la misericordia di papa Francesco crea scandalo nella chiesa
La Repubblica, 14 ottobre 2015
di ENZO BIANCHI
Il termine “apocalisse” non indica, come molti intendono, qualcosa di catastrofico, bensì un “alzare il velo”, una ri-velazione, l’emergere di una realtà inaspettata o nascosta. Per questo ciò che sta avvenendo non solo in questi giorni sinodali ma dall’inizio del pontificato di Francesco è un’apocalisse che fa conoscere situazioni che paiono impossibili e svela la verità delle coscienze e dei cuori, sovente nascosta dietro adulazioni, ipocrisie di linguaggio e di comportamento. Che cos’è in gioco in questo confronto sinodale che a volte appare un’aspra battaglia? Non ciò che la chiesa crede in obbedienza al vangelo. In particolare non è in gioco la dottrina cattolica sull’indissolubilità del matrimonio cristiano – e di questo papa Francesco più volte si è dichiarato garante – e nemmeno è in gioco un patteggiamento della chiesa, e in primo luogo dei pastori, circa la famiglia oggi, la sua crisi, le ferite che può registrare nelle storie di amore, la sua fragilità come le sue riuscite sempre incompiute e contraddette. No, in gioco è la dimensione pastorale, l’atteggiamento da assumere verso chi ha sbagliato e verso la società contemporanea. E in questo senso proprio la chiesa, che ha accolto i sacramenti dal Signore e crede in essi con obbedienza, per esserne ministra ha il compito di determinarne la disciplina rinnovandola e rendendola più fedele al vangelo compreso sempre meglio nella storia grazie all’azione dello Spirito santo.
Va detto con chiarezza: ciò che scandalizza è la misericordia! Sembrerebbe impossibile, ma non possiamo dimenticare che Gesù non è stato condannato e messo a morte perché si era macchiato di qualche crimine secondo il diritto romano, né perché aveva smentito la parola di Dio contenuta nelle legge e nei profeti, bensì per il suo comportamento troppo misericordioso che rompeva le barriere erette dai giusti incalliti contro i peccatori pubblici: annunciava infatti il perdono, senza far ricorso a una giustizia retributiva e punitiva, amava frequentare prostitute e peccatori noti come tali e stare alla loro tavola. Il suo modo di comportarsi ha rivelato che la misericordia non è un correttivo per mitigare la giustizia, non è neppure un soccorso per chi non conosce la verità: la giustizia di Dio è sempre misericordia anzi, è la misericordia che stabilisce la giustizia e rende splendente e non abbagliante la verità. I nemici di Gesù erano esperti della santa Scrittura (scribi) e uomini “religiosi” che confidavano in se stessi e nel loro comportamento scrupolosamente osservante.
È dunque rivelativo che un’opposizione analoga emerga anche contro papa Francesco e il cammino che tenta di tracciare per la chiesa, l’esodo verso le periferie esistenziali di un’umanità sofferente e mendicante amore, tenerezza, compassione in un mondo sempre più duro, sempre più incapace di prossimità e di fraternità. Ho già avuto modo di scriverlo fin dai primi passi di questo pontificato: se il papa sarà fedele al vangelo troverà opposizione, persino rigetto e disprezzo perché non potrà essere di più del suo Signore. L’ha profetizzato Gesù semplicemente leggendo le proprie vicende e quelle dei profeti prima di lui.
Ciò che stupisce è proprio che chi nei confronti dei papi precedenti non avanzava critiche o contestazioni ma semplicemente poneva loro domande, veniva subito additato come “non cattolico”, mentre oggi, grazie alla libertà che Francesco ha voluto assicurare al dibattito, alcuni arrivano a sospettare che lui permetta di lasciar manipolare un confronto che nella chiesa dovrebbe sempre essere ascolto dell’altro, eloquenza delle proprie convinzioni senza accanimento, riconoscimento che il successore di Pietro, il papa “fa strada insieme” (syn-odos) ai vescovi ma presiedendo la loro comunione con un carisma e un mandato proprio che proviene dal Signore stesso.
Siamo tornati al tempo del concilio, alle contestazioni più o meno manifeste, alle mormorazioni contro Giovanni XXIII e Paolo VI, ma questo non deve spaventare. Nella sua storia, la chiesa ha conosciuto ore più critiche, anche se indubbiamente queste vicende non offrono una testimonianza di parresia e di comunione fraterna. Stupisce che questa contestazione venga proprio da chi papa Francesco ha voluto tenere vicino a sé nel governo della chiesa o incaricare di aiutarlo per tracciare un cammino di riforma delle istituzioni. Ma questo dato rivela chi è l’attuale papa: non è un pontefice che scarta chi sa diverso da lui, chi ha sensibilità molto differenti, non è un “regnante” che emargina chi ha altre ottiche pastorali. Tutti possono costatare questo suo atteggiamento che certo gli nuoce e gli rende faticoso il suo servizio alla chiesa. D’altronde nella chiesa c’è chi vorrebbe che papa Francesco fosse solo una breve parentesi, chi afferma che “questo papa non gli piace”, chi lo considera “debole nella dottrina”, chi non ama il suo ecumenismo che vuole abbracciare tutti i battezzati e non creare muri nei confronti dei non cristiani e degli uomini e delle donne del mondo.
Per scelta di Benedetto XVI ho partecipato a due sinodi e non vedo in quello in corso una procedura radicalmente diversa, se non per l’invito di papa Francesco alla parresia e per una metodologia diversa pensata a servizio di questa libertà di parola: pubblicare il riassunto della discussione senza fornire i nomi dei singoli intervenuti e le frasi da loro pronunciate, per esempio, consente di non classificare i vescovi in tradizionalisti e innovatori, in conservatori e liberali sulla base di affermazioni apodittiche che non riflettono l’incidenza avuta dal confronto e dal dialogo nel corso del dibattito. Le diversità infatti sono legittime, soprattutto in un’assemblea veramente cattolica, in cui i vescovi sono portavoce del loro popolo, custodi della fede inculturata in una regione precisa che non sempre appare contemporanea ad altre.
Esser “servo della comunione” per papa Francesco è arduo, ma i cattolici credono anche che su di lui c’è la promessa fatta a Pietro da Gesù stesso: “Ho pregato perché la tua fede non venga meno e tu conferma i tuoi fratelli!”. Questa è un’ora di apocalissi nella chiesa e non sarà l’ultima: ognuno si assuma le proprie responsabilità nei confronti della comunione cattolica e, più ancora, nei confronti del vangelo al quale dice di voler obbedire.