“il vostro parlare sia ‘sì – sì’, ‘no – no'”

elogio della trasparenza

di José María Castillo

Secondo il Dizionario della RAE (Real Academia Española, ndt), il termine “trasparenza” deriva dall’aggettivo “trasparente”, che in senso figurato indica quello che è chiaro ed evidente. Detto ciò, ha sempre richiamato la mia attenzione l’insegnamento insistente di Gesù nei vangeli sull’importanza della trasparenza nelle nostre vite, specialmente nella vita dei cristiani. Così come la necessità di evitare l’occultamento di tante cose che in alcun modo non vogliamo che si sappiano. Debbo avvertire innanzitutto che il problema che si pone a noi cristiani con il tema della trasparenza, non è semplicemente il problema della sincerità, ma qualcosa di molto più serio. Quello che sta in gioco, quando si tratta di questa questione, è il problema della nostra autenticità. Un cristiano autentico è una persona trasparente. E, se non lo è, per qualsiasi motivo, smette di essere cristiano. Così in maniera seria e forte si pongono il tema ed il problema della trasparenza per chi dice di credere in Cristo e di essere quindi un cristiano al cento per cento. Se non è trasparente, non basta esserlo con le convinzioni e le osservanze religiose. Perché dico questo? Gesù afferma che noi cristiani siamo “la luce del mondo” (Mt 5, 14). La luce non si accende per nasconderla, ma perché la vedano tutti. Perché vedano cosa? “Le vostre buone opere” (Mt 5, 16). Cioè il vostro comportamento. Con questo Gesù ci vuole dire: non abbiate nulla da nascondere nella vostra vita. Ossia, che la vostra vita nella sua interezza sia trasparente. Proprio per questo, è curioso e strano quello che lo stesso Gesù dice a noi cristiani di dover nascondere. La nostra onestà e la nostra bontà? No. Questo lo vedono tutti. Quello che dobbiamo nascondere sono le elemosine che diamo (Mt 6, 2-4), le preghiere che facciamo (Mt 6, 5-6) e i digiuni o le pie privazioni che ci imponiamo (Mt 6, 16-18). Ossia, è esattamente il contrario di quello che tante volte si fa nella Chiesa. La rettitudine e l’onestà calpestate si coprono il più possibile. Perché “i panni sporchi della madre-Chiesa si lavano in casa”, non si spifferano. E con quest’argomento, così potente ed “evangelico”, per secoli si sono nascosti autentici delitti che a volte non possiamo neanche immaginare. Non voglio rendermi noioso. Ma c’è un fatto che non posso tacere. Quando il vangelo di Giovanni racconta la passione del Signore, ci ricorda che il sommo sacerdote chiese a Gesù cos’era quello che aveva insegnato (“tês didachês autoû”) (Gv 18,19); la risposta di Gesù fu immediata e netta: “egò parresía leláleka tô kósmô”, “Io ho parlato apertamente al mondo” (Gv 18, 20). La chiave è il termine “parrhesía”, che è la libertà per dire tutto (“pan, rêsis”). È la libertà di cui godono i cittadini liberi (Demostene, Or. 111, 3 s). Ossia, dire tutto quello che bisogna dire. E dirlo con totale libertà, senza tacere nulla. È quello che facevano i primi cristiani di Gerusalemme quando ricevevano lo Spirito (At 4, 28.31). Dove non c’è piena trasparenza non può essere presente ed operante lo Spirito di Dio. E quindi in un ambiente così non può essere presente il Vangelo di Gesù. O la sua vera Chiesa. Anzi, solo dove si vive quest’ideale o si lotta per ottenerlo, è possibile affermare veramente che si ama la Chiesa e che si soffre per mano sua e per il suo bene.
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Articolo pubblicato il 1.9.2017 nel Blog dell’Autore in Religión Digital (www.religiondigital.com )