il dono che, per credenti e non credenti, può portarci il natale

 

la vita nuova che deve venire

Natale e il nostro tempo ormai «invaso»

dobbiamo prepararci a un Natale diverso. Un po’ più povero. Con meno amici,
meno familiari, meno regali. Ma forse anche con meno frenesia e con più raccoglimento, più
riflessione. Più spiritualità e, forse, più ospitalità

di Mauro Magatti
in “Avvenire” del 29 novembre 2020

La discussione di queste settimane attorno al Natale è tutta ruotata attorno alla possibilità di tenere
aperti gli impianti sciistici e salvare la stagione turistica. Il tema è diventato così esplosivo da
sollevare persino qualche tensione diplomatica tra i Paesi aperturisti – come Svizzera e Austria – e
quelli rigoristi – Italia, Francia, Germania. I problemi economici di intere comunità montane che
vivono perlopiù di questa attività non devono essere sottovalutati. Come nel caso della ristorazione,
è quindi doveroso sottolineare la necessità di interventi proporzionati da parte dei governi per
salvaguardare attività che sono a rischio di venire decimate. Non è giusto che il costo della
pandemia sia scaricato sulle spalle dei più esposti. E tuttavia, questa vicenda suggerisce molto di
più circa la natura più profonda delle nostre società. In questi mesi si è ripetutamente detto che la
pandemia è un rivelatore che ci permette di capire meglio quello che siamo. E in effetti, proprio il
dibattito sul Natale conferma un tale effetto. Forse prima era più difficile accorgercene. Ma in questi
mesi abbiamo visto che il nostro modello di vita non ammette nessun ‘altrove’. Né spaziale – il
mondo interconnesso è stato investito in pochi mesi dal virus, senza possibilità di scampo – né
temporale – non c’è più un momento ‘esterno’ al circuito economico.
Passo dopo passo, l’attività commerciale ha ‘invaso’ la domenica così come la fascia serale. Il nostro
tempo libero è affollato di attività a pagamento: palestre, cinema, musei, viaggi.
Così che il lavorare non riguarda più solo le 8 ore della classica giornata feriale, ma si estende alla
quasi totalità delle nostre attività che si reggono solo a condizione di avere un corrispettivo
economico. E lo stesso vale per il calendario annuale, ormai riempito di ‘festività’ commerciali: le
ferie estive al mare e quelle invernali sugli sci; San Valentino, Carnevale, Pasqua, i saldi di fine
stagione (rigorosamente invernali ed estivi), Halloween, la festa del papà, quella della mamma, il
Black Friday, le festività natalizie etc.
Non che la cosa sia di per sé un male. Lavorare nella cultura o nel turismo è meglio che stare in una
fonderia o in una miniera. Ma non vanno nemmeno sottovalutati gli effetti collaterali. Sta di fatto
che, mentre stiamo (lentamente) cominciando a capire che la questione della sostenibilità va presa
sul serio – pena esporci alle conseguenze disastrose del riscaldamento globale – ci si continua a
proporre e riproporre un modello che non lascia respiro, che corre sempre più velocemente e che
non ammette pausa. Un modello 24 ore su 24, sette giorni su sette.
Nei giorni scorsi – e, meno male, non solo da queste pagine – qualche voce ha cercato di dire che,
data la situazione, dobbiamo prepararci a un Natale diverso. Un po’ più povero. Con meno amici,
meno familiari, meno regali. Ma forse anche con meno frenesia e con più raccoglimento, più
riflessione. Più spiritualità e, forse, più ospitalità. Il che non sarebbe una cattiva idea tenuto conto
che siamo alla fine di un anno tremendo che non si potrà cancellare con un’alzata di spalle. Come
ha più volte detto papa Francesco, «peggio di questa crisi, c’è solo il dramma di sprecarla,
chiudendoci in noi stessi». L’antica saggezza biblica – risalente a 3.000 anni fa – insiste
sull’importanza di un’interruzione del tempo che permetta di staccarsi dalle attività quotidiane per
guardare il mondo da un punto di vista diverso. Un bene inestimabile per l’anima che diventa così
più capace di rigenerare quella saggezza e quella creatività senza le quali si finisce nel vortice di
una ripetitività sfibrante. Questo vale anche – anzi, soprattutto – per la società contemporanea.
Il Natale ci parla di un mondo che si fa nuovo a partire dalla fragilità di un Bambino. Racconto
concreto che ci sollecita a reimparare ciò di cui abbiamo più bisogno: tornare a saper sperare,
coltivando la ‘memoria del futuro’, risorsa indispensabile per affrontare creativamente le
preoccupazioni che ci affliggono.
La pandemia ha già causato molti danni economici e sociali. E nonostante l’arrivo del vaccini, il
2021 sarà un anno difficile. Il Natale povero che ci apprestiamo a vivere può essere, allora, una
occasione per rientrare un po’ di più in noi stessi, capendo che la soluzione ai tanti problemi che ci
affliggono non passa da un attivismo affannoso, da una accelerazione insensata. Dal ritorno
frettoloso a fare quello che facevamo prima. Se c’è una cosa che il terzo choc globale ci aiuta a
vedere è che l’illusione di un mondo a crescita illimitata e del godimento individualizzato non si
regge.
La nostra capacità di uscire positivamente dalla crisi della pandemia ha dunque strettamente a che
fare con la nostra disponibilità ad ascoltare l’annuncio di Betlemme: il nostro destino sta in una
promessa di amore che intravvediamo e che ancora si deve compiere nella sua pienezza. Ecco
dunque, il dono che, per credenti e non credenti, può portarci il Natale: essere tempo di
rigenerazione, rito collettivo di riapertura della speranza, tempo di meraviglia per accogliere e poi
accompagnare la vita nuova che deve venire.

purificare dal maschilismo la relazione con Dio

prospettiva femminile

da Altranarrazione 

È sempre più urgente purificare dal maschilismo la relazione con Dio. Non ci può essere autentica vita spirituale senza uno sguardo al femminile sulla realtà, sul mondo interiore e sui rapporti sociali

«Ad Èfraim io insegnavo a camminare tenendolo per mano, ma essi non compresero che avevo cura di loro. Io li traevo con legami di bontà, con vincoli d’amore; ero per loro come chi solleva un bimbo alla sua guancia; mi chinavo su di lui per dargli da mangiare» (Osea 11,3-4)

Dio agisce nelle profondità dell’essere, occorre immergersi più che elaborare. I processi di razionalizzazione, o peggio di banalizzazione, rischiano di produrre solo proiezioni e non incontri. E non basta, nemmeno, immergersi, ma è necessario pure fare spazio, svuotarsi. Infatti non si può accogliere l’altro, con i suoi sentimenti, i suoi punti di vista, le sue esigenze se è già tutto deciso, stabilito, cristallizzato. A dialogare con Dio, poi, è l’anima e solo indirettamente la ragione a cui arrivano dei frammenti che sono spesso difficilmente decifrabili. Dio viene a guarire e a custodire dopo che ci siamo persi e feriti inseguendo il nostro idolo: l’autosufficienza. Nasciamo su iniziativa di altri, non sopravviviamo senza l’iniziativa di altri, ma prevale la vanagloria dell’immagine di (falsa) forza sulla (vera) esigenza di trovare un fondamento esistenziale e di testimoniare la solidarietà riconoscendo un destino comune.

«Il mio cuore si commuove dentro di me, il mio intimo freme di compassione» (Osea 11,8)

«Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se queste donne si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai. Ecco, ti ho disegnato sulle palme delle mie mani» (Isaia 49, 15-16)

Siamo davvero i suoi figli, i nostri deliri di egoismo, i nostri rifiuti, le ombre che gli nascondiamo lo toccano nelle viscere. Non è un dolore intellettuale, per sentito dire, ma  è il dolore della madre che  somatizza. Non è il dolore di chi parla o scrive ma è quello che toglie il respiro e ti piega. Una madre che soffre, una vedova che piange il suo amato: è l’immagine di Dio che emerge da questa prospettiva. Qualcuno coinvolto in quello che avviene, molto diverso dal Giudice monocratico con il pollice su, in caso di osservanza del Codice Morale, con il pollice giù, in caso di violazione, come risulta da alcine descrizioni. Un Giudice che valuta corrispondenze tra comportamenti e regole, non una madre che giustifica e abbraccia il figlio anche se colpevole.

«Chi è costei che sorge come l’aurora, bella come la luna, fulgida come il sole, terribile come schiere a vessilli spiegati?» (Cantico dei Cantici 6,10)

Ecco l’anima che ha incontrato la Grazia, che è stata visitata da Dio. È sola, ma non smarrita. In silenzio e in attesa per non prevaricare. Ecco l’anima che scoprendo la femminilità può incontrare il suo Dio e comprendere qualcosa di più. E, cioè, le cose più belle: quelle solo intuibili, quelle non di pubblico dominio, non classificabili, non manipolabili. Ecco l’anima contemplativa e compassionevole che vive il tempo dell’esilio preparando la cella del cuore per l’appuntamento (1) con il suo Amato e praticando la giustizia nei confronti dei poveri, degli ultimi, dei prediletti di Dio.

(1) «Che lui scavi nella tua anima il suo abisso e tu sia qui sempre presente a lui»

Elisabetta della Trinità

per una spiritualità radicalmente nuova – la ‘mistica ribelle’ di M. Fox

per diventare mistici ribelli

da: Adista Documenti n° 31 del 17/09/2016

è appena uscito il libro di Matthew Fox La spiritualità del creato. Manuale di mistica ribelle, (curato dal teologo anglicano Gianluigi Gugliermetto, pubblicato  dalla casa editrice Il Segno dei Gabrielli), celebre teologo statunitense, ex frate domenicano espulso dall’ordine nel 1993 per volontà dell’allora cardinale Ratzinger e fondatore dell’Institute of Culture and Creation Spirituality in California, autore, tra molto altro, del capolavoro Original Blessing, per l’appunto, “benedizione originale” (tradotto in italiano dalla casa editrice Fazi con il titolo In principio era la gioia), con cui il teologo ribaltava in maniera completa il tradizionale itinerario verso Dio del cattolicesimo ufficiale, il cui punto di partenza è il peccato, rimettendo all’origine e al centro il bene, la gioia, la grazia, la lode (C. Fanti).fox1

 

Clicca qui per leggere l’introduzione integrale di Adista al documento

LA NUOVA STORIA DELLA CREAZIONE DELL’UNIVERSOfox

La poetessa e vasaia M. C. Richards ha parlato di ciò che accade quando la scienza e la religione si separano, come è accaduto effettivamente tre secoli fa: «La disunione è palpabile, e questa frattura blocca la coscienza poetica, è una malattia caratteristica della nostra società […]. L’anima si ritira dentro di sé, si nasconde nel sottosuolo, si separa dalla parte che continua a camminare sulla superficie. La vitalità si rattrappisce, i disturbi psichici si fanno più acuti, i suicidi più frequenti».

Se questa descrizione della malattia della nostra cultura vi sembra appropriata, immaginate allora che cosa può accadere quando la scienza e la spiritualità si uniscono di nuovo insieme. Questa possibilità costituisce, di fatto, la notizia migliore e più rivitalizzante del nostro tempo. Oggi la scienza ci fornisce una nuova storia cosmica riguardo alle nostre origini. È una storia sacra che ci riempie di meraviglia quando la ascoltiamo. Nelle righe che seguono cercherò di raccontarla a modo mio. È una storia di doni, perché tutti noi proveniamo da una discendenza di doni cosmici:

All’inizio c’era il dono.

E il dono era con Dio, e il dono era Dio.

E il dono venne a porre la sua tenda in mezzo a noi,

dapprima nella forma della palla di fuoco primordiale,

che bruciò senza sosta per 750.000 anni

e nel suo immenso forno cosmico forgiò adroni e leptoni.

Questi doni riuscirono a stabilizzarsi abbastanza

per dare alla luce le prime creature atomiche:

l’idrogeno e l’elio.

Un miliardo di anni di rimescolamenti e ribollimenti,

e i doni dell’idrogeno e dell’elio

diedero alla luce le galassie – e queste galassie vive,

rotanti, vorticanti, crearono triliardi di stelle,

luci celesti e fornaci cosmiche,

che a loro volta crearono altri doni

esplodendo violentemente, enormi supernove,

brucianti di luce e più radiose di miliardi di stelle.

Un dono dopo l’altro, un dono che crea un altro dono,

doni che esplodono, doni che implodono,

doni di luce, doni di oscurità.

Doni cosmici e doni sub-atomici.

Tutto che gira e ruota in un vortice,

nasce e muore,

nell’ambito di un vasto piano segreto,

che era esso stesso un dono.

Una di queste supernove esplose a modo suo

e produsse nell’universo un dono unico

che più tardi, nel tempo, altre creature

avrebbero chiamato “Terra”,

la loro casa.

Anche la biosfera fu un dono,

che avviluppava la Terra di bellezza e dignità

fornendole il giusto livello di protezione

dalle radiazioni del sole

e dal freddo cosmico. E dalla notte eterna.

Questo pianeta speciale venne così incastonato

come un gioiello

nel suo posto preciso, un posto squisito,

alla distanza di 100 milioni di miglia

dalla sua stella madre, il sole.

Sorsero altri doni, mai visti prima nell’universo:

rocce, oceani, continenti,

creature multicellulari che si muovevano di forza propria.

Nasceva la vita!

I doni che prima avevano preso la forma

della palla di fuoco,

dell’elio, delle galassie e delle stelle, delle rocce e dell’acqua,

ora prendevano la forma della vita!

La vita era un nuovo dono dell’universo,

era un nuovo dono nell’universo.

Fiori di ogni colore e profumo, alberi che stavano diritti.

Foreste che offrivano possibilità di prosperare

a tutti i tipi di esseri.

Esseri che strisciano e che si arrampicano.

Esseri che volano, che saltano e che nuotano.

Esseri che corrono su quattro zampe.

E, alla fine, esseri che stanno in piedi su due zampe sole,

e che camminano. E che hanno pollici opponibili per creare

ancora di più, mettendo al mondo ancora altri doni.

L’essere umano stesso divenne un dono,

ma anche una minaccia,

perché il suo potere creativo era unico

sia nel suo potenziale distruttivo

come nel suo potenziale di guarigione.

Come avrebbero usato gli umani questi doni?

Che direzione avrebbero preso?

La Terra attendeva una risposta, e sta ancora aspettando.

Sta tremando.

Vennero diversi maestri e maestre, incarnazioni del divino,

che sorsero dalla Terra: Iside e Esiodo, Buddha e Lao Tzu,

Mosè e Isaia,

Sara e Ester, Gesù e Paolo, Maria e Ildegarda,

il capo Seattle e Buffalo Woman.

Vennero per insegnare le strade umane della compassione.

Ma la Terra continuò ad attendere

per vedere se l’umanità era un dono o una maledizione.

E tremava.

Vi è mai successo di donare qualcosa e poi pentirvene?

La Terra si meraviglia e aspetta,

perché il dono è stato fatto carne

e si trova in mezzo a noi, dappertutto,

ma noi perlopiù non ce ne accorgiamo.

Lo trattiamo non come un dono,

ma come un oggetto.

Un oggetto da usare, abusare, schiacciare sotto i piedi –

crocifiggere addirittura.

Ma a coloro che lo ricevono come un dono,

è promessa ogni cosa.

Saranno chiamati figli e figlie del dono,

saranno figli e figlie della grazia.

Per tutte le generazioni.

UNA SPIRITUALITÀ DI MERAVIGLIA

Che cos’è la spiritualità del creato?

Qualche anno fa mi trovavo in una camera d’albergo di New York con una giornalista del New York Times, una donna afroamericana che mi stava intervistando. La sua prima domanda fu questa: «Vede, io sono cresciuta nei quartieri poveri di Chicago e adesso vivo qui a Manhattan. Che cosa dice a me la spiritualità del creato? Si tratta di visitare parchi e di andare a vedere gli animali?». A quel punto la invitai a guardare fuori dalla finestra e a dirmi che cosa vedeva. Eravamo al diciottesimo piano e la finestra era incorniciata da mattoni. Ma che cos’è un mattone? È argilla che gli esseri umani hanno portato su fino al diciottesimo piano. E che cosa tiene su questi mattoni? Delle travi di acciaio, anch’esse dono del pianeta Terra. Andammo alla finestra e guardammo giù insieme. Sotto di noi c’erano moltissimi taxi, tutti fatti di acciaio, che correvano veloci su gomme (il cui materiale viene dall’albero della gomma) spinte dall’energia di un combustibile derivante da piante e animali morti centinaia di milioni di anni fa. Una città, per stupefacente che sia, è anche suolo, è materia naturale riciclata da esseri umani, i quali a loro volta sono terra, anche se stanno su due gambe, hanno pollici opponibili e un’immensa immaginazione.

La spiritualità del creato può essere un’esperienza urbana tanto quanto un’esperienza rurale, sempre che abbiamo voglia di accorgerci della provenienza delle cose e della relazione tra di loro. (…).

Che cos’è il creato?

Il creato siamo noi e tutte le cose. Siamo noi in relazione a tutto il resto. “Tutti i nostri parenti”, così dicono i Lakota nelle loro preghiere ogni volta che fumano la sacra pipa o entrano o escono dalla capanna sudatoria (un’antica pratica spirituale di purificazione e guarigione propria dei nativi americani, ndr). “Tutti i nostri parenti”: questo significa tutti gli esseri, tutte le cose, quelle visibili e quelle invisibili, le galassie rotanti e i soli sfrenati, i buchi neri e i microorganismi, gli alberi e le stelle, i pesci e le balene, i lupi e i delfini, i fiori e le rocce, la lava fusa e la neve che troneggia sulle cime dei monti, i figli che mettiamo alla luce e i loro figli, e i loro figli, e i loro figli.

La madre single che è disoccupata e lo studente universitario, il bracciante e l’imprenditore agricolo, la rana nello stagno e il serpente nell’erba alta, i colori di un’accesa giornata di sole e l’oscurità totale di una foresta pluviale di notte, il piumaggio brillante dei pappagalli e i colpi di un tamburo africano, i kiva (stanze rituali) degli Hopi e le meraviglie della cattedrale di Chartres, la frenesia di New York e la disperazione delle prigioni sovraffollate: ci sta dentro tutto.

Il creato è tutto lo spazio e tutto il tempo. Tutte le cose presenti, passate e future. Ma tra queste tre modalità di concepire il tempo, è la modalità del presente quella verso cui si concentra di più il creato, perché il tempo più significativo tra tutti è adesso, è quello che è stato definito “eterno presente”. Il passato influenza il futuro per mezzo delle scelte che noi compiamo nel momento presente. A che cosa decidiamo di dare vita in questo momento? Se il futuro porterà con sé maggiore bellezza oppure maggiore dolore, è un fatto che dipende dalle nostre scelte, a come rispondiamo al nostro ruolo di co-creatori all’interno di una creazione che continua a svilupparsi ed espandersi. Il passato e il presente convergono in noi per dare vita al futuro. (…).

Dunque il creato è, nella sua essenza, nient’altro che relazione. È l’atto sorprendente di relazionalità, di comunione, di risposta, di abbandono, è l’essere stesso che si muove a spirale, danzando, accovacciandosi, saltando in piedi. L’essere è relazione. Meister Eckhart dice che «la relazione è l’essenza di tutto ciò che esiste» e che «l’essere di per sé è Dio». Tutto il creato dunque è una traccia, un’orma, una realtà che discende dalla Divinità. Il creato non è altro che il passaggio della Divinità nella forma dell’essere. È l’ombra di Dio in mezzo a noi. Il creato è sacro. Tutte le nostre relazioni sono sacre. (…).  I cristiani e tutti gli altri credenti devono reimparare la sacralità del creato. Senza questo come “primo articolo di fede” siamo perduti. (…).

Il creato è, da molti punti di vista, ciò che la nostra specie fa di esso qui sulla terra. La Divinità ha giocato d’azzardo nel darci un così grande potere, divino e demoniaco allo stesso tempo. Ma noi che ne facciamo? Siamo spiritualmente pronti per questo compito meraviglioso che consiste nel fare giustizia, una giustizia che le scienze chiamano “omeostasi” cioè la ricerca di armonia che è già insita in tutte le cose, che consiste nel relazionarsi con ogni cosa al livello della giustizia e non del dominio, come se dovesse esserci sempre un vincitore che sconfigge un perdente? Abbiamo davvero superato la guerra, la guerra contro noi stessi, contro i nostri corpi, contro i giovani, contro il suolo, contro gli alberi? Gli esseri umani hanno una grande capacità di commettere peccati contro il creato, di fallire il bersaglio nel senso di non riconoscere qual è il loro compito su questo pianeta e nell’universo. In questo senso, il peccato è voltare le spalle al creato e al suo sommo Autore divino che dimora in ogni cosa. Alcune volte pecchiamo di omissione, quando non ci accorgiamo o non vogliamo ammettere che esistano i peccati contro la biosfera (giustamente definiti ecocidio) o contro le specie terrestri (biocidio) o contro il suolo (geocidio). Questi sono davvero peccati mortali, perché portano la morte alle generazioni che verranno.

Che cos’è il creato? È la novità che accade quando ci nasce una figlia o un figlio, è la resurrezione che sperimentiamo quando torniamo alla vita dopo le profondità del dolore e della disperazione, è la pace che è al di là di ogni comprensione quando una persona buona fa una buona morte, è il sorgere dello spirito comunitario, un evento che avviene quando la solidarietà si oppone alla paura e così la potenza della preghiera e della speranza si radicano di nuovo in noi.

Il creato è ciò che risveglia i mistici e ciò per cui lottano i profeti. Il creato è l’oggetto della ricerca scientifica e dell’impegno mistico, è la fonte di ogni celebrazione e lo scopo di ogni etica. (…). Il creato è il nostro comune progenitore, dove “nostro” indica tutte le cose. Il creato è la madre di tutti gli esseri ed è il loro padre, è generante e generatore. Il creato è santissimo, è colmo di stupore, dal più piccolo dei semi di cipolla alla sequoia troneggiante. Il creato è potentissimo e fa risorgere. Se una sola persona è risorta dalla morte, tutte lo sono, e il creato è l’erede di questa e altre sorprese divine. Il creato non è mai finito, non è mai soddisfatto, non è mai stufo, non è mai passivo. Il creato nasce sempre di nuovo e sempre si rinnova. (…).

Come è possibile che un così grande affresco drammatico venga messo a rischio come avviene oggi? Può accadere soltanto perché la nostra specie, con le sue religioni, i suoi sistemi educativi, le sue moralità, i suoi governi e le sue economie, ha perso il senso del creato. Quando questo avviene, niente più è sacro, niente sembra degno della lotta per la giustizia che è necessaria per preservarlo. La società muore, e le relazioni non esistono più.

La spiritualità del creato non è basata sulla psicologia, perché non riguarda l’umano separato da tutte le altre sue relazioni. Si concentra invece sulla benedizione, dove “benedizione” indica il dono che tutto il creato è per noi. (…). 

Il creato è la benedizione originaria, e tutte le benedizioni successive, quelle che impartiamo a coloro che amiamo e quelle che lottiamo per impartire attraverso la guarigione, la festosità e l’opera della giustizia, sono prefigurate nella benedizione originaria che è il creato stesso, una benedizione talmente incondizionata, talmente colma di grazia, che è difficile vivere senza accorgersene. (…).

Ciononostante, il creato è così follemente generoso che ha dato vita, nel suo sforzo di amore effusivo, a una specie che sta mettendo in pericolo la sua stessa casa. Nella sua umiltà, il creato si è reso esso stesso soggetto alle azioni di una delle sue creature, la specie umana. Quanto stravagante, quanto saggio, e tuttavia quanto fragile è il creato! Come risponderà al saccheggio umano della sua espressione terrestre?

Che cos’è la spiritualità?

Lo Spirito è vita, ruah, respiro, vento. (…). La spiritualità è un sentiero pieno di vita, un modo di vivere pieno di Spirito. (…). Tutti quelli che intraprendono un sentiero spirituale devono aver voglia di imparare e di lasciar andare; devono sapere che nessuno di noi ha tutte le risposte, e tuttavia che nessuno di noi è lontano dal divino; devono essere capaci di abbandonare l’amarezza o la rabbia prolungata. (…). Per camminare sul sentiero della spiritualità dobbiamo essere svuotati, e naturalmente è il camminare stesso che compie un sorprendente svuotamento.

(…). Ogni sentiero è una via di solidarietà, una via di condivisione della bellezza con gli altri che si trovano in cammino, e riguarda anche la condivisione del dolore e della lotta con tutti gli altri che sono in cammino.

Ciò che è comune a tutti i sentieri spirituali è, ovviamente, lo Spirito: il respiro, la vita, l’energia. È per questo che tutti i sentieri sono, essenzialmente, uno solo, perché c’è un solo Spirito, un solo respiro, una sola vita, una sola energia in tutto l’universo. Esso non appartiene a nessuno di noi perché appartiene a tutti. Tutti ne partecipiamo. La spiritualità non ci rende oltremondani, ci rende più pienamente vivi. Il sentiero che prende la spiritualità è un sentiero che lascia la superficialità per inoltrarsi nelle profondità; lascia la “persona esteriore” per entrare nella “persona interiore”; lascia il privato e l’individualistico per inoltrarsi in ciò che è profondamente comunitario. (…). 

La spiritualità del creato, un sentiero che decidiamo di intraprendere in quanto distinto da altri sentieri che ci vengono offerti, inizia dalla creazione e dal cosmo. Soltanto più tardi giunge alla storia umana, che a questo punto ci attrae come un gioiello incastonato nel vasto dramma della creazione stessa. Non ci può essere un’antropologia senza una cosmologia. L’essere umano non esiste senza le stelle. La storia umana non può essere separata dalla storia planetaria, dalla storia galattica, e da tutta la storia del creato che continua a svilupparsi. Gli elementi del nostro corpo, le sensazioni di tristezza e di dolore che proviamo e quelle di estasi e di gioia, che sono vaste e cosmiche, tutto questo è parte della storia e delle dimensioni dell’universo. Noi abbiamo dimensioni galattiche.

Una prova di queste nostre dimensioni si trova non solo nel fatto che siamo capaci di apprendere le enormi dimensioni dell’universo in cui viviamo, fatto di un miliardo di galassie, ma anche nel fatto che oggi sappiamo che era necessario che l’universo esistesse per 15 miliardi di anni e che si espandesse tanto da contenere un miliardo di galassie perché apparisse la nostra specie. Come lo sappiamo? Perché lo spazio e il tempo si sono evoluti insieme, e se la sequenza temporale è stata essenziale perché noi potessimo apparire, questo deve essere vero anche per le dimensioni spaziali dell’universo.

il mistico ribelle per il quale solo la spiritualità salverà il mondo

La spiritualità salverà il mondo. Intervista al teologo Matthew Fox

la spiritualità salverà il mondo

intervista al teologo Matthew FoxFox

 
da: Adista Notizie n° 28 del 30/07/2016

Il teologo statunitense Matthew Fox è molto noto in Italia per il suo libro In principio era la gioia (Fazi, 2011), dal cui successo editoriale è scaturita anche un’associazione culturale che si dedica a diffonderne il pensiero (www.spiritualitadelcreato.it). Dopo altri volumi pubblicati sempre presso Fazi, nel corso degli ultimi anni l’Associazione Spiritualità del Creato ha sponsorizzato la pubblicazione di diverse traduzioni delle sue opere che, tralasciando gli aspetti già noti del suo pensiero, presentassero la ricchezza della sua proposta spirituale a partire dalla sua prima opera (Preghiera: una risposta radicale all’esistenza, Gabrielli 2014). Dopo Compassione: spiritualità e giustizia sociale (Claudiana, 2014) è stata la volta dell’autobiografia, pubblicata l’anno scorso presso Garzanti. A settembre apparirà un nuovo libro, molto breve e sintetico, ma di grande profondità, dal titolo La spiritualità del Creato: manuale di mistica ribelle (Gabrielli Editori). Vi anticipiamo l’intervista che Fox ha concesso a Gianluigi Gugliermetto, pastore anglicano e fondatore dell’Associazione Spiritualità del Creato, e che costituirà la postfazione del volume.

Quando scrisse questo libro, La spiritualità del Creato, il mondo si trovava forse in una situazione di maggiore speranza. La guerra fredda era terminata, la guerra del Golfo non era ancora iniziata. Anche se lei venne ridotto al silenzio per un anno, e scrisse il libro alla fine di quel periodo, il tono generale del volume è molto ottimistico. È d’accordo? Scriverebbe lo stesso libro oggi? O, meglio: la sintesi della spiritualità del Creato che lei ha proposto in questo libro del 1991 è valida ancora oggi?

È vero, ovviamente, che la storia e la cultura si sono evolute da quando ho scritto questo libro. Per quanto riguarda la Chiesa cattolica, ad esempio, all’epoca alcuni teologi (tra cui Leonardo Boff e io stesso) eravamo posti sotto silenzio per periodi limitati, ma non eravamo ancora stati espulsi come invece accadde alcuni anni dopo. Successivamente, un totale di 106 teologi e teologhe (la lista si trova nel mio libro La Guerra del papa, Fazi, 2012) sono stati messi a tacere, espulsi e posti in condizioni tali di stress da provocar loro attacchi cardiaci ed esaurimenti nervosi. Il Vaticano dell’era Giovanni Paolo II e Benedetto XVI era impegnato a screditare la Teologia della Liberazione e le Comunità di Base, in combutta con il presidente Reagan e la CIA (un fatto che documento nel mio libro), ma non era ancora detto che ci sarebbero riusciti e che avrebbero sostituito dei leader cristiani autentici e davvero eroici, come mons. Romero, il vescovo Casaldáliga, il cardinale Arns, con persone estremamente obbedienti e appartenenti alla destra estrema, membri dell’Opus Dei, della Legione di Cristo, e altri ancora. Il marcio dei preti pedofili e la sua copertura da parte della gerarchia, a partire dal card. Law fino al card. Ratzinger, non era ancora visibile al pubblico. Quando il libro venne pubblicato c’era, quindi, più speranza riguardo alla Chiesa cattolica, a causa di una certa ingenuità. Dal punto di vista culturale, il libro venne ben prima dei drammatici eventi dell’11 settembre e la risposta cieca, guidata dal loro cervello rettiliano, data dall’amministrazione Bush-Cheney, con l’invasione dell’Iraq con ragioni false e con il pandemonio che ne seguì, con il Medio Oriente che continua a bruciare, dalla Siria all’Iraq, alla Libia e in altri luoghi ancora. E la successiva “primavera araba” come sappiamo ha ottenuto risultati ambivalenti. Riguardo la tesi fondamentale del libro, tuttavia, ritengo che stia ancora in piedi. Dopo tutto, io non sono un giornalista. Come teologo spirituale cerco di dare un nome alla correnti profonde della vicenda umana, sia quelle individuali sia quelle comunitarie, correnti che sono presenti in ogni caso, indipendentemente dagli avvenimenti internazionali. Ciò che dico in La spiritualità del Creato è ancora vero, secondo me: abbiamo bisogno ora più che mai di un risveglio interculturale che nasca da una passione profonda per la giustizia e la compassione, per un nuovo sistema economico che funzioni per tutti, per il rinnovo delle forme educative e di una filosofia dell’apprendimento che sottolinei la creatività invece dell’obbedienza, che ritenga l’eco-giustizia essenziale per la nostra sopravvivenza come specie (ovviamente anche delle altre specie) e che si impegni a raccogliere insieme le tradizioni sapienziali di tutta la Terra (inclusa la scienza di oggi) invece di continuare le guerre di religione e le divisioni ideologiche. Queste io le chiamo le “quattro E”: l’educazione, l’ecologia, l’economia e l’ecumenismo. È ovvio che la spiritualità del Creato, che pone il Creato come strada maestra dell’esperienza del divino e del senso del sacro, è al cuore del rinascimento che tutti stiamo cercando. Per questo io continuo a suggerire di passare dalla conoscenza alla sapienza, un passaggio che un vero rinascimento spirituale può effettuare, anzi deve. La scienza ha fatto grandi passi avanti negli ultimi 25 anni, quando questo libro venne pubblicato in lingua inglese, risvegliandoci tutti quanti, attraverso le sue scoperte, all’importanza dell’interconnessione come base della compassione (di cui parlo nel mio libro Compassione: spiritualità e giustizia sociale).

Quindi lei non è indotto al pessimismo dalle vicende dei nostri giorni?

Thomas Berry ha sottolineato che spesso è nei periodi più oscuri della storia che emergono le fasi più creative. Questo fu il caso della dinastia Han nella Cina del III secolo, e una cosa simile si è verificata nel Medioevo europeo. L’oscurità non deve indurre al pessimismo, ma può essere un invito ad accendere i focolai della creatività e dell’immaginazione sociale. Il movimento della spiritualità del Creato lo fa da decenni nell’area della pedagogia, con risultati stupendi, come anche nell’area dell’ecologia e dell’ecumenismo. E certamente dobbiamo spingere per una nuova economia che funzioni e abbiamo, tra gli altri, l’economista David Korten il quale è impegnato a tracciare un’economia che funzioni per tutti, inclusi i non-umani. Fu Tommaso d’Aquino ad avvertirci che «la disperazione è il più insidioso dei vizi» (mentre il peggiore dei peccati per lui è l’ingiustizia). Quando siamo disperati, osserva Tommaso, non ci amiamo, e per questo non amiamo gli altri. La disperazione caccia via la compassione dai nostri cuori. La speranza quindi è necessaria per sopravvivere, ma mi piace la definizione che della speranza dà l’eco-filosofo David Orr: «La speranza è un verbo che si tira su le maniche». La nostra speranza e il nostro ottimismo sono proporzionali alla fatica che decidiamo di metterci.

Quanto è importante per lei che la spiritualità rimanga distinta dalla religione? Pensa che la Chiesa cattolica, o altre Chiese, si stiano muovendo verso una stagione di riforme? Pensa che le persone possano essere raggiunte dalla spiritualità del Creato anche se non appartengono a nessuna istituzione religiosa?

Penso che la religione istituzionale così come la conosciamo stia per terminare la sua corsa, in Oriente come in Occidente. Gaia – la Terra – è così seriamente in pericolo e le istituzioni moderne sono così lontane dalle persone, che si può tracciare un parallelo tra periodi analoghi della storia dell’Occidente quando nacquero dei nuovi ordini. Penso alla nascita dei Benedettini nel VI secolo, ai Francescani e ai Domenicani nel XIII secolo, ai Gesuiti nel XVI secolo. Gli ordini rispondono più rapidamente ai cambiamenti culturali rispetto ai grandi apparati delle religioni istituzionali. In un certo senso, la moltiplicazione dei movimenti in seno al protestantesimo ha rispecchiato la nascita degli ordini nella Chiesa cattolica romana, ma non completamente. La base del protestantesimo è stata la reazione contro gli abusi della Chiesa cattolica, e sebbene la protesta e il no profetico siano una cosa molto positiva, il risultato ottenuto ha messo in secondo piano il sì mistico alla vita e il misticismo stesso. I limiti del protestantesimo, che oltretutto è nato contemporaneamente al mondo moderno, sono ben visibili oggi, come aveva predetto Paul Tillich 75 anni fa parlando di «fine dell’era protestante». Ma oggi noi viviamo anche nell’era della fine del cattolicesimo romano. Il pianeta Terra si trova in circostanze così preoccupanti che non può permettersi di aspettare che le religioni organizzate si diano una mossa. La Terra stessa sta chiamando molti giovani a realizzare nuove forme comunitarie, un nuovo connubio tra contemplazione e azione, tra misticismo e profezia, che ha luogo al di fuori delle mura dei monasteri e spesso al di fuori delle Chiese. Molti giovani stanno rispondendo con generosità e con coraggio a questa chiamata e sono ben pochi quelli che si aspettano che la guida venga assunta dalla Chiesa istituzionale. Inoltre, l’assunzione di tradizioni e di pratiche spirituali che provengono dall’Oriente e dai popoli indigeni è anch’essa un segno dei nostri tempi. Il suo successo non dipende tanto dalla religione istituzionale quanto dalla fame dei cuori e dal desiderio profondo che hanno le anime di gustare il divino per mezzo di pratiche di meditazione che sono non-dualistiche e che uniscono profondamente corpo, anima e spirito. Lo yoga e la meditazione zen sono degli esempi, ma ci sono molte altre pratiche, tra cui l’arte-come-meditazione, la messa cosmica, i mantra cristiani, lo studio dei nostri mistici occidentali, la permacultura e gli orti, e infine le pratiche di derivazione nativo-americana come la capanna sudatoria e la ricerca della visione. La spiritualità del Creato promuove tutte queste cose, rimanendo attenta a ciò che accade nella cultura. La religione e la spiritualità spesso prendono strade separate, e me ne rammarico. Ma la spiritualità viene per prima. Ovviamente è un bene invitare le persone che frequentano ancora i riti religiosi ad accostarsi all’ambito della spiritualità. Recentemente abbiamo provato a farlo lanciando le Stazioni del Cristo Cosmico, per esempio. Abbiamo intenzione di lanciare presto un nuovo “ordine spirituale” (non, si badi bene, un ordine religioso) che avrà come unico centro la sacralità della Terra. Verrà richiesto ai suoi membri un solo voto che avrà due aspetti: quello mistico, cioè la promessa di amare la Terra, e quello profetico, cioè la promessa di difendere la Terra. Ci aspettiamo che molte persone entrino a farne parte, proveniendo da diverse tradizioni religiose o da nessuna di esse, giovani e anziani, attivisti che vogliono essere anche contemplativi e contemplativi che vogliono essere anche attivisti, persone eterosessuali e persone omosessuali o queer. La mia lettura della storia mi dice che è il momento per una tale scelta e che dobbiamo imparare la lezione del passato, cercando di non cadere nella trappola tesa a san Francesco, la cui visione venne strumentalizzata mentre ancora in vita, e nel giro di una sola generazione il suo ordine era fondamentale per gestire l’Inquisizione. Per questo l’ordine di cui parlo deve essere un ordine spirituale e non religioso.

Lei ha preceduto l’eco-teologia, oggi presente nelle scuole di teologia, ma è diventata una disciplina a sé. Come avvenne originariamente per lei la connessione tra teologia ed ecologia? È chiaro che la sua “spiritualità del Creato” non è limitata alla questione ecologica, e tuttavia è intimamente legata alla Terra. Qual è dunque la relazione tra la Terra e Dio?

È incoraggiante scoprire che le Chiese e la società intera hanno fatto dei grandi passi in avanti da quando questo libro è stato pubblicato per la prima volta, riguardo all’importanza dell’eco-teologia e delle pratiche ecologiche. Si possono indicare l’accordo di Parigi sul cambiamento climatico, le rivelazioni della scienza su tale cambiamento e sull’estinzione delle specie, l’enciclica di papa Francesco Laudato si’ (che, tra parentesi, è stata scritta in gran parte da una persona che è stata mio studente in un master di spiritualità del Creato), e il risveglio di interesse nei grandi mistici della spiritualità del Creato di ieri e di oggi. La chiave è la riscoperta della sacralità della Terra e della sua casa più vasta, l’universo. La Terra non ha mai peccato, soltanto gli esseri umani peccano. La Terra è una benedizione originaria che non ha eguali, e tutte le nostre benedizioni derivano da lei. Tutti gli esseri sono un altro Cristo, un Cristo Cosmico. Questa “terza natura” di Cristo, cioè il Cristo Cosmico, è stata ignorata per secoli, ma è presente nei primi scritti della tradizione cristiana: nelle lettere paoline, come ad esempio quella ai Colossesi, e altrove, come nel Vangelo di Tommaso che si potrebbe datare all’epoca di Paolo, prima ancora dei Vangeli sinottici. Dal momento che, come ha detto Thomas Berry, «l’ecologia è l’aspetto funzionale della cosmologia», il Cristo Cosmico è un Cristo ecologico. La luce e la bellezza della Terra ci mostrano la divinità creatrice, ma le sofferenze della madre Terra ci mostrano la crocifissione del Cristo cosmico nella nostra epoca. Uccidere la Terra, la diversità delle sue specie, le acque e i pesci, gli alberi e le foreste, significa crocifiggere di nuovo il santo Cristo. Gli imperi di oggi fanno alla Terra e alle creature quello che fece l’Impero romano a Gesù. Dio e la Terra sono in relazioni intime.

Nel suo libro Kabbalah and Ecology: God’s Image in the More-Than-Human-World, il rabbino David Seidenberg ha pubblicato il suo importantissimo studio sull’intera storia del pensiero ebraico ponendosi una sola domanda: «La nozione di immagine-di-Dio dell’ebraismo è applicabile soltanto agli esseri umani, oppure a tutti gli esseri?». La sua risposta è: a tutti gli esseri. Questo è un altro modo di parlare del Cristo Cosmico che è la luce di tutti gli esseri, come si legge in Giovanni 1. Un insegnamento parallelo a questo si trova nella nozione di buddhità o natura-di-Buddha, e così via.

Recentemente ho pubblicato, insieme al vescovo anglicano Marc Andrus, un libro che spiega una pratica molto concreta e importante chiamata «stazioni del Cristo Cosmico». In questo libro presentiamo un mini-pellegrinaggio come quello della via Crucis, ma incentrato non sulle ultime 18 ore della vita di Gesù, bensì sui suoi insegnamenti e sui maggiori eventi della sua vita, che i Vangeli situano sempre in un contesto cosmico. Queste stazioni includono anche i detti “io-sono” del Vangelo di Giovanni, che sono anch’essi parole del Cristo Cosmico e che derivano dalla comunità cristiana dopo la morte di Gesù, non dalle labbra del Gesù storico. Sia negli Usa sia in Italia, ci sono degli artisti che hanno creato queste stazioni in creta, e vorrei incoraggiare altri artisti a contribuire a crearle per tutti gli edifici di culto cristiano… del mondo!

Il libro si apre con la «nuova storia della creazione». Cos’è? In che senso si collega alla storia biblica? Il cristianesimo non dovrebbe mantenere la sua storia della creazione?

La scienza ci ha fatto dono di una nuova storia della creazione che unisce molti popoli del pianeta, al di là delle loro culture, etnie o tradizioni religiose. Questa è una buona cosa, perché le tribù umane sono sempre rimaste unite attorno alla loro storia della creazione, e oggi noi esseri umani stiamo diventando una sola tribù, pur nella differenza di filoni di idee e costumi culturali. Io non sto dicendo che dobbiamo gettar via la cornucopia di storie della creazione che abbiamo ricevuto dai nostri antenati, siano esse bibliche o derivanti dalle tradizioni indigene, ecc. Si tratta di un et-et. La storia scientifica risveglia la meraviglia e ci dice come siamo giunti fino qui. Si tratta di cose che è necessario conoscere e che sono più che banalmente edificanti. Sono verità universali, come è la scienza. Ma anche le nostre storie bibliche (e ce ne sono più di una, sia nella Bibbia ebraica sia in quella cristiana) hanno molto da insegnarci. Comunque, molte delle lezioni che possiamo apprendere non stanno tanto nella lettera dei fatti scientifici, ma nel nostro comportamento quando li veniamo a conoscere.

Lei offre una serie di «regole per vivere nell’universo». Qual è la sua relazione con la disciplina, nel senso che lei di solito sembra più interessato alla liberazione dalle regole che a dettarne di nuove. Inoltre, quant’è difficile obbedire alle regole di cui lei parla?

Quando parlo di “regola” parlo anche di “habitus” oppure di “virtus”, nel senso latino, oppure di valori. Perché questi valori prendano piede c’è bisogno di disciplina interiore e di sostegno collettivo. Ma se la società decide di aderire ad essi, diventa più facile farli vivere. Essi diventano parte della nostra educazione scolastica, delle storie collettive e dell’arte, sia essa musica, cinema, teatro, danza o riti. È compito di una collettività sana rendere più facile l’adesione a queste “regole”. Ci vogliono soprattutto coraggio e generosità, che io vado sempre cercando nelle persone perché ritengo che siano i segni più rilevanti dello spirito nel nostro tempo. Sono lieto di trovarli specialmente nei giovani. Celebrare questi valori e lodarli pubblicamente fa parte della sapienza intergenerazionale che vogliamo promuovere, come anche l’incarnarli nell’educazione, nella religione, ecc.  [Tra le “regole” di cui Fox parla nel libro si trovano la stravaganza, l’espansione, la varietà, il vuoto, la creatività, la giustizia e la bellezza].

Come percepisce lei la specificità della cultura italiana in relazione alla spiritualità del Creato? Quali sono le possibilità che questo movimento si affermi in Italia?

Sono convinto che tanto più gli italiani andranno a fondo nel loro dna spirituale tanto più si troveranno a casa nella spiritualità del Creato, che in fondo ha dato origine a tante delle loro anime più grandi. Penso ovviamente a Francesco d’Assisi, ma anche a Tommaso d’Aquino e a Dante (il cui professore Brunetto Latini studiò con l’Aquinate)… e a papa Giovanni XXIII, solo per nominarne alcune. Gli italiani però devono scuotersi di dosso le catene di un tomismo vecchio e defunto, per ritrovare il Tommaso vero, che fu un profondo teologo della spiritualità del Creato, un mistico e un intellettuale geniale. Penso di aver provato questa tesi in tanti miei scritti, e specialmente nel mio libro principale su San Tommaso, dal titolo Sheer Joy: Conversations with Thomas Aquinas on Creation Spirituality, non ancora tradotto in italiano. Bisogna ricordarsi, inoltre, che senza Tommaso non ci sarebbe stato Meister Eckhart, che aveva soltanto 17 anni quando morì Tommaso, e che sta, per così dire, sulle sue spalle, come una specie di Tommaso più poetico. Né possiamo dimenticarci di Giordano Bruno! Durante il mio tour in Italia dell’anno scorso mi venne incontro un domenicano italiano per dirmi che la mia interpretazione dell’Aquinate era la più solida e sostanziale che avesse mai ascoltato. Mi diceva: «Lei dovrebbe insegnare all’Angelicum questa versione di Tommaso!». Una versione che, devo insistere, non nasce dal tomismo, ma dalla visione della spiritualità del Creato. Nel mio libro Compassione, avendo deciso di aggiornarlo per la versione italiana, ho parlato di alcune realtà che mi avete fatto conoscere proprio voi dell’Associazione Spiritualità del Creato, come, ad esempio, il movimento per l’acqua pubblica e la campagna “Dichiariamo illegale la povertà”. Questo tipo di “attivismo contemplativo”, come io lo definisco, rientra a pieno titolo nella spiritualità del Creato, dal momento che il culmine del percorso spirituale è la via transformativa, ovvero la creatività posta al servizio della giustizia sociale e delle condivisione profonda. Sono molto contento, in particolare, del percorso che l’associazione che lei ha fondato sta seguendo. Penso, infatti, che la scelta di puntare, oltre che sull’arte-come-meditazione, su “seminari esperienziali”, come li avete chiamati, che permettano alla persone di mettere un po’ da parte le idee e le cose che già sanno, per imparare ad ascoltare le proprie emozioni, il proprio corpo, e gli altri… e da lì ripartire, sia davvero la chiave necessaria in questa epoca per un approccio profondo alla spiritualità.

la spiritualità cristiana ha gli ‘occhi aperti’

LA MISTICA CON GLI OCCHI APERTI

di Johann Baptist Metz

Metz

mistica

La lingua latina usa un’unica parola per dire “salute” e “salvezza”: salus. Aperta, solare, piena, essa suona come un messaggero bello e inclusivo per parlare di integrità e felicità del corpo e dell’anima. Anche la città, il “corpo” sociale chiede salute e salvezza. Come operarle entrambe? Il teologo Johann Baptist Metz ha suggerito, innanzitutto, la distinzione tra “religione civile” e “teologia politica”.
teoòogia del mondo
la fede La prima sarebbe usata per legittimare o imporre un ordine politico e occorre respingerla; la seconda, pone, invece, il problema del rapporto tra la teologia e la prassi, di cui i cristiani debbono farsi responsabilmente carico. In questo compito egli ha introdotto la categoria della compassione e si chiede:
memoria passionis

«Cosa succederebbe se i cristiani, nei loro distinti mondi di vita, osassero questo esperimento della compassione, non importa se in forma modesta, purché sempre nuova e così alla fine si pervenisse a una ecumene della compassione? Non sarebbe questa una luce nuova proiettata sulla nostra terra, su questo mondo globalizzato e tuttavia così dolorosamente lacerato?»

ordini religiosi

Una politica che si faccia a occhi aperti sul bisogno altrui, sul disagio del prossimo, sull’accoglienza e sul diritto di vivere, come un debito da onorare verso la nostra città globale.
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