E’ IL PIU’ PICCOLO DI TUTTI I SEMI, MA DIVENTA PIU’ GRANDE DI TUTTE LE PIANTE DELL’ORTO
commento al Vangelo della undicesima domenica del tempo ordinario (14 giugno 2015) di p. Alberto Maggi:
Mc 4,26-34
In quel tempo, Gesù diceva [alla folla]: «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura».
Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra». Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa.
A conclusione del discorso della parabole, contenute nel capitolo 4 del vangelo di Marco, Gesù presenta due parabole che annunciano la potenzialità, la potenza e la forza che c’è nel suo messaggio. Sentiamo, capitolo 4 di Marco, versetto 26.
Dice Il Regno di Dio…, lo sappiamo il Regno di Dio è la società alternativa venuta a proporre da Gesù, una società in cui al posto dell’accumulare per sé ci sia la gioia di condividere, e dove anziché comandare ci sia il servire.
E’ come un uomo che getta il seme sulla terra. Già in questo capitolo Gesù ha parlato del seminatore che getta il seme. Il seme è la sua parola, il suo messaggio. La predilezione di Gesù per immagini che riflettono la vita agrícola indica che nel suo messaggio, nella sua buona notizia, c’è una forza che scatena il processo vitale per la crescita e la maturazione dell’individuo.
Dice Gesù: Dorma o vegli, di notte e di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Poiché la terra produce spontaneamente (letteralmente automaticamente), prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga. Questa crescita si rifà a quando Gesù aveva parlato della produzione del trenta, del sessanta e del cento, e all’invito che aveva fatto ai suoi discepoli: con la misura con la quale misurate, cioè quello che date, sarete misurati.
Quello che Gesù ci assicura e che vuole dire è che l’assimilazione del messaggio è un processo intimo e personale nel quale nessuno può interferire. Quando il frutto è pronto, qui l’evangelista adopera il verbo “consegnare”, che è lo stesso che adopererà per il tradimento, la consegna di Gesù. Cosa significa “quando il frutto è pronto per consegnarsi”?
Consegnarsi significa collaborare all’azione vivificante di Gesù fino alla fine, anche a rischio della propria vita. Si mette mano alla falce perché è venuta la mietitura”.
Questa è l’immagine di grande gioia. Bisogna rifarsi al mondo agricolo quando la festa della mietitura è la festa più importante, basta pensare come viene cantata e osannata nei Salmi. Il salmo 126 dove si legge Mieterà con gioia.
Quindi non è un’immagine negativa, un’immagine di giudizio, ma è l’immagine della piena gioia, la persona realizza se stessa ed entra nella piena felicità quando, come Gesù, riesce a donare se stessa.
Quello che Gesù ci sta assicurando è che l’uomo e il messaggio di Gesù sono fatti l’uno per l’altro. Se non si incontrano rimangono sterili, ma quando si incontrano l’homo potenzia e libera tutte quelle potenzialità, quelle forze, quelle energie d’amore che l’incontro con la parola di Gesù, l’incontro con la buona notizia, riescono a liberare.
E continua Gesù: “A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio e con quale parabola possiamo descriverlo?” E qui Gesù si rifà a un’immagine tradizionale contenuta nel capitolo 17 del profeta Ezechiele dove il regno di Dio veniva immaginato come un cedro, il re degli alberi, sopra un monte altissimo, qualcosa che richiama l’attenzione per la sua magnificenza. Nulla di tutto questo. Dice Gesù: “Esso è come un granellino di senape”, il granellino di senape, lo sappiamo, è minuscolo, non ha neanche un millimetro di diametro, “Quando viene seminato per terra è il più piccolo di tutti i semi che sono sulla terra, ma appena seminato cresce e diviene più grande di tutti… “ e qui Gesù crea attesa.
Uno s’aspetterà, conoscendo la profezia di Ezechiele, che ne nasca il più grande di tutti gli alberi, invece Gesù dice con profonda ironia: “Diviene il più grande di tutti gli ortaggi”. L’albero della senape, l’arbusto della senape cresce nell’orto di casa. E’ un arbusto insignificante, non richiama l’attenzione per la sua magnificenza. Raggiunge un metro e mezzo nei punti più adatti, lungo il lago di Galilea a volte raggiunge anche i tre metri, ma è una pianta comune, anzi è un infestante e non richiama l’attenzione.
Cosa ci vuole dire Gesù? Che il regno, anche nel momento del suo massimo sviluppo, non sarà appariscente, trionfalistico, spettacolare, ma una realtà modesta. Quindi con queste due
parole Gesù assicura a colui che accoglie il suo messaggio che questo porterà dei frutti, perché ha una potenza grande, soltanto che richiede pazienza, perché il processo di crescita è lento.
L’altro messaggio è che il regno di Dio c’è già, non bisogna aspettarsi chissà quali spettacolari manifestazioni di questo regno, sono piccole realtà modeste, ma vive e vivificanti. Quindi il regno di Dio esisterà dove ci sono le comunità che hanno accolto il suo messaggio.
A conclusione, Con molte parabole di questo genera annunziava loro la Parola, secondo quello che potevano intendere. Perché secondo quello che potevano intendere? Non è una questione di orecchie, di udito, ma una questione di amore, una questione di cuore.
Nella misura in cui si è capaci come Gesù del dono della propria vita, si comprende il suo messaggio. E poi conclude l’evangelista: Senza parabole non parlava loro ma, in privato … letteralmente “in disparte”. E’ la prima delle sette volte in cui l’evangelista adopererà questa chiave di lettura. Tutte le volte in cui usa l’espressione “in disparte”, significa incomprensione se non addirittura ostilità da parte dei suoi discepoli.
Ancora ci sarà tanta strada da fare prima che comprendano la realtà del regno di Dio.