la sfida di papa Feancesco: verso nuove frontiere

altare

Chris Lowney, autore di Pope Francis e direttore di uno dei più grandi sistemi di assistenza sanitaria ospedaliera, riflette sulla sfida che papa Francesco rivolge alla chiesa di “percorrere strade polverose verso nuove frontiere”:

Francesco ci sfida a percorrere strade polverose verso nuove frontiere

di Chris Lowney*
in “ncronline.org” del 27 settembre 2013 (traduzione: www.finesettimana.org)

Credo che papa Francesco stia cercando di attivare un enorme cambiamento culturale nella Chiesa cattolica. E vedo l’inconfondibile impronta spirituale di Sant’Ignazio di Loyola nella spiritualità e nello stile di leadership del papa. “Chi è Jorge Mario Bergoglio?”, ha chiesto padre Antonio Spadaro al papa durante la ormai famosa intervista fatta in agosto. Mentre molti politici e celebrità avrebbero sfruttato questa semplice domanda per dare una risposta autopromozionale, ecco che cosa ha detto il papa: “Sono un peccatore”. Una risposta che trae da una pagina degli esercizi spirituali di Ignazio di Loyola, che comprende alcune meditazioni forti sul peccato personale: “Mi considero come una piaga e un ascesso, da cui sono usciti gravi peccati”. Ma non c’è una visione deprimente nella spiritualità ignaziana di Francesco; è solo una maniera semplice e schietta di parlare della condizione umana. E benché i postmoderni qui nella New York cosmopolita possano rifiutare il discorso cattolico sul peccato, tutti possono sentire dentro di sé una risonanza rispetto alla visione papale di una chiesa-“ospedale da campo” che si concentra innanzitutto sullo sforzo di guarire. Siamo tutti profondamente imperfetti, papi inclusi, ma ciononostante intrinsecamente resi degni e incondizionatamente amati da Dio. Questo è stato un motivo ricorrente di tutta la vita di Bergoglio. Mentre scrivevo Pope Francis: Why He Leads the Way He Leads, ho parlato con molti gesuiti che si sono formati sotto di lui quando era rettore di un grande seminario gesuita. Il padre gesuita Hernàn Paredes mi ha detto: “Per Bergoglio era importante che noi ci amassimo così come eravamo”. Paredes ci fa partecipi di un curioso aneddoto su un collega equadoregno che un giorno orgogliosamente indossava una giacca tradizionale, in cui erano intessute delle immagini di lama. Un seminarista argentino crudelmente dileggiava la tenuta del ragazzo, come se si trattasse di un burino appena arrivato nella grande città. Allora Bergoglio invitò l’argentino a portare quella giacca per un giorno, come meditazione “ambulante” per l’intera comunità: ogni persona ha una fondamentale dignità, è degna di rispetto per diritto di nascita; l’amore costante di Dio non è condizionato da ciò che gli altri pensano di noi, dal nostro status o dalla nostra cattiveria. Questo messaggio chiave del cattolicesimo e degli esercizi spirituali di Ignazio di Loyola è fondamentale per la visione di Francesco sulla chiesa. Nell’intervista, ha parlato di una chiesa che “è la casa di tutti, non una piccola cappella che può contenere solo un gruppetto di persone selezionate”. Quando visita i rifugiati a Lampedusa, abbraccia i disabili in Piazza San Pietro, dice che vuole una chiesa che sia “per i poveri”, o ci incoraggia a diffondere la notizia della misericordia di Dio, implicitamente ci sta dicendo che la nostra cappella è ancora troppo piccola. Non ne abbiamo ancora fatto una casa per tutti, e fare questo è compito di ogni cattolico perché, nella ignaziana visione del mondo di papa Francesco, non siamo soltanto peccatori amati, ma siamo ognuno personalmente, pur peccatori, chiamati a lavorare accanto a Gesù e diffondere la buona notizia di Gesù. Questo ci porta al secondo potente tema ignaziano nell’intervista di Spadaro: lo spirito di frontiera. Francesco ha detto che fu inizialmente attratto dall’ordine gesuita per tre ragioni, una delle quali era il suo “spirito missionario”. Ignazio di Loyola esortava i gesuiti a vivere “con un piede alzato”, sempre pronti a cogliere la prossima opportunità. Istituì anche uno speciale quarto voto di obbedienza: essere sempre disponibili ad essere inviati in missione dal papa. Questo atteggiamento mentale liberò una straordinaria energia centrifuga nelle prime generazioni gesuite, che notoriamente andarono in ricerca al di fuori delle frontiere del mondo allora conosciuto dagli europei. Lo stesso paese natale del papa, l’Argentina, ad esempio, è ancora punteggiato dalle rovine di importanti insediamenti innovativi – le cosiddette “riduzioni del Paraguay” (1) – che i
gesuiti, da pionieri, fecero sorgere nelle zone abitate dagli indigeni. Ma Francesco ci sta invitando ad interpretare la “frontiera” in un senso molto più ampio. Le frontiere del cattolicesimo del XXI secolo non riguardano tanto le persone lontane geograficamente, quanto piuttosto coloro che non danno molto valore alla religione organizzata e che sono stati trascurati o esclusi. Il papa ha detto al suo intervistatore che ammirava il “dialogo con tutti… perfino con i suoi avversari” di uno dei primi gesuiti, padre Peter Faber. E, ha detto il papa, “cerchiamo di essere una Chiesa che trova nuove strade, che è capace di uscire da se stessa e andare verso chi non la frequenta, chi se n’è andato o è indifferente”. Questa non è una banalità, questa è una strategia. Un altro gesuita che ho intervistato per il progetto del mio libro ha detto che a padre Bergoglio fu chiesto una volta di assumersi la responsabilità di una nuova parrocchia in una comunità impoverita e che lui “arruolò” alcuni seminaristi volontari per assisterlo. A fare cosa? Ebbene, ad andare in giro per la città. Ad incontrare tutti, non solo quelli che andavano in chiesa. A trovare i più poveri e vedere che cosa era possibile fare per aiutarli. Quando i seminaristi tornavano da quelle visite, Bergoglio era solito controllare quali scarpe fossero impolverate – cioè chi mostrava uno spirito di frontiera per incontrare le persone lì dove realmente vivono. Quando il gruppo scoprì quanto effettivamente fossero poveri i loro vicini, un gesuita ricorda che Bergoglio disse qualcosa come: “Non possiamo stare qui seduti a braccia conserte, mentre abbiamo tutto, e quella gente non ha nemmeno abbastanza da mangiare”. Così passarono all’azione, mettendo un grande pentolone in un campo per dare avvio ad una primitiva mensa dei poveri. Questo stile innovativo, instancabilmente energico e volto all’esterno è fondamentale per lo “spirito di frontiera” che Francesco vuole instillare. Nell’omelia del giorno successivo alla sua elezione ha detto: “La nostra vita è un viaggio, e quando smettiamo di essere in movimento, le cose vanno male”. La frontiera è ora il nostro vicinato, non un posto all’altro capo del mondo. Lo riusciremo a capire più chiaramente accogliendo il grande mantra della spiritualità ignaziana raccomandato dal papa: trovare Dio in ogni cosa. Questo significa trovare Dio presente non solo nel nostro pasto eucaristico, ma nel costituire il personale di quegli “ospedali da campo” che guariranno sofferenza, alienazione, disperazione o povertà dei nostri vicini. All’inizio di questo scritto, sostenevo che Francesco sta cercando di attivare un enorme cambiamento culturale nella nostra chiesa. Enorme cambiamento culturale: è un’iperbole? Ebbene, considerate la pioggia di parole e frasi sollevate dalle dichiarazioni dell’intervista del papa sulla chiesa, sulla vita dei gesuiti o dei cattolici: “vivere al confine ed essere audaci”, “essere in ricerca, creativi e generosi”, “trovare nuove strade”, “dialogare con tutti, anche con gli avversari”. Purtroppo, pochi osservatori obiettivi assocerebbero totalmente queste caratteristiche alla nostra chiesa di oggi. Francesco sta chiedendo a ciascuno di noi di contribuire a guidare il cambiamento culturale che renderà quelle caratteristiche più pienamente vive. Sì, ognuno di noi deve aiutare a guidare. Dopo tutto, ha detto che i vescovi “devono essere capaci di accompagnare il gregge che ha il fiuto per trovare nuove strade”. Allora, impolveriamo le nostre scarpe e troviamo nuove strade.
(1) Riduzioni gesuite: piccoli nuclei cittadini in cui erano strutturate le missioni, con lo scopo di civilizzare e di evangelizzare. *Chris Lowney,  autore di Pope Francis: Why He Leads the Way He Leads (Loyola Press), è stato amministratore delegato di J.P. Morgan & Co. ed è ora direttore del consiglio di Catholic Health Initiatives, uno dei più grandi sistemi nazionali di assistenza sanitaria e ospedaliera.

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