uso politico sfacciato della religione

I TheoBros nello studio Ovale: l’America attua il volere di Dio

di Luca Celada
in “il manifesto” del 21 febbraio 2025

È una coalizione improbabile e per certi versi paradossale, quella allineata dietro al demagogo
Donald Trump che con la complicità di una corte suprema deviata, un partito succube e di un
elettorato che ha scelto (pur con solo il 49,7% dei voti) di rimettersi nelle sue mani – si è trovato in
un fatidico inverno del 2025, con i mezzi per decostruire la democrazia americana e l’ordine
globale.
Vi sono ovviamente sovrapposizioni fra sovranisti, la destra religiosa e i neoreazionari del tech che
hanno riportato al potere Trump. I suprematisti del neo-apartheid, i teocratici e “broligarchi” hanno
ad esempio una fede comune nella «supremazia morale» dell’occidente, che sostituisce ora la
democrazia come valore assoluto. Ed un’identità decisamente bianca che trova ad esempio
un’affinità naturale con la Russia putiniana.
Ma vi sono anche evidenti discrepanze. Fra il fondamentalismo biblico degli integralisti e le
fantasie eugenetiche e transumaniste dei tecnologi, per dirne una, e fra gli oligarchi tecnomonarchici di Silicon Valley e gli estremisti blue-collar della galassia alt-right, per fare un altro
esempio. Causa, quest’ultima, degli screzi che continuano ad affiorare fra Elon Musk e Steve
Bannon, il quale è da poco tornato ad apostrofare il miliardario sudafricano come «parassitico
immigrato illegale».
È un’anomalia anche che fazioni così fervidamente dottrinarie abbiano trovato un portabandiera in
una figura agnostica rispetto ad ogni ideologia e religione, profondamente opportunista e
squisitamente amorale. Ma il suo successo è propedeutico all’altra principale ambizione comune:
l’annientamento rivoluzionario dello stato liberale e sociale per sostituirlo con un modello radicale
di società.
Una delle figure che più riassume queste idea nella sua triplice accezione (di guerra santa, eversione
politica ed efficienza “aziendale”) è JD Vance, espressione del conservatorismo bianco e religioso
degli Ozarks dell’Ohio e successivamente “iniziato” alla broligarchia della Silicon Valley da Peter
Thiel. Convertito al cattolicesimo tradizionalista, Vance primo vicepresidente millennial veicola per
una nuova generazione una lunga tradizione fondamentalista americana giunta oggi al cuore dello
stato.
La componente religiosa ha ricoperto un ruolo specifico nella parabola nazionale e l’integralismo è
stato componente fondativa sin dall’insediamento delle sette puritane nel nuovo mondo.
Quell’impulso è stato inglobato nella mitopoietica nazionale, in constante tensione con il
razionalismo di matrice illuminista. La religione ha vissuto poi ciclici momenti di prevalenza
culturale (i Great Revivals) nella vita del paese e la deriva fanatica è stata infine strategicamente
cooptata dalla destra politica con l’alleanza di Reagan con gli evangelici. Attualmente la
componente cristo-nazionalista, reazionaria e fondamentalista, spesso apocalittica (raccolta sotto la
dicitura di New Apostolic Reformation) forma la base più solida e compatta del sostegno a Trump e
punta ad un modello “originalista”, fondamentalmente teocratico della società.
In questo ambito, una figura come Vance esprime in maniera assai più articolata di Trump, l’idea di
un’America “originale” a cui fare ritorno come ad una terra promessa. Un concetto che circola
liberamente fra predicatori cosiddetti “TheoBros”, spesso quarantenni, ben vestiti, quasi sempre con
barba ben tosata, eloquenti e attivi online ma che per fanatismo religioso discendono in linea diretta
dal retroterra evangelico carismatico e pentecostale così prevalente specie nella bible belt
americana.
Va da sé, come espresso apertamente da Vance ed altri, che l’Eden ove rifuggire sia riservato agli
Americani “autentici” (leggasi bianchi). L’America non è l’idea spuria di melting pot che ne ha
corrotto gli ideali originali ma una nazione creata dai coloni fondativi che occorre riportare ad uno
stato di purezza politica, etnica e religiosa. È un oltranzismo estremo che oggi viene espresso
apertamente da politici Maga come Mike Johnson, speaker della Camera e Pete Hesgeth, ministro
della Difesa. Le sette a cui appartengono considerano essenziale azzerare oltre allo stato laico e le
sue istituzioni più prestigiose – dal New York Times alle grandi università, coacervi di corrosivo
materialismo, per ripristinare una nazione cristiana «fondata sui dieci comandamenti». Dietro alle
barbe ben tosate che portano molti TheoBros si nasconde una concezione di patriarcato che ricorda
quello distopico del Racconto dell’ancella fino all’ipotesi di abolire il suffragio per le donne.
Si tratta di idee da sempre circolate in congregazioni fondamentaliste che oggi appartengono ai
vertici politici e che questa settimana saranno al centro del Cpac, la convention dei conservatori che
si preannuncia come celebrazione di un trionfo in cui teologia e policy si sovrappongono senza
soluzione di continuità. Ad esempio Vance ha espresso una dottrina cara ai neo teocratici anti
solidale affermando che i Cristiani debbano «amare la propria famiglia, poi il prossimo, poi la
comunità, il concittadino, la patria e solo dopo possono eventualmente pensare al resto del mondo».
Un vangelo dell’egoismo – smentita dal papa stesso – che ha trovato espressione concreta
nell’abrogazione dell’Agenzia per la cooperazione internazionale (Usaid).
Nel mondo di Trump, i TheoBros sono garanti del più intransigente fanatismo e la retorica in cui
l’americanità è indistinguibile dalla cristianità è destinata a dominare certamente anche questo
Cpac, oltre a produrre altre immagini come l’imposizione rituale delle mani sul presidente che gli
integralisti considerano alla stregua di un messia. Quelle che in era pre Trump potevano ancora
passare per colorite bizzarrie, sono ormai pericolosi presagi. Per definizione infatti la dottrina non
ammette pluralismo o alternative alla vittoria, biblica e definitiva.
E se qualcosa insegnano gli eventi di queste settimane, è come nozioni che sembravano
appannaggio di frange estreme, possano trovarsi assai rapidamente stampate su di un prossimo
decreto. E come ha reso ben chiaro proprio JD Vance, non si tratta più di un problema interno
americano – quando gli integralisti controllano lo studio del vicepresidente o il Pentagono, gli
integralismi a stelle e strisce investono il mondo intero




giù le mani dai simboli cristiani traformati in strumenti di odio!

l’estrema destra e quell’uso osceno della religione

di Tomaso Montanari
in “altraeconomia” del gennaio 2020

L’uso politico della religione è antico quanto la religione. E, nella Chiesa cattolica, la tentazione dell’alleanza con il potere di questo mondo è la Grande Tentazione cui si cede già nel 380 d. C., quando l’imperatore Teodosio dichiara il cristianesimo religione di Stato e la gerarchia ecclesiastica si avvia a ereditare il ruolo della struttura di governo dell’Impero. Il cardinale Camillo Ruini che apre a Matteo Salvini è solo l’ultimo di una infinita teoria di alti prelati che credono che il regno di Cristo (e, con esso, naturalmente il loro piccolo, personalissimo regno) sia di questo mondo. Eppure lui, Gesù, si è sgolato per tutta la vita a dire il contrario: “Il mio regno non è di questo mondo!”. Ha affermato che bisogna tenere separati Cesare e Dio, dando a ciascuno il suo. E nel momento più terribile della sua vita, all’inizio della passione, ha fatto rinfoderare le spade dicendo che avrebbe potuto avere dodici legioni di angeli a difenderlo, ma che non voleva vincere con la forza. La radice di questa avversione del Cristo al potere terreno sta forse nell’episodio in cui il Diavolo gli offre, in cambio della sua adorazione, tutti i regni di questo mondo. Il che significa, chiosavano i padri della Chiesa, che evidentemente il Male disponeva liberamente di quei poteri terreni. Ma papi, cardinali e vescovi non sono Gesù: da secoli benedicono crociate e spade, ungono re e imperatori, rassicurano i ricchi sulla loro capacità di passare dalla cruna di un ago. E tutti quei potenti, da sempre, ricambiano: coprendo la Chiesa di denaro e potere, e ostentando grande devozione personale. È tutto ben noto. Eppure, nell’uso che Matteo Salvini, e con lui una buona parte dei vertici della estrema destra italiana, fanno della religione cristiana c’è qualcosa di ancora più osceno. Ed è l’ovvia, perfino caricaturale, malafede di chi inzuppa il rosario nel mojito, incorniciato dai misteri gaudiosi delle natiche delle cubiste. Ma è solo la superficie: il cortocircuito vero è nella sostanza. E la sostanza è che il più violento predicatore di odio della storia italiana recente brandisce i simboli di una fede fondata sull’amore incondizionato. Che il signore dei porti chiusi sventola un Vangelo in cui Gesù fonda il giudizio finale anche su questa domanda e su questa minaccia: “Ero straniero e non mi avete accolto: Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli”. Che un potente al centro di un giro internazionale di denaro e potere continua a proclamare la sua devozione alla Madonna, che nel Magnificat loda il Signore perché “ha abbattuto i potenti dai troni, ha innalzato gli umili”. Che il Dio della vita è ridotto a strumento di una politica di morte. In questo clima anche l’antica nostra incapacità di costruire uno Stato laico (senza crocifissi e presepi nelle scuole della Repubblica, ad esempio) assume connotazioni drammatiche e pericolose. Ebbene, chi invece davvero ci crede, i cristiani “veri”, hanno un solo modo per fermare questa violenza fatta sulla loro fede: prendere la parola in pubblico per condannare l’uso politico della religione. Che è sempre un errore terribile: ma che oggi appare particolarmente grave. Perché se è orribile usare la religione senza crederci, è addirittura mostruoso farlo operando attivamente per realizzare il suo opposto. Perché è evidente che, nelle famose (quanto parziali) radici cristiane la destra sta intagliando clave e bastoni con cui percuotere ogni diverso. E non ci potrebbe essere bestemmia più grande.