la crisi terminale del capitalismo secondo Boff

altra

di Leonardo Boff

Da qualche tempo a questa parte sostengo l’idea che l’attuale crisi del capitalismo va oltre il suo carattere congiunturale e strutturale, cioè è terminale. Si può affermare che è giunta la fine dello spirito del capitalismo sempre pronto ad adattarsi al sopraggiungere di qualsiasi circostanza? Sono conscio che poche persone sostengono questa tesi. Tuttavia sono due le ragioni che mi spingono verso questa interpretazione.

La prima ragione è che la crisi è terminale perché tutti noi, ma particolarmente il capitalismo, abbiamo oltrepassato i limiti di sostenibilità della Terra. Abbiamo occupato e depredato tutto il pianeta, distruggendo l’equilibrio sottile che lo regge ed esaurendo i suoi beni e servizi fino al punto che esso non riesce più a rigenerare ciò che gli è stato sottratto. Verso la fine del XIX secolo Karl Marx scriveva in modo profetico che la tendenza del capitale si orientava verso la distruzione delle sue due fonti di ricchezza e di riproduzione: la natura e il lavoro. Ed è ciò che sta avvenendo.

Difatti la natura è sottoposta a un grosso stress come non lo è mai stata prima, almeno per quanto concerne quest’ultimo secolo, senza prendere in considerazione le quindici più grandi estinzioni che il pianeta ha conosciuto attraverso tutta la sua storia di oltre quattro milioni di anni. I fenomeni estremi che si sono verificati in tutte le latitudini e i cambi climatici che tendono verso un sempre maggiore surriscaldamento globale confermano la tesi di Marx. In assenza della natura il capitalismo come potrà riprodursi? Ha ormai raggiunto un limite insormontabile.

Il capitalismo precarizza o prescinde del lavoro. Esiste un grosso sviluppo che fa a meno del lavoro. Il sistema produttivo informatizzato e robotizzato produce di più e meglio con la quasi totale assenza di manodopera. La conseguenza diretta è la disoccupazione strutturale.

Milioni di persone non entreranno mai a formare parte del mondo del lavoro, neppure come esercito di riserva. Il lavoro poiché dipende dal capitale, è da quest’ultimo ignorato. In Spagna la disoccupazione raggiunge il 20% del totale della popolazione e il 40% dei giovani. In Portogallo il 12% del paese e il 30% dei giovani. Questo significa che esiste una grave crisi sociale come quella che colpisce in questo momento la Grecia. Si sacrifica tutta la società in nome di un’economia pensata non per soddisfare la domanda sociale, ma per pagare il debito delle banche e del sistema finanziario. Marx ha ragione: il lavoro sfruttato non costituisce più fonte di ricchezza. Lo è la macchina.

La seconda ragione si riferisce alla crisi umanitaria che il capitalismo sta generando. In passato si limitava ai paesi periferici. Non si può risolvere la questione economica smontando la società. Le vittime, collegate dalle nuove reti della comunicazione, resistono, si ribellano e minacciano l’ordine. Sempre un maggior numero di persone, specialmente i giovani, non accetta la logica perversa dell’economia politica capitalista: la dittatura delle finanze che con il mercato sottopone gli Stati ai propri interessi e la redditività dei capitali speculativi che circolano da una borsa a un’altra, ottenendo profitti senza produrre assolutamente nulla se non maggiori profitti per i rentier.

È stato il capitale a produrre il veleno che lo può uccidere: mentre richiedeva ai lavoratori una formazione tecnica sempre migliore e una maggiore competitività per essere all’altezza di una crescita sempre più accelerata, involontariamente ha creato degli individui che pensano. Essi lentamente vanno scoprendo la perversità del sistema che scuoia le persone in nome di un’accumulazione meramente materiale, la quale si mostra insensibile al momento di esigere una sempre maggiore efficienza fino a stressare profondamente i lavoratori, spingendoli alla disperazione e in alcuni casi anche al suicidio come accade in alcuni paesi, compreso il Brasile.

Le strade di diversi paesi europei e arabi, gli “indignados” che occupano le piazze della Spagna e della Grecia sono l’espressione di una ribellione contro il sistema politico vigente a rimorchio del mercato e della logica del capitale. I giovani spagnoli urlano: «non è una crisi, è un furto». I ladri sono insediati a Wall Street, nel FMI e nella BCE. In altre parole sono i sommi sacerdoti del capitale globalizzato e sfruttatore.

Con l’aggravarsi della crisi in tutto il mondo si svilupperanno le moltitudini che non tollereranno più le conseguenze dello sfruttamento delle proprie vite e della vita della Terra a oltranza e si ribelleranno contro questo sistema economico che ora è in agonia, non per invecchiamento, ma per la forza del veleno e delle contraddizioni che ha generato, punendo la Madre Terra e tormentando la vita dei suoi figli e delle sue figlie.

*Teologo/Filosofo e autore del volume “Proteger a Terra-cuidar da vida: como evitar o fim do mundo”, Record 2010 (Proteggere la Terra badare alla vita: come evitare la fine del mondo).

“fuoco son venuto a portare … “

p. Pagola commenta il brano del vangelo di domani XX domenica del tempo ordinario:

Senza fuoco non è possibile

In uno stile chiaramente profetico, Gesù riassume la sua vita intera con alcune parole insolite: Sono venuto “io a portare fuoco nel mondo, e magari stesse già ardendo! “. Di che cosa sta parlando Gesù? Il carattere enigmatico del suo linguaggio conduce gli esegeti a cercare la risposta in differenti direzioni. In qualsiasi caso, l’immagine del “fuoco” ci sta invitando ad avvicinarci al suo mistero in maniera più ardente ed appassionata.

Il fuoco che arde nel suo interiore è la passione per Dio e la compassione per la quale egli soffre. Non potrà mai essere svelato quell’amore insondabile che incoraggia la sua vita intera. Il suo mistero non rimarrà mai rinchiuso in formule dogmatiche né in libri di saggistica. Mai nessuno scriverà un libro definitivo su di lui. Gesù attrae e brucia, turba e purifica. Nessuno potrà seguirlo col cuore spento o con pietà annoiata.

La sua parola fa ardere i cuori. Si offre amichevolmente agli esclusi maggiormente, sveglia la speranza nelle prostitute e la fiducia nei peccatori più sdegnati, lotta contro tutto quello che fa male all’essere umano. Combatte i formalismi religiosi, i rigorismi inumani e le interpretazioni ristrette della legge. Niente né nessuno può incatenare la sua libertà nel fare il bene. Non potremo mai seguirlo vivendo nella routine religiosa o nel convenzionalismo della cosa corretta.”

Gesù infiamma gli animi, non li spegne. Non è venuto a portare falsa tranquillità, bensì tensioni, confronto e divisioni. In realtà, introduce il conflitto nel nostro cuore. Non è possibile difendersi dalla sua chiamata dietro lo scudo dei riti religiosi o delle pratiche sociali. Nessuna religione ci proteggerà dal suo sguardo. Nessun agnosticismo ci libererà della sua sfida. Gesù ci sta richiamando a vivere nella realtà e ad amare senza egoismi.

Il suo fuoco non è rimasto spento immergendosi nelle acque profonde della morte. Risuscitato ad una vita nuova, il suo Spirito continua ad ardere durante il corso della storia. I primi seguaci lo sentono ardere nei loro cuori quando ascoltano le sue parole mentre cammina insieme a loro.

Dove è possibile sentire oggi quel fuoco di Gesù? Dove possiamo sperimentare la forza della sua libertà creativa? Quando ardono i nostri cuori accogliendo il suo Vangelo? Dove si vive in maniera appassionata seguendo i suoi passi? Benché la fede cristiana sembri estinguersi oggi tra noi, il fuoco portato da Gesù nel mondo continua ad ardere sotto le ceneri. Non possiamo lasciare che si spenga. Senza fuoco nel cuore non è possibile seguire Gesù.

José Antonio Pagola

“sono venuto a portare il fuoco sulla terra”

 

 

 

 

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p. Hermes Ronchi commenta il vangelo di domani  XX dom. del tempo ordinario

Quel fuoco che rompe la falsa pace

 

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso! Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto! Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione. D’ora innanzi, se in una famiglia vi sono cinque persone, saranno divisi tre contro due e due contro tre; si divideranno padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera».

Sono venuto a portare il fuoco sulla terra. Pensate che io sia venuto a portare la pace? No, vi dico, ma la divisione. Credo che tutti abbiamo avuto la fortuna di conoscere uomini e donne ardenti, appassionati di Dio e dell’uomo, di averli visti passare fra noi come fuoco e come spada. Ricordo la sorpresa, liberante, quando ascoltavo padre Turoldo dire: io mi sento mandato a rompere le false paci dei conventi. Pace apparente, rotta da un modo più evangelico di intendere la vita, da qualcuno che vuole riproporre il sogno di Dio. Forse quando va in frantumi un vecchio equilibrio, nella casa o nella comunità, quella che si rompe non è una pace autentica ma una situazione sbagliata, fondata su mancanza di saggezza, su egoismi e silenzi.
Sono venuto a portare il fuoco, l’alta temperatura morale in cui avvengono le vere trasformazioni del cuore e della storia. E come vorrei che divampasse! Stare vicino a Lui è stare vicino al fuoco. Siamo discepoli di un Vangelo che brucia dentro, che ci infiamma qualche volta almeno, oppure abbiamo una fede che rischia di essere solo un tranquillante, una fede sonnifero? Disinteressati a tutto, ai problemi ambientali, a ciò che tocca violenza e armi, passivi di fronte alle ingiustizie, senza fuoco?
Al tempo di Gesù le donne e i bambini erano senza diritti; gli schiavi in balia dei padroni; i lebbrosi, i ciechi, i poveri trattati con disprezzo. E Lui si mette dalla loro parte, li chiama al suo banchetto, fa di un bambino il modello e dei poveri i principi del suo Regno, invia le donne ad annunciare la Pasqua.
La fede è abbracciare il suo progetto di vita, convinti che un altro mondo è possibile; non tanto mettere in pace la coscienza, ma risvegliarla! E la pace di chi si dona, di chi ama, di chi non si attacca al denaro, di chi non vuole dominare né vendicarsi diventa precisamente la spada, cioè l’urto inevitabile con chi pensa che vivere è dominare, arricchire, divertirsi.
Perché non giudicate da voi stessi ciò che è giusto? Un invito pieno di energia e di futuro, rivolto alla folla cioè a tutti: non seguite il pensiero dominante, non accodatevi all’opinione della maggioranza. Così è il cristiano, intelligente e libero, medita sulla vita e sulla bibbia, scruta i segni dei tempi e avanza: “la differenza decisiva non è tra chi crede e chi non crede, ma tra chi pensa e chi non pensa” (Card. Martini).Tra chi si domanda che cosa c’è di buono o di sbagliato in ciò che accade, e chi non si domanda niente.
Giudicate da voi… Siate un po’ profeti – invito forte e disatteso! – siate profeti anche scomodi, dice il Signore, fate divampare la goccia di fuoco che lo Spirito ha deposto in voi.
(Letture: Geremia 38,4-6.8-10; Salmo 39; Ebrei 12,1-4; Luca 12,49-53)

un’altra Italia

 

il-salvataggio

SULLA SPIAGGIA DI MORGHELLA UN BARCONE ARRIVA A POCHE DECINE DI METRI DALLA RIVA. LA SOLIDARIETÀ DEI BAGNANTI CHE SI BUTTANO IN ACQUA PER AIUTARE I 160 PROFUGHI.

Pachino (Siracusa)
Alle 11 del mattino il cielo è grigio, la luce è pesante, metallica, c’è vento di ponente. È ferragosto, Morghella è la spiaggia più vicina all’Africa, il mare rompe sulla roccia. Così la vita si ferma, alle 11 del mattino, mentre un barcone tracolla, a pochi metri dalla riva.
Una specie di golem emerso dal sonno delle nostre pavidità, sputa il carico malsano, si prende gioco del coraggio di ognuno. Il barcone, con i bambini vascello, sono uguali a quelli che finiscono negli abissi, che spirano avvolti nello hijab delle madri, con i piedini azzurri violacei, immobili come le statue di sale; e invece sono tutti lì, un carico impudico di carne viva, siriani, immigrati, profughi, clandestini, neri: sono 160, di questi 67 sono bambini e 28 le donne, oppressi nella solita lurida carretta. Solo che stavolta non muore nessuno, nessuno cade in mare. Stavolta le guardie non berciano.
LA SPIAGGIA zittisce di colpo, la vita si ferma, anche sopra la baia; la vita si ferma, in paese, qualcuno avvista il golem, è giorno, è ferragosto, il golem è un’apparizione, da far tremare i polsi. Di colpo nessuno pensa al coraggio, a tutti però tocca di essere diversi; gli uomini sono neri, sono sagome che si agitano sul barcone, ma è ferragosto, non è notte, non è il canale dove muoiono come tonni, è una spiaggia, è un giorno qualunque anche. C’è ancora uno strano silenzio, da far tremare i polsi; le creature sputate dal golem parlano la lingua di Babilonia, ognuno dei presenti avrà la certezza che l’evento è enorme e che nasconde un significato terrificante, che induce ad una pietà scandalosa come l’amore, una pietà biblica. Le donne si dispongono in fila, entrano in acqua, usano lo stesso passo, sono decise però, sorridono, cominciano a tendere le mani alle altre che tremano sul barcone, nessuno pensa al coraggio, benché la vita lo stia pretendendo in quel preciso momento, alle 11 del mattino di un giorno d’agosto, una pretesa corale, distesa come un immenso hijab sul capo di quegli uomini normali.
DIETRO LE DONNE, si aggiungono gli uomini, i ragazzini, le onde si rompono sulla roccia, il barcone è fissato alla cima. Il barcone è un golem circondato da mani tese adesso, i giovani si tuffano in mare, guizzano come delfini nei loro costumi sportivi, raggiungono le fiancate del peschereccio, con la prua azzurra, le donne in fila con i pareo annodati al fianco tendono le braccia alle altre avvolte dalle pashmine, i colori delle stoffe si confondono dentro la luce metallica, non un neonato cade in mare, non un vagito inghiottito dagli abissi. Catania ha appena seppellito i suoi morti, l’olocausto dei sei sulla spiaggia della plaja. Ci sono molti catanesi a Morghella, il lutto brucia ancora, tutti presenti stavolta, se la vita interroga sul coraggio o la coscienza, saremo tutti presenti: è accaduto.
LA SPIAGGIA di Morghella è un luogo inaudito, sconfessa l’umanità che ci hanno raccontato in questi anni, chi sono costoro? Chi era quell’umanità? Un vecchio in canottiera, un vecchio nero profugo clandestino, tentenna accompagnato da due ragazzoni, uno con gli occhiali, l’aria da bravo studente, il vecchio è al sicuro, ha le lacrime agli occhi, o le abbiamo noi che li guardiamo da qui. Oggi il presidente Napolitano esulta. “Questa è l’Italia migliore”. Così è stato: gli uomini aspettavano a prua, nel golem fissato alla cima, ammutoliti, mentre si compiva ogni cosa; gli altri smettevano di essere gli altri, da qualunque parte si osservassero, ognuno era un po’ più libero.

Da Il Fatto Quotidiano del 17/08/2013.

armi italiane che uccidono in Egitto

Egitto

Quelle armi italiane che uccidono i civili in Egitto

di Monica Ricci Sargentini

In questi giorni di violenza in Egitto le forze di sicurezza usano anche armi prodotte a Bergamo e Lecco per sgomberare i sit-in dei manifestanti pro-Morsi. E i morti sono più di 500. Ministro Bonino, cosa deve succedere in Egitto per sospendere l’invio di armi italiane? Questa domanda era già stata posta, il 27 luglio scorso, alla titolare della Farnesina dall’Opal, l’Osservatorio permanente sulle armi leggere di Brescia, un’associazione che riunisce varie realtà sociali, dai missionari comboniani e saveriani a Pax Christi, fino alla Cgil della città lombarda. Il riferimento era agli scontri di piazza di quei giorni che avevano causato 75 morti. Oggi, però, il bilancio è ancora più pesante. Per questo la Rete Italiana per il Disarmo e l’Osservatorio OPAL di Brescia rinnovano la richiesta al ministro degli Esteri, Emma Bonino, affinché dichiari pubblicamente l’immediata sospensione dell’invio di armi in Egitto e si faccia promotrice in sede di Unione Europea di una analoga iniziativa fino a che la situazione nel Paese non si sarà chiarita.

Le esportazioni, secondo l’Osservatorio, sono in costante crescita, tanto che nel 2012, durante il governo Monti, hanno raggiunto i 28 milioni di euro. Tra di essi, viene detto, figura di tutto: dai fucili d’assalto e lanciagranate della Beretta alle munizioni della Fiocchi, dalle bombe per carri armati della Simmel alle componenti per centrali di tiro della Rheinmetall, dai blindati della Iveco alle apparecchiature specializzate per l’addestramento militare. Con la riforma avvenuta lo scorso anno, spiega l’Opal, la titolarità delle esportazioni di materiali militari risiede nella nuova Autorità nazionale per le Autorizzazioni di Materiali di Armamento (Uama) presso la Direzione Generale per la Promozione del Sistema Paese (Dgsp) del Ministero degli Affari Esteri.

“Abbiamo apprezzato la costante attenzione e la profonda preoccupazione espressa dal ministro Bonino che nei giorni scorsi ha dichiarato in Parlamento che la situazione in Egitto è ancora esplosiva e permane il rischio di un bagno di sangue – ha spiegato in un comunicato Francesco Vignarca, coordinatore nazionale della Rete Italiana per il Disarmo -. Crediamo perciò che sia venuto il momento per la Farnesina di passare dalle parole ai fatti decretando la sospensione dell’invio di armi e promuovendo in sede europea di un’analoga iniziativa per l’interruzione da parte di tutti i paesi dell’Unione dell’invio di sistemi militari all’Egitto, fino a quando la situazione non si sarà chiarita”.

Le esportazioni di armi dall’Italia all’Egitto sono in costante crescita e vedono il nostro Paese tra i cinque maggiori fornitori europei delle Forze Armate egiziane. Le autorizzazioni ministeriali per forniture di armamenti all’Egitto non superavano i 10 milioni di euro del 2010, sono salite a oltre 14 milioni di euro nel 2011 e lo scorso anno, col governo Monti, hanno toccato il picco di oltre 24,6 milioni di euro. E di conseguenza sono cresciute le consegne effettive di sistemi militari, che nel 2012 hanno superato i 28 milioni di euro. Esportazioni che sono tuttora in corso, visto che nei primi tre mesi del 2013 l’Istat ha rilevato spedizioni all’Egitto di armi e munizioni per oltre 2,6 milioni di euro.

Sorprende soprattutto la tipologia di armi esportate dall’Italia all’Egitto proprio tra il 2011 e il 2012, cioè durante le rivolte che hanno portato alle dimissioni del presidente Hosni Mubarak e alla nomina del nuovo presidente Mohamed Morsi, oggi a sua volta destituito. Un vero e proprio arsenale: dai fucili d’assalto e lanciagranate della Beretta alle munizioni della Fiocchi, dalle bombe per carri armati della Simmel alle componenti per centrali di tiro della Rheinmetall, dai blindati della Iveco alle “apparecchiature specializzate per l’addestramento militare”. Magari sono proprio le armi che vediamo in televisione e sui quotidiani in questi giorni.

Da segnalare lo strano caso delle munizioni prodotte dalla ditta Fiocchi. «Nel 2011 – evidenzia Carlo Tombola, coordinatore scientifico di OPAL –, cioè nel bel mezzo delle rivolte popolari, le esportazioni di munizioni dalla provincia di Lecco probabilmente prodotte dalla ditta Fiocchi. Si tratta di forniture per oltre 41.900 euro, che possono corrispondere ad oltre 100mila munizioni. Ricordiamo che – come ha documentato Amnesty International – in piazza Tahrir dopo gli scontri tra manifestanti e forze armate del 2011 sono stati ritrovati dei bossoli di munizioni della Fiocchi».

Riguardo alle esportazioni della Fiocchi, l’Osservatorio OPAL fa notare una costante anomalia. Da oltre dieci anni le effettive spedizioni di munizioni ad uso militare della Fiocchi non sono mai riportate nella Relazione della Presidenza del Consiglio: ci sono le autorizzazioni rilasciate dai Ministeri degli Esteri e delle Finanze (per i pagamenti) ma manca il riscontro dell’Agenzia delle Dogane.

«In parole semplici – commenta Tombola – da oltre dieci anni la Fiocchi sta esportando munizioni di cui l’Agenzia delle Dogane non dà alcun riscontro nelle Relazioni governative, quasi si trattasse di munizioni per armi ad uso civile o sportivo e non invece di munizioni da guerra e che come tali sono autorizzate e dovrebbero essere puntualmente riportate nella relazione governativa. Su questa stranezza, che potrebbe coprire ulteriori esportazioni di munizioni oltre quelle autorizzate, abbiamo chiesto con un’interrogazione parlamentare al ministro Bonino di fare subito chiarezza».

prostituz minor

Povertà e prostituzione minorile

La prostituzione minorile si nutre di miseria e povertà. I genitori stessi talvolta sono complici della tragica fine dei loro figli. I bambini si convincono in questo modo che la prostituzione sia l’ unico mezzo di sopravvivenza..
Spesso gli adolescenti vengono inviati all’ estero a prostituirsi per mandare compensi al paese di origine..
Molte sono le storie di bambine prostitute, che a soli 12 anni, dormono in mezzo alla strada, sui marciapiedi .. Dove di li a poche ore i potenti accosteranno..

Moni Ovadia scrive al papa per don Gallo

don Gallo secondo Vauro

Lettera al Papa su don Gallo

di Moni Ovadia

Scrivere una lettera al Papa, la guida religiosa dei cattolici di tutto il mondo, è di per sé un azzardo e lo è tanto di più se a scriverla è un non credente, per sopramercato nato e cresciuto nel contesto di un’altra fede. Come dovrei rivolgermi al Sommo Pontefice? Forse direttamente all’uomo Bergoglio che viene prima della sua carica e già dagli esordi della sua ascesa al soglio pontificio, ha mostrato di esprimersi con irrituale semplicità e di astenersi da ogni attitudine curiale?

Sarebbe certo il più modo più appropriato, ma mancherebbe di un’intenzione importante del senso della mia lettera perché è certamente all’uomo che voglio parlare, ma anche al Capo della Chiesa Cattolica. Per questo intesto così: «Caro Papa Bergoglio, mi chiamo Moni Ovadia, sono un ebreo agnostico di professione saltimbanco che pratica il suo mestiere contrabbandando la spiritualità dell’esilio ebraico, soprattutto nelle sue espressioni umoristiche e paradossali. Nella vita e sul palcoscenico, sono un “attivista” che, nei limiti delle sue capacità, ma con passione, si impegna a favore dei diritti degli ultimi e delle minoranze, della loro dignità, della giustizia sociale e della pace.

Talora mi capita anche di pubblicare le mie personali riflessioni su libri, articoli e altri scritti. Le scrivo per assolvere un dovere e un impegno cogenti. Alcune settimane fa, con decine di migliaia di persone in Italia e non solo, ho condiviso la perdita di un grande amico, un fratello, un Maestro. Si chiamava Andrea Gallo, Don Andrea Gallo, era un prete cattolico. Sì, un prete cattolico! Mai, neppure in una sola delle molteplici occasioni in cui ci siamo visti, ha omesso di dirmi che la Chiesa Cattolica era la sua Chiesa. Lei, sicuramente, ne ha sentito parlare. E’ stato uno degli uomini più amati di questo nostro travagliato Paese.

Perché dunque mi sono risolto a scriverLe in quello che sarebbe stato il giorno del suo ottantacinquesimo compleanno? Perché Don Gallo mi ha eletto come suo direttore spirituale e, nel corso di molte occasioni pubbliche, ha confermato questa elezione. Lei capirà, quando nel corso delle molte manifestazioni in cui abbiamo condiviso la nostra comune passione spirituale, politica e civile, Don Andrea ripeteva che il suo direttore spirituale era un ebreo agnostico, le persone presenti ridevano affettuosamente con allegria e tenerezza come si reagisce ad una battuta, ma la cosa era ed è seria.

Il Gallo sapeva che non poteva affidare in mani migliori il senso più profondo del suo magistero di uomo e di prete cattolico, non perché io sia così degno, tutt’altro, ma perché lui sapeva che io, pur con tutti i miei limiti e peccati, lo avrei custodito come il più prezioso dei lasciti. Caro Papa Bergoglio, io non Le scrivo per chiedere che Lei faccia aprire un fascicolo per la beatificazione di questo prete da marciapiede – come lui stesso si definiva – e non glielo chiedo perché, con tutto il dovuto rispetto, il Gallo per noi che lo abbiamo conosciuto, è già Santo. E chi se non un santo avrebbe potuto dare corpo vivo alla più dirompente delle Beatitudini di Gesù?

Nella Chiesa, nella comunità, nel cuore di Andrea, gli ultimi, i tossicodipendenti, le prostitute, i transgender, i ladri, i poveri, i disperati, erano i primi. Per me personalmente il Gallo era uno Tzàddik, il giusto sapiente delle comunità khassidiche. Noi ebrei attribuiamo la santità solo al Santo Benedetto. Comunque, Don Andrea, prete cattolico ed io, ebreo agnostico, eravamo uniti da una comune spiritualità.

Le religioni possono separare, la spiritualità unisce credenti, diversamente credenti e non credenti. Ecco, per questa ragione io mi permetto di rivolgerLe questa richiesta: Lei che ha mostrato particolare sensibilità per gli ultimi, per lo scandalo delle ingiustizie e delle disuguaglianze, Lei che ha avuto la forza di rubricare nella legislazione dello Stato Pontificio il ripugnante reato di tortura, di abolire la crudeltà dell’ergastolo, trovi il modo di dedicare un’omelia al prete cattolico Don Andrea Gallo, grande cristiano, partigiano, antifascista e uomo di pace. Il suo corpo non è più fra noi, ma il suo pensiero e la sua energia vivono e vivranno nelle nostre menti e nei nostri cuori e in quelli dei giusti di ogni tempo a venire. Di don Gallo, l’umanità ha bisogno».

IMMIGRATI – NAPOLITANO: solidarietà più forte della paura

Le immagini della spiaggia di Siracusa ”mostrano come – di fronte alla tragedia, quotidianamente vissuta a Lampedusa e altrove, di quanti cercano asilo fuggendo da guerre e persecuzioni – prevalga negli italiani un senso di umanitâ e solidarietâ piu’ forte di ogni pregiudizio e paura”. Lo dice Giorgio Napolitano in una nota.

 

Le immagini dei bagnanti che hanno aiutato i profughi sulla spiaggia di Morghella-Pachino, in Sicilia, trasmesse ieri in tv, “fanno onore all’Italia” perche’ mostrano come “prevalga negli italiani un senso di umanita’ e solidarieta’ piu’ forte di ogni pregiudizio e paura”. Lo afferma in una nota il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.”Le immagini trasmesse ieri dalla TV delle decine di bagnanti, sulla spiaggia di Morghella – Pachino, che si sono spinti generosamente in mare per aiutare profughi provenienti dalla Siria, in gran parte bambini, a raggiungere la riva mettendosi in salvo – si legge nella nota – sono di quelle che fanno onore all’Italia. Perche’ mostrano come – di fronte alla tragedia, quotidianamente vissuta a Lampedusa e altrove, di quanti cercano asilo fuggendo da guerre e persecuzioni – prevalga negli italiani un senso di umanita’ e solidarieta’ piu’ forte di ogni pregiudizio e paura”.

 

come spendiamo il nostro tempo online

 

 

Come spendiamo il nostro tempo online

di Luca Fiorini 
bella farfalla da dkt

 

Le cifre sono oltremodo eloquenti: più del 50% della popolazione mondiale ha meno di 30 anni e oltre il 30% della stessa naviga sul web. A intavolare i dati è il sito Go-gulf.com, che nei diagrammi dell’infografica “How users spend their time on the Internet”, basata su dati di ComScore, Nielsen, TNS e PewResearch, ha stimato il numero di persone connesse globalmente – 2,095,006,005 (il 30% della popolazione mondiale di cui sopra), – specificando che il tempo speso in rete, in media, nel mondo, è equivalente alla cifra record di 35 miliardi di mesi, traducibili in 3,995,444 di anni.

Se l’utenza statunitense stacca nettamente le restanti, con 32 ore di tempo medie mensili contro le 16 circa degli altri Paesi, la nazione col numero maggiore di users è la Gran Bretagna (85%), seguita a ruota da Germania (81%), Francia e Giappone a pari merito (80%), Usa (79%), Russia (43%), Brasile (40%), Cina (34%), Nigeria (28%) ed India (7%).

La fetta più grande della torta-tempo, supposizione legittima, non è ad appannaggio del porno on demand: fra i così detti “highlights”, ovvero le attività più sdoganate sul web, primeggino i siti di stampo social, col 22% del minutaggio complessivo, più di 250 milioni di tweets postati ogni giorno e oltre 800 milioni di aggiornamenti di status a infarcire il padre dei social network, Facebook – che è usato dal 56% degli utenti solo per spiare il proprio partner –, lì dove il record del numero di “amici” è riferibile ai brasiliani (con 481 contatti), mentre ai giapponesi tocca accontentarsi del piolo più basso della scala (appena 29 friends); ai social network si accodano le ricerche sui “motori” preposti, col 21% del tempo complessivo di connessione e un milione di richieste quotidiane gestite da Google, ed il 20% è occupato dalla lettura di contenuti testuali; il 19% è destinato a chat ed email, il 13% improntato all’ascolto o alla visualizzazzione di siti e file multimediali (con 4 miliardi di visite al giorno su Youtube e più di 60 ore di video uploadati ogni minuto), e solo il 5% è investito per lo shopping in rete, in cui primeggiano i compratori cinesi sforando le cinque ore settimanali.

Il record di visitatori unici al mese è saldamente detenuto dal gigante di Mountin View, Google (153,441,000), incalzato da Facebook (137,644,000), Yahoo! (130,121,000), Msn Bing (115,890.000), Youtube (106,692,000), Microsoft (83,691,000), Aol. (74,633,000), Wikipedia (62,097,000), Apple (61,608,000) ed Ask (60,552,000).

Fra le attività on line più routinarie, invece, prescindendo dalla collocazione geografica dell’utenza, si registrano la ricerca di informazioni mediche e mappe stradali, previsioni meteo e dettagli sull’acquisto di prodotti, oltre alla lettura di quotidiani e web magazine, stimando che, nella nuova era telematica, si verificherà un aumento delle web tv e dei servizi geolocalizzati e di home banking, a discapito della diffusione di video “professionali”, live show e clip amatoriali, prossimi al declino.

Chi poi, insoddisfatto dai rilevamenti di massa, volesse entrare nel dettaglio degli standard personali di navigazione, portebbe scaricare un’app apposita, Timing – Time Tracker (su App Store al costo di $9.99), grazie alla quale ottenere report particolareggiati sullo scorrere quotidiano, talvolta impenintente, del proprio tempo al desk.

Battiato bacchetta il papa

battiato

Battiato bacchetta il Papa: “Parli più seriamente di Dio”

“Papa Francesco è popolaresco, ma mi piacerebbe se parlasse di Dio in maniera più seria”.

Lo ha detto Franco Battiato durante il talk show ‘Io chi sono?’ che si è tenuto in piazza Duomo a Ragusa Ibla, durante il quale si è confrontato col cantautore ragusano Giovanni Caccamo, da lui prodotto e che di recente ‘apre’ i suoi concerti.

”Sono nato con un microchip incorporato – ha ironizzato – che mi indirizza verso la spiritualità. All’età di otto anni scrissi, andando clamorosamente fuori tema, ‘Io chi sono?’. Una domanda particolare per un bambino nato in una famiglia dove non si avevano libri da leggere, ma nella quale sono stato felice di nascere. Credo che ogni individuo abbia il dovere di approfondire la conoscenza di se stesso. Nascere nel regno umano e non in uno di quelli inferiori è un grande dono che non deve essere sprecato. La dimensione del silenzio è ideale e preziosa per indagare la propria autentica natura”.

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