di chi è la chiesa? dei mistici, dice L. Boff

“La Chiesa è dei mistici non del potere”

la traduzione di L. Boff  dell’ “Imitazione di Cristo” di Tommaso da Kempis 

intervista a

Leonardo Boff

a cura di Paolo Rodari
in “la Repubblica” del 26 novembre 2018

 

La considera il suo “canto del cigno”, la traduzione che Leonardo Boff, ex frate francescano ed ex presbitero brasiliano, noto esponente della Teologia della liberazione, fa de l’Imitazione di Cristo di Tommaso da Kempis. A uno dei testi più meditati dopo il Vangelo e ritraducendo partendo dall’edizione della Tipografia poliglotta Vaticana, Boff aggiunge, «nel tramonto della vita», un quinto libro sulla sequela di Gesù.

Freud, Jung e Heidegger lessero Tommaso da Kempis riflettendo sul tema dello svuotamento di sé contro ogni attaccamento al proprio io. Di questo c’è bisogno oggi?

«È un tema centrale e rappresenta l’atteggiamento di Gesù che, “pur essendo di natura divina”, ha spogliato sé stesso per essere uguale a noi. Questa rinuncia all’attaccamento al proprio io è la prima virtù del buddismo e anche del cammino spirituale cristiano. Ed è il tema centrale del più grande dei mistici dell’Occidente, Meister Eckhart, con il suo Abgeschiedenheit, la pratica del distacco. Psicologi come Freud e filosofi come Heidegger hanno compreso tale esigenza di Tommaso da Kempis. Il distacco è il primo passo per il vero processo di individuazione e di identità personale. È ciò che ci assicura il dono più grande dopo l’amore, che è la libertà interiore».

Lei scrive che seguire Gesù significa assumere la sua causa, correre i suoi rischi ed eventualmente accettare il suo stesso tragico destino. Cosa significa?

«È una realtà testimoniata dalla Chiesa della liberazione dell’America Latina sotto i regimi militari in vari Paesi. È questo tipo di Chiesa a prendere sul serio l’opzione per i poveri, la quale ha prodotto e produce anche oggi tanti martiri, tra i laici e le laiche, i preti e vescovi come Oscar Romero in El Salvador e Angelelli in Argentina».

La Chiesa sembra in alcune sue parti legata a una visione imperialista/costantiniana, immersa nella storia e votata alla conquista del potere. E Francesco a volte appare come una meteora in un mondo che fatica a tenere il suo passo. Cosa pensa?

«Credo sinceramente che la Chiesa-istituzione, cioè la Chiesa come società gerarchica, non si senta parte del popolo di Dio come richiedeva il Concilio Vaticano II, ma al di fuori e al di sopra di esso. Organizzandosi non attorno al più antico concetto di communio, di comunione tra tutti, ma attorno al potere sacro ( sacra potestas), escludente perché concentrato solo in alcune mani. Questo tipo di Chiesa è caduta nelle tre tentazioni affrontate e superate da Gesù: quella del potere religioso di riformare il mondo a partire dal tempio; la tentazione del potere profetico di trasformare le pietre in pane, e la tentazione del potere politico, dominare su tutti i popoli. Restano attuali le parole pronunciate dal cattolico Lord Acton in riferimento ai potenti papi del Rinascimento: “Il potere tende a corrompere e il potere assoluto corrompe in modo assoluto”. E ancora più pertinente è quanto affermava Hobbes riguardo al potere, che, diceva, si sostiene solo sul “desiderio incessante di avere sempre più potere”. Tutte parole che si sono concretizzate nella storia della Chiesa, attraverso una concentrazione enorme di potere unicamente nelle mani del clero, con esclusione in particolare delle donne. È stato necessario un papa proveniente dalla fine del mondo, che ha scelto il nome Francesco, archetipo della povertà e della rinuncia a ogni potere, per mostrare come la gerarchia della Chiesa debba orientarsi in base al servizio (ierodulia) e non al potere sacro (ierarchia)».

Lei subì un certo ostracismo da Roma?

«Non ho conservato alcun rancore per la punizione che mi è stata inflitta del silentium obsequiosum. Sapevo che la teologia del potere sacro operante nella testa dei responsabili dell’ex Sant’Uffizio avrebbe reso inevitabile la mia condanna. Mi sentivo nel vero e avevo l’appoggio della Conferenza dei vescovi del Brasile. Per questo accettai tranquillo l’imposizione del “silenzio ossequioso”, poi sospeso da Giovanni Paolo II».

Papa Bergoglio riceve diverse critiche da settori conservatori della Chiesa. Perché?

«Credo che i conservatori fossero abituati a un papa faraone, con titoli e simboli del potere ereditati dagli imperatori pagani. Poi all’improvviso arriva un papa al di fuori del quadro tradizionale, che si spoglia di tutto questo apparato profano che allontana i fedeli e asseconda la vanità clericale. Non accettano un papa che non provenga dal loro vecchio e moribondo cristianesimo. Francesco porta l’atmosfera nuova di Chiese che non sono più lo specchio di quelle europee, ma Chiese-fonti, con la loro teologia, la loro pastorale rivolta specialmente ai più poveri, la loro liturgia e il loro modo di rendere lode a Dio».

Si sente sempre un figlio della Chiesa?

«Nel tramonto della vita – compirò 80 anni a dicembre – non mi preoccupo del passato ma rivolgo i miei occhi all’eternità. Unire il mio nome, quello di un theologus peregrinus, a quello di Tommaso da Kempis è per me l’onore più grande. “Ne è valsa la pena?”, si domandava Fernando Pessoa, il più grande poeta portoghese. Faccio mia la sua stessa risposta: “Tutto vale la pena se l’anima non è piccola”. Posso dire che, con la grazia di Dio, ho cercato di fare in modo che la mia anima non fosse piccola».

profezia

Vocazione profetica: la denuncia dell’asservimento agli idoli

La vocazione profetica della fede cristiana si contrappone alle ingiustizie sociali.

Giustizia sociale: opera della fede

Signore, ti scriviamo dal cuore dell’Impero, fronte europeo, attualmente sotto il dominio di banche, speculatori finanziari e tecnocrati. Gli aggiornamenti non sono positivi: resistere alla violenza del Capitale e al vuoto della religione borghese (1) si fa sempre più difficile. Tanti santuari di pietra, tante devozioni organizzate, adulatori in netto aumento, mentre continuano indisturbate le crocifissioni di poveri, precari, disoccupati e dissidenti. I trionfatori, quelli inseriti: tutti stressati, isterici e annoiati, nonostante giochi, luci e balli. Adolescenti e giovani che preferiscono scomparire, iniettandosi droga, davanti all’apparente immodificabilità della situazione sociale. Adolescenti e giovani che diventano bulli scolastici, di quartiere o da tastiera, perché le consuetudini della società dell’immagine non consentono le manifestazioni di fragilità.

Logiche del mondo

I servi dell’Impero intensificano le sessioni di studio (con obbligo di frequenza) dedicate alla normalizzazione dei cittadini. Si proiettano in aule multimediali slide descrittive degli effetti negativi della contestazione con tanto di foto shock. Relatori, esperti in manipolazione, scoraggiano la ricerca di alternative economiche. La creatività e la sensibilità vengono derise, l’obbedienza di tipo militare diventa il modello da assorbire. Il vantaggio personale deve imporsi sulla coscienza critica. Sono state anche istituite le Giornate dell’Elogio, dedicate alla propaganda in favore di gerarchie ed istituzioni, e contemporaneamente è stato introdotto il divieto di uso pubblico della parola: Popolo. Siamo costretti alla semiclandestinità. Non tollerano la preghiera silenziosa, considerata tempo improduttivo, e per dare piccoli aiuti ai mendicanti, o solo per parlarci, dobbiamo chiedere il permesso agli uffici preposti. Noi comunque proseguiamo seguendo la Parola che ci hai consegnato: contraddite l’iniquità.

(1) «La mancanza di persecuzione, in una situazione di ingiustizia, da parte di coloro che hanno il potere, costituisce alla lunga un segno irrefutabile della mancanza di coraggio evangelico della chiesa nella realizzazione della sua missione»
(Ignacio Ellacuría, citazione in José Ramos Regidor, Gesù e il risveglio degli oppressi. La sfida della teologia della liberazione, Mondadori, Milano 1981, p. 377)

le ‘malattie curiali’ secondo papa Francesco

papa Francesco

ecco le 15 ‘malattie’ della Curia

 

Papa Francesco: ecco le 15 'malattie' della Curia

 

Quindici «malattie», elencate e  spiegate una per una, nel dettaglio. Quindici sfumature di peccato, che nel suo secondo discorso alla Curia romana per gli auguri natalizi Francesco individua e spiega, invitando tutti a chiedere perdono a Dio. Quel Dio «che nasce nella povertà della grotta di Betlemme per insegnarci la potenza dell’umiltà», accolto non dalla gente «eletta» ma dalla gente «povera e semplice».

È un «vero esame di coscienza» quello che Papa Bergoglio chiede di fare ai suoi collaboratori, in preparazione alla confessione prima di Natale.

«Malattie» e «tentazioni» che non riguardano soltanto la Curia, ma «sono naturalmente – spiega – un pericolo per ogni cristiano e per ogni curia, comunità, congregazione, parrocchia, movimento ecclesiale». Ma che Francesco evidentemente identifica come atteggiamenti presenti innanzitutto nell’ambiente dove vive ormai da ventuno mesi. 

«Sarebbe bello – dice – pensare alla Curia romana come a un piccolo modello della Chiesa, cioè come a un “corpo” che cerca seriamente e quotidianamente di essere più vivo, più sano, più armonioso e più unito in se stesso e con Cristo». La Curia – come la Chiesa – non può vivere, aggiunge, «senza avere un rapporto vitale, personale, autentico e saldo con Cristo». E un membro della Curia che non si alimenta quotidianamente con quel cibo diventerà un burocrate. «Ci aiuterà il “catalogo” delle malattie – sulla strada dei Padri del deserto – di cui parliamo oggi, a prepararci alla confessione». 

La malattia del sentirsi «immortale» o «indispensabile»

«Una Curia che non fa autocritica, che non si aggiorna, che non cerca di migliorarsi è un corpo infermo». Il Papa ricorda che una visita ai cimiteri ci potrebbe aiutare a vedere i nomi di tante persone che «forse pensavano di essere immortali, immuni e indispensabili!». È la malattia di coloro che «si trasformano in padroni e si sentono superiori a tutti e non al servizio di tutti. Essa deriva spesso dalla patologia del potere, dal “complesso degli Eletti”, dal narcisismo». 

La malattia dell’eccessiva operosità

Quella di quanti, come Marta nel racconto evangelico, «si immergono nel lavoro, trascurando, inevitabilmente, “la parte migliore”: il sedersi sotto i piedi di Gesù». Il Papa ricorda che Gesù «ha chiamato i suoi discepoli a “riposarsi un po’” perché trascurare il necessario riposo porta allo stress e all’agitazione». 

La malattia dell’«impietrimento» mentale e spirituale

È di quelli che «perdono la serenità interiore, la vivacità e l’audacia e si nascondono sotto le carte diventando “macchine di pratiche” e non uomini di Dio», incapaci di «piangere con coloro che piangono e gioire con coloro che gioiscono!». 

La malattia dell’eccessiva pianificazione

«Quando l’apostolo pianifica tutto minuziosamente» e crede così facendo che «le cose effettivamente progrediscono, diventando così un contabile o un commercialista. Preparare tutto bene è necessario ma senza mai cadere nella tentazione di voler rinchiudere e pilotare la libertà dello Spirito Santo… È sempre più facile e comodo adagiarsi nelle proprie posizioni statiche e immutate». 

La malattia del mal coordinamento

È quella dei membri che «perdono la comunione tra di loro e il corpo smarrisce la sua armoniosa funzionalità» diventando «un’orchestra che produce chiasso perché le sue membra non collaborano e non vivono lo spirito di comunione e di squadra». 

La malattia dell’Alzheimer spirituale

Cioè «un declino progressivo delle facoltà spirituali» che «causa gravi handicap alla persona» facendola vivere in «uno stato di assoluta dipendenza dalle sue vedute spesso immaginarie». Lo si vede in chi ha «perso la memoria» del suo incontro con il Signore, in chi dipende dalle proprie «passioni, capricci e manie», in chi costruisce «intorno a sé dei muri e delle abitudini». 

La malattia della rivalità e della vanagloria

«Quando l’apparenza, i colori delle vesti e le insegne di onorificenza diventano l’obiettivo primario della vita… È la malattia che ci porta a essere uomini e donne falsi e a vivere un falso “misticismo” e un falso “quietismo”». 

La malattia della schizofrenia esistenziale

È quella di coloro che vivono «una doppia vita, frutto dell’ipocrisia tipica del mediocre e del progressivo vuoto spirituale che lauree o titoli accademici non possono colmare». Colpisce spesso coloro che «abbandonando il sevizio pastorale, si limitano alle faccende burocratiche, perdendo così il contatto con la realtà, con le persone concrete. Creano così un loro mondo parallelo, ove mettono da parte tutto ciò che insegnano severamente agli altri» e conducono una vita «nascosta» e spesso «dissoluta».


La malattia delle chiacchiere e dei pettegolezzi

«Si impadronisce della persona facendola diventare “seminatrice di zizzania” (come satana), e in tanti casi “omicida a sangue freddo” della fama dei propri colleghi e confratelli. È la malattia delle persone vigliacche che non avendo il coraggio di parlare direttamente parlano dietro le spalle… Guardiamoci dal terrorismo delle chiacchiere!».


La malattia di divinizzare i capi

È quella di coloro che «corteggiano i superiori», vittime «del carrierismo e dell’opportunismo» e «vivono il servizio pensando unicamente a ciò che devono ottenere e non a quello che devono dare». Sono «persone meschine», ispirate solo «dal proprio fatale egoismo». Potrebbe colpire anche i superiori «quando corteggiano alcuni loro collaboratori per ottenere la loro sottomissione, lealtà e dipendenza psicologica, ma il risultato finale è una vera complicità».


La malattia dell’indifferenza verso gli altri

«Quando ognuno pensa solo a se stesso e perde la sincerità e il calore dei rapporti umani. Quando il più esperto non mette la sua conoscenza al servizio dei colleghi meno esperti. Quando, per gelosia o per scaltrezza, si prova gioia nel vedere l’altro cadere invece di rialzarlo e incoraggiarlo».


La malattia della faccia funerea

È quella delle persone «burbere e arcigne, le quali ritengono che per essere seri occorra dipingere il volto di malinconia, di severità e trattare gli altri – soprattutto quelli ritenuti inferiori – con rigidità, durezza e arroganza». In realtà, aggiunge il Papa, «la severità teatrale e il pessimismo sterile sono spesso sintomi di paura e di insicurezza di sé. L’apostolo deve sforzarsi di essere una persona cortese, serena, entusiasta e allegra che trasmette gioia…». Francesco invita a essere pieni di humor e autoironici: «Quanto bene ci fa una buona dose di sano umorismo».


La malattia dell’accumulare

«Quando l’apostolo cerca di colmare un vuoto esistenziale nel suo cuore accumulando beni materiali, non per necessità, ma solo per sentirsi al sicuro».


La malattia dei circoli chiusi

Quando «l’appartenenza al gruppetto diventa più forte di quella al Corpo e, in alcune situazioni, a Cristo stesso. Anche questa malattia inizia sempre da buone intenzioni ma con il passare del tempo schiavizza i membri diventando “un cancro”».


La malattia del profitto mondano, degli esibizionismi

«Quando l’apostolo trasforma il suo servizio in potere, e il suo potere in merce per ottenere profitti mondani o più poteri. È la malattia delle persone che cercano insaziabilmente di moltiplicare poteri e per tale scopo sono capaci di calunniare, di diffamare e di screditare gli altri, perfino sui giornali e sulle riviste. Naturalmente per esibirsi e dimostrarsi più capaci degli altri». Una malattia che «fa molto male al corpo perché porta le persone a giustificare l’uso di qualsiasi mezzo pur di raggiungere tale scopo, spesso in nome della giustizia e della trasparenza!».

Francesco ha concluso ricordando di aver letto una volta che «i sacerdoti sono come gli aerei, fanno notizia solo quando cadono, ma ce ne sono tanti che volano. Molti criticano e pochi pregano per loro». Una frase «molto vera perché delinea l’importanza e la delicatezza del nostro servizio sacerdotale e quanto male potrebbe causare un solo sacerdote che “cade” a tutto il corpo della Chiesa».

Vatican Insider 

Andrea Tornielli

un grande urgente problema delle chiese cristiane

la teologa Cristina Simonelli e il ponte da costruire tra le Chiese e le persone Lgbt

“per amore civile e politico – evangelico” (Ls 231)

(intervento tenuto dalla teologa Cristina Simonelli* alla tavola rotonda tenuta al V Forum dei Cristiani LGBT (Albano Laziale, 5-7 ottobre 2018) il 6 ottobre 2018)

 Cristina Simonelli
in “www.gionata.org” del 13 ottobre 2018

Vi ringrazio dell’opportunità di essere oggi qui, insieme a voi. Porto me stessa, dunque con molti limiti e con un’esperienza parziale del tema, importante tuttavia per la mia stessa vita – e da qui inizierò. Porto anche inevitabilmente il mio ruolo, almeno uno dei miei ruoli attuali, quello di Presidente del Coordinamento delle Teologhe Italiane. Se servisse un titolo – in una Tavola rotonda non è del resto necessario – suggerirei “per amore civile e politico”: attraverso questa espressione che raccoglie una sezione di Laudato sì (nn.228232) vorrei infatti anche richiamare un breve articolo pubblicato per Munera[1] con lo stesso titolo, a indicare che quanto posso dire non lo esprimo solo oggi perché mi trovo qui, ma, nel suo limite, l’ho comunque già altrove e pubblicamente sostenuto. Civile e politico, ma anche più largamente personale ed evangelico. Trovo giusto richiamare qui anche l’appello che Francesca Carboni ha recentemente condiviso via change.org, intitolato “per amore”. In esso, ricordando un duplice episodio di violenza a Verona, chiedeva maggior rigore contro l’omofobia. Svolgerò la mia riflessione attorno ad alcuni punti.

1 Inizio da me: al di là di care amicizie, ad esempio quella con una mia carissima amica fin dall’infanzia e tuttora vicinissima, che è lesbica e con la quale parliamo con grande libertà da decenni, sono stata tirata dentro alla questione lgbt in maniera brusca ma importante. A seguito della questione gender – al momento un po’ sopita, mi pare – mi sono trovata – ricordo una prima volta a Torino – spostata da quello che intende il Coordinamento delle Teologhe Italiane (anche nello statuto associativo) con prospettiva di genere, a un discorso che riguardava unicamente l’omosessualità (nel discorso pubblico antigender resa comunque caricaturale). Al di là di questa vicenda ormai “compiuta” (difficile cambiare il percorso delle parole…), quello che secondo me era un difetto di comprensione, la resa parziale e distorta di un orizzonte più vasto (che non coincide con l’orientamento sessuale, anche se lo comprende), la violenza verbale che si è scatenata mi ha fatto capire moltissimo: se si scatena una reazione omofoba così forte, è qui che si deve lavorare, anzi questo è un orizzonte che deve essere assolutamente considerato e assunto. Quell’ira, quella violenza mi hanno fatto capire molto, mi hanno fatto incontrare persone nuove e persone che già conoscevo sotto altra luce. Da allora e in particolare dopo l’accrescersi dei toni in modo che nell’intenzione voleva essere offensivo dopo la presentazione a Vicenza del libro di Beatrice Brogliato e Damiano Migliorini, L’amore omosessuale, ho deciso che nel mio, nel nostro “paniere” debba stare sempre anche il tema dell’orientamento sessuale e del rigetto dell’omofobia. E questo anche se ritengo ancora che lo schiacciamento dell’orizzonte di genere in questo senso e, qualora ce ne sia il caso, la dissoluzione di un soggetto/donna non è utile per nessuno/a. A questo proposito, osservo che oggi in questa assemblea c’è una schiacciante maggioranza maschile[2]: anche questo aspetto, al di là dell’orientamento, sarebbe degno di un approfondimento.

2. Purificazione della memoria Il Giubileo del 2000 è stato contrassegnato anche da una cosa non frequente nella Chiesa cattolica, la Purificazione della memoria, ossia la richiesta di perdono collettivo, a nome di tutta la chiesa. E’ adesso il momento di riprenderla e ampliarla: certo comprendeva aspetti importantissimi, dalla imposizione della propria verità, alla discriminazione delle donne, alla discriminazione razziale, compresa quella dei Rom (questioni oggi più che mai urgenti). Oggi c’è la necessità non solo che la richiesta di perdono e il proposito di uscire da quel peccato diventino vie di concreta conversione, ma anche che le questioni siano allargate: serve una richiesta di perdono per l’omofobia, per come tante persone sono state disprezzate ed estromesse e anche costrette a mimetizzarsi.

3. Il ruolo svolto dalla teologia (come riflessione critica sulla fede, dunque nell’angolo visuale che mi compete, in relazione alla pastorale, ma con essa non coincidente) dovrebbe essere discusso in analogia con quello svolto/non svolto rispetto alla violenza domestica e contro le donne: anche il disinteresse, anche l’omissione e la tiepidezza rispetto al tema sono già colpevoli, quasi quanto la esplicita avversione, nel caso dell’orizzonte lgbt, o l’affermazione della necessaria sottomissione delle donne, nell’altro caso. Non mi riferisco solo all’ambito della teologia morale, che certamente ha mostrato e mostra un arco grande di posizioni, e in cui il dibattito è aperto. Mi riferisco trasversalmente a tutte le prospettive teologiche. Sembrano discorsi molto distanti dalla pastorale, a qualcuno danno addirittura l’impressione di essere astratti, avulsi dalla realtà, ma al di là dei metodi e dei linguaggi, interagiscono sempre con le pratiche, in quello che suggeriscono e in quello che recepiscono. E’ importante dunque che ne accolgano le istanze, che si lascino attraversare dalle domande, perché l’assenza corrisponde alla rimozione, alla cancellazione. Con la domanda aperta, si dovrebbe riattraversare costantemente l’insieme delle scienze teologiche. Per fare un esempio legato alle scienze bibliche, ci troviamo spesso davanti a un’esegesi che passa dal letteralismo più rigido alla allegoria più spinta, secondo… i casi. Così ad esempio si può dire dei codici familiari, nei quali si parla di sottomissione della donna e in cui compaiono anche prese di distanza dall’omoaffettività da una parte e, dall’altra, delle indicazioni evangeliche sul porgere l’altra guancia, su non poter servire due padroni: come ha più volte segnalato un’esegesi attenta ai procedimenti di genere, i codici vengono presi alla lettera, senza attenzione al contesto che li ha generati e indirizzati, mentre le indicazioni su non violenza e sobrietà passano velocemente a un registro simbolico e metaforico. Nello stesso modo, in Genesi 2,18 l’ezer kenegdo, la creazione dell’uomo e della donna che si guardano in volto reciprocamente (=aiuto che corrisponda), viene assunto in maniera letterale, ad escludere la sua interpretazione più larga come alterità che si guardano in volto comunque sia, quindi anche fra persone dello stesso sesso, ma non viene assunto nella stessa forma stretta “l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua donna” (v. 24), per vietare il celibato. In termini più generali devo dire che fino a tempi molto recenti non avevo misurato l’uso restrittivo dei molti passi evangelici che invitano all’accoglienza, al riconoscimento reciproco, alla pienezza della Legge riconoscibile nell’agape, alla benedizione, e infine alla potenza, anche in questo senso, dell’affresco escatologico del capitolo 25 di Matteo: «L’avete fatto a Me». Devo alla riflessione e alla pastorale lgbt il suggerimento di una lettura inclusiva di questi e di molti altri passi. Cose abbastanza simili si possono dire rispetto alla tradizione, che oltre ad essere concetto largo che contiene al suo interno diversi livelli, viene a volte esibita come macigno – perpetue servanda! – altre volte approda nell’idea del suo progresso, con disinvoltura degna di miglior causa.

4. Qualche parola a partire da P. Martin, nel libro (Un Ponte da costruire. Una relazione nuova tra la Chiesa e le persone LGBT, Marcianum Press, 2018) e nel video che abbiamo visto e ascoltato. Con grande apprezzamento per la sua chiarezza e determinazione, che non nascono oggi ma hanno il fondamento di una pratica pluriennale, mi permetto di fare una osservazione, per lo meno alla traduzione italiana. Martin legge le tre parole del catechismo della chiesa cattolica: rispetto, compassione, sensibilità. Ha come orizzonte di lettura un testo, autorevole certo, ma la cui autorevolezza non andrebbe esagerata. A parte il fatto che sia stato molto criticato a suo tempo anche come “operazione” negli ambienti della catechesi (in effetti è un’altra cosa!), è comunque una sintesi datata, non certo eterna o intangibile: a dimostrazione, è stata tolta la liceità della pena di morte, può essere tolto anche il “disordine oggettivo”!. Si tratta dunque di un documento che merita rispetto, sì, ma anche comprensione storica, critica, teologica e dunque dibattito.
Tornando dunque alle tre espressioni, rispetto è certo fondamentale, importantissimo. Ma compassione … in italiano “compassione”, al di là della etimologia suona proprio male…. Le parole non vivono solo di etimologia, hanno anche un uso corrente che ne modifica l’intenzione… Sim/patia, che ha la stessa etimologia, in italiano ha tutta un’altra eco. Mi sembra meglio rispetto e simpatia, e dunque anche sensibilità suonerebbe diversamente. E un’altra piccola integrazione al video, alla lettura di Gv 4, l’incontro di Gesù al pozzo con la donna di Samaria: le prime parole di Gesù sono una richiesta, “Dammi da bere”. Non strategia, non “furbizia pastorale”. Ho bisogno, ho bisogno di te, ho bisogno dell’acqua che puoi darmi tu, tu sei un dono per me e come tale ti riconosco, ti onoro, ti chiedo di non privarmene.

5. Un convitato di pietra: la sessualità. In molti discorsi ecclesiali aleggia un non detto, che è un problema serio, ed è un disagio nei confronti della sessualità Non è poi così passata la costruzione – sessuofobica, senza dubbio – secondo cui tutto ciò che riguarda il sesto comandamento è… materia grave!!! Mi permetto di fare il paragone fra la affettività che si esprime anche nella sessualità nelle coppie lgbt e nelle coppie che vivono una seconda unione dopo il divorzio. Da che fantasmi può nascere l’indicazione, parlo dei divorziati risposati, di vivere come fratello e sorella? Da quali sfondi può provenire un’indicazione del genere? Lo stesso vale per le coppie lgbt: affettività e non sessualità, perché? In questo senso ci sono molti esami di coscienza da fare. E ci sono compiti di riflessione, che non vanno nella direzione di “tutto è lo stesso”. Non tutto è lo stesso, piuttosto astinenza imposta e occasionalità sistematica sono forse due facce di una stessa medaglia, che fatica a confrontarsi con il rispetto e la fedeltà nella relazione. A questo proposito, molto importante la riflessione di Migliorini sulla castità, verso la fine del libro: il termine ha di per sé molte accezioni, può significare anche non avere rapporti sessuali – ed è una modalità che se scelta è importante e degna di rispetto! – ma significa anche rispetto nell’amore, significa quello che viene espresso nel consenso matrimoniale “prometto di amarti e onorarti”. Onorarti è molto importante, questa è castità! Farei riferimento anche al contributo del vescovo di orano, Mons. Vesco (Ogni vero amore è indissolubile) in vista del Sinodo sulle famiglie. Ripensando la tradizione teologica e morale, con acribia, viene a dire che anche nella seconda unione ci sono le caratteristiche di purezza, di grandezza, di serietà e fedeltà. Credo che anche in questo caso la riflessione si possa estendere in un orizzonte lgbt (denominazione un po’ faticosa, con acronimo in continua estensione.. iq.. ). Si potrebbe ricordare la recente canzone di Luca Carboni, “Io non voglio”: non voglio fare l’amore, voglio un miracolo… cioè voglio’ di più, non di meno! 6. Rechobot: in Genesi, si apre a un certo punto uno spazio sui pozzi (26,15-25), ce ne sono diversi (si pensi a quello “della visione” che sarebbe il pozzo di Agar) e spesso per essi le persone litigano. Poi per un pozzo non litigano, e lo chiamano Rechobot (plurale di Rahab) spazi liberi, perché dicono Il Signore ci ha dato spazio. In un mondo (e la chiesa in esso) tanto connesso quanto pieno di muri (cfr. Tim Marshall, I muri che ci dividono… ) Janet Napolitano scrive, riferendosi al confine fra Messico e Usa, Mostratemi un muro alto 15 metri e io vi mostrerò una scala di 15 metri e mezzo… Con una scala così o, come suggerisce Ef 2, abbattendo in noi e nei nostri corpi i muri che si frappongono, ci affidiamo a chi non perde neanche uno iota, neanche una briciola di pane, neanche un passerotto e affidiamo noi stessi anche le nostre comunità: Sappiamo infatti quello che siamo, non ancora quello che saremo, ma saremo simili al suo Volto, che guarderemo di faccia (cfr 1 Gv 3,1-2).

* Cristina Simonelli è nata a Firenze il 24 maggio 1956. Dal 1976 al 2012 ha vissuto in un accampamento Rom, prima in Toscana, poi a Verona. Figura di spicco del mondo femminile ecclesiale italiano e internazionale, è dal 2013 la Presidente del Coordinamento delle Teologhe Italiane. È docente di teologia patristica a Verona (San Zeno, San Bernardino, San Pietro Martire) e presso la Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale (Milano). Ha commentato per Piemme l’Enciclica di papa Francesco Laudato si’. Sulla cura della casa comune (2015).
[1] Munera 2/2017, 25-35. Questo il passo dell’enciclica: L’amore […] è anche civile e politico, e si manifesta in tutte le azioni che cercano di costruire un mondo migliore. L’amore per la società e l’impegno per il bene comune sono una forma eminente di carità, che riguarda non solo le relazioni tra gli individui, ma anche «macro-relazioni, rapporti sociali, economici, politici» (LS 231) [2] Mi permetto di suggerire la lettura, per me recentissima, di Anna Segre, 100 punti di lesbicità (secondo me), Ellint, Roma 2018

esiste anche una Lucca ospitale

a Lucca sempre più famiglie ospitano migranti a cena

grande successo per il progetto ‘Aggiungi un posto a tavola’. Rispetto all’edizione della scorsa estate, quest’anno il numero dei partecipanti è raddoppiato

aggiungi un posto a tavola

Sempre più famiglie ospitano un migrante in famiglia. Lo dimostra il successo ottenuto dalla seconda edizione di “Aggiungi un posto a tavola”, il progetto nato per favorire l’integrazione dei migranti, ideato dalla Cooperativa sociale Odissea (gruppo Co&So) insieme all’Osservatorio per la Pace del Comune di Capannori, alla Caritas della Diocesi di Lucca e alla Cooperazione Missionaria Diocesi di Lucca. In due mesi, sono state 26 le famiglie che hanno chiesto di partecipare invitando a cena un richiedente asilo ospitato nelle strutture di accoglienza gestite da Odissea a Lucca e a Capannori.

Le cene realizzate per il momento sono state 22 (altre saranno organizzate a breve), per un totale di 25 migranti, tra i 17 e i 30 anni. Rispetto all’edizione della scorsa estate, quest’anno il numero dei partecipanti è raddoppiato, e il coinvolgimento ha fatto un decisivo salto di qualità. «Il progetto ha raggiunto anche famiglie che non gravitavano intorno alla nostra cooperativa e che sono venute a sapere dell’opportunità attraverso i social e i volantini che avevamo distribuito. Abbiamo avuto richieste non solo da Capannori, ma anche da Lucca, da Pisa e dalla Versilia» racconta Patricia Barsi di Odissea, che ha curato la parte organizzativa di “Aggiungi un posto a tavola”.

«Tanti i nuclei con figli adolescenti, che grazie al nostro progetto hanno potuto incontrare coetanei con storie molto diverse dalle loro. Inoltre, siamo stati contattati anche da alcune associazioni del territorio che desideravano fare questa esperienza insieme ai loro soci. Inoltre, ci ha fatto piacere scoprire che molte famiglie hanno continuato a coinvolgere i migranti nelle loro attività, a dimostrazione che l’integrazione è possibile e passa attraverso la conoscenza».

ho compreso le ‘beatitudini’ …

testimonianze

«Se arrivava una delegazione di campesinos Romero lasciava anche la più importante delle riunioni per ascoltarli. Il soggetto dialogante per lui era il popolo. Gli altri -governo, politici, gente importante- erano solo un contorno»

M.J. Hernández

 

Le testimonianze che ci cambiano la vita sono quelle che vengono dal basso. Raramente quelle pronunciate da un pulpito (da ministri di Dio che si riducono a funzionari), mai quelle biascicate da una poltrona (da politici che si riducono a servi di regime), da un salotto (da studiosi/pensatori/scrittori/artisti che si riducono a intellettuali prezzolati).

 

Ho compreso le beatitudini (1) ascoltando i poveri, gli sconfitti, i derisi, gli emarginati.

Ho compreso la povertà in spirito da chi, vivendo nel fango in paesi martoriati da feroci dittature, confidava con dignità nella Provvidenza.

Ho compreso l’afflizione da una madre che aveva appena perso suo figlio, ucciso dalla disoccupazione e dall’assenza di speranza.

Ho compreso la mitezza da uno di quei ragazzi che con i nostri paraocchi di lusso chiamiamo disabili.

Ho compreso la fame e sete della giustizia da un lavoratore sfruttato che non ha ceduto al ricatto dell’azienda, pagando con il licenziamento.

Ho compreso la misericordia da una donna che è riuscita a perdonare suo padre per averla abbandonata.

Ho capito la purezza del cuore da un povero che pregando mi ha benedetto.

Ho compreso la pace da chi si è opposto alle devastazioni ambientali adottando pratiche di nonviolenza attiva.

Ho compreso la persecuzione a causa della giustizia da chi si è schierato con gli oppressi contro le dittature militari, le oligarchie, le multinazionali, perdendo la vita o subendo l’esilio, il carcere.

(1) Vangelo di Matteo 5,1-12: Vangelo di Luca 6,20-23

testo di Arturo Paoli:

«La sola adorazione della croce che mi è entrata profondamente è quella che ho scoperto tra i minatori in Sardegna che non erano praticanti né alienati, e lottavano fortemente per la giustizia, e scoprivano, attraverso parole molto semplici, il Crocifisso come un fratello, il compagno di una sofferenza che non volevano»

(Arturo Paoli, Dialogo della liberazione, Morcelliana, Brescia 1969,  p.152)

il capitalismo è una bestia feroce

la bestia

e amare Dio significa combattere la bestia

sulle croci che piegano la dignità di milioni di persone occorrerebbe scrivere: vittima del sistema economico. È una struttura di peccato che uccide in molti modi: con sfruttamento, precarietà, disoccupazione, mancanza di sicurezza, inquinamento

Per comprendere il funzionamento del capitalismo è sufficiente leggere l’Esodo:

«In quel giorno il faraone diede questi ordini ai sorveglianti del popolo e ai suoi scribi: “Non darete più la paglia al popolo per fabbricare i mattoni come facevate prima. Si procureranno da sé la paglia. Però voi dovete esigere il numero di mattoni che facevano prima, senza ridurlo. Perché sono fannulloni; per questo protestano”» (Esodo 5, 6-8).

Su molte tombe occorrerebbe scrivere: vittima del sistema economico (1). E lo stesso sulle croci che piegano la dignità di milioni di persone. È una struttura di peccato che uccide in molti modi: con lo sfruttamento, con la precarietà, con la disoccupazione, con la mancanza di sicurezza, con l’inquinamento. Intanto la propaganda, a servizio del Capitale, rasserena il gregge, iniettando parole manipolate: morti bianche, fatalità, esigenze del mercato. Poi con l’appropriazione indebita (ma garantita dal c.d. Stato) dei mezzi di produzione, pochi privilegiati, dopo essersi assicurati le nostre braccia, gambe e menti, si comprano pure l’anima convincendoci ad aderire alle loro deviazioni etiche/esistenziali/umane. Sfruttati, ci manifestiamo riconoscenti di essere lasciati (a differenza di altri) ancora per un po’ in vita. Sfruttati, ci godiamo l’opportunità di essere inseriti nella mission aziendale (comprese: costruzioni di armi, produzioni contaminanti, servizi indegni come il business dell’azzardo etc.). È un grande privilegio, infatti si deve superare una dura selezione per poter contribuire, con il proprio sangue, a gonfiare i profitti dei professionisti dell’iniquità.

«hanno venduto il giusto per denaro e il povero per un paio di sandali; essi che calpestano come la polvere della terra la testa dei poveri» (Amos 2,6-7)

Così acquistati, a saldo, dal capitalismo, e marchiati dall’incertezza, ci dirigiamo, comunque, alle catene di montaggio meccaniche (fabbriche), telefoniche (call center), e altre varianti (logistica, edilizia, agricoltura etc) con la magliettina del campione milionario, venduta dalla società modello: quella che all’aumentare degli utili diminuisce i posti di lavoro. Intanto rinunciamo alla genitorialità, oppure la rinviamo al momento della pensione. Se, invece, in un momento di protesta nei confronti del regime, abbiamo concepito dei figli possiamo assicurargli, nei casi più fortunati, la sopravvivenza ma non la formazione. Possiamo comprare cose, finanziare studi e sport ma non possiamo dargli l’esempio. Non abbiamo tempo: l’ha comprato il capitalista. Per gli anziani discorso chiuso: c.d. badanti (signore iper laureate che, per lavoro, ‘abbandonano’ i familiari ed accudiscono anziani, a loro volta, ‘abbandonati’, per lavoro, dai familiari) o c.d. case di riposo (parcheggi di umani davanti alla TV, cioè al nulla). Il capitalismo divide, distrugge, deforma. Non è sufficiente protestare, denunciare. I suoi sostenitori non hanno né cuore, né orecchie: rimangono loro, appena, i sentimenti di un portafoglio e la solidarietà di una carta di credito. Fino a quando non negheremo la nostra collaborazione alle logiche di morte non vedremo «nuovi cieli e una terra nuova» (2). Fino a quando non immagineremo e costruiremo una diversa umanità, delle relazioni fraterne, libere e senza soprusi non potremo ascoltare quelle cose inaudite che Dio ha preparato per coloro che lo amano (3). E amare Dio significa combattere la bestia.

(1) Cfr. «Questa economia uccide» (Papa Francesco, Evangelii Gaudium 53)

(2) 2Pietro 3,13

(3) 1Corinzi 2,9

lettera ai vescovi Italiani per contrastare la cultura intollerante e razzista

 

un gruppo di presbiteri e laici ha scritto una lettera ai Vescovi italiani perché intervengano sul dilagare della cultura intollerante e razzista

Roma, 14 luglio 2018

Eminenza Reverendissima Mons. Gualtiero Bassetti, presidente della CEI

Eccellenze Reverendissime, Vescovi delle Chiese Cattoliche in Italia,

vi scriviamo per riflettere con voi su quanto sta attraversando, dal punto di vista culturale, il nostro Paese e l’intera Europa.

Cresce sempre più una cultura con marcati elementi di rifiuto, paura degli stranieri, razzismo, xenofobia; cultura avallata e diffusa persino da rappresentanti di istituzioni.

In questo contesto sono diversi a pensare che è possibile essere cristiani e, al tempo stesso, rifiutare o maltrattare gli immigrati, denigrare chi ha meno o chi viene da lontano, sfruttare il loro lavoro ed emarginarli in contesti degradati e degradanti. Non mancano, inoltre, le strumentalizzazioni della fede cristiana con l’uso di simboli religiosi come il crocifisso o il rosario o versetti della Scrittura, a volte blasfemo o offensivo.

I recenti richiami – in primis dei cardinali Parolin e Bassetti – al tema dell’accoglienza sono il punto di partenza; ma restano ancora poche le voci di Pastori che ricordano profeticamente cosa vuol dire essere fedeli al Signore nel nostro contesto culturale, iniziando dall’inconciliabilità profonda tra razzismo e cristianesimo. Un vostro intervento, in materia, chiaro e in sintonia con il magistero di papa Francesco, potrebbe servire a dissipare i dubbi e a chiarire da che parte il cristiano deve essere, sempre e comunque, come il Vangelo ricorda. Come ci insegnate nulla ci può fermare in questo impegno profetico: né la paura di essere fraintesi o collocati politicamente, né la paura di perdere privilegi economici o subire forme di rifiuto o esclusione ecclesiale e civile.

E’ così grande lo sforzo delle nostre Chiese nel soccorrere e assistere gli ultimi, attraverso le varie strutture e opere caritative. Oggi riteniamo che l’urgenza non sia solo quella degli interventi concreti ma anche l’annunciare, con i mezzi di cui disponiamo, che la dignità degli immigrati, dei poveri e degli ultimi per noi è sacrosanta perché con essi il Cristo si identifica e, al tempo stesso, essa è cardine della nostra comunità civile che deve crescere in tutte le forme di “solidarietà politica, economica e sociale” (Art. 2 della Costituzione).

Grati per la vostra attenzione e in attesa di un vostro riscontro, vi salutiamo cordialmente.

firmatari in ordine alfabetico

  1. Luigi ADAMI, parroco, già delegato diocesano per l’Ecumenismo, Verona
  2. Ambroise ATAKPA, docente Teologia Dogmatica, Pontificia Università Urbaniana, Roma
  3. Maria Cristina BARTOLOMEI, già docente Filosofia della religione, università statale di Milano; socia Coordinamento Teologhe Italiane;
  4. Fernando BELLELLI, già vicario foraneo, presidente dell’ass. Spei lumen, Modena-Nonantola
  5. Renata BEDENDO, docente di Islam, ISSR San Pietro Martire, Verona
  6. Andrea BIGALLI, docente di Cinema ISSR, riv. Testimonianze e Libera Toscana, Firenze
  7. Carlo BOLPIN, presidente Associazione Esodo, Venezia
  8. Giorgio BORRONI, direttore diocesano Caritas e Pastorale Sociale, Novara
  9. Alfonso CACCIATORE, docente di religione e giornalista pubblicista, consulta diocesana di Pastorale Sociale, Agrigento
  10. Liberato CANADA’, direttore diocesano Pastorale Turismo e Tempo Libero, Melfi (Pz)
  11. Anna CARFORA, docente Storia della Chiesa, Facoltà Teologica Italia Meridionale, Napoli
  12. Claudio CIANCIO, docente emerito di Filosofia Teoretica, Università del Piemonte Orientale, Torino
  13. Bruna COSTACURTA, docente di Teologia Biblica, Pontificia Università Gregoriana, Roma
  14. Pasquale COTUGNO, direttore diocesano Pastorale Sociale e Migrantes, Cerignola-Ascoli S. (Fg)
  15. Dario CROTTI, direttore diocesano Caritas, Pavia
  16. Mario CUCCA, docente di Teologia Biblica, Pontificia Università Antonianum e Pontificia Università Gregoriana, Roma
  17. Elena CUOMO, docente di Filosofia Politica, università Federico II di Napoli
  18. Chiara CURZEL, docente di patrologia, Trento
  19. Rocco D’AMBROSIO, docente Filosofia Politica, Pontificia Università Gregoriana, Roma
  20. Michele DEL CAMPO, direttore diocesano Pastorale Sociale, Prato,
  21. Saverio DI LISO, docente di Filosofia, Facoltà Teologica Pugliese, Bari
  22. Sergio DI VITO, docente, capo AGESCI, Caserta
  23. Simone DI VITO, direttore diocesano Ufficio Scuola e Pastorale Sociale, Gaeta (Lt)
  24. Sergio DURANDO, direttore diocesano e incaricato regionale Migrantes, Piemonte e Valle d’Aosta, Torino
  25. Franco FERRARA, presidente centro studi Erasmo, Gioia (Ba)
  26. Franco FERRARI, presidente associazione Viandanti, Parma
  27. Francesco FIORINO, direttore Opera di Religione G. Di Leo, Mazara del Vallo (Tp)
  28. Domenico FRANCAVILLA, direttore diocesano Caritas, Andria (Bt)
  29. Rita GARRETTA, comunità Orsoline casa Ruth, Caserta
  30. Graziano GAVIOLI, fidei donum Arcidiocesi di Manila, già direttore diocesano Pastorale Scolastica, Modena-Nonatola
  31. Paolo GASPERINI, vicario per la pastorale, Senigallia (An)
  32. Claudio GESSI, incaricato regionale Pastorale Sociale, Lazio, Velletri-Segni
  33. Giorgio GHEZZI rel. sacramentino, volontario Centro Astalli, Roma
  34. Tommaso GIACOBBE, ingegnere, Torino
  35. Annalisa GUIDA, docente Sacra Scrittura, Facoltà Teologica Italia Meridionale, Napoli
  36. Luigi Mariano GUZZO, docente di Beni Culturali, Università Magna Graecia, Catanzaro
  37. Domenico LEONETTI, direttore diocesano Caritas, Sorrento-Castellamare (Na)
  38. Flavio LUCIANO, direttore diocesano e incaricato regionale Pastorale Sociale, Piemonte e Valle d’Aosta, Cuneo
  39. Pierangelo MARCHI, rel. sacramentino, resp. Casa Zaccheo, Caserta
  40. Fabrizio MANDREOLI, docente di Teologia, Facoltà Teologica dell’Emilia Romagna, Bologna
  41. Antonino MANTINEO, docente di Diritto ecclesiastico, Università Magna Graecia,  Catanzaro
  42. Gianni MANZIEGA, prete operaio, direttore redazionale della rivista Esodo, Venezia
  43. Luigi MARIANO, docente di Etica economica, Pontificia Università Gregoriana, Roma
  44. Pietro MARIDA, parroco emerito, Salerno
  45. Virgilio MARONE, direttore diocesano e incaricato regionale Ufficio Scuola, Nola (Na)
  46. Stefano MATRICCIANI, parroco, Roma
  47. Roberto MELIS, direttore diocesano e incaricato regionale Centri Missionari, Piemonte e Valle d’Aosta, Biella (Bi)
  48. Mario MENIN, docente Teologia sistematica, St. Teologico Interd., Reggio Emilia
  49. Carmine MICCOLI, direttore diocesano Pastorale Sociale, diocesi di Lanciano-Ortona,
  50. Luigi MILANO, già direttore diocesano ufficio Catechesi, Sorrento-Castellamare (Na)
  51. Simone MORANDINI, vicepreside Istituto di Studi Ecumenici San Bernardino, Venezia
  52. Franco MOSCONI, monaco camaldolese, eremo S. Giorgio, Bardolino (Vr)
  53. Mimmo NATALE, direttore diocesano Pastorale Sociale, Altamura-Gravina- Acquaviva (Ba)
  54. Serena NOCETI, docente Teologia Sistematica, ISSR S. Caterina da Siena, Firenze
  55. Emilia PALLADINO, docente di Dottrina Sociale della Chiesa, Pontificia Università Gregoriana, Roma
  56. Giacomo PANIZZA, docente Scienze Politiche, Università della Calabria, vicedirettore Caritas, Lamezia Terme
  57. Fabio PASQUALETTI, decano Facoltà Scienze della Comunicazione, Università Pontificia Salesiana, Roma
  58. Salvatore PASSARI, docente di Filosofia, Torino
  59. Giovanni PERINI, direttore diocesano e incaricato regionale Caritas, Piemonte e Valle d’Aosta, Biella (Bi)
  60. Marinella PERRONI, docente Nuovo Testamento, Pontificio Ateneo S. Anselmo, Roma
  61. Enrico PEYRETTI, Centro Studi Sereno Regis, Torino
  62. Giannino PIANA, già docente di Etica cristiana, ISSR Libera Università di Urbino
  63. Vito PICCINONNA, direttore diocesano Caritas, Bari
  64. Fabrizio PIERI, docente di Teologia Biblica, Pontificia Università Gregoriana, Roma
  65. Giuseppe PIGHI, magistrato, capo AGESCI, Modena
  66. Elisabetta PLATI, vicedirettrice diocesana Caritas, Mazara del Vallo (Tp)
  67. Francesco PREZIOSI, parroco, Modena-Nonantola
  68. Angelo ROMEO, docente di sociologia, università di Perugia
  69. Renato SACCO, coordinatore nazionale di Pax Christi, Novara
  70. Giorgia SALATIELLO, docente di Filosofia, Pontificia Università Gregoriana, Roma
  71. Fedele SALVATORE, docente Religione, presidente cooperativa Irene 95, Marigliano (Na)
  72. Paolo SALVINI, parroco, Roma
  73. Francesco SANNA, docente di Statistica, La Sapienza e Pontificia Università Gregoriana, Roma
  74. Felice SCALIA, gesuita, rivista Presbyteri, Messina
  75. Giorgio SCATTO, priore della Comunità monastica di Marango, Venezia
  76. Stefano SCIUTO, già ordinario di Fisica Teorica, Università di Torino
  77. Ettore SENTIMENTALE, vicario episcopale della zona jonica, Messina-Lipari-S. Lucia del Mela
  78. Ettore SIGNORILE, vicario giudiziale Tribunale Ecclesiastico Regionale Piemontese,
  79. Guido SIGNORINO, docente Economia Applicata, università di Messina,
  80. Giuseppe SILVESTRE, vicario diocesano zonale, docente di Ecumenismo, Catanzaro-Squillace
  81. Cristina SIMONELLI, docente di Teologia Patristica, Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale, presidente del Coordinamento Teologhe Italiane, Verona
  82. Stefano SODARO, direttore de Il Giornale di Rodafà, Trieste
  83. Bartolomeo SORGE, gesuita, già direttore de “La Civiltà Cattolica” e di “Aggiornamenti Sociali”, Milano
  84. Piero TANI, economista, Firenze
  85. Sergio TANZARELLA, docente Storia della Chiesa, Facoltà Teologica Italia Meridionale, Napoli
  86. Maurizio TARANTINO, direttore diocesano Caritas, Otranto (Le)
  87. Debora TONELLI, docente di Filosofia Politica, Fondazione Bruno Kessler e CSSR, Trento
  88. Carmelo TORCIVIA, direttore diocesano Ufficio Pastorale, docente di Teologia Pastorale, Palermo
  89. Rita TORTI, curatrice del blog Il Regno delle donne – Il Regno, Parma
  90. Marco VALENTI, parroco, Roma
  91. Adriana VALERIO, docente di Storia del Cristianesimo, università Federico II, Napoli
  92. Marco VERGOTTINI, teologo, Milano
  93. Dario VITALI, docente di Ecclesiologia, Pontificia Università Gregoriana, Roma
  94. Pio ZUPPA, docente di Teologia pastorale, Facoltà Teologica Pugliese, parroco Cattedrale Troia (Fg)

firme in ordine alfabetico ricevute dopo la pubblicazione (e invio ai vescovi) del 14 luglio 2018

95. Mario CANTILENA, docente Letteratura greca, università cattolica, Milano

96. Pierluigi CONSORTI, docente nel dipartimento di giurisprudenza, presidente Associazione dei docenti universitari della disciplina giuridica del fenomeno religioso (ADEC), Pisa

97. Severino DIANICH, docente emerito Ecclesiologia, Facoltà Teologica, Firenze

98. Giovanni FERRETTI, professore emerito Filosofia teoretica, università di Macerata, rettore Chiesa di San Lorenzo, Torino

99. Clementina MAZZUCCO, già docente di Letteratura cristiana antica, Università di Torino

100. Filippo ROTA, direttore del giornale dei Missionari Saveriani, Brescia

101. Luigi DE PINTO, docente Filosofia, Facoltà Teologica Pugliese, Bisceglie (Bt)


 

PER INFORMAZIONI

don Giorgio Borroni, Novara – 348 8120572 – direttorecaritas@diocesinovara.it

don Rocco D’Ambrosio, Roma – 339 4454584 – r.dambrosio@unigre.it

don Francesco Fiorino, Marsala (Tp) – 393 9114018‬ – francesco.std@gmail.com

prof.ssa Cristina Simonelli, Verona – 333 2274992 – cristinasimonelli@teologiaverona.it

prof. Sergio Tanzarella, Caserta – 349 8119835 – sergiotanzarella@storiadelcristianesimo.it

PER ADERIRE:
Invia una mail a adesioni@cercasiunfine.it
indicando Nome e COGNOME, incarico e/o professione, Città.

la chiesa protesta contro la politica razzista

la chiesa contro i razzisti

inaccettabile far politica sulla pelle dei migranti

monsignor Angelo Becciu lancia un monito ai nostri governanti: sarà impopolare oggi difendere gli emarginati ma né il Papa, né la Chiesa possono venir meno alla loro missione

Papa Francesco e i migranti

papa Francesco e i migranti

Basta con il razzismo e la xenofobia. Sopratutto quando chi è al governo cerca consento prendendosela con i più deboli.

“Una chiarezza sull’argomento era necessaria, che siano solo i Paesi fisicamente più esposti come l’Italia o la Grecia ad assumersi il peso dell’accoglienza e non tutta l’Unione europea non è giusto ma che si utilizzino le navi cariche di esseri umani per far avanzare posizioni politiche è inaccettabile”.

Lo ha detto all’agenzia Ansa il sostituto della Segreteria di stato vaticana, monsignor Angelo Becciu, cardinale nel concistoro di domani, a proposito della linea dura del governo sui migranti.

“Ricordo quanto il Papa ha recentemente detto – aggiunge Becciu -: gli immigrati sono esseri umani non numeri! Sarà impopolare oggi difendere gli emarginati ma né il Papa, né la Chiesa possono venir meno alla loro missione”.

ode alla vita

contro una morte lenta

 

Lentamente muore
chi diventa schiavo dell’abitudine,
ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi,
chi non cambia la marcia,
chi non rischia e cambia colore dei vestiti,
chi non parla a chi non conosce.

Muore lentamente
chi fa della televisione il suo guru.
Muore lentamente chi evita una passione,
chi preferisce il nero su bianco
e i puntini sulle “i”
piuttosto che un insieme di emozioni,
proprio quelle che fanno brillare gli occhi,
quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso,
quelle che fanno battere il cuore
davanti all’errore e ai sentimenti.

Lentamente muore
chi non capovolge il tavolo
quando è infelice sul lavoro,
chi non rischia la certezza per l’incertezza
per inseguire un sogno,
chi non si permette almeno una volta nella vita,
di fuggire ai consigli sensati.

Lentamente muore
chi non viaggia,
chi non legge,
chi non ascolta musica,
chi non trova grazia in sé stesso.

Muore lentamente
chi distrugge l’amor proprio,
chi non si lascia aiutare
chi passa i giorni a lamentarsi
della propria sfortuna o della pioggia incessante.

Lentamente muore
chi abbandona un progetto prima di iniziarlo,
chi non fa domande sugli argomenti che non conosce o non risponde quando gli chiedono qualcosa che conosce.

Evitiamo la morte a piccole dosi,
ricordando sempre che essere vivo
richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di respirare.

Soltanto l’ardente pazienza
porterà al raggiungimento di una splendida felicità.

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