a proposito della orribile morte delle tre sorelline rom

 

Sarebbe meglio preoccuparsi. E stare attenti

Francesca, Angelica ed Elisabeth Halinovich. Due bambine piccole e una ragazza bruciate vive dentro una roulotte parcheggiata sul piazzale del supermercato Primavera, quartiere Centocelle, Roma. Le videocamere mostrano l’immagine di un uomo, forse a volto scoperto, che lancia una molotov e poi scappa. La polizia al termine di una giornata confusa smentisce la possibilità di una pista xenofoba, intuendone i disastrosi risvolti: più probabile, dicono, una faida tra rom. I fatti nudi e crudi sono questi, ma intorno ai fatti c’è molto di più. Ci sono, ad esempio, migliaia di commenti in rete – sui siti del Giornale e di Libero i più violenti – che apologizzano il rogo al grido di “tre di meno”. C’è uno stupefacente sfogo di odio collettivo. C’è la consapevolezza che, stavolta, questa roba non sia attribuibile al web: chi scrive (firmando con nome e cognome) «Io mi auguro ke tutti i rom facciano la stessa fine» non fa che echeggiare la violenza verbale con cui la politica e la tv si esprimono da anni sulla questione nomadi, sicurezza, microcriminalità.

Questo irresponsabile, martellante tam tam, negli ultimi due mesi ha subito un ulteriore salto di qualità, approdando dalle ruspe, dai lanciafiamme, dalle bombe da sganciare sui barconi con tutte le analoghe evocazioni di misure di forza estreme ma pur sempre “di Stato”, alla categoria del “facciamo da soli”. Il dibattito sulla legittima difesa, l’elogio dell’armarsi, dello sparare, del risolvere da se’ quel che le istituzioni non risolvono, del diritto a tutelare con le armi in pugno se stessi, la propria famiglia e per esteso la propria comunità, ha portato un elemento aggiuntivo al degrado di un dibattito già irresponsabile, caotico, evocatore di rancori oscuri e incontrollati. E non stupisce che gli inquirenti abbiano così velocemente escluso il raid xenofobo e annunciato la prevalenza di una “pista interna”: sono probabilmente consapevoli del carattere esplosivo della situazione, e della necessità di tamponarla in qualche modo prima che deflagri in mano alle autorità cittadine e alla politica tutta.

Il Far West che ogni giorno viene evocato da una parte della politica e della comunicazione, è lì, dietro l’angolo. Potrebbe succedere, non è impensabile che succeda. Le frasi d’odio con cui ci martellano certe trasmissioni radiofoniche o televisive, la caccia ai voti e agli ascolti fatta rimescolando i rancori

E però, davanti alla consapevolezza che per dodici ore, nella tollerante e disincantata città di Roma, tutti noi abbiamo ritenuto possibile l’ipotesi di una strage dettata da odio razziale, una riflessione collettiva andrebbe fatta. Il Far West che ogni giorno viene evocato da una parte della politica e della comunicazione, è lì, dietro l’angolo. Potrebbe succedere, non è impensabile che succeda. Le frasi d’odio con cui ci martellano certe trasmissioni radiofoniche o televisive, la caccia ai voti e agli ascolti fatta rimescolando i rancori, propagandando il diritto/dovere alla violenza difensiva, screditando il ricorso allo Stato – “Tanto non serve a niente” – e catalogando come “buonismo” ogni appello ai principi di umanità e ogni riferimento al diritto, sono gocce che scavano la pietra. Persino la pietra millenaria della Capitale, dove i sentimenti xenofobi sono rimasti sconosciuti per millenni.

Deve essersene accorta anche Giorgia Meloni, che ieri è stata la prima – quando ancora sembrava prevalente la tesi di un raid punitivo – a tagliar netto con ogni distinguo: «Orrore e profondo dolore – ha scritto – Mi auguro che i responsabili siano presto arrestati e che marciscano in galera per sempre». Chissà se aveva presenti altre stagioni di irresponsabile odio alimentate dalla politica “ufficiale”, per altri motivi, sotto il manto di giustificazioni ideologiche apparentemente più nobili e alte. Un altro rogo di un ragazzo e di un bambino, che chiunque provenga da destra non può dimenticare, e altre parole di disprezzo “razziale” pronunciate contro le vittime prima e dopo i fatti. Non sul web, che non esisteva, ma sui muri cittadini. La parola “Primavalle” è dura da pronunciare in questo contesto, e probabilmente fuori luogo: ma in questa città il solo precedente che viene alla memoria è quello, un’orribile e indimenticabile ferita.

La speranza è che la consapevolezza si allarghi, che si comincino a giudicare impronunciabili e impresentabili certe espressioni, non della Rete – che è solo una risonanza sguaiata di messaggi nati altrove – ma del discorso pubblico. A isolare chi le pronuncia. A demolire l’idea balzana che lo Stato sia impotente davanti al crimine e al degrado. Lo Stato ha poteri colossali, e se li non li utilizza bisogna contestare chi lo gestisce, incalzare i ministri incapaci, i sindaci imbelli, i capi della polizia inefficienti, smettere di votare chi li esprime e li nomina, usare le armi della democrazia e abbandonare l’idea che il fai-da-te ci renda più sicuri, più liberi, perchè è vero il contrario: nel Far West, di solito, sono i miti a soccombere, gli innocenti a morire.