ce la farà il sinodo panortodosso a vedere la luce dopo 60anni di preparazione?

il sinodo pan (?) -ortodosso

di Ioannis Maragós
in “SettimanaNews”

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Mancano pochi giorni all’inizio del Santo e grande sinodo della Chiesa ortodossa. Il suo presidente, il patriarca ecumenico, ha programmato il suo arrivo a Kolymbari Chania, sede del Sinodo, per mercoledì 15 giugno. Lo si stava preparando da circa 60 anni, e finalmente si saprà quale sarà il suo approdo. Un Sinodo avrebbe dovuto ridare vigore e presenza concreta a ciò che la Chiesa ortodossa intende per “sinodalità” (unità nella pluralità), e avrebbe chiamato la Chiesa a dare la sua testimonianza e il suo carisma nel mondo contemporaneo, poliedrico sotto tutti i punti di vista. L’aspirazione – come ha dichiarato il metropolita Ignazio di Volo – è «di dare testimonianza dell’unità e celebrarla nel Sinodo. Il Santo sinodo si tiene per affermare e confermare l’esistenza dell’unità nel sacramento dell’eucaristia, la fede comune, i sacri canoni e la tradizione teologica»

Il metropolita però è ben conscio dei problemi esistenti, perciò ha aggiunto: «Nell’Ortodossia non abbiamo questioni di primazie. Non dobbiamo lasciarci vincere dalle divisioni dei nazionalismi». Tutto questo impegno e questo sforzo ora rischiano di rivelarsi una spina dolorante nel fianco e una frattura nel profondo dell’unità della Chiesa ortodossa.

In attesa di vedere l’esito definitivo, diamo un piccola rassegna sulle diverse posizioni – così oserei chiamarle – di politica ecclesiastica.

Il Patriarcato delle Russie è a capo delle Chiese che si augurano si rimandi il tutto a tempi più propizi. Il Patriarcato russo ha chiesto al Patriarcato ecumenico di rimandare il Sinodo se nel frattempo non si fossero rimossi gli ostacoli che già dividono alcune Chiese locali, come per es. la Chiesa di Antiochia e la Chiesa di Gerusalemme; non trovandosi in comunione, ciò impedirà loro di compartecipare all’eucaristia durante i lavori del Sinodo. In seguito, hanno avanzato riserve anche le Chiese di Georgia, di Bulgaria e della Serbia, arrivando alla conclusione che, anche se un tale Sinodo si celebrasse, sarà comunque non legittimo perché contrario allo statuto che prevede il comune accordo nella convocazione. Quando è stato chiesto al metropolita Ilarione, incaricato per gli affari esteri del Patriarcato russo, perché, dopo aver sottoscritto tutto in fase preparatoria, ora ritrattassero, ha risposto che già nella fase preparatoria erano emerse divisioni che si sperava vedere superate nel frattempo. Quando la Chiesa di Antiochia ha dichiarato in modo chiaro e distinto le sue ragioni per non partecipare, si sono aggiunte le rinunce delle altre Chiese, Georgia, Bulgaria, Serbia. A quel punto la Chiesa Russa riunita in Sinodo ha chiesto al patriarca ecumenico di convocare una riunione preliminare per affrontare i problemi sorti per poter proseguire di comune accordo. Se questo non si fosse rivelato possibile, chiedeva di rimandare il tutto a un tempo più propizio. Intanto si cercherà di appianare le divergenze. Per il metropolita Ilarione il problema non è del Patriarcato ecumenico ma dell’intera Chiesa Ortodossa. Chiudendo, si è appellato alla prudenza, alla pacatezza e all’umiltà che caratterizzano il patriarca ecumenico, nel prendere la dovuta decisione.

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Le rinunce a partecipare sono cominciate dal Patriarcato di Antiochia, che non ha trovato all’ordine del giorno il suo contenzioso con il Patriarcato di Gerusalemme, il quale tre anni fa aveva istituito una metropolia a Qatar, tradizionalmente considerato territorio di Antiochia. Antiochia ha dichiarato la rottura della sua comunione con il Patriarcato di Gerusalemme. Dietro questa contesa alcuni non dubitano di vedervi una questione di politica internazionale sullo scacchiere mediorientale più ampio. Si sa che Antiochia si lascia influenzare volentieri da Mosca; si ricorda ancora che il patriarca, storicamente, è passato sotto l’influenza e il “dominio” della lingua araba per la spinta e il supporto della politica zarista in Medio Oriente sul finire dell’800. Si sa che il patriarca di Gerusalemme è grande amico degli emiri del Qatar, che ha costruito, a sue spese, la cattedrale ortodossa a Qatar. Tutti due sono sul versante filo USA.

Il Patriarcato Bulgaro viene considerato un satellite fedele della Russia e non solo nella politica – per cosi dire – ecclesiale. Esso contesta che le sue riserve non sono state recepite nei vari documenti. Le spese sono esorbitanti e si dichiara impossibilitato a conferire il proprio contributo. Sono presenti problemi procedurali, a proprio avviso non ancora presi in seria considerazione, per es. come saranno seduti intorno al tavolo, la procedura dei dibattimenti ecc., che tutelano la sinodalità. È una Chiesa ultraconservatrice, chiusa ad ogni apertura al mondo. Non partecipa al dialogo ecumenico né con la Chiesa cattolica, né con il Consiglio ecumenico delle Chiese (CEC). È recente il suo riconoscimento come Chiesa autonoma. La sua autonomia dal Patriarcato ecumenico è stata riconosciuta nel 1945. Dopo la caduta del regime comunista, ha rischiato lo scisma interno tra collaborazionisti e non, contezioso ancora non del tutto assorbito.

Il Patriarcato di Georgia è anch’esso un satellite russo. Una Chiesa strettamente chiusa in se stessa. Il patriarca, una volta attivissimo membro del CEC, adesso rifiuta ogni discorso ecumenico. Dal Patriarcato si contesta e si ripudia il documento per le relazioni con il resto del mondo cristiano. Vecchi calendaristi a oltranza, per loro è una questione di fede. Il documento sui matrimoni è ritenuto molto liberale, specialmente quando tratta i matrimoni misti ecc. Il Patriarcato di Serbia è autonomo dal 1920. Il problema con la sua autocefalia è la modalità della sua concessione e del suo riconoscimento. Ha seri problemi con la Chiesa della ex Repubblica jugoslava di Macedonia, auto-dichiaratasi indipendente, e dunque considerata scismatica. Tradizionalmente ha buoni rapporti con il Patriarcato ecumenico e adesso anche con Mosca. Però ha dei problemi con il Patriarcato di Romania, perché questi ha ultimamente nominato dei vescovi per la cura pastorale della gente di lingua romena (vlacho) e risiede nei territori serbi confinanti con la Romania.

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Il Patriarcato di Romania si propone come terzo polo dato che non è né di lingua greca né di lingua slava ma neolatina. Con Mosca è in continuo attrito, perché un suo territorio, l’Yperdnisteria, si è staccato dall’obbedienza Romena per avvicinarsi a Mosca.
Il blocco pro Sinodo insieme con il Patriarcato ecumenico

Il Patriarcato di Alessandria, il secondo per ordine d’onore, cerca di tenersi equidistante tra Costantinopoli e Mosca. È forte del suo prestigio di missionarietà in terra africana.

La Chiesa di Cipro ha buoni rapporti con tutti, però si considera il battistrada del Patriarcato ecumenico e il principale sostenitore delle missioni in Africa del Patriarcato di Alessandria, sia in termini di personale sia per i quantitativi di aiuti. Qualche lamento sul Sinodo lo avrebbe, ma non protesta più di tanto. Benché sia di origine apostolica, nella linea di onore la precedono altre Chiese molto più giovani. È una Chiesa estroversa e partecipa a tutte le manifestazioni ecumeniche. Il suo arcivescovo si comporta come paritetico al presidente della repubblica: si esprime in tutto e per tutto anche su temi di politica interna ed estera. Nel suo messaggio per l’imminente Sinodo ha scritto: «Partecipare (al Sinodo) è una dichiarazione di unità e di comune accordo, per questo consideriamo ogni altra presa di posizione o proposta dell’ultimo momento come minaccia per l’unità (della Chiesa) e la responsabilità sarà a carico di tutti coloro che, anche non volendo, contribuiranno alla sua rottura». La Chiesa della Grecia si considera custode della nazione greca, dell’ortodossia e del Patriarcato ecumenico. È vero che le sue relazioni col Patriarcato a volte appaiono burrascose, ma restano sostanzialmente buoni fratelli. Nei momenti difficili per il Patriarcato ecumenico, è sempre al suo fianco. I problemi si concentrano attorno alle cosiddette “nuove terre”, cioè il Nord della Grecia che, nel 1912, sono state annesse allo Stato greco allora esistente solo al Sud, dopo le guerre balcaniche contro l’allora Impero ottomano, ma non alla Chiesa della Grecia. Solo più tardi si è trovato un compromesso. Le metropolie del Nord sono state affidate alla cura pastorale della Chiesa della Grecia ma non giuridicamente alla Chiesa della Grecia. Altri problemi sono la presenza e la funzione dell’Ufficio di rappresentanza del Patriarcato in Atene. Per molti greci costituisce un grosso problema che il patriarca ecumenico debba essere per forza un cittadino turco. Negli ambienti conservatori non sono ben viste le aperture ecumeniche del Patriarcato. Quanto al Sinodo, contestano l’uso dei termini “Chiesa”, “Chiese”, “«comunità cristiane” e “confessioni”, e si sono riservati il compito di porre il problema in assemblea.

La Chiesa dell’Albania è una Chiesa piccola ma dinamica, malgrado le pressioni e le angherie che subisce ad ogni pie’ sospinto dallo Stato albanese. Attivissima in tutti i forum interortodossi, intercristiani, interreligiosi. L’arcivescovo di Albania Anastasios scrive: «È evidente che i problemi sono tanti. Appunto per questo si deve celebrare il Grande e santo sinodo. Altrimenti i problemi non si risolvono. Il rinvio ferirà profondamente l’autorevolezza internazionale della Chiesa ortodossa». La Chiesa autocefala di Polonia è già a Creta. I vescovi della Cechia, che in un primo momento hanno mostrato perplessità a partecipare, hanno ritrattato le loro precedenti prese di posizione contro il Patriarcato dichiarandosene pentiti, e parteciperanno.
Cosa sarà questa riunione, se si farà Per i russi e alleati sarà un’assemblea illegittima, se si lavorerà senza cinque Chiese, malgrado si autoproclami Grande e santo sinodo della Chiesa ortodossa. Altri, i più ottimisti, sostengono che sì, la mancanza di alcune Chiese sarà un disguido, ma la natura dell’assemblea si chiarificherà dal peso che assumerà nella coscienza ecclesiale. Il Sinodo successivo a quello di Creta deciderà del suo carattere ecclesiale. Non è un grande male che non siano presenti tutti i convocati, visto che nemmeno nei grandi sinodi ecumenici del passato erano tutti presenti. Se sarà o no considerato come vero sinodo, oppure qualcosa d’altro, dipenderà dalla ricezione nella coscienza del santo popolo fedele. Di certo si affrontano due linee, quella ecumenica, con la sua ansia di mostrare e testimoniare la presenza della Chiesa nel mondo contemporaneo, e la linea del particolarismo nazionale che coltiva lo star bene nei propri territori e la custodia di uno stile di vita tradizionale, cercando semmai di rinvigorirlo in qualche modo, perché sappiamo cosa sia il passato ma non il futuro, e questo fa paura. Sicuramente, un certo tipo di nazionalismo religioso – della nazione santa da Dio protetta – presente nella parte orientale del’Europa non è assente nemmeno in alcune Chiese cattoliche. La teoria della “terza Roma” e il mito della Roma città eterna sopravvivono eccome. Vi è qui un grosso problema da risolvere una volta per tutte, almeno nella Chiesa Ortodossa: la Chiesa nazionale, la sua natura, il suo territorio, il suo governo; non basterebbe un sinodo intero per risolverlo. Un altro concetto, sia teologico sia pratico, è illustrare, in qualche modo descrivere e regolamentare, la cosiddetta sinodalità di cui tutti parlano. Tutti la annunciano come fosse la medicina per ogni male. Sarebbe un’ottima occasione per la Chiesa ortodossa di dare una buona lezione a tutti gli altri – cattolici, protestanti, chiese libere ecc. – ma pare che tra il dire e il fare ci sia di mezzo il mare. Certo, si è creato il caso della non convergenza tra le Chiese sul da farsi. La questione è: ci si dati da fare per risolverlo o se si è approfittato per invitare chi di dovere – il primus inter pares – a non cercare di aumentare il proprio prestigio – si voglia o no, sarà in prima fila – e ricordargli che “ci siamo anche noi”? La sinodalità dovrà essere vissuta secondo forme paritarie. Il problema viene creato e alimentato per costringere il primus a interpellarli e risolverlo. In chiusura, avendo davanti gli occhi tanta violenza che serpeggia nel mondo, il nichilismo imperante, il dominio dell’economia, lo sfascio della famiglia, l’edonismo che avviliscono e annullano la persona umana, di che cosa ci occupiamo noi – cattolici, ortodossi, protestanti, Chiese libere – che ci onoriamo del nome cristiano? A chi assomigliamo: all’imperatore Costantino oppure al Nazareno pellegrino che ai suoi discepoli nomadi raccomandava «Chi vuole essere il primo sia il servo di tutti»?




in preparazione del grande ‘sinodo panortodosso’

Documenti preparatori del Sinodo panortodosso

Sinassi dei primati delle Chiese ortodosse autocefale

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La Sinassi dei primati delle Chiese ortodosse autocefale, tenutasi a Chambésy nei pressi di Ginevra dal 21 al 28 gennaio, ha ratificato una serie di documenti preparatori del Santo e grande Sinodo panortodosso, che si terrà a Creta dal 16 al 27 giugno, e ne ha deciso la pubblicazione. Tra essi, due rivestono un particolare interesse. Il primo è Le relazioni della Chiesa ortodossa con l’insieme del mondo cristiano, adottato alla V Conferenza panortodossa preconciliare di Chambésy (10-17.10.2015), che riconferma l’impegno ecumenico della Chiesa ortodossa nonostante le resistenze di alcune correnti interne, e affronta questioni controverse come l’ecclesialità delle altre confessioni cristiane e il metodo per la conduzione dei dialoghi teologici. E il secondo è La missione della Chiesa ortodossa nel mondo contemporaneo. Il contributo della Chiesa ortodossa alla realizzazione della pace, della giustizia, della libertà, della fraternità e dell’amore fra i popoli e all’eliminazione delle discriminazioni razziali e di altra natura, approvato dalla Sinassi dei primati, che esprime l’atteggiamento dell’ortodossia nei confronti dei problemi dell’attualità quali pace e guerre, persecuzione, discriminazione, globalizzazione e consumismo.

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Le relazioni ecumeniche

1. La Chiesa ortodossa, essendo la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica, crede fermamente, nella sua coscienza ecclesiale profonda, di occupare un posto preminente per la promozione dell’unità dei cristiani nel mondo di oggi.
2. La Chiesa ortodossa basa la sua unità sul fatto di essere stata fondata da nostro Signore Gesù Cristo, nonché sulla comunione nella santa Trinità e nei sacramenti. Questa unità s’esprime attraverso la successione apostolica e la tradizione patristica di cui la Chiesa vive fino a oggi. La Chiesa ortodossa ha la missione e il dovere di trasmettere e proclamare tutta la verità, contenuta nella santa Scrittura e nella santa Tradizione, cosa che le conferisce il suo carattere universale.
3. La responsabilità della Chiesa ortodossa e la sua missione ecumenica riguardo all’unità della Chiesa sono state espresse dai concili ecumenici. Essi hanno sottolineato in modo particolare il legame indissolubile fra la vera fede e la comunione sacramentale.
4. La Chiesa ortodossa che prega incessantemente «per l’unione di tutti» ha sempre coltivato il dialogo con coloro che si sono separati da essa, lontani e vicini; essa è stata sempre in prima fila nella ricerca delle strade e dei mezzi per ristabilire l’unità dei credenti in Cristo, ha partecipato al movimento ecumenico fin dalla sua nascita e ha contribuito alla sua costituzione e al suo ulteriore sviluppo. Del resto, grazie allo spirito ecumenico e filantropico che la distingue e in base al comandamento divino che «vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità» (1Tm 2,4), la Chiesa ortodossa ha sempre lottato per il ristabilimento dell’unità dei cristiani. Perciò, la partecipazione ortodossa al movimento ecumenico non contrasta in alcun modo con la natura e la storia della Chiesa ortodossa, ma costituisce la coerente espressione della fede e della tradizione apostolica in nuove condizioni storiche.
5. Gli attuali dialoghi teologici bilaterali della Chiesa ortodossa, nonché la sua partecipazione al movimento per il ristabilimento dell’unità dei cristiani, si fondano sulla coscienza stessa dell’Ortodossia e sul suo spirito ecumenico per la ricerca, sulla base della fede e della tradizione della Chiesa antica dei sette concili ecumenici, della perduta unità dei cristiani.
6. In base alla natura ontologica della Chiesa, la sua unità non può essere compromessa. La Chiesa ortodossa riconosce l’esistenza storica di altre Chiese e confessioni cristiane che non sono in comunione con essa, ma crede anche che le relazioni che intrattiene con queste ultime debba basarsi su una chiarificazione, il più rapidamente e oggettivamente possibile, dell’intera questione dell’ecclesiologia e, più specificamente, della dottrina generale che professano riguardo ai sacramenti, alla grazia, al sacerdozio e alla successione apostolica. Essa è quindi favorevole, per ragioni sia teologiche sia pastorali, a partecipare a ogni dialogo teologico con diverse Chiese e confessioni cristiane e, più in generale, a partecipare al movimento ecumenico contemporaneo, convinta di poter offrire attraverso il dialogo una testimonianza dinamica della pienezza della verità in Cristo e dei suoi tesori spirituali a tutti coloro che sono al di fuori di essa, mirando a spianare la strada che conduce all’unità.
7. È con questo spirito che oggi tutte le sante Chiese ortodosse locali partecipano attivamente ai dialoghi teologici ufficiali e la maggior parte ai vari organismi intercristiani bilaterali e multilaterali e prendono parte a vari organismi nazionali, regionali o internazionali, nonostante la profonda crisi che attraversa il movimento ecumenico. Questa attività ecumenica pluridimensionale scaturisce dal senso di responsabilità e dalla convinzione che la coesistenza, la comprensione reciproca, la collaborazione e gli sforzi comuni verso l’unità cristiana siano essenziali «per non mettere ostacoli al Vangelo di Cristo» (1Cor 9,12).
8. Evidentemente la Chiesa ortodossa, dialogando con gli altri cristiani, non ignora le difficoltà legate a una tale impresa; ben più, essa comprende gli ostacoli che si ergono sulla strada di una comprensione comune della tradizione della Chiesa antica e spera che lo Spirito Santo, che costituisce «l’intera istituzione della Chiesa» (stichere dei vespri di Pentecoste) «rimedierà alle insufficienze» (voto espresso all’ordinazione). In questo senso, nel corso di questi dialoghi teologici, nonché nel quadro della sua partecipazione al movimento ecumenico, la Chiesa ortodossa non si basa unicamente sulle forze umane di coloro che prendono parte ai dialoghi, ma anche sulla protezione dello Spirito Santo e sulla grazia del Signore che ha pregato perché «tutti siano una cosa sola» (Gv 17,21).
9. Gli attuali dialoghi teologici bilaterali, annunciati da conferenze panortodosse, sono l’espressione della decisione unanime di tutte le santissime Chiese ortodosse locali, che hanno il dovere di partecipare attivamente e con continuità al loro svolgimento, per non ostacolare la testimonianza unanime dell’Ortodossia a gloria del Dio trinitario. Nel caso in cui una Chiesa locale decida di non designare delegati – per uno dei dialoghi o per una determinata assemblea – se la decisione non è presa a livello panortodosso, il dialogo continua. Qualunque sia la ragione – prima dell’apertura del dialogo o dell’assemblea in questione –, l’assenza di una Chiesa locale deve essere oggetto di una discussione all’interno della missione ortodossa impegnata nel dialogo, per esprimere la solidarietà e l’unità della Chiesa ortodossa.
10. I problemi che sorgono durante le discussioni teologiche delle commissioni teologiche miste non giustificano sempre, da soli, il richiamo unilaterale dei delegati o la sospensione definitiva della partecipazione di una Chiesa ortodossa locale. Come regola generale, si deve evitare che una Chiesa si ritiri da un dialogo, facendo tutti gli sforzi necessari a livello interortodosso per ristabilire la rappresentanza completa nella commissione teologica ortodossa impegnata in quel dialogo. Se una o più Chiese ortodosse rifiutano di partecipare alle riunioni della commissione teologica mista di un determinato dialogo per ragioni ecclesiologiche, canoniche, pastorali o morali, la Chiesa o le Chiese in questione devono comunicare per iscritto il loro rifiuto al patriarca ecumenico e a tutte le Chiese ortodosse, secondo l’ordine panortodosso stabilito. Nel corso della consultazione panortodossa, il patriarca ecumenico cerca di ottenere il consenso di tutte le altre Chiese su ciò che converrà fare, compresa la possibilità di una nuova valutazione del processo di un dialogo teologico concreto, nel caso in cui questo sia ritenuto, all’unanimità, indispensabile.
11. La metodologia seguita nello svolgimento dei dialoghi teologici mira a trovare una soluzione alle divergenze teologiche ereditate dal passato o a quelle che sono eventualmente comparse di recente, e a cercare gli elementi comuni della fede cristiana. Essa presuppone anche che tutta la Chiesa venga messa al corrente sull’evoluzione dei vari dialoghi. Nel caso in cui non si giunga al superamento di una divergenza teologica precisa, il dialogo teologico può continuare dopo aver registrato il disaccordo su quella specifica questione teologica e aver informato di quel disaccordo tutte le Chiese ortodosse locali, in vista di misure da prendere successivamente.
12. L’obiettivo perseguito da tutti nel corso dei dialoghi teologici è evidentemente lo stesso: il ristabilimento finale dell’unità nella vera fede e nell’amore. Resta comunque il fatto che le divergenze teologiche ed ecclesiologiche esistenti permettono in qualche modo una gerarchizzazione delle difficoltà che si presentano sulla strada del raggiungimento di questo obiettivo fissato a livello panortodosso. La specificità dei problemi legati a ciascun dialogo bilaterale presuppone una differenziazione della metodologia da seguire in ogni caso, ma non una differenziazione a livello dell’obiettivo, perché quest’ultimo è lo stesso per tutti i dialoghi.
13. Tuttavia, in caso di necessità, s’impone uno sforzo di coordinamento del compito delle diverse commissioni teologiche interortodosse, tanto più che l’unità ontologica indissolubile della Chiesa ortodossa deve rivelarsi e manifestarsi anche nel quadro di questi dialoghi.
14. La conclusione di ogni dialogo teologico annunciato ufficialmente corrisponde all’assolvimento del compito da parte della commissione teologica mista designata a tale scopo. Il presidente della commissione interortodossa sottopone un rapporto al patriarca ecumenico, il quale, d’accordo con i primati delle Chiese ortodosse locali, annuncia la chiusura del dialogo. Nessun dialogo è considerato chiuso prima della proclamazione della sua chiusura mediante una tale decisione panortodossa.
15. La decisione panortodossa di ristabilire la comunione ecclesiale, nel caso in cui un dialogo teologico termini con successo, deve potersi basare sull’unanimità di tutte le Chiese ortodosse locali.
16. Uno dei principali organi del movimento ecumenico contemporaneo è il Consiglio ecumenico delle Chiese (CEC). Alcune Chiese ortodosse sono state fra i membri fondatori e in seguito tutte le Chiese ortodosse locali ne sono diventate membri. Il CEC in quanto organo intercristiano strutturato, così come altri organismi intercristiani e organismi regionali, quali la Conferenza delle Chiese europee (KEK) e il Consiglio del Medio Oriente, pur non raggruppando tutte le Chiese e confessioni cristiane, svolgono una missione fondamentale per la promozione dell’unità del mondo cristiano. Le Chiese ortodosse di Georgia e di Bulgaria si sono ritirate dal Consiglio ecumenico delle Chiese, la prima nel 1997 e la seconda nel 1998, a causa di una diversa visione del suo ruolo, per cui non partecipano alle attività intercristiane promosse dal CEC e da altri organismi intercristiani.
17. Le Chiese ortodosse locali membri del CEC vi partecipano pienamente e alla pari e contribuiscono in tutti i modi di cui dispongono alla testimonianza della verità e alla promozione dell’unità dei cristiani. La Chiesa ortodossa ha accolto favorevolmente la decisione del CEC di rispondere alla sua richiesta di costituzione di una Commissione speciale per la partecipazione ortodossa allo stesso in conformità con il mandato della Conferenza interortodossa di Tessalonica (1998). I criteri fissati dalla Commissione speciale, proposti dagli ortodossi e accettati dal CEC, hanno portato alla costituzione di un Comitato permanente di collaborazione e di consenso e sono stati ratificati e incorporati negli Statuti e nel Regolamento interno del CEC.
18. La Chiesa ortodossa, fedele alla sua ecclesiologia, all’identità della sua struttura interna e all’insegnamento della Chiesa antica, pur partecipando al CEC, non accetta assolutamente l’idea dell’uguaglianza delle confessioni e non può concepire l’unità della Chiesa come un compromesso interconfessionale. In questo spirito, l’unità ricercata nel CEC non può essere solo il risultato di accordi teologici, ma deve essere anche quello dell’unità della fede della Chiesa ortodossa così come è vissuta e preservata in modo misterioso nella Chiesa.
19. Le Chiese ortodosse membri del CEC considerano una condizione sine qua non della partecipazione al CEC il rispetto dell’articolo-base della sua Costituzione, secondo il quale solo le Chiese e le Confessioni che riconoscono il Signore Gesù Cristo come Dio e Salvatore secondo la Scrittura e credono nella Trinità, Dio, il Figlio e lo Spirito Santo in base al Simbolo di Nicea-Costantinopoli possono esserne membri. Esse sono intimamente convinte che i presupposti ecclesiologici contenuti nella Dichiarazione di Toronto (1950), intitolata La Chiesa, le Chiese e il Consiglio ecumenico delle Chiese, rivestono un’importanza capitale per la partecipazione ortodossa al suddetto Consiglio. Perciò, va da sé che il CEC non ha nulla di una super-Chiesa e non deve in alcun caso diventarlo. «Lo scopo del CEC non è quello di negoziare unioni fra Chiese, cosa che può essere fatta solo dalle stesse Chiese, agendo di loro propria iniziativa, bensì quello di consentire alle Chiese di intrattenere relazioni vive fra di loro e di promuovere lo studio e la discussione delle tematiche relative all’unità della Chiesa» (Dichiarazione di Toronto III, 2; in EO 5/2373).
20. Le prospettive dei dialoghi teologici della Chiesa ortodossa con le altre Chiese e Confessioni cristiane sono sempre determinate sulla base dei criteri canonici della tradizione ecclesiastica già costituita (can. 7 del II concilio ecumenico e can. 95 del concilio Quinisextum).
21. La Chiesa ortodossa desidera rafforzare il lavoro della commissione Fede e costituzione e segue con vivo interesse l’apporto teologico da essa offerto fino ai nostri giorni. Valuta positivamente i testi teologici redatti dalla stessa, il prezioso contributo di teologi ortodossi, considerandoli una tappa importante nel movimento ecumenico verso l’avvicinamento delle Chiese. Ma la Chiesa ortodossa continua ad avere delle riserve su punti capitali legati alla fede e all’ordine.
22. La Chiesa ortodossa considera condannabile ogni tentativo di divisione dell’unità della Chiesa da parte di persone o gruppi con il pretesto di una presunta difesa della pura Ortodossia. Come testimonia tutta la vita della Chiesa ortodossa, la preservazione della pura fede ortodossa è salvaguardata solo dal sistema conciliare che, da sempre nella Chiesa, costituisce il giudice deputato e ultimo in materia di fede.
23. La Chiesa ortodossa ha una coscienza comune della necessità del dialogo teologico intercristiano, che deve andare sempre di pari passo con la testimonianza nel mondo e con azioni che esprimono la «gioia ineffabile» del Vangelo (1Pt 1,8), escludendo ogni atto di proselitismo o di altra azione di antagonismo confessionale provocatorio. In questo spirito, la Chiesa ortodossa ritiene molto importante che tutti i cristiani di buona volontà, ispirati dai principi fondamentali comuni della nostra fede, cerchino di dare una risposta sollecita e solidale, basata sul modello ideale per eccellenza dell’uomo nuovo in Cristo, agli spinosi problemi che ci pone il mondo di oggi.
24. La Chiesa ortodossa sa che il movimento per il ristabilimento dell’unità dei cristiani adotta forme nuove per rispondere a situazioni nuove e far fronte alle nuove sfide del mondo attuale. È indispensabile che essa continui a portare la sua testimonianza al mondo cristiano diviso in base alla tradizione apostolica e alla sua fede. Noi preghiamo perché i cristiani lavorino insieme per affrettare l’avvento del giorno in cui il Signore colmerà la speranza delle Chiese ortodosse: «Un solo gregge, un solo pastore» (Gv 10,16).
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La missione nel mondo contemporaneo

La Chiesa di Cristo vive «nel mondo», ma «non è di questo mondo» (Gv 17,11.14-15). La Chiesa costituisce il segno e l’immagine del regno di Dio nella storia, perché annuncia una «nuova creatura» (2Cor 5,17), «nuovi cieli e una terra nuova, nei quali abita la giustizia» (2Pt 3,13), un mondo nel quale Dio «asciugherà ogni lacrima dai loro occhi, e non vi sarà più la morte, né lutto né lamento né sofferenza» (Ap 21,4-5).
Quest’attesa è già sperimentata e pregustata nella Chiesa, per eccellenza ogni volta che essa celebra la divina eucaristia e si riuniscono «in assemblea» (1Cor 11,17) i figli dispersi di Dio (cf. Gv 11,52), in un corpo senza distinzione di razza, sesso, età, origine sociale o qualsiasi altra forma di distinzione, là dove «non c’è più né giudeo né greco; non c’è schiavo né libero; non c’è maschio e femmina» (Gal 3,28; Col 3,11), in un mondo di riconciliazione, di pace e di amore.
La Chiesa sperimenta e pregusta anche la «nuova creatura», il mondo trasformato dai suoi santi che, attraverso l’ascesi e la virtù, sono diventati già in questa vita immagini del regno di Dio, mostrando e assicurando così che l’attesa di un mondo di pace, di giustizia e di amore non è un’utopia, ma è «la ferma assicurazione di ciò che si spera» (Eb 11,1), che è possibile con la grazia di Dio e con la lotta spirituale dell’uomo.
Continuamente ispirata dall’attesa e dalla pregustazione del regno di Dio, la Chiesa non resta indifferente di fronte ai problemi dell’uomo, in tutte le epoche, ma, al contrario, condivide la sua inquietudine e i suoi problemi vitali, occupandosi, come il suo Signore, del dolore, delle ferite causate dal male che opera nel mondo e fasciando, come il buon samaritano, le sue piaghe, versandovi sopra olio e vino (cf. Lc 10,34) «con la parola della pazienza e della consolazione» (Rm 15,4; Eb 13,22) e l’amore operoso. La sua parola rivolta al mondo non mira a denunciare, giudicare o condannare il mondo (cf. Gv 3,17; 12,47), ma a offrirgli come guida il Vangelo del regno di Dio, la speranza e la certezza che il male, sotto qualsiasi forma, non ha l’ultima parola nella storia e non bisogna permettergli di dirigerne il corso.
Basandosi su questi principi e sull’esperienza e l’insegnamento della sua tradizione patristica, liturgica e ascetica nel suo complesso, la Chiesa ortodossa condivide le preoccupazioni e le angosce dell’uomo del nostro tempo alle prese con problemi esistenziali che preoccupano il mondo moderno, desiderando contribuire alla loro soluzione per offrire al mondo la pace di Dio «che supera ogni intelligenza» (Fil 4,7), la riconciliazione e l’amore.
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A. Il valore della persona umana

1. La santità della persona umana, derivante dalla creazione dell’uomo a immagine di Dio e dalla sua missione nel piano di Dio per l’uomo e per il mondo, è stata la fonte d’ispirazione per i padri della Chiesa ortodossa che si sono chinati sul mistero dell’economia divina. In questo contesto, san Gregorio il Teologo sottolinea che il Creatore «ha collocato l’uomo sulla terra, come un secondo mondo, macrocosmo nel microcosmo, come un altro angelo, un essere doppio creato per adorarlo, un custode del creato visibile, un iniziato del mondo intelligibile, un essere che regna sugli esseri della terra […], un essere che vive in questo mondo e aspira a un altro, il compimento del mistero, avvicinandosi a Dio mediante la theosis» (Gregorio il Teologo, Oratio 45, 7; PG 36, 632AB). La creazione trova il suo fondamento e il suo compimento nell’incarnazione del Logos di Dio e nella divinizzazione dell’uomo. Cristo, rinnovando in se stesso il vecchio Adamo (cf. Ef 2,15), «divinizzava, così facendo, tutto l’uomo, costituendo così l’inizio del compimento della nostra speranza» (Eusebio, Demostr. evang., 4,14; PG 22,289A). Questo insegnamento della Chiesa è la fonte di ogni sforzo cristiano per la salvaguardia della dignità e della grandezza della persona umana.
2. Su questa base, è indispensabile promuovere in tutte le direzioni la collaborazione intercristiana per salvaguardare la dignità della persona umana e la pace, in modo che gli sforzi pacifici di tutti i cristiani acquistino più peso e forza.
3. Il comune riconoscimento del valore eminente della persona umana può servire da premessa a una collaborazione più ampia in questo campo. Le Chiese ortodosse sono chiamate a contribuire alla concertazione e alla collaborazione interreligiose e, attraverso di esse, all’eliminazione di ogni manifestazione di fanatismo; in questo modo esse opereranno a favore della riconciliazione dei popoli e del trionfo dei beni della libertà e della pace nel mondo, al servizio dell’uomo, indipendentemente dalle razze e dalle religioni. Va da sé che questa collaborazione esclude ogni sincretismo, nonché ogni tentativo di una religione d’imporsi sulle altre.
4. Siamo convinti che, «collaboratori di Dio» (1Cor 3,9), possiamo progredire in questo ministero insieme con tutti gli uomini di buona volontà che si dedicano alla ricerca della pace vera per il bene della comunità umana, a livello locale, nazionale e internazionale. Questo ministero è un comandamento di Dio (cf. Mt 5,9).

B. Libertà e responsabilità

1. Il dono della libertà è uno dei maggiori doni fatti da Dio all’uomo, sia in quanto portatore concreto dell’immagine di un Dio personale, sia in quanto membro della comunità di persone che riflettono mediante la grazia, attraverso l’unità del genere umano, la vita nella santa Trinità e la comunione delle tre Persone. «Dio ha creato l’uomo inizialmente libero e gli ha donato il libero arbitrio, con la sola limitazione della legge del comandamento» (Gregorio il Teologo, Oratio 14,25; PG 35,892A). La libertà permette all’uomo di progredire indefinitamente verso la perfezione spirituale ma, al tempo stesso, implica il pericolo della disobbedienza, il rischio dell’insubordinazione a Dio e quindi della caduta, da cui le tragiche conseguenze del male nel mondo.
2. Le conseguenze di questo male sono le imperfezioni e le trasgressioni che sono appannaggio del nostro tempo, come la secolarizzazione, la violenza, la rilassatezza dei costumi, i fenomeni malsani causati dal flagello delle droghe e di altre dipendenze in una parte della gioventù contemporanea, il razzismo, la corsa agli armamenti, le guerre e i mali sociali che essi producono, l’oppressione dei gruppi sociali, delle comunità religiose, di interi popoli, le disuguaglianze sociali, la limitazione dei diritti dell’uomo nel campo della libertà di coscienza e specialmente della libertà religiosa, la disinformazione e la manipolazione dell’opinione pubblica, la miseria economica, l’ingiustizia nella ripartizione dei beni basilari per la vita o la loro totale mancanza, la fame di milioni di uomini, le deportazioni forzate di popolazioni o il traffico di esseri umani, l’afflusso di rifugiati, la distruzione dell’ambiente, l’utilizzazione incontrollata della biotecnologia genetica e della biomedicina sull’inizio, sulla durata e sulla fine della vita umana, tutte cose che mantengono l’angoscia infinita nella quale si dibatte attualmente l’umanità.
3. Oggi, di fronte a questa situazione, che ha condotto a un degrado del concetto di persona umana, il dovere della Chiesa ortodossa consiste nel far valere, attraverso la sua predicazione, la sua teologia, il suo culto e la sua attività pastorale, la verità della libertà in Cristo. «Tutto è permesso, ma non tutto è utile; tutto è permesso, ma non tutto edifica. Nessuno cerchi il proprio interesse, ma quello degli altri […] Qui io parlo non della vostra coscienza, ma di quella dell’altro. Per quale motivo, infatti, la mia libertà sarebbe giudicata da una coscienza estranea?» (1Cor 10,23-24.29). La libertà senza responsabilità e senza amore conduce alla fine alla perdita della libertà.
 sinodo1

C. Pace e giustizia

1. La Chiesa ortodossa riconosce e sottolinea sotto l’aspetto diacronico il posto centrale della pace e della giustizia nella vita umana. La stessa rivelazione in Cristo è qualificata come «vangelo di pace» (Ef 6,15), perché Cristo, «instaurando la pace con il sangue della sua croce» (Col 1,20), è «venuto ad annunciare pace, pace a voi che eravate lontani e pace a coloro che erano vicini» (Ef 2,17). Egli è diventato «la nostra pace» (Ef 2,14). Questa pace che «supera ogni intelligenza» (Fil 4,7) è, come Cristo stesso ha detto ai suoi apostoli prima della sua passione, più ampia e più essenziale di quella promessa dal mondo: «Vi lascio la pace, vi dono la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi» (Gv 14,27). Perché la pace di Cristo è il frutto maturo della ricapitolazione di tutte le cose in lui; della dignità e della grandezza della persona umana, in quanto immagine di Dio; della manifestazione dell’unità organica del genere umano e del mondo in Cristo; dell’universalità nel corpo di Cristo degli ideali della pace; della libertà e della giustizia sociale; infine, della fecondità dell’amore cristiano fra gli uomini e i popoli. La vera pace è il frutto del trionfo sulla terra di tutti questi ideali cristiani. È la pace che viene dall’alto che la Chiesa ortodossa invoca sempre nelle sue preghiere quotidiane, chiedendola a Dio che tutto può ed esaudisce le preghiere di coloro che si rivolgono a lui con fede.
2. Ciò che precede mostra chiaramente la ragione per cui la Chiesa, in quanto «corpo di Cristo» (1Cor 12,27), prega sempre per la pace in tutto il mondo, la quale, secondo Clemente di Alessandria, è sinonimo di giustizia (Stromata, 4,25; PG 8,1369B-1372A). Basilio il Grande aggiunge: «Non posso convincermi di essere degno di essere chiamato servo di Gesù Cristo se non sono in grado di amare gli altri e di vivere in pace con tutti, almeno per quanto dipende da me» (Epist. 203,1; PG 32,737B). Come ricorda lo stesso padre, questo è talmente naturale per il cristiano che si potrebbe affermare che «non esiste nulla di così specificamente cristiano come operare a favore della pace» (Epist. 114; PG 32,528B). La pace di Cristo è la forza mistica che scaturisce dalla riconciliazione dell’uomo con il suo Padre celeste, «grazie alla provvidenza di Gesù che opera tutto in tutti, crea una pace indicibile predestinata fin dall’inizio dei secoli, ci riconcilia con lui stesso e, attraverso di lui, con il Padre» (Dionigi Areopagita, De nom. div. 11,5; PG 3,953AB).
3. Al tempo stesso, dobbiamo sottolineare che i doni spirituali della pace e della giustizia dipendono anche dalla sinergia umana. Lo Spirito Santo accorda i doni spirituali, quando l’uomo cerca nel pentimento la pace e la giustizia di Dio. Questi doni della pace e della giustizia si realizzano là dove i cristiani si sforzano di operare a favore della fede, dell’amore e della speranza in Gesù Cristo nostro Signore.
4. Il peccato è una malattia spirituale i cui sintomi visibili sono i conflitti, le discordie, i crimini e le guerre con le loro tragiche conseguenze. La Chiesa cerca di guarire non solo i sintomi visibili di questa malattia, ma anche la stessa malattia, il peccato.
5. Al tempo stesso, la Chiesa ortodossa ritiene di dover incoraggiare tutto ciò che è posto realmente al servizio della pace (cf. Rm 14,19) e apre la strada verso la giustizia, la fraternità, la vera libertà e l’amore reciproco di tutti i figli dell’unico Padre celeste, nonché di tutti i popoli che costituiscono una famiglia umana. Essa soffre insieme a tutti coloro che, in varie parti del mondo, sono privati dei beni della pace e della giustizia.

D. La pace e la prevenzione della guerra

1. La Chiesa di Cristo condanna in linea di massima la guerra, perché la considera conseguenza del male e del peccato nel mondo: «Da dove vengono le guerre e le liti che sono in mezzo a voi? Non vengono forse dalle vostre passioni che fanno guerra nelle vostre membra?» (Gc 4,1). Ogni guerra costituisce una minaccia distruttiva per il creato e per la vita.
Soprattutto in caso di guerre combattute con armi di distruzione di massa, le conseguenze sarebbero terrificanti, non solo perché causerebbero la morte di un numero incalcolabile di esseri umani, ma anche perché la vita dei sopravvissuti diventerebbe insopportabile, con la comparsa di malattie incurabili, mutazioni genetiche e altri mali che colpirebbero gravemente le generazioni future.
Estremamente pericolose non sono solo le armi nucleari, ma anche le armi chimiche e biologiche e ogni forma di armamento che suscita un’illusione di supremazia e di dominio sul mondo circostante. Questo tipo di armamento intrattiene un clima di paura e di mancanza di fiducia e causa una nuova corsa agli armamenti.
2. La Chiesa di Cristo, considerando la guerra principalmente una conseguenza del male e del peccato nel mondo, incoraggia ogni iniziativa e ogni sforzo per evitarla o prevenirla attraverso il dialogo e ogni altro mezzo appropriato. Nel caso in cui la guerra diventasse inevitabile, la Chiesa continua a pregare e a prendersi cura a livello pastorale dei suoi figli coinvolti in conflitti bellici per difendere la loro vita e la loro libertà, operando con tutte le sue forze per ristabilire il più rapidamente possibile la pace.
3. La Chiesa ortodossa condanna fermamente ogni sorta di conflitti e di guerre, motivati dal fanatismo derivante da principi religiosi. I casi continuamente in crescita di repressioni e persecuzioni dei cristiani e di altre comunità a causa della loro fede, nel Medio Oriente e altrove, nonché lo sradicamento del cristianesimo dalla sua culla storica, suscitano una profonda preoccupazione. Questo mette in pericolo le relazioni interreligiose e interetniche esistenti e costringe al tempo stesso molti cristiani a lasciare i loro paesi di origine. Gli ortodossi di tutto il mondo soffrono insieme ai loro fratelli cristiani e a tutti gli altri perseguitati in questa regione e chiedono di trovare una soluzione equa e permanente dei problemi della regione.
La Chiesa ortodossa condanna anche le guerre causate dal nazionalismo e quelle che provocano epurazioni etniche, cambiamenti dei confini degli stati e l’occupazione di territori.

E. La Chiesa ortodossa di fronte alle discriminazioni

1. Il Signore, Re di giustizia (cf. Eb 7,2-3), disapprova la violenza e l’ingiustizia (cf. Sal 10,5), condanna il comportamento disumano verso il prossimo (cf. Mc 25,41-46; Gc 2,15-16). Nel suo Regno – la cui immagine e presenza nel mondo è la Chiesa – non c’è posto né per gli odi fra le nazioni né per l’inimicizia e l’intolleranza di qualsiasi sorta (cf. Is 11,6; Rm 12,10).
2. La posizione della Chiesa ortodossa in materia è assolutamente chiara: la Chiesa ortodossa crede che Dio «creò da uno solo tutte le nazioni degli uomini, perché abitassero su tutta la faccia della terra» (At 17,26) e che, in Cristo, «non c’è giudeo né greco; non c’è schiavo né libero; non c’è maschio né femmina, perché tutti voi siete uno» (Gal 3,28). Alla domanda «chi è il mio prossimo?», Cristo ha risposto con la parabola del buon samaritano (cf. Lc 10,25-37). Così ci ha insegnato ad abolire ogni barriera d’inimicizia e di pregiudizio. La Chiesa ortodossa confessa che ogni essere umano – indipendentemente da colore, religione, razza, sesso, nazionalità e lingua – è creato a immagine e somiglianza di Dio ed è quindi un membro alla pari della comunità umana. In conformità con la sua fede, la Chiesa rifiuta la discriminazione sotto tutte le forme appena elencate, che suppongono una distinzione nella dignità fra le persone.
3. La Chiesa, rispettando i principi dei diritti dell’uomo e dell’uguaglianza di trattamento degli uomini, considera l’applicazione di questi principi alla luce della sua dottrina sui sacramenti, sulla famiglia, sul posto dell’uomo e della donna nella Chiesa e sui valori della sua tradizione ecclesiale in generale. La Chiesa si riserva il diritto di portare, e porta di fatto, la testimonianza della sua dottrina nella vita pubblica.

F. La missione della Chiesa ortodossa come testimonianza di amore nella diaconia

1. Compiendo la sua missione di salvezza nel mondo, la Chiesa ortodossa si prende attivamente cura di tutti coloro che hanno bisogno di aiuto: affamati, bisognosi, malati, disabili, anziani, oppressi, prigionieri, senzatetto, orfani, vittime di catastrofi naturali e di conflitti armati, del traffico di esseri umani e delle moderne forme di schiavitù. Gli sforzi della Chiesa ortodossa per superare la povertà estrema e l’ingiustizia sociale sono un’espressione della sua fede e un servizio reso allo stesso Signore che s’identifica con tutti gli uomini e ancor più con i bisognosi: «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40). La Chiesa può collaborare con tutte le istituzioni sociali in tutta la varietà del suo ministero sociale.
2. Gli antagonismi e le ostilità che regnano nel mondo causano anche l’ingiustizia e la disuguaglianza nella partecipazione degli uomini e delle nazioni ai beni della creazione divina. Privano milioni di uomini dei beni di prima necessità e conducono all’impoverimento della persona umana. Provocano migrazioni in massa di popolazioni, suscitano conflitti etnici, religiosi, sociali che minacciano la coesione interna delle società.
3. La Chiesa non può restare indifferente di fronte ai processi economici che influenzano in modo negativo l’intera umanità. Essa insiste sulla necessità non solo di basare l’economia su principi morali, ma anche di servire attivamente l’uomo attraverso di essa, seguendo l’insegnamento dell’apostolo Paolo: «I deboli si devono soccorrere lavorando e ricordando le parole del Signore Gesù, che disse: “Si è più beati nel dare che nel ricevere”» (At 20,35). San Basilio il Grande scrive: «Perciò lo scopo che ognuno deve avere nel suo lavoro è quello di soccorrere gli indigenti e non di provvedere alle sue proprie necessità» (Basilio il Grande, Regole 42: PG 31,1025A).
4. Il divario fra ricchi e poveri si allarga drammaticamente a causa della crisi economica, che è di solito il risultato di una speculazione sfrenata da parte dei rappresentanti dei circoli finanziari, della concentrazione della ricchezza in mano a un ristretto numero di persone e di un’attività economica falsata, che, priva di giustizia e di sensibilità umana, non serve in definitiva alla soddisfazione dei veri bisogni dell’umanità. Un’economia vitale è un’economia che combina l’efficacia con la giustizia e con la solidarietà sociale.
5. In queste condizioni tragiche, si può comprendere l’immensa responsabilità della Chiesa nella lotta contro la fame e ogni forma di miseria che imperversa nel mondo. Questo fenomeno del nostro tempo, nel quale i paesi vivono in un sistema di economia globalizzata, rivela la grave crisi d’identità del mondo moderno. La fame non solo mette in pericolo il dono divino della vita in interi popoli, ma colpisce anche l’eminente dignità della persona umana e così offende Dio stesso. Per questo motivo, mentre la cura della nostra propria alimentazione è una questione materiale, la cura dell’alimentazione del nostro prossimo è una questione di ordine spirituale (cf. Gc 2,14-18). Tutte le Chiese ortodosse hanno quindi il dovere di mostrarsi solidali e di organizzare in modo efficace il loro aiuto ai fratelli bisognosi.
6. La santa Chiesa di Cristo, nel suo corpo cattolico che comprende molti popoli, pone in primo piano il principio della solidarietà umana e approva una più ampia collaborazione dei popoli e degli stati per la risoluzione pacifica dei conflitti.
7. La crescente imposizione all’umanità di uno stile di vita sempre più consumistico, privo di qualsiasi appoggio sui valori morali cristiani, preoccupa la Chiesa. In questo senso, il consumismo combinato con la globalizzazione secolarizzata tende a condurre i popoli alla perdita delle loro radici spirituali, della loro memoria storica e alla dimenticanza delle tradizioni.
8. I media sono spesso controllati dall’ideologia della globalizzazione liberale e promuovono un’ideologia di consumismo e immoralità. I casi di trattamento irrispettoso, persino blasfemo, di valori religiosi, provocando discordie e rivolte nella società, suscitano una particolare inquietudine. La Chiesa mette in guardia i suoi fedeli dal pericolo della manipolazione delle coscienze attraverso i media, della loro utilizzazione non per avvicinare gli uomini e i popoli, ma per manipolarli.
9. Nella diffusione della sua dottrina e nel compimento della sua missione salvifica a favore dell’umanità, la Chiesa si trova sempre più davanti a manipolazioni dell’ideologia della secolarizzazione. La Chiesa di Cristo nel mondo è invitata a esprimere e mettere in primo piano la sua testimonianza profetica al mondo, basandosi sull’esperienza della sua fede e ricordando così la sua vera missione verso il popolo, «proclamando» il regno di Dio e coltivando la coscienza dell’unità del suo gregge. In questo modo le si aprono davanti ampie prospettive, perché è in quanto elemento essenziale del suo insegnamento ecclesiologico che essa presenta a un mondo in frantumi la comunione e l’unità eucaristica.
10. La volontà di una crescita costante del benessere e il consumismo sfrenato comportano inevitabilmente un uso sproporzionato delle risorse naturali e il loro esaurimento. Il mondo, creato da Dio per essere coltivato e custodito dall’uomo (cf. Gen 2,15), subisce le conseguenze del peccato umano: «La creazione infatti è stata sottoposta alla caducità – non per sua volontà, ma per volontà di colui che l’ha sottoposta – nella speranza che anche la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo infatti che tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi» (Rm 8,20-22). L’attuale crisi ecologica è legata ai cambiamenti climatici e al riscaldamento della terra e obbliga assolutamente la Chiesa a contribuire, con i mezzi spirituali di cui dispone, alla protezione della creazione di Dio dagli effetti dell’avidità umana. L’avidità di soddisfare i bisogni materiali conduce all’impoverimento spirituale dell’uomo e alla distruzione dell’ambiente. Non bisogna dimenticare che la ricchezza naturale della terra non è proprietà dell’uomo, ma del Creatore: «Del Signore è la terra e quanto contiene: il mondo con i suoi abitanti» (Sal 24,1). Perciò la Chiesa ortodossa sottolinea la necessità di proteggere la creazione di Dio coltivando il senso di responsabilità verso l’ambiente, che è dono di Dio, scoprendo il valore delle virtù della frugalità e della moderazione. Dobbiamo ricordarci che non sono solo le generazioni attuali ad aver diritto alle ricchezze naturali che ci sono state donate dal Creatore, ma anche quelle future.
11. Per la Chiesa ortodossa, la facoltà di studiare scientificamente il mondo costituisce un dono di Dio all’uomo. Ma, al tempo stesso, essa sottolinea i pericoli insiti nell’uso di determinati progressi scientifici. Secondo la Chiesa, lo scienziato è libero non solo di fare ricerche, ma anche di porvi un termine quando sono violati i principi cristiani e umani (Paolo: «Tutto mi è lecito, ma non tutto giova», 1Cor 6,12; e Gregorio il Teologo: «Il bene non è più bene se i mezzi sono cattivi», Or. theol. I, 4: PG 36,16C). Questo punto di vista della Chiesa si rivela a vari titoli indispensabile per delimitare correttamente la libertà e valorizzare i frutti della scienza, riguardo alla quale si prevedono successi, ma non privi di pericoli, praticamente in tutti i campi, specialmente in quello della biologia. Noi sottolineiamo al tempo stesso il carattere incontestabilmente sacro della vita umana, dal suo concepimento alla sua morte naturale.
12. In questi ultimi anni si registra uno sviluppo folgorante delle bioscienze e della biotecnologia a esse collegata, con numerosi successi, considerati in gran parte benefici per l’umanità, mentre alcuni pongono dilemmi di natura morale o devono essere rigettati. La Chiesa ortodossa afferma che l’uomo non è semplicemente un insieme di cellule, tessuti e organi e che non è determinato unicamente da fattori biologici. L’uomo è creato a immagine di Dio (cf. Gen 1,27) e bisogna trattarlo con il rispetto che gli è dovuto. Il riconoscimento di questo principio fondamentale induce a concludere che, sia nel corso delle ricerche scientifiche sia durante l’applicazione pratica delle nuove scoperte e invenzioni, bisogna salvaguardare il diritto assoluto di ogni persona umana a essere trattata con rispetto in ogni fase della sua vita e la volontà di Dio, così come è stata rivelata nella creazione. La ricerca deve tener conto dei principi morali e spirituali della vita e dei valori e costumi cristiani. Bisogna mostrare il rispetto indispensabile anche a tutta la creazione di Dio, sia nel suo uso da parte dell’uomo sia nel corso della ricerca, seguendo il comandamento che Dio le ha dato (cf. Gen 2,15).
13. In quest’epoca di secolarizzazione appare specialmente la necessità di esaltare l’importanza della santità della vita nell’ottica della crisi spirituale che caratterizza la civiltà moderna. La confusione fra libertà e vita licenziosa porta all’aumento della criminalità, alla distruzione e alla profanazione dei santuari e alla scomparsa del rispetto per la libertà del prossimo e per la sacralità della vita. La tradizione ortodossa che si è formata attraverso l’esperienza concreta delle verità cristiane è portatrice di spiritualità e di morale ascetica, che bisogna esaltare e promuovere specialmente ai nostri giorni.
14. La speciale cura pastorale della Chiesa per la gioventù e per l’infanzia prosegue instancabilmente, avendo come scopo la loro educazione in Cristo. L’estensione della responsabilità pastorale della Chiesa all’istituzione divina della famiglia va da sé, essendosi sempre e necessariamente basata sulla santità del sacramento del matrimonio cristiano come unione di un uomo e di una donna che rappresenta l’unione fra Cristo e la sua Chiesa (cf. Ef 5,32). Questo è particolarmente attuale di fronte ai tentativi di legalizzare in alcuni paesi e di giustificare teologicamente in alcune comunità cristiane forme di coabitazione che contraddicono la tradizione e la dottrina cristiane.
15. Nella nostra epoca, come in ogni epoca, la voce profetica e pastorale della Chiesa si rivolge al cuore dell’uomo e lo esorta, con l’apostolo Paolo, a scegliere e praticare «quello che è nobile, quello che è giusto, quello che è puro, quello che è amabile, quello che è onorato» (Fil 4,8), l’amore sacrificale del suo Signore crocifisso, l’unica strada verso un mondo di pace, di giustizia, di libertà e di amore fra gli uomini e i popoli.