un giubileo universale

il Giubileo della misericordia

e il nuovo disordine mondiale


GIUBILEO

nel giorno numero mille dalla sua elezione, Papa Francesco apre il Giubileo, che rappresenta, assieme al Sinodo dei vescovi del 2014-2015, uno dei momenti forti del pontificato: un anno dedicato alla parola chiave scelta da Jorge Mario Bergoglio, “misericordia”. Si annuncia come un Giubileo in buona parte diverso dal Grande Giubileo del 2000 di Giovanni Paolo II

In primo luogo, la chiesa di Francesco sta andando incontro a un radicale “aggiornamento” aperto al futuro, molto più che verso un piano di oculate “riforme”: un aggiornamento di roncalliana memoria e di sapore conciliare. La scelta dell’apertura del Giubileo il giorno 8 dicembre, a cinquanta anni esatti dalla conclusione del concilio Vaticano II, non è casuale. Francesco ha le capacità dello stratega, ma non è un pianificatore: il concetto di “discernimento” ha molto più a che fare con un processo spirituale aperto alle novità e alle sorprese, come fu il Vaticano II, che con la razionalità burocratica. Invece il Giubileo di Giovanni Paolo II del 2000 arrivò dopo un lungo periodo di preparazione che era iniziato con la lettera apostolica “Tertio Millennio Adveniente” del 1994. Il Giubileo del 2000, in altre parole, fu pensato e programmato da Giovanni Paolo II nel suo lungo pontificato, rimase centrato sulla Roma del Papa, e cambiò alcune coordinate del rapporto tra la chiesa e la dimensione ad extra come con l’ebraismo (le conferenze di studio sponsorizzate dalla Santa Sede sulla storia dell’antigiudaismo, il documento Noi ricordiamo: una riflessione sulla Shoah del 1998 legato alla “purificazione della memoria”) e l’ecumenismo (l’apertura della Porta Santa con leader di altre chiese), ma non ebbe grandi effetti all’interno della chiesa cattolica in quanto tale.

In altre parole, il Giubileo del 2000 faceva parte di un complesso piano teologico e spirituale di Giovanni Paolo II, in cui gli elementi ad extra (l’ecumenismo, il dialogo interreligioso, le richieste di perdono nei confronti del mondo esterno) erano molto più importanti degli sforzi di Giovanni Paolo II per riconciliare la Chiesa ad intra e per ricondurre ad unità le tensioni interne alla chiesa che già allora erano percepibili e che ora Francesco si trova a gestire. Quello di Giovanni Paolo II fu anche un Giubileo con alcuni elementi di contraddizione tipici di quel lungo pontificato. Il Giubileo del 2000 fu molto più romano che universale, in tutte le chiese locali, come sarà quello di Francesco. La logistica degli eventi giubilari del 2000 fu anche una grande opportunità per cementare il già poco trasparente rapporto tra il Vaticano, l’Italia, e la città di Roma: il Giubileo venne utilizzato non solo per spostare pellegrini a Roma, ma anche per spostare ingenti somme di denaro. La ferma intenzione di tenere a debita distanza i politici e la politica italiana è tipica di Papa Francesco e rende diverso il rapporto tra il Papa e l’Italia anche durante il Giubileo. La dislocazione del centro di gravità della cattolicità dal Vaticano alle periferie ha conseguenze anche per Roma e l’Italia.

In secondo luogo, il Giubileo del 2000 occupò la scena di una Chiesa cattolica che era allora molto più sicura di sé. Da questo punto di vista sembrano essere passati molto più di quindici anni. La chiesa cattolica dell’anno 2000 era molto più sicura di sé non solo a causa della popolarità della star globale Giovanni Paolo II, ma perché era una Chiesa in cui, per esempio, la stragrande maggioranza dei cattolici non era a conoscenza della dimensione della tragedia degli abusi sessuali commessi del clero in tutto il mondo (molti vescovi, cardinali, avvocati e canonisti sapevano ma non agirono). Nel 2000 la questione della corruzione in Vaticano era materia per pochi esperti o per gli storici, e non era sulle pagine dei giornali tutti i giorni come oggi. Il Giubileo della misericordia si apre invece in una Chiesa che negli ultimi anni, con Papa Francesco, ha visto preti in prigione, vescovi condannati dalla giustizia secolare, e in un caso anche un vescovo del servizio diplomatico della Santa Sede arrestato per ordine del Papa e condotto nelle prigioni del Vaticano. È finita l’epoca dei prelati (anche cardinali) sottratti alla giurisdizione, come accadde sotto Giovanni Paolo II.

Terzo elemento di differenza: la chiesa vive e opera nel mondo reale, e il mondo del 2015 è molto diverso dal mondo di soltanto quindici anni fa. Il mondo del 2000 era molto più ottimista e pieno di speranza: l’Unione europea stava preparando la transizione dalle monete nazionali all’Euro, e l’Unione europea era ancora un potente attore per l’unità e la stabilità del vecchio continente; in Medio Oriente la “seconda Intifada” iniziò solo verso la fine del 2000 e c’erano ancora speranze per la “soluzione dei due Stati” tra Israele e palestinesi; nel mondo occidentale gli Stati Uniti avevano ancora un ruolo di leadership, non offuscata dalle catastrofiche decisioni strategiche prese nel decennio successivo da Bush prima e da Obama poi; la questione ambientale non sembrava così disastrosa e potenzialmente apocalittica come oggi. Soprattutto, il giubileo del 2000 venne celebrato in un mondo pre-11 settembre, un mondo in cui il rapporto tra religione e violenza era importante in alcune aree geografiche del globo ma non pervasivo come oggi: il problema del legame tra religione e violenza sembra ora dominare l’immaginario sul ruolo delle fedi nel mondo globale.

Pochi mesi dopo la conclusione del Giubileo del 2000 Giovanni Paolo II potè visitare i luoghi santi dei musulmani a Damasco. La Siria era già allora e da lungo tempo sotto una dittatura terribile e sanguinaria, ma quel paese era un modello di convivenza interreligiosa in Medio Oriente, un luogo sicuro per i cristiani, e non l’incubo odierno di una guerra apparentemente senza via di uscita. Diversa dal 2000 è la percezione di un cristianesimo che oggi è tornato all’epoca delle persecuzioni – “l’ecumenismo del sangue” di cui ha parlato Francesco: non solo le immagini delle decapitazioni trasmesse via internet, ma anche le conseguenze delle persecuzioni (guerre civili, rifugiati, minacce alla stabilità dell’intera area euro-mediterranea) fanno impallidire la memoria delle persecuzioni che i cristiani subirono nell’Impero romano prima della legalizzazione del cristianesimo da parte di Costantino nel quarto secolo. La pressione esercitata su di noi da quelle immagini e da quelle notizie rendono l’enfasi di Papa Francesco sul Dio della misericordia tanto psicologicamente paradossale quanto teologicamente necessaria.

Il Giubileo di Papa Francesco va a far parte della storia dei giubilei. Ma questo Giubileo della misericordia non è solo l’ennesima puntata di una storia già vista, e quello di Francesco non è un pontificato di transizione. Quello che si apre l’8 dicembre è un Giubileo con un ruolo significativamente ridotto per Roma e il Vaticano, paradossalmente in una chiesa che si affida oggi a un uomo solo, Papa Francesco, più di quanto i cattolici liberal e gli atei illuminati alla Scalfari siano disposti ad ammettere. È un giubileo che esprime la teologia e la visione di chiesa del primo Papa non euro-mediterraneo e post-Vaticano II. Tipica di Francesco è una ridefinizione mistica dei rapporti tra la Chiesa e il mondo. La decisione di Francesco celebrare il Giubileo della misericordia non si basa solo su considerazioni teologiche ed ecclesiali, ma esprime una profonda comprensione da parte del Papa di quello che è il mondo di oggi. Ed è un mondo più complicato di quello di soltanto pochi anni fa