il vangelo della domenica commentato da p. Maggi

IL PUBBLICANO TORNO’ A CASA GIUSTIFICATO, A DIFFERENZA DEL FARISEO 

 

  commento al vangelo della trentesima domenica del tempo ordinario (29 ottobre 2016) di p. Alberto Maggi:Maggi

Lc 18,9-14

In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri:
«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”.
Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”.
Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».

Gesù, nel suo insegnamento ha presentato Dio come un Padre il cui amore non è attratto dai meriti delle persone, ma dai loro bisogni. E’ quanto esprime l’evangelista Luca nel capitolo 18, versetti 9-14. Leggiamo.
In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola. E la parabola ha un indirizzo ben preciso, per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri. Quindi Gesù rivolge questo messaggio a coloro che si sentono giusti. Giusti significa – da un punto di vista religioso – coloro che si ritengono completamente a posto con Dio in base alla loro pratica religiosa, in base alla loro situazione, e per questo motivo disprezzano gli altri. E’ tipico delle persone religiose. 
Quanto uno si sente tanto a posto con Dio, si permette poi di giudicare, condannare e poi disprezzare gli altri. Ed è a questo tipo di persone, quindi le persone molto pie, molto religiose, che Gesù rivolge questa parabola.
“Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano.” Gesù presenta gli opposti della società religiosa e civile dell’epoca. Il termine fariseo significa separato. Chi erano i farisei? Erano laici che si impegnavano ad osservare nella vita quotidiana tutti i precetti, le leggi e le osservanze prescritte nella legge.
Ne avevano estrapolate addirittura ben 613. Erano attenti a non mangiare nulla di impuro, erano scrupolosi osservanti del riposo del sabato. Erano i santi per eccellenza. Quindi il fariseo è la persona che si ritiene – ed è ritenuta – la più vicina a Dio.
All’opposto il pubblicano. Pubblicano viene da publicum, la cosa pubblica. Erano gli esattori del dazio; erano considerati ladri di professione, al servizio spesso dei dominatori pagani, erano considerati i trasgressori di tutti i comandamenti e avevano come un marchio di impurità per il quale per loro non c’era speranza alcuna di salvezza.
Anche se un domani un pubblicano si fosse convertito, lui non avrebbe più potuto cambiare mestiere e poi per lui non c’era nessuna speranza di salvezza.
Quindi Gesù presenta i due opposti. Il più vicino a Dio, e non il più lontano, ma addirittura l’escluso da Dio.
“Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé…” Letteralmente l‘evangelista scrive “pregava verso se stesso”. La preghiera del fariseo non è rivolta a Dio, ma lui ha fatto di se stesso il proprio Dio, il proprio idolo. La sua è un inutile sbrodolamento delle inutili virtù che Gesù non richiede, che Dio non richiede. Ed ecco la sua preghiera: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini”. Ecco la preghiera di questa persona che si ritiene giusta, che si ritiene un modello di santità, porta subito al giudizio e al disprezzo degli altri uomini. “Ladri, ingiusti, adùlteri, e (qui c’è proprio una punta di disprezzo) neppure come questo pubblicano.”
Cos’è che lo fa sentire tanto a posto con Dio, cos’è che lo fa ritenere tanto santo, tanto giusto? Quello che Dio non richiede. Le cose inutili. Infatti ora vedremo che questo fariseo elenca tutte azioni superflue, inutili e per questo nocive.
“Digiuno due volte alla settimana …” Il digiuno era comandato una volta all’anno, il giorno del perdono, ma le persone pie, come i farisei, digiunavano due volte la settimana, il lunedì e il giovedì, in ricordo della salita di Mosè sul monte Sinai e poi della sua discesa. Erano i giorni di digiuno.
“E pago le decime di tutto quello che possiedo”. La decima era una tassa che si pagava su certe derrate alimentari ma non su tutto. Lui, per scrupolo, offre tutto e paga tutto quanto. Notiamo che non elenca nessun atteggiamento benevolo e favorevole ai bisogni degli altri, tutto rivolto a se stesso e a Dio. C’è un fariseo che dice che come lui nessuno osservava la legge e che quando si è poi pentito – è San Paolo di Tarso – dirà che “Tutte queste prescrizioni hanno una parvenza di sapienza con la loro falsa religiosità, e umiltà e mortificazione del corpo, ma il realtà non hanno alcun valore se non quello di soddisfare l’egoismo, la carne”. San Paolo, che pure aveva sperimentato questo, dice che non servono a niente. Tutte queste devozioni, tutte queste pratiche religiose, non solo sono inutili, ma sono nocive perché non fanno altro che soddisfare il proprio io.
Nella lettera ai Filippesi San Paolo arriverà a dire che quando ha conosciuto il messaggio di Gesù tutte queste devozioni e pratiche che gli sembravano tanto importanti le ha considerate un escremento.
“Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo”. Si sente in colpa, sa che è un escluso da Dio. “Ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”, letteralmente “sii benevolo, mostrami la tua misericordia”. Il pubblicano mostra di avere fede. Lui sa che è in una situazione disperata, per lui non c’è perdono, per lui non c’è salvezza, ma nonostante questo – e qui sembra di sentire l’eco del Salmo 23 dove il salmista dice “anche se vado in una valle oscura tu sei con me” – dice “mostrami la tua misericordia”.
“Tu vedi Signore che vita faccio, non posso cambiare, questa è la mia situazione, tu la conosci. Ebbene, nonostante questo, mostrami il tuo amore e la tua misericordia”.
La conclusione di Gesù è sconcertante. “Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato”. All’inizio l’evangelista ha presentato quelle persone che si ritenevano “giusti” e ora parla di “giustificato” cioè a posto con Dio, in sintonia con Dio. Ma che cosa ha fatto? Non si è pentito. Non ha detto che cambia il suo comportamento, non ha detto nulla di tutto questo, ma ha chiesto al Signore di mostrargli la sua misericordia.
E il Dio di Gesù, il suo amore non lo dirige a chi lo merita, ma a chi ne ha bisogno.
“Perché chiunque si esalta (letteralmente si innalza) sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato”. Quindi Gesù rovescia i paradigmi della società, quello che si riteneva più vicino a Dio per le sue pratiche religiose, per Gesù è il più lontano, perché non fa nulla per gli altri. Quello che conta per Gesù non è quello che si rivolge alla divinità, ma gli atteggiamenti di bene, di benessere che si fanno nei confronti degli altri. E soprattutto, a conclusione, Gesù ricorda che l’amore di Dio non è concesso come un premio per i propri meriti, ma come un regalo per i propri bisogni.

 

 

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