Rahner, Walter Kasper e altri teologi tedeschi più concilianti, dall’altro. La controversia proseguì tra storici critici del Vaticano I, come A.B. Hasler discepolo di Küng, e altri storici più ponderati come Yves Congar, Hoffman e Walter Kasper. Küng fu rimosso dall’insegnamento teologico.

Al tempo di Pio XII, quando, nel 1950, pubblicò l’enciclica Humani generis contro la cosiddetta Nouvelle théologie, furono destituiti dalle loro cattedre alcuni teologi gesuiti di Fourvière-Lyon come Henri de Lubac e Jean Daniélou e alcuni teologi domenicani di Le Saulchoir-Paris, come Yves Congar e Dominique Chénu. Più tardi alcuni di costoro divennero gli “esperti” al concilio Vaticano II convocato da papa Giovanni XXIII.

Durante il Vaticano II si sviluppò una forte opposizione guidata dal vescovo francese Marcel Lefèbvre che respinse il concilio Vaticano II perché lo riteneva neo-modernista e neo-protestante e finì per essere scomunicato da Giovanni Paolo II nel 1988, quando iniziò a ordinare vescovi al di fuori di Roma per la sua Fraternità San Pio X.

Paolo VI, in seguito alla sua enciclica Humanae vitae del 1968 sul controllo delle nascite, fu rispettosamente contestato da numerose conferenze episcopali che, senza negare i valori del suo contenuto, chiedevano una maggiore integrazione e puntualizzazione.

Durante i pontificati di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI, più di 100 teologi furono indagati, ammoniti, messi a tacere, alcuni rimossi dalle loro cattedre e uno addirittura scomunicato.

Questo preambolo storico serve a non meravigliarsi se anche oggi, davanti alla nuova immagine di Chiesa che Francesco propone, sono sorte delle voci discordi e critiche fortemente contrarie al suo pontificato.

Opposizione a Francesco

Attraverso l’andirivieni della storia si desume che il tipo e l’orientamento dell’opposizione dipendono sempre dal momento storico che si vive: si tratta di voci progressiste e profetiche nei momenti della classica cristianità o neo-cristianità e di voci reazionarie, fondamentaliste e conservatrici nei momenti di una riforma ecclesiale che vuole tornare alle fonti evangeliche e allo stile di Gesù.

Critiche a Francesco

Attualmente esiste un forte gruppo di opposizione contro la Chiesa di Francesco: laici, teologi, vescovi e cardinali che vorrebbero le sue dimissioni o la sua rapida scomparsa e aspettano un nuovo conclave per cambiare il corso della Chiesa attuale.

Non vogliamo qui fare un’indagine socio-storica, e nemmeno uno show mediatico, tipo western, tra buoni e cattivi, perciò preferiamo non citare i nomi e i cognomi degli oppositori che oggi stanno “spellando vivo” Francesco, quanto piuttosto rilevare quali sono le linee di fondo teologiche che soggiacciono a questa sistematica opposizione a Francesco, e sapere qual è il motivo della polemica.

Le critiche a Francesco hanno due dimensioni, una teologica e un’altra piuttosto sociopolitica, anche se, come vedremo più avanti, molte volte entrambe le linee convergono tra loro.

Critica teologica

La critica teologica parte dalla convinzione che Francesco non è un teologo, ma uno che viene dal Sud, dalla fine del mondo, e che questa mancanza di professionalità teologica spiega le sue inesattezze e persino i suoi errori dottrinali.

Questa mancanza di professionalità teologica di Francesco viene messa a confronto con la competenza accademica di Giovanni Paolo II e naturalmente di Josef Ratzinger-Benedetto XVI.

opposizione a FrancescoLa mancanza di teologia di Francesco spiegherebbe le sue pericolose affermazioni sulla misericordia di Dio in Misericordiae vultus (MV), la sua tendenza filocomunista verso i poveri e i movimenti popolari e la pietà popolare come luogo teologico in Evangelii gaudium (EG 197-201); la sua mancanza di teologia morale nell’aprire la porta ai sacramenti della penitenza e dell’eucaristia e, in alcuni casi, previo discernimento personale ed ecclesiale, alle coppie cattoliche separate e risposate, come appare in una nota del capitolo ottavo di Amoris laetitia (AL 305, nota 351); la sua scarsa competenza scientifica ed ecologica si manifesterebbe nella sua enciclica sulla cura della casa comune (Laudato si’); e scandalizza la sua eccessiva enfasi sulla misericordia divina (Misericordiae vultus), che riduce a buon prezzo la grazia e la croce di Gesù.

Davanti a queste accuse, vorrei ricordare un’affermazione classica di Tommaso d’Aquino che distingue tra la cattedra magisteriale, propria dei teologi professori delle università, e la cattedra pastorale che corrisponde ai vescovi e ai pastori della Chiesa. Newman riprende questa tradizione affermando che, sebbene a volte tra le due cattedre ci possa essere tensione, alla fine c’è convergenza tra di esse.

Questa distinzione viene applicata a Francesco il quale, sebbene come gesuita padre Jorge Mario Bergoglio abbia studiato e insegnato teologia pastorale a San Miguel de Buenos Aires, ora i suoi pronunciamenti appartengono alla cattedra pastorale del vescovo di Roma. Non presume di sedersi su questa cattedra come teologo, ma come pastore. Come è stato detto con un certo umorismo, dobbiamo passare dal Bergoglio della storia al Francesco della fede.

Ciò che, in fondo, indispone i suoi detrattori è il fatto che la sua teologia parta dalla realtà, dalla realtà dell’ingiustizia, della povertà e della distruzione della natura e dalla realtà del clericalismo ecclesiale.

Non disturba il fatto che abbracci i bambini e i malati, ma indispone che vada a visitare Lampedusa e i campi profughi e migranti come a Lesbo, indispettisce che dica che non si devono costruire muri contro i rifugiati ma ponti di dialogo e di ospitalità; dà fastidio che, al seguito di Giovanni XXIII, affermi che la Chiesa dev’essere povera e dei poveri, che i pastori devono sentire l’odore della pecora, che la Chiesa dev’essere una Chiesa in uscita che va alle periferie e che i poveri sono un luogo teologico.

Disturba che dica che il clericalismo è la lebbra della Chiesa ed enumeri le 14 tentazioni della curia vaticana che vanno dal sentirsi essenziali e necessari alla smania di ricchezza, alla doppia vita e all’Alzheimer spirituale.

Infastidisce che aggiunga che queste sono anche tentazioni delle diocesi, delle parrocchie e delle comunità religiose.

Importuna che dica che la Chiesa deve essere una piramide rovesciata, con i laici in alto e il papa e i vescovi in basso e che dica anche che la Chiesa è poliedrica e soprattutto sinodale, e che facciamo tutti insieme lo stesso cammino, che dobbiamo ascoltarci e dialogare; dà fastidio che in Episcopalis communio si parli di Chiesa sinodale e della necessità di ascoltarsi reciprocamente.

Irrita i gruppi conservatori che Francesco abbia ringraziato Gustavo Gutiérrez, Leonardo Boff, Jon Sobrino, José María Castillo per i loro contributi teologici e abbia annullato le sospensioni a divinis a Miguel d’Escoto e a Ernesto Cardenal; sorprende che a Küng, che scrisse a Francesco sulla necessità di ripensare l’infallibilità, abbia risposto chiamandolo “caro confratello” (Lieber Mitbruder) e che avrebbe preso in considerazione le sue osservazioni, disposto a dialogare sull’infallibilità.

E infastidisce molti che Francesco abbia canonizzato Romero, il vescovo martire salvadoregno, tacciato da molti come comunista e utile idiota della sinistra, la cui causa era rimasta bloccata per anni.

Infastidisce che dica che non spetta a lui giudicare gli omosessuali, che affermi che la Chiesa è femminile e che, se le donne non vengono ascoltate, la Chiesa resterà impoverita e parziale.

La sua invocazione alla misericordia, una misericordia che è al centro della rivelazione biblica, non gli impedisce di parlare di tolleranza zero contro gli abusi di membri significativi della Chiesa verso i minori e le donne, un crimine mostruoso, del quale si deve chiedere perdono a Dio e alle vittime, riconoscere il silenzio complice e colpevole della gerarchia, cercare di riparare, proteggere i giovani e i bambini impedendo che accada di nuovo. E non gli trema la mano quando degrada e destituisce dai suoi incarichi il colpevole, sia esso cardinale, nunzio, vescovo o presbitero.

È chiaro che egli non è un teologo, ma che la sua teologia è pastorale: Francesco passa dal dogma al kerigma, dai principi teorici al discernimento pastorale e alla mistagogia. E la sua teologia non è coloniale, ma del Sud e questo disturba il Nord.

Critica socio-politica

Di fronte a coloro che accusano Francesco di essere terzomondista e comunista, occorre affermare che i suoi messaggi sono in perfetta continuità con la tradizione profetica, biblica e con la dottrina sociale della Chiesa.

Ciò che infastidisce è la sua chiaroveggenza profetica: no a un’economia di esclusione e di disuguaglianza, no a un’economia che uccide, no a un’economia senza volto umano, no a un sistema sociale ed economico ingiusto che si cristallizza in strutture sociali ingiuste, no a una globalizzazione dell’indifferenza, no all’idolatria del denaro, no a un denaro che governa anziché servire, no a una disuguaglianza che genera violenza, e al fatto che nessuno deve strumentalizzare Dio per giustificare la violenza, no all’insensibilità sociale che ci anestetizza di fronte alla sofferenza altrui, no agli armamenti e all’industria della guerra, no al traffico di esseri umani e a qualsiasi forma di morte provocata (EG 52-75).

Francesco non fa altro che aggiornare il comandamento di non uccidere e difende il valore della vita umana, dall’inizio sino alla fine e ripete a noi oggi la domanda di YHWH a Caino: «Dov’è tuo fratello?».

Inoltre, disturba la critica al paradigma antropocentrico e tecnocratico che distrugge la natura, inquina l’ambiente, attacca la biodiversità ed esclude i poveri e gli indigeni da una vita umana dignitosa (LS 20-52).

opposizione a Francesco

Tim Busch

Disturba le multinazionali che egli critichi le imprese forestali, petrolifere, le compagnie idroelettriche e minerarie che distruggono l’ambiente, danneggiano gli indigeni di quel territorio e minacciano il futuro della nostra casa comune. Infastidisce la sua critica ai leader politici incapaci di prendere risoluzioni coraggiose (LS 53-59).

E comincia a infastidire l’annuncio del prossimo sinodo di ottobre 2019 sull’Amazzonia, che è un esempio concreto della necessità di proteggere l’ambiente e salvare i gruppi amazzonici indigeni dal genocidio. Alcuni alti dignitari della Chiesa hanno affermato che l’Instrumentum laboris o Documento preparatorio del sinodo è eretico, panteista e nega la necessità della salvezza in Cristo.

Altri commentatori si sono concentrati esclusivamente sulla proposta di ordinare uomini sposati indigeni per poter celebrare l’eucaristia in luoghi remoti dell’Amazzonia, ma hanno completamente ignorato la denuncia profetica che questo Documento preparatorio fa contro la distruzione estrattiva perpetrata in Amazzonia, che è causa di povertà e di esclusione delle popolazioni indigene, probabilmente mai tanto minacciate come oggi.

A modo di conclusione

Senza dubbio c’è una convergenza tra la critica teologica e la critica sociale nei riguardi di Francesco, i gruppi reazionari ecclesiali si allineano con i potenti gruppi economici e politici, specialmente del Nord. Possiamo anche chiederci se questa recente esplosione di abusi sessuali che colpisce direttamente la figura di Francesco, che è allo stesso tempo pastore riformista ecclesiale e leader mondiale, sia stata una pura casualità e una semplice coincidenza.

opposizione a FrancescoIn definitiva, l’opposizione a Francesco è un’opposizione al concilio Vaticano II e alla riforma evangelica della Chiesa che Giovanni XXIII intendeva promuovere. Francesco si pone sulla linea di tutti i profeti che volevano riformare la Chiesa, insieme a Francesco di Assisi, Ignazio di Loyola, Caterina da Siena e Teresa di Gesù, Angelo Roncalli, Helder Cámara, Dorothy Stang, Pedro Arrupe, Ignazio Ellacuría e il nonagenario vescovo Casaldáliga.

Francesco ha ancora molti argomenti in sospeso per una riforma evangelica della Chiesa. Non sappiamo quale e come sarà la sua traiettoria futura, né cosa accadrà nel prossimo conclave.

I papi passano, ma il Signore Gesù continua ad essere presente e a sostenere la Chiesa fino alla fine dei secoli, quel Gesù che era considerato un mangione e un beone, un amico dei peccatori e delle prostitute, un indemoniato, fuori di sé, sedizioso e blasfemo. E crediamo che lo Spirito del Signore che discese sulla Chiesa primitiva nella Pentecoste non l’abbandonerà mai e non permetterà che il peccato, alla fine, trionfi sulla santità.

E intanto, come chiede sempre Francesco fin dalla sua prima apparizione sul balcone di San Pietro in Vaticano come vescovo di Roma e ancor oggi, preghiamo il Signore per lui, affinché la sua speranza non venga meno e confermi la fede dei suoi fratelli. E se non possiamo pregare o non siamo credenti, auguriamogli almeno che sia in buon forma.

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il commento al vangelo della domenica

Pentecoste
la sinfonia di linguaggi dello Spirito

il commento di E. Ronchi  al vangelo della domenica di Pentecoste, Anno A

La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati». 

Lo Spirito Santo è Dio in libertà. Rifiuto della monotonia. Scelta della sinfonia. Ultima parola, che si offre sempre come nuova, come altra: alla nave come costa, alla terra come nave; al navigante come nostalgia di casa, all’uomo di casa come nostalgia del mare. Dio in libertà. Che fa cose che non t’aspetti. Che dà a Maria un figlio “fuorilegge’”, a Elisabetta un figlio profeta. E a noi dona tutto ciò di cui abbiamo bisogno per dare, a nostra volta, vita, o meglio ancora: per dare alla vita.

La Parola di Dio oggi prova una sinfonia di linguaggi per tentare di dire qualcosa della vastità dello Spirito: non sono che semplici fessure, feritoie aperte sul mistero.

1. La prima lettura (Atti 2,1-11) racconta di Apostoli come “ubriachi”, inebriati da qualcosa che li ha storditi di gioia, come un capogiro, una divina seduzione, violenta e felice. E la prima Chiesa, arroccata sulla difensiva, viene lanciata fuori e in avanti. La nostra Chiesa tentata, oggi come allora, di arroccarsi e chiudersi, perché in crisi di numeri, perché aumentano coloro che si dichiarano indifferenti o infastiditi, questa Chiesa, amata e infedele, può ancora attingere a quello slancio originario.

2. Il salmo tra le letture (Sal 104,30) apre la seconda fessura: “Mandi il tuo spirito, sono creati, e rinnovi la faccia della terra”. Una delle affermazioni più belle e rivoluzionarie della nostra fede è offerta dalla Prece eucaristica III, quando il presidente proclama: “Tu, che per mezzo di Cristo e per opera dello Spirito fai vivere e santifichi l’universo”. Non solo l’uomo, ma tutto ciò che esiste; non solo doni vita, ma semini santità nell’universo, santità della luce, l’umile santità del bosco, del bambino che nasce, del cuore che ama, dell’anziano che pensa. Una divina liturgia santifica l’universo.

3. La terza finestra sulla Pentecoste la apre Paolo nella seconda lettura (1Cor 12,5). Lo Spirito dà a ciascuno una manifestazione particolare per il bene comune. Sposa vite diverse, consacra vocazioni differenti, benedice la genialità e l’unicità di ogni vita. Lo Spirito non vuole banali ripetitori, ma discepoli geniali, edificatori di una Chiesa che trova unità attorno alla croce, varietà e creatività attorno allo Spirito.4. Infine il Vangelo racconta la Pentecoste come un incontro leggero nella sera di Pasqua: “soffiò su di loro e disse: ricevete lo Spirito santo” (Gv 20,22).

In quella stanza chiusa e dall’aria stagnante, entra il grande, ampio e profondo ossigeno del cielo. Entra il respiro di Dio che non sopporta schemi e chiusure, che viene per farci vivi, sottile e profondo come il respiro, umile e testardo come il battito del cuore.

(Letture: Atti 2,1-11; Salmo 104; Prima Lettera ai Corinzi 12,3b-7.12-13; Giovanni 20,19-23)

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il commento al vangelo della domenica

Gesù se ne va ma resta con noi per sempre

il commento di E. Ronchi al vangelo della domenica dell’Ascensione

In quel tempo, gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».

Ascensione: finito il tempo del pane e del pesce attorno al fuoco sulla riva del lago. Finito il tempo dei nomi pronunciati uno per uno, che sulle sue labbra parevano bruciare. L’ascensione è la festa di Lui diversamente presente: Gesù non è andato lontano, ma avanti e nel profondo; non oltre le nubi ma oltre le forme. Se prima era con i discepoli, ora sarà dentro di loro.​L’ultimo suo appuntamento è nella Galilea degli inizi, hanno camminato insieme per tre anni; e se non hanno capito molto, lo hanno però molto amato. E ci sono tutti all’appuntamento sull’ultima montagna. «Andate!». Si è appena fatto trovare e subito li invita a partire, li spinge a pensare in grande, a guardare lontano: apre il mondo, cancella frontiere, li manda a immergersi nell’umano innumerevole.

«Battezzate»: immergete ogni vita nell’oceano di Dio, che sia sommersa e sollevata dalla sua onda mite e possente… Cosa devono fare i discepoli? Creare un laboratorio di immersione in Dio, per il mondo. Dare agli uomini l’esperienza e la coscienza che sono immersi in un oceano d’amore, e non se ne rendono conto.
«Andate!». Per arruolare devoti? Per far crescere i numeri del gruppo? No, per una pandemia da spargere sulla terra, di fuoco e libertà. Andate, profumate di cielo le vite che incontrate, “insegnate a vivere bene” (S. Bernardo), mostrate il mestiere del vivere buono, così come l’avete visto da me. Insegnate ad essere felici, direbbe Mosè. Insegnate a donare, cioè ad essere vivi, direbbe Paolo. «Fate discepoli tutti i popoli»: Gesù non dà l’ordine di indottrinare il mondo. Il termine “discepolo” nella sua etimologia significa colui che impara, “l’imparante”.

«Fate discepoli» vuol dire allargate le menti delle persone, insegnate loro ad essere gli imparanti,, coloro che non smettono mai di apprendere e di accogliere. «Alcuni però dubitavano»: Gesù lascia sulla terra quasi niente: un gruppetto di undici uomini impauriti, confusi, che dubitano ancora, e un nucleo di donne coraggiose e fedeli. Se ne va, compiendo un atto di enorme fiducia: affida la sua verità a gente che dubita, mostra la strada per i confini del mondo a gente che zoppica.
Grande Gesù, che non si pone come uno che ti risolve i problemi, ma come colui che offre orizzonti, che fa più grande la vita.Ma non li lascia soli con i loro limiti: «io sono con voi tutti i giorni» fino alla fine del mondo. Tu lo puoi anche mollare, ma lui non ti molla mai. Ha intriso di Dio il mondo, e ne ha impregnato anche la tua vita; il mondo e tu ne siete battezzati. Se solo io fossi capace di sentire e godere questo, camminerei sulla terra con passo di danza come dentro un battesimo infinito.

(Letture: Atti 1,1-11; Salmo 46; Efesini 1, 17-23; Matteo 28, 16-23).

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