Mancuso e le domande di Scalfari a papa Franceco

 

bei fiori

una interessante riflessione di V. Mancuso in riferimento alle domande e risposte nel contesto del dialogo fra Scalfari e papa Francesco
la chiesa sta imboccando una vera svolta, ma il pensiero laico è pronto a ripensare certe proprie rigidità o radici culturali inadeguate ad affrontare le grandi problematiche attuali?

Il bene del mondo e la Chiesa
di Vito Mancuso
in “la Repubblica” del 4 ottobre2013

Inizierà davvero una nuova epoca per la Chiesa, e quindi inevitabilmente anche per la società, come prefigurava Scalfari a conclusione dell’intervista a papa Francesco? Ciò che sorprende nelle risposte del Papa è il punto di vista assunto, un inedito sguardo extra moenia o “fuori le mura” che non pensa il mondo a partire dalla fortezza-Chiesa, ma, esattamente all’opposto, pensa la Chiesa a partire dal mondo. Nei suoi ragionamenti non c’è traccia della consueta prospettiva ecclesiastica centrata sul bene della Chiesa e la difesa a priori della sua dottrina, della sua storia, dei suoi privilegi e dei suoi beni così spesso oggetto di cura gelosa da parte degli ecclesiastici di ogni tempo (un monumento del pensiero cattolico quale il Dictionnaire de Théologie Catholique dedica 9 pagine alla voce “Bene” e 18 alla voce “Beni ecclesiastici”!). C’è al contrario un pensiero che ha di mira unicamente il bene del mondo e per questo il Papa può dire che il problema più urgente della Chiesa è la disoccupazione dei giovani e la solitudine dei vecchi. Non le chiese, i conventi e i seminari semivuoti; non il relativismo culturale; non il sentire morale del nostro tempo così difforme dalla morale cattolica; non la minaccia alla vita e al modello tradizionale di famiglia. No, la disoccupazione dei giovani e la solitudine degli anziani. L’aver assunto il bene del mondo quale punto di vista privilegiato ha condotto il Papa alle seguenti due affermazioni capitali: 1) la Chiesa non è preparata al primato della dimensione sociale, anzi c’è in essa una prospettiva vaticanocentrica che produce una nociva dimensione cortigiana («la corte è la lebbra del papato»); 2) storicamente essa non è quasi mai stata libera dalle commistioni con la politica – e a questo proposito la Chiesa italiana di Ruini e Bagnasco dovrebbe recitare non pochi mea culpa per non aver denunciato l’immoralità pubblica e privata di chi per anni governava l’Italia, di cui al contrario si è giunti persino a contestualizzare benignamente le pubbliche bestemmie. Ma l’azione del papa e la nuova epoca per la Chiesa che prefigura può non avere effetti anche sul mondo laico? Dei mali della Chiesa e delle riforme di cui necessita si è detto, ma penso sia saggio domandarsi se non esista anche qualcosa nella mente laica che occorre riformare. È solo la Chiesa che deve cambiare, oppure il cambiamento e la riforma interessano anche chi si dichiara laico e non credente? Naturalmente sotto queste insegne si ritrovano gli ideali più vari, dall’estrema destra all’estrema sinistra, e io qui mi limito a discutere il pensiero laico progressista rappresentato da Scalfari. Alla domanda del Papa sull’oggetto del suo credere, Scalfari ha risposto dicendo «io credo nell’Essere, cioè nel tessuto dal quale sorgono le forme, gli Enti», e poco dopo ha precisato che «l’Essere è un tessuto di energia, energia caotica ma indistruttibile e in eterna caoticità», attribuendo a combinazioni casuali l’emergere delle forme tra cui l’uomo, «il solo animale dotato di pensiero, animato da istinti e desideri», ma che contiene dentro di sé anche «una vocazione di caos». Insomma Scalfari si è professato, come già nei suoi libri, discepolo di Nietzsche. Ma cosa manca a questa visione del mondo? Trattandosi di un’eredità di colui che volle andare “al di là del bene e del male”, manca ovviamente la possibilità di fondare l’etica in quanto primato incondizionato del bene e della giustizia. Per Nietzsche infatti l’Essere è un “mostro di forza, senza principio, senza fine, una quantità di energia fissa e bronzea”, il mondo “è la volontà di potenza e nient’altro”. Ma se il mondo è questo, ne consegue che il liberismo, in quanto volontà di potenza che vuole solo incrementare se stessa, ne è la più logica conseguenza. Perché mai quindi si dovrebbe lottare nel nome della giustizia, della solidarietà, dell’uguaglianza? Come non dare ragione a Nietzsche che considerava questi ideali solo un trucco vigliacco dei deboli, incapaci di lottare ad armi pari coi forti? Se l’essere è solo caos e forza, l’azione che ricerca la pace e la giustizia è destinata inevitabilmente a rimanere senza fondamento. Da tempo vado pensando che la cultura progressista viva la grande aporia dell’incapacità di fondare teoreticamente la propria stessa idea-madre, cioè la giustizia. Darwin ha sostituito Marx, e
Nietzsche (attento lettore di Darwin) è diventato il punto di riferimento per molti. Il risultato è Darwin + Nietzsche, ovvero “l’eterno ritorno della forza”, cioè una cupa e maschilista visione del mondo secondo cui la forza e la lotta sono la logica fondamentale della vita. Se è giunto il tempo di una Chiesa che dia più spazio al femminile, è altresì tempo di un pensiero laico altrettanto capace di ospitare il femminile, intendendo con ciò una visione del mondo e della natura che fa dell’armonia e della relazionalità il punto di vista privilegiato. Da Aristotele a Spinoza a Nietzsche, la sostanza è sempre stata pensata come prioritaria rispetto alla relazione: prima gli enti e poi le relazioni tra essi. Oggi la scienza ci insegna (questo è il senso filosofico della scoperta del bosone di Higgs) che è vero il contrario, che prima c’è la relazione e poi la sostanza, nel senso che tutti gli enti sono il risultato di un intreccio di relazioni e tanto più consistono quanto più si nutrono di feconde relazioni. Questo è il pensiero femminile, un pensiero del primato della relazione, di contro al pensiero maschile basato sul primato della sostanza, e va da sé che pensiero femminile non significa necessariamente pensiero delle donne, perché ogni essere umano contiene la dimensione femminile e vi sono donne che pensano e agiscono al maschile (si consideri per esempio Margaret Thatcher, per tacere di alcune politiche italiane), mentre vi sono uomini che pensano e agiscono al femminile (si pensi per esempio a Gandhi e prima ancora al Buddha o a Gesù). Io penso che il nostro tempo abbia veramente bisogno di un nuovo paradigma della mente, di una ecologia della mente nel senso etimologico di riscoperta del logos che informa oikos,il termine greco per “casa” da cui viene la radice “eco” e che rimanda alla natura. Scalfari nel suo credo insiste sul caos e non sbaglia, perché il caos è una dimensione costitutiva della natura; non è la sola però, c’è anche il logos, alla cui azione organizzatrice si deve l’emersione dalla polvere cosmica primordiale degli enti e della loro meraviglia, tra cui la mente e il cuore dell’uomo. I grandi sapienti dell’umanità l’hanno sempre compreso, chiamando il logos anche dharma, tao, hokmà ecc. a seconda della loro tradizione. Cito volutamente un pensatore non cristiano, il pagano Plotino: «Più di una volta mi è capitato di riavermi, uscendo dal sonno del corpo, e di estraniarmi da tutto, nel profondo del mio io; in quelle occasioni godevo della visione di una bellezza tanto grande quanto affascinante che mi convinceva, allora come non mai, di fare parte di una sorte più elevata, realizzando una vita più nobile: insomma di essere equiparato al divino, costituito sullo stesso fondamento di un dio» (Enneadi IV, 8, 1). L’unione di logos + caos è la dinamica dentro cui il mondo si muove ed evolve. Essa ci fa comprendere che la verità non è un’esattezza, una formula, un’equazione, un dogma o una dottrina, insomma qualcosa di statico; la verità è la logica della vita in quanto tesa all’armonia, quindi è un processo, una dinamica, un flusso, un’energia, un metodo, una via. La verità è il bene in quanto armonia delle relazioni. In questo senso Gesù diceva “io sono la via, la verità e la vita”, non intendendo certo con ciò innalzare il suo ego in un supremo narcisismo cosmico, ma prefigurando il suo stile di vita basato sull’amore come ciò che al meglio serve l’Essere. Ne viene una visione del mondo nella quale l’ontologia cede il primato all’etica, nella quale cioè il vero non si può attingere se non passando attraverso i sentieri del bene, e l’amore diviene la suprema forma del pensare. Amor ipse intellectus,insegnava il mistico medievale Guglielmo di Saint-Thierry. I credenti sono chiamati a rinnovarsi e penso che con umiltà sotto la guida di questo papa straordinario in molti stiano iniziando a farlo; anche i non credenti però sono chiamati a rinnovare la loro mente alla luce dell’Essere non solo caos ma anche logos, cioè relazionalità originaria a livello fisico che fonda il bene a livello etico. Forse così l’ideale della giustizia e dell’uguaglianza al centro del pensiero progressista mondiale sarà distolto dalle nebbie del buonismo dei singoli e radicato su una più armoniosa visione del mondo.

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