la nascita di Israele è una storia coloniale

la nascita di Israele è una storia coloniale accettarlo è doloroso ma serve alla pace

di Anna Foa
in “La Stampa” del 20 marzo 2025

Il libro dello studioso di origine palestinese Rashid Khalidi, Palestina. Cento anni di colonialismo, guerra e resistenza, ci racconta la storia di questo secolare conflitto visto dalla parte dei palestinesi.
Khalidi, la cui famiglia apparteneva agli strati più elevati dell’élite palestinese, è nato nel 1948 a New York City, dove suo padre era un alto funzionario dell’Onu. Un suo pro-prozio era stato un importante funzionario sotto il governo ottomano, a lungo sindaco di Gerusalemme. Studioso di  rilievo, docente all’università di Chicago e alla Columbia, Rashid Khalidi è stato anche attivamente
coinvolto nelle vicende politiche: era a Beirut durante la guerra del Libano del 1982, e ha partecipato attivamente alle trattative tra palestinesi e israeliani a Madrid e a Washington.
In questo libro, Khalidi fa ampio uso tanto dei documenti pubblici che delle memorie famigliari
oltre che della sua stessa esperienza politica. Ne risulta una scrittura affascinante in cui l’uso
rigoroso delle fonti documentarie si mescola con quello delle memorie famigliari e personali.
Il filo rosso che percorre il libro, che caratterizza la storia secolare del conflitto, è il “colonialismo”.
Tutta la storia del conflitto, dalla nascita del sionismo ad oggi, è infatti analizzata nell’ottica
coloniale. Come già per Edward Said, il grande studioso autore di “Orientalismo”, quella della
nascita di Israele è per Khalidi una storia coloniale, sia pure di un colonialismo diverso da quello
che ha caratterizzato le potenze europee nei secoli XIX e XX. Quello “di insediamento”,
caratterizzato dall’insediamento di coloni e dall’espulsione più o meno ampia dei precedenti abitanti.
L’analisi in chiave coloniale dell’intera storia di Israele è così il filo rosso del libro. Altri studiosi,
dando maggior rilievo agli elementi di rinascita nazionale presenti inizialmente nel sionismo, fanno
invece risalire la caratterizzazione coloniale ad anni più recenti, il 1948 con la Naqba (la cacciata
dei palestinesi con la guerra) o il 1967 con l’inizio dell’occupazione. Comunque lo si voglia
interpretare, questo del colonialismo resta un tema su cui nessuno studioso serio può fare a meno di
soffermarsi e su cui il libro di Khalidi apre una discussione importante e, credo, necessaria. Questa
coloniale non è, vorrei sottolinearlo, un’interpretazione adottata solo dalla storiografia palestinese,
ma da molti studiosi israeliani e americani, la maggior parte dei quali ebrei. Inoltre, lungi dal trarre
dall’etichetta coloniale la conseguenza della necessità di distruggere lo Stato di Israele, Khalidi
immagina scenari per il futuro che non sono molto diversi da quelli di una buona parte degli
studiosi post-sionisti israeliani, sostenitori di un’Israele che non sia più lo Stato degli ebrei, ma uno
Stato democratico in cui tutti, ebrei e non ebrei, godano degli stessi diritti.
Decisa è anche, nel libro, la valutazione negativa della cosiddetta stagione di Oslo, le trattative fra
israeliani e palestinesi che dalla conferenza di Madrid a quella del 2000 di New York hanno portato
al fallimento della nascita di uno Stato, ai cui negoziati pure Khalidi aveva partecipato.
Particolarmente netto il giudizio negativo sugli accordi di Oslo e sull’incapacità di negoziare dei
vecchi dirigenti dell’OLP, troppo a lungo lontani dalla situazione reale della Palestina.
Infatti Khalidi non si limita a condannare in maniera netta la politica israeliana, che vede in tutta la
sua storia politica, sia con i governi laburisti che con quelli del Likud, come volta a creare uno Stato
fondato sull’oppressione dei palestinesi, e nella cui volontà di pacificazione non crede. La sua
critica, in molti casi durissima, è anche rivolta alle organizzazioni palestinesi, tanto l’OLP che
Hamas, che vede oscillare fra l’incapacità di darsi dei progetti politici e la scelta del terrorismo e
della violenza. Questa scelta, scrive, «oltre a sollevare gravi questioni legali e morali e a privare i
palestinesi di un’immagine mediatica positiva, a livello tattico si è dimostrata enormemente
controproducente».
In quest’ottica, nessuna indulgenza per il 7 ottobre nella postfazione al libro, scritta nella primavera
del 2024 (mentre il testo si fermava al 2019). La lettura del secolo di guerra, una guerra sempre per
lui asimmetrica, in cui i palestinesi sono sempre visti come i più deboli tra i due contendenti, non lo
spinge a giustificare il terribile attacco terroristico del 7 ottobre, ma piuttosto a riflettere sulle
possibilità che si aprono anche dopo questa data. Il trauma collettivo seguito in Israele al 7 ottobre
ha portato ad esacerbare le attitudini verso i palestinesi della società israeliana, spingendone molta
parte a sostenere il governo di estrema destra, afferma. Una nuova fase è iniziata, particolarmente
letale e distruttiva, in cui tuttavia si riconoscono ancora le tracce della storia precedente. La pace
che Khalidi auspica, anche se la vede sempre più allontanarsi nel tempo, è «una pace fondata
sull’ammissione delle dolorose realtà storiche e sullo smantellamento delle strutture di oppressione,
basata sulla giustizia, sulla parità di diritti e sul riconoscimento reciproco». Uno scenario su cui
anche gli israeliani che si oppongono a questa guerra e a questo governo non possono che
concordare.

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il messaggio di L. Segre ai giovani del forum internazionale giovanile

miei cari ragazzi state attenti, l’odio è sempre in agguato

di Liliana Segre

il messaggio della senatrice Liliana Segre che apre  il Change the World Model
United Nations di New York, il più grande forum internazionale giovanile, a cui partecipano 4.000  studenti provenienti da oltre 140 Paesi.

Care ragazze e cari ragazzi, sono molto felice di rivolgermi a voi che siete la migliore garanzia per
il futuro. Il tempo è una strana variabile, comincia oggi come l’attimo fuggente. Velocissimo. Ecco
perché vorrei chiedervi di fermarvi un attimo per ascoltare, in silenzio, i vostri pensieri.
Voi che siete i cittadini del mondo dominato dai social, una dimensione sempre più interconnessa,
uno spazio in cui vengono condivisi – sarebbe meglio dire esibiti – opinioni, punti di vista, stati
d’animo, umori, che sembrano sentimenti e invece nella stragrande maggioranza dei casi sono
pulsioni.
La pulsione più inquietante e la più radicata nell’animo umano, ha a che fare con l’odio. E io ne sono
la testimone vivente, avevo più o meno la vostra età quando ho conosciuto l’odio che si fa sistema,
teoria e pratica, dell’uomo contro l’uomo.
Uscita per buona sorte dal campo di sterminio di Auschwitz, porto con me quella storia sulla pelle:
l’odio inciso. Ecco perché è importante ricordare anche a voi giovani sentinelle della Memoria che
la memoria è la funzione del mondo. A voi che avete scelto questo percorso, affinché siate pronti ad
indagare le ragioni dell’altro prima di volere affermare le vostre.
La buona pratica dell’ascolto che si mescola al dialogo nella diversità resta il miglior strumento di
comprensione e di crescita. È l’elogio dell’imperfezione tanto caro alla Nostra indimenticata Rita
Levi Montalcini.
In un’epoca in cui il mondo sembra spesso diviso da parole di odio è fondamentale che ci fermiamo
a riflettere su cosa vogliamo realmente costruire. L’odio non crea mai nulla di buono: è una forza
distruttiva che lascia solo macerie, divisioni e sofferenza. Proprio in questo momento di difficoltà
voi, le nuove generazioni, avete un’opportunità unica e un’importante responsabilità: quella di
rispondere a tutto questo con un linguaggio diverso, con una forza positiva che può cambiare
davvero le cose.
Ribellatevi all’aggressività e alla violenza che passa attraverso le parole e atterra direttamente dentro
le nostre vite.
Le parole che scegliamo di pronunciare, le azioni che decidiamo di intraprendere possono
trasformare la realtà. Non ci sono muri da alzare, ma ponti da costruire. La nostra forza sta nella
capacità di guardare al futuro con speranza e determinazione, di lavorare per la pace, per la
solidarietà, per un mondo fatto di comprensione di ciò che è diverso da noi. L’aggressività, la
violenza, l’intolleranza, il razzismo, l’antisemitismo, l’odio per chi è diverso dilagano anche nel
discorso pubblico. Neanche le grandi istituzioni ne sono immuni, così che addirittura gli organismi
sovranazionali come l’ONU sembrano incapaci di rispondere alle sfide del nostro tempo.
Eppure io, bisnonna, quando vi guardo, quando vi parlo, vedo e sento la speranza del cambiamento.
Voi siete avamposti di pace, nel cuore custodite i semi del bene, del buono. Ciascuno, però, deve
farli germogliare in gesti concreti e prese di posizioni precise: contro l’indifferenza e l’intolleranza,
che sono l’altra faccia dell’odio.
Dovete essere voi i veri protagonisti di questo cambiamento necessario. Non siate spettatori passivi
del nostro tempo, perché Voi siete chiamati a scrivere il nostro futuro. Siate ambasciatori d’amore
contro l’odio e guardate al presente con il giusto stupore, perché alla fine di ogni notte sorgerà il
sole e avrà il vostro sorriso.
Abbiate sempre in mente le parole di Martin Luther King: “Occorre piantare il melo anche sotto le
bombe”.
Coraggio ragazze e ragazzi, buon lavoro.

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