p. Maggi commenta il vangelo di domani : Lc 11, 1-13

bellissima

Commento al vangelo della diciassettesima domenica del tempo ordinario (28.7.2013) da parte di p. Maggi: “CHIEDETE E VI SARA’ DATO ” Lc 11,1-13

Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli». Ed egli disse loro: «Quando pregate, dite:
“Padre, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno; dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano, e perdona a noi i nostri peccati, anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore, e non abbandonarci alla tentazione”».
Poi disse loro: «Se uno di voi ha un amico e a mezzanotte va da lui a dirgli: “Amico, prestami tre pani, perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da offrirgli”; e se quello dall’interno gli risponde: “Non m’importunare, la porta è già chiusa, io e i miei bambini siamo a letto, non posso alzarmi per darti i pani”, vi dico che, anche se non si alzerà a darglieli perché è suo amico, almeno per la sua invadenza si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono.
Ebbene, io vi dico: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto. Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà una serpe al posto del pesce? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!».

Il Padre Nostro ci è giunto in tre versioni, quella di Matteo, quella di Luca, e una nel primo catechismo della chiesa, chiamato Didaché, cioè insegnamento.
Probabilmente – e adesso la vedremo – quella del Vangelo di Luca è la più antica, perché era caratteristica degli scrittori quella di aggiungere alle parole, all’insegnamento di Gesù, ma mai d

 togliere. E quella di Luca, come vedremo, è la più breve. Quindi forse qui abbiamo la preghiera originale insegnata da Gesù.
Il contesto qual è? Gesù sta in un luogo a pregare. L’evangelista Luca è quello che, più degli altri, presenta Gesù in preghiera, ma mai in sinagoga o nel tempio. Quando Gesù va nel tempio o nella sinagoga, va per insegnare e il suo insegnamento significa liberare le persone dalla dottrina religiosa che veniva loro imposta per aprirli all’amore del Padre.
Per farli passare dall’obbedienza alla legge, all’accoglienza del suo amore.
Ebbene i discepoli non chiedono a Gesù che insegni a pregare come lui prega e neanche pregano con lui, ma vogliono una preghiera come quella che Giovanni Battista ha insegnato ai suoi discepoli, che li distingua dagli altri.
Ebbene Gesù non da regole, non da formule, né orari, ma da uno stile di vita. Vediamolo.
Anzitutto, per rivolgersi a Dio, non ci si rivolge in maniera religiosa, con tutti quei titoli, quei termini altisonanti “Altissimo, Eccelso, ecc.”, ma nella comunità dei seguaci di Gesù ci rivolge a Dio chiamandolo “Padre”.
Dio non vuole dei sacerdoti incensanti, non vuole dei devoti, ma vuole dei figli. Padre, nella cultura dell’epoca, è colui che trasmette al figlio tutta la propria vita, tutta la propria esistenza. Quindi si riconosce in Dio la fonte della vita, allora ci si rivolge a lui chiamandolo “Padre”.
E la prima richiesta è “Sia santificato il tuo nome”. Il verbo “santificare” significa consacrare, cioè riconoscere il valore di qualcosa. Allora la comunità, nella preghiera che Gesù insegna, dice “sia riconosciuto questo tuo nome”, cioè Dio deve essere riconosciuto come Padre e il Padre che Gesù ha presentato è il Padre il cui amore non distingue tra buoni e cattivi, ma su tutti si riversa, il Padre che non guarda i meriti delle persone, ma guarda i bisogni.
Allora Gesù invita la comunità a chiedere “questo sia il nome con cui devi essere riconosciuto, cioè un Padre”, non il Dio che premia, che castiga, il Dio da temere, ma un Padre, il cui amore è incondizionato.
Poi la richiesta è non tanto “Venga il tuo Regno”, ma il verbo significa “si estenda questo tuo regno”. Dal momento che c’è una comunità di discepoli che ha accolto le beatitudini di Gesù, il Regno di Dio c’è già. Per “Regno di Dio”, si intende non naturalmente uno spazio geografico, ma quell’ambito dove Dio governa i suoi e Dio non governa imponendo leggi che devono osservare, ma Dio governa comunicando il suo Spirito, la sua stessa capacità d’amore.
Poi abbiamo detto che il Padre Nostro ci è stato consegnato in tre versioni, ebbene tutte e tre le versioni contengono una parola greca che, nella lingua greca, non esiste, e a tuttora non si sa cosa significhi. “Dacci oggi il nostro pane …” , e poi c’è un termine che Girolamo, il primo grande traduttore del Vangelo, tradusse nel Vangelo di Matteo con il termine “supersostanziale”, cioè un pane che va al di là della sostanza, nel Vangelo di Luca tradusse con “quotidiano”, il pane di ogni giorno, poi nella versione liturgica è stato scelto il Vangelo di Matteo, ma è stato
 
sostituito il “supersostanziale” con il più facile “quotidiano”, che però crea l’equivoco come se a Dio bisognasse chiedere il pane.
E Gesù l’ha detto chiaramente “non preoccupatevi di quello che mangerete”. Allora questo pane che va al di là della sostanza, chi è? E’ la figura di Gesù. Gesù è a la fonte di vita della comunità; fonte di vita come Parola e come pane nell’Eucaristia. E poi la richiesta di cancellare quelle che sono le colpe e i peccati degli uomini, motivandoli dal fatto che vengono cancellate non le colpe degli altri nei nostri confronti, ma cancellati i debiti dei debitori.
Qui si tratta proprio di debiti materiali. Una comunità che ha ricevuto e raccolto il messaggio delle Beatitudini non può essere composta da debitori e creditori, ma tutti fratelli che condividono quello che hanno gli uni con gli altri. Allora la prova, la sicurezza, che si è a posto con Dio, che c’è la presenza di Dio, è che al nostro interno non esistono debitori e creditori, ma tutti fratelli.
E infine, l’ultima richiesta, “non abbandonarci nella tentazione”, letteralmente “la prova”. Qual è questa prova nella quale la comunità chiede di non essere abbandonata? E’ la prova nella quale è caduta. Gesù aveva chiesto ai discepoli, portandoli al monte degli ulivi, di stare con lui, di pregare con lui per essergli vicini per affrontare il momento della cattura e della morte, e hanno fallito tutti quanti.
Allora la comunità, cosciente di tutto questo, chiede di non essere abbandonata nel momento della prova e della persecuzione. E poi tutto l’insegnamento di Gesù continua invitando ad avere una piena fiducia nell’amore del Padre e, moltiplicando i verbi per tre volte – il “tre” significa quello che è pieno, definitivo – dirà “Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto”.
Quindi piena fiducia nel Signore, ma Gesù dice anche che cos’è che bisogna chiedere, che cos’è che lui garantisce verrà esaudito. “«Se dunque voi che siete cattivi»”, cattivi in rapporto all’amore del Padre, “«sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà Spirito Santo a quelli che glielo chiedono»”.
Ecco, qui Gesù si impegna, garantisce, che venga dato nella preghiera. Che cos’è lo Spirito Santo? E’ la forza che serve per realizzare il progetto del Padre. Come abbiamo detto Dio non governa gli uomini emanando leggi, ma comunicando il suo Spirito.
Allora Gesù garantisce che questa richiesta dello Spirito, questa verrà senz’altro esaudita. Tutte le altre sono già esaudite perché il Padre, un Padre che è buono nei confronti dei figli, si preoccupa già di loro prima che questi glielo vadano a richiedere.

no alla pena di morte

 

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3967 esecuzioni, diciamo: “No, alla pena di morte.”

La pena di morte è ancora in vigore in molti Paesi del mondo. Noi diciamo, senza esitazione: “No, alla pena di morte.” Le vite vanno salvate, vanno recuperate e mai perse. L’ANSA riporta i dati del “Rapporto annuale sulla pena di morte stilato da Nessuno tocchi Caino“ del 2012.

Sono state eseguite 3967 esecuzioni di cui 3000 in Cina, cui fanno seguito le 580 avvenute in Iran, le 129 avvenute in Iraq e le avvenute 84 in Arabia Saudita.

Il Rapporto 2013 di “Nessuno tocchi Caino” è dedicato quest’anno a Martin O’Malley, Governatore del Maryland, che il 2 maggio scorso ha abolito la pena capitale, diventando il sesto Stato americano in sei anni ad abrogarla. Per questo al Governatore O’Malley sarà anche conferito il Premio “L’Abolizionista dell’Anno 2013”. Fonte “Nessuno Tocchi Caino“.

crisi del clero nella chiesa

 

 

spunti e indicazioni (tratti da Adista) per meglio mettere a fuoco il problema ormai annoso che vede il clero cattolico in profonda crisi:

Per risolvere la crisi dei preti nella chiesa non basta farli sposare, anzi sarebbe un peggiorare la situazione. Occorre ridefinire prima di tutto la missione e l’identità della chiesa e all’interno di essa concepire una nuova situazione, completamente diversa dall’attuale, dei preti. Può essere molto illuminante questa proposta del Gruppo Advent.

Che tipo di prete vogliamo?

1. Non vogliamo qualcuno che si senta una vocazione sacerdotale, che si senta chiamato da Dio.Non dobbiamo perdere di vista la base del ministero presbiterale che è la comunità. È la comunità che chiama per il servizio della comunità.

2. Non vogliamo qualcuno che è stato allontanato dalla comunità e isolato per i sei anni della formazione. La maturità appropriata a un leader della comunità non può che svilupparsi in seno alla comunità (…)

3. Non vogliamo qualcuno che sia paracadutato dall’esterno della comunità (…).La nostra teologia, la nostra spiritualità devono essere incarnate. Devono potersi sviluppare nel terreno della cultura particolare, nazionale e locale.

4. Non vogliamo un prete che si considera “in carica”.È la comunità ad avere “in carico” la propria vita (…). Troppi nostri preti sono oberati da un terribile senso di “responsabilità”.

5. Non vogliamo un prete che si veda come un manager della parrocchia.Il suo settore di attività è la preghiera e la crescita spirituale dei membri della comunità, prete incluso, affinché vivano la loro vita come membri del Regno di Dio.

6. Non vogliamo una persona che sia per forza altamente qualificata nei domini del diritto canonico, della storia o della teologia dogmatica.Dobbiamo riflettere su quali dovrebbero essere le esigenze di una teologia più “pastorale” (…).

7. Non vogliamo un prete il cui ruolo sia semplicemente quello di dire messa e amministrare i sacramenti.Di conseguenza, abbiamo bisogno di molti più preti scelti nella comunità, magari part time, affinché abbiano il tempo e la possibilità di condividere tutti i diversi aspetti della vita della comunità.

8. Non vogliamo un prete celibe. Il prete può essere celibe o no, ma questo dato non deve essere considerato parte del suo ministero. Psicologicamente questo lo taglia fuori da tante cose della vita della comunità.

9. Non vogliamo un prete che non sia rappresentativo della comunità. Contiamo la proporzione maschio/femmina tra i banchi delle chiese e finiamola con la discriminazione.

10. Non vogliamo un prete obbediente, una persona che dice sempre sì, rigida e inflessibile, Legge alla mano e agli ordini dei vescovi.Il Vangelo è un vangelo di libertà per il servizio. Abbiamo bisogno di una persona coraggiosa, pronta ad agire secondo la propria coscienza. La capacità di esprimersi e di dialogare, tanto con la comunità che con l’istituzione, è essenziale.

11. Non vogliamo un prete che “sa tutto”.Il prete deve essere allievo per tutta la sua vita, capace di unirsi alla comunità come il capo famiglia in Matteo 13, che trova «cose antiche e cose nuove» nella riserva del Regno di Dio.

12. Non vogliamo una persona che ostenta simboli di superiorità e isolamento.Il suo abito e il suo stile di vita dovrebbero essere quelli della comunità.

13. Non vogliamo un purista liturgico per il quale le categorie sono più importanti del contenuto.La flessibilità, la sperimentazione e l’apprendimento sul campo sono il solo modo di crescere insieme.

14. Non vogliamo un prete la cui visione è limitata a ciò che si è sempre fatto.L’immaginazione è necessaria, lo sguardo rivolto all’esterno, in modo tale che, con il senso della storia, noi possiamo affrontare ciò che accade, ciò che cambia nella realtà della nostra tradizione comunitaria. È necessaria una visione per proiettarsi con coraggio verso il futuro.

15. Non vogliamo qualcuno che si veda come alter Christus.Questa arroganza eleva il prete al di sopra del popolo di Dio, corpo di Cristo. Il prete presiede all’altare come rappresentante della comunità ed è quest’ultima a celebrare.
(DA “ADISTA” N. 27)

la festa trasformata in tragedia

erano ormai vicini a Santiago di Compostela

hanno trovato la morte

vive condoglianze a tutti i parenti

(vedi link qui sotto)

PRIMO PIANO- Ogni 25 luglio Santiago de Campostela è in festa per celebrare il suo patrono. Quest’anno non è così. La parola “festa” si è “trasformata in “tragedia”. Condoglianze alle famiglie delle 78 vittime che hanno perso la vita nel treno della morte!.

Pisa: niente scuolabus per i bambini rom

 

bambini rom

 diritto allo studio a rischio per 47 bambini rom come ricatto per la non regolare frequentazione scolastica
Associazioni e volontari presentano una mozione. Il Comune chiede  alle famiglie di impegnarsi di più a mandare i figli a scuola. L’assessore al sociale: “I bambini non devono fare le spese dell’insolvenza degli adulti”
 

A meno di due mesi dall’inizio dell’anno scolastico 47 bambini rischiano di non poter andare ascuola perché non esiste più un servizio di scuolabus. Succede alla periferia di Pisa: i bimbi coinvolti fanno parte della comunità rom del campo di via della Bigattiera, strada che congiunge la città con il litorale. Non mancano solo gli scuolabus: al campo rom non c’è acqua corrente eluce dal 2012. “Il diritto alla sopravvivenza viene ancora prima del diritto allo studio, alla Bigattiera abbiamo fatto un salto all’indietro di 20 anni” denuncia padre Agostino Rota Martir, sacerdote del campo di Coltano. Associazioni cittadine, volontari e insegnanti hanno dato la loro solidarietà alla comunità rom della Bigattiera attraverso una mozione dove si chiede al Comune di Pisa di ripristinare al più presto il servizio di scuolabus e fare in modo che il diritto allo studio non venga negato ai bambini del campo rom. Dal canto suo l’amministrazione comunale chiede alle famiglie rom di impegnarsi maggiormente nel mandare i figli a scuola. “I bambini non devono fare le spese dell’insolvenza di nessun adulto – afferma Maria Luisa Chiofalo, assessora comunale al Sociale e all’Istruzione – Il problema deve essere risolto entro settembre, per questo è stato aperto un tavolo con la Regione Toscana per gestire quella che per noi è un’emergenza”.
Lo scuolabus che non c’è più
Il servizio attuale prevede tre pulmini impegnati nel trasporto degli studenti provenienti dai campi rom di Coltano e Oratoio. Ma dal 2011 non è più previsto il collegamento con la Bigattiera: il Comune lo ha tagliato perché classifica il campo rom e i suoi abitanti come “abusivi”. Ma la storia appare più complessa. Di proprietà del Demanio l’area era stata data in concessione al Comune con un contratto di tre anni (dal 2007 al 2010) affinché fossero regolarizzate le posizioni abitative di 8 nuclei familiari. Circa 40 persone che, secondo il Comune, non potevano usufruire delle abitazioni consegnate alla comunità rom di Coltano nell’ambito del progetto per l’integrazione creato dalla municipalità pisana “Città Sottili”.
Allo scadere del triennio la concessione non è stata rinnovata e il numero degli abitanti del campo è cresciuto: ad oggi vivono alla Bigattiera 150 persone, un terzo sono bambini. “Per quanto riguarda le bimbe e i bimbi al campo non autorizzato della Bigattiera – si legge in una nota del Comune di Pisa – solo tre dei circa 50 appartengono a famiglie che sono residenti a Pisa e che contemporaneamente sono nel comprensorio della scuola scelta: a questi è stato regolarmente assegnato il servizio come in tutti gli altri casi cittadini (il regolamento approvato dal consiglio comunale prevede che le famiglie richiedenti debbano essere residenti a Pisa e coloro che scelgono la scuola fuori dal comprensorio di residenza vengono serviti solo a riempimento di scuolabus parzialmente pieni). Quella delle bimbe e dei bimbi del campo della Bigattiera, che lo scorso anno hanno avuto frequenze in larga prevalenza basse o nulle, assume dunque i contorni diun’emergenza”.
L’assessora Chiofalo assicura: “Città Sottili è un progetto che ha prodotto buoni risultati. I suoi limiti sono dovuti al fatto che non sempre c’è stata collaborazione da parte delle famiglie per il proprio inserimento sociale e lavorativo e soprattutto per l’impegno riguardo all’inserimento scolastico dei proprio figli. In ogni caso l’equazione scuolabus-scolarizzazione non esiste”. Peraltro, nel caso della Bigattiera, a causa della scarsa frequenza degli alunni i carabinieri hanno fatto scattare una denuncia per abbandono scolastico nei confronti dei genitori e questo ha scatenato l’indignazione di associazioni e volontari. Alcuni cittadini hanno deciso di presentare una mozione per il ripristino del servizio di scuolabus che sarà discussa dal consiglio comunale di Pisa nei prossimi giorni con il sostegno di alcuni gruppi consiliari.
Un campo senza acqua ed elettricità
Ma alla Bigattiera c’è un problema ancora più grave della mancanza dello scuolabus: mancano acqua ed elettricità. Di fatto si va avanti con i generatori e l’acqua corrente, anche se il sistema idrico è stato riallacciato all’autoclave, è scarsissima. Come fanno sapere dalla direzione della Società della Salute di Pisa entrambi i servizi sono stati tagliati nel 2012 in seguito alle segnalazioni della Protezione Civile e dei vigili del fuoco che avevano denunciato il deterioramento (anche a causa di manomissioni) e la pericolosità degli impianti. E anche in questo caso a farne le spese sono soprattutto i bambini.
Come spiega Milorad Petroski dell’Asifar, associazione per lo sviluppo interculturale dei rom: “I bambini hanno detto di vergognarsi quando sono in classe con i loro compagni perché sono sporchi, non possono lavarsi. Le madri stesse non vogliono che vadano a scuola in quelle condizioni e mi hanno anche detto che sarebbero disposte a farli andare a scuola a piedi se prima almeno potessero lavarli. Qui non c’è nemmeno la possibilità di avere un frigorigero e ogni volta che piove il campo si trasforma in un lago di fango”. Sara Cozzani, insegnante e presidente della sezione pisana di Opera Nomadi, aggiunge: “Come si fa a vivere senza luce e acqua? Questa è un’emergenza umanitaria. Il Comune insiste sull’autonomia delle famiglie ma in molti casi non è possibile. Oltre a mancare lo scuolabus i bambini sono costretti ad andare a scuola sporchi. E’ degradante ed in alcuni casi, anche se isolati, perfino le insegnanti hanno fatto degli apprezzamenti sull’odore dei bambini”.
Anche se di elettricità e scuolabus ancora non si parla, l’amministrazione comunale ha aperto un tavolo di confronto con la Regione Toscana per dare il via ad un micro finanziamento finalizzato alla scolarizzazione dei bimbi rom della Bigattiera che dovrebbe garantire la frequenza scolastica a settembre ma di deciso non c’è ancora niente. “Sono stato al campo della Bigattiera venti giorni fa – spiega l’assessore regionale al Sociale Salvatore Allocca – Queste persone vivono senza i mezzi minimi. La Regione deve occuparsi di tutti e non lasciare indietro nessuno. Per quanto riguarda il campo della Bigattiera stiamo pensando ad un progetto di finanziamento leggero”. Nel frattempo a pagare il prezzo più alto sono i bambini.

grazie Fiorella del tuo bello sguardo sulla realtà

 

cammino

una, per me, anonima Fiorella ha postato su fb questa bella descrizione: mi ha colpito molto fino a volerla abbracciare forte forte:

Io lo conosco…So che la mattina anche se non ha molta voglia, Lui si alza presto e dopo essersi lavato e aver pregato, prende il suo zaino e il suo motorino, se non ha un passaggio in auto, si reca sul luogo di lavoro. Qui “prepara” la sua merce,mettendola in bella mostra e inizia il suo percorso, a volte cambia direzione ma, dove cammina, è sempre il solito suolo, la sabbia. Lui ci tiene al suo lavoro, anche se si “vergogna” un pochino, perché trova persone che lo offendono dicendo anche solamente: non voglio nulla, siete troppi, non avete voglia di lavorare, ecc. ecc. Lui non spaccia droga, Lui non ruba alle vecchiette, Lui non fa del male a nessuno….Lui vuole guadagnare qualcosa dignitosamente, vuole aiutare la sua famiglia di quel poco che può, la sua famiglia in Senegal è troppo importante per Lui. Ogni tanto si riposa sotto una pineta per chiudere un pochino gli occhi, i suoi dolci occhi, e sogna un mondo “diverso”, dove la dignità regna sovrana, dove l’amore è puro, dove la vita è sacra.
Questo è il ” VU CUMPRA’ “….
Tu sei l’essere più bello al mondo, Tu sai dare serenità a chi non ce l’ha, Tu sai dare amore a chi l’amore l’aspetta da tempo…TU sei TU .
Con infinito affetto e amore.
  Fiorella

Ridatemi Ratzinger – AgoraVox Italia

è sicuramente opportuno e provvidenziale richiamare al rischio grande e costante e possibile da tutte le parti di un tifo da stadio che impedisce un rapporto sereno e oggettivo con la realtà deformandola, esaltandola acriticamente, creando culti della personalità, papolatrie e quant’altro … (sono peraltro convinto della stoffa culturalmente conservatrice di Papa Francesco, che apparirà sicuramente in seguito) …ma da lì a sentire la nostalgia per papa Ratzinger ci vuole un bel coraggio!

(vedi link qui sotto)

Ridatemi Ratzinger – AgoraVox Italia.

un papa ‘liberatore’ per L. Boff

albero fiorito

pur essendo ancora troppo presto per una valutazione-bilancio del pontificato di papa Francesco, L. Boff delineain punti chiava  rilevanti e velocissimi la fisionomia positiva del nuovo pontificato definendolo addirittura ‘liberatore’

Un papa «liberatore»

di Leonardo Boff

  È azzardato fare un bilancio del pontificato di Francesco, è passato ancora troppo poco tempo per averne una visione d’insieme. In una sorta di lettura braille, che coglie solo i punti rilevanti, potremmo qui elencarne alcuni. 1. Dall’inverno ecclesiale alla primavera: veniamo da due pontificati che sono stati caratterizzati da un ritorno alla grande disciplina e dal controllo delle dottrine. Tale strategia ha dato luogo a una specie di inverno che ha congelato molte iniziative. Con Papa Francesco, venuto da fuori della vecchia cristianità europea, dal Terzo Mondo, è arrivata una ventata di speranza, di sollievo, di allegria di vivere e pensare la fede cristiana. La Chiesa è tornata ad essere una casa spirituale. 2. Da fortezza a casa aperta: i due Papi precedenti avevano lasciato l’impressione che la Chiesa fosse una fortezza, accerchiata da nemici dai quali avremmo dovuto difenderci, in particolare il relativismo, la modernità e la postmodernità. Papa Francesco ha detto chiaramente: «Chi si avvicina alla Chiesa deve trovare porte aperte, non dei doganieri della fede»; «Preferisco una Chiesa incidentata perché è uscita in strada a una Chiesa malata perché chiusa». Più fiducia, quindi, e meno paura. 3. Da Papa a vescovo di Roma: tutti i Pontefici precedenti si consideravano Papi della Chiesa universale, portatori del supremo potere su tutte le altre chiese e su tutti i fedeli. Francesco preferisce definirsi vescovo di Roma, recuperando la memoria più antica della Chiesa. Vuole presiedere nella carità e non come previsto dal diritto canonico, considerandosi solo il primo tra uguali. Rifiuta il titolo di Sua Santità, ricordando che «siamo tutti fratelli e sorelle». Si è spogliato di tutti i titoli di potere e onorifici. Il nuovo Annuario Pontificio appena uscito, sulla cui pagina iniziale dovrebbe esserci il nome del Papa con tutti i suoi titoli, reca semplicemente: Francesco, vescovo di Roma. 4. Dal palazzo al convitto: il nome Francesco è più che un nome, sta a indicare un altro progetto di Chiesa sulle orme di San Francesco d’Assisi: «Una Chiesa povera per i poveri», come ha detto, umile, semplice, con «l’odore delle pecore» e non dei fiori dell’altare. Per questo ha lasciato il palazzo apostolico per andare a vivere in un convitto, in una camera semplice, e mangia alla mensa con gli altri ospiti. 5. Dalla dottrina all’esperienza: Francesco non si presenta come dottore, ma come pastore. Parla partendo dalla sofferenza umana, dalla fame nel mondo, dagli immigrati africani sbarcati a Lampedusa. Denuncia il feticismo del denaro e il sistema finanziario mondiale che martirizza interi Paesi. Con questi atteggiamenti riprende le basi della teologia della liberazione, senza bisogno di citarla. Dice: «Oggi come oggi, se un cristiano non è un rivoluzionario, non è cristiano; deve essere rivoluzionario per la grazia». E continua: «Coinvolgersi in politica è un obbligo per il cristiano, perché la politica è una delle forme più alte di carità». E alla Presidente Cristina Kirchner ha detto: «È la prima volta che abbiamo un Papa peronista», non ha infatti mai nascosto la sua simpatia per il peronismo. I Papi precedenti gettavano una luce sospetta sulla politica, adducendo un’eventuale ideologizzazione della fede. 6. Dall’esclusività all’inclusione: i Papi precedenti, e in particolar modo Benedetto XVI, hanno enfatizzato l’esclusività della Chiesa Cattolica, unica erede di Cristo, al di fuori della quale si è a rischio di perdizione. Francesco, il vescovo di Roma, preferisce il dialogo tra le Chiese in una prospettiva di inclusione anche con le altre religioni, per rinsaldare la pace mondiale. 7. Dalla Chiesa al mondo: I Papi precedenti davano centralità alla Chiesa, rafforzandone le istituzioni e le dottrine. Per Papa Francesco i punti cardine sono: il mondo, i poveri, la tutela della Terra e l’attenzione nei confronti della vita. La questione è: come le Chiese aiutano a difendere la
vitalità della Terra e il futuro della vita? Come si percepisce, sono un nuovo vento, una nuova musica, nuove parole per i vecchi problemi, che ci permettono di pensare ad una nuova primavera della Chiesa.

Minacciato e contestato Don Maurizio Patriciello, prete anticlan.

purtroppo esiste anche questo: battersi per il bene comune e venire contestato e minacciato

viene in mente il: “beati i perseguitati per causa della giustizia”

in tutti deve nascere l’indignazione che fa crescere il coraggio di essere uniti contro ogni forma di violenza, di illegalità e di ingiustizia

(vedi link qui sotto)

Minacciato e contestato Don Maurizio Patriciello, prete anticlan..

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