un nuovo sessantotto? forse sì, era l’ora, benvenuto!

è nato un nuovo Sessantotto

 

di Norma Rangeri

questo movimento, con la sua carica di utopia rigenerante, mette al centro della scena niente di meno che il cambiamento di un modello di sviluppo non più sopportabile per i catastrofici risultati, naturali e sociali

In modo travolgente e libero, un’onda giovanissima ha invaso pacificamente le piazze, in Italia e nel mondo, facendoci assistere a qualcosa di nuovo. Slogan tipo «abbiamo l’acqua alla gola» spiegano bene la sensazione da ultima spiaggia che viene denunciata perché il possibile infarto del Pianeta invia segnali pressanti di apocalittiche distruzioni.
E se siamo con l’acqua alla gola il tema merita di essere messo al centro della politica del futuro come l’unica alternativa.
La giovane Greta è il volto di una ragazzina svedese che è riuscita a dare un clamoroso fischio di avvio alla battaglia di un movimento che nasce nelle democrazie occidentali, come quello del ’68 del secolo scorso, con cui ha in comune l’estensione, i luoghi della partecipazione giovanile, la grande capacità di mobilitazione, la forza unificante degli slogan, l’idiosincrasia da parte degli adulti.
Le diversità invece sono generazionali (i teenagers oggi gli universitari ieri), politiche (non vengono presi di mira i governi reazionari ma tutti i governi incapaci di affrontare i temi ambientali), ideologiche (nel ’68 venivano acclamati i personaggi simbolo delle lotte di classe, oggi c’è una ragazzina con grandi capacità comunicative). E mediatiche. Anzi, forse questa è la differenza più forte con il passato. La potenza della rete mette insieme proposte, idee, iniziative in brevissimo tempo riescono a mobilitare milioni di persone.
I ragazzi che contestavano 50anni fa avevano contro i governi e la repressione, volevano scardinare il potere (baronale, politico, aziendale), i ragazzi che protestano adesso sanno invece che le controparti non possono restare indifferenti nei confronti di chi lotta per salvare il Pianeta. I veri nemici saranno dunque le grandi potenze mondiali, le multinazionali, incapaci di trovare alternative all’attuale modello di crescita economica.
Questi ragazzi sanno benissimo cosa significa fermare la corsa verso la distruzione dell’ambiente, sanno cosa dice la scienza e sono forse gli unici che prendono sul serio le Conferenze sul clima, gli studi internazionali sui rischi che corre il mondo in cui si troveranno a vivere nel 2050, quando nemmeno trentenni avranno davanti scenari assai più foschi dei nostri.
La straordinaria forza delle manifestazioni interpella un governo appena nato che dovrebbe saper corrispondere alla domanda politica delle giovani generazioni, le prime a essere penalizzate, sotto ogni aspetto, rispetto alla generazione precedente. Non sarà facile per l’arretratezza culturale del nostro paese, a cui ha contribuito anche una sinistra novecentesca che storicamente, nella battaglia per un altro modello di sviluppo, non ha mai affrontato la questione ecologica. Se ne sono accorti tutti quando è esplosa la tragedia dell’Ilva di Taranto, quando la contraddizione tra lavoro e salute ha messo in evidenza la ruggine della vecchia cassetta degli attrezzi.
A questo punto non importa da dove si comincia dal momento che c’è assai poco da conservare e molto da cambiare. Questo movimento, con la sua carica di utopia rigenerante, mette al centro della scena niente di meno che il cambiamento di un modello di sviluppo non più sopportabile per i catastrofici risultati, naturali e sociali. La battaglia in difesa della Terra presuppone nuovi modelli produttivi, nuovi comportamenti individuali e collettivi, nuovi protagonisti sociali, nuovi obiettivi. E prima lo capiamo meglio sarà.
C’è un altro aspetto, in questo caso di palese disinformazione, sugli scioperi per il clima, quando si imputa la dimenticanza dei popoli più poveri del Pianeta.
Come se non fosse abbastanza chiaro che i paesi saccheggiati dalle loro materie prime, spesso con la forza delle guerre, sono le prime vittime di un’economia rovinosa per territori e persone.
Questo impetuoso movimento arriva in un momento di passaggio anche per le sorti di una Unione europea che con le sue ricette economiche è riuscita a creare disuguaglianze crescenti e con la sua scarsa lungimiranza sulle politiche migratorie ha gonfiato le vele delle destre xenofobe. E induce alla speranza il fatto che già un’altra Europa è in prima fila, in un continente forte di una presenza storica di un movimento ecologista, sempre più popolare anche a livello elettorale




i diritti sono sacri tranne che per i bambini rom

prendo atto che ci sono persone che valgono meno

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Non avevo mai avuto un alunno andato via perché con una ruspa gli hanno buttato giù il luogo in cui abitava, oggi è successo.

La cosa più dura da mandar giù è che è successo nel silenzio più totale, col plauso dei cittadini, il silenzio di chi, a mio avviso, ma io non conto nulla, avrebbe dovuto parlare, uno sgombero efficiente, rapido, inodore.

Oggi, a Cornigliano, dove hanno sgomberato un campo rom che, intendiamoci, avrebbe dovuto essere sgomberato da anni, mancavano le nobili associazioni che si occupano di diritti civili e libertà, che chiedono a gran voce legalità e rispetto della costituzione.

No, non volevo che difendessero i rom, io e i miei colleghi dell’Istituto comprensivo di Cornigliano, Genova, Italia, Europa, avremmo voluto che spendessero una parola per tutelare il diritto allo studio dei bambini che vivevano in quel campo e frequentavano la nostra scuola. Una parola per chiedere che i progetti avviati su quei bambini continuassero, che le ore di formazione fatte dagli insegnanti fuori dall’orario di lavoro per imparare come gestirli, come avviare un difficile processo di integrazione, per spiegargli che un’altra vita era possibile non andassero persi, come l’impegno di quello stesso comune che li ha sgomberati, che aveva avviato un progetto  che aveva dato frutti ed è stato annullato quest’anno.

Viene da pensare che difendere i rom, anche i bambini rom sia una scelta politicamente infelice, che spendere una parola per loro possa costare tessere, sovvenzioni, favore popolare, e allora è meglio tacere e far parlare solo insegnanti e maestre che, tanto, non contano niente, non danno fastidio e possono tenersi insulti e sopportare l’ironia greve sui forum dei giornali o sui social network.

Viene da pensarlo ma io non lo penso: credo che quelle associazioni, la società civile, siano nobili e necessarie, ma, forse, un po’ distratte.

E comunque il Comune ha offerto ai rom sfrattati tre giorni in albergo per quelli senza figli e una settimana per quelle con i figli, cosa chiedere di più?

E poi? Poi la notizia si stempererà, poi di quelli non importerà più nulla a nessuno, poi sarà silenzio.

Complimenti anche i redattori del giornale cittadino, che casualmente, guarda tu le coincidenze, il giorno prima dello sgombero pubblicano una notizia sull’arresto di Sinti milionari. Senza spiegare alla gente che i Sinti non sono Rom, naturalmente, ma facendo in modo che lo sgombero venga applaudito.

I Rom rubano, certo, anzi, alcuni rom rubano, per essere onesti, io credo, ma non sono nessuno e non capisco niente, che se gli togliamo la scuola, l’educazione, se non li integriamo, i rom continueranno a rubare e continueremo a sgomberare campi con piccoli rom che non saranno scolarizzati e integrati, che ruberanno e allora sgombereremo altri campi con.,..

Prendo atto

che i diritti sono sacri tranne che per i bambini rom,

che la Costituzione è sacra tranne che per i bambini Rom,

che possiamo sdegnarci per tutto, scandalizzarci di tutto, ma non per i bambini rom,

prendo atto che la legge è uguale per tutti ma non per i bambini rom

Non ne prendono atto, per fortuna, i miei alunni, turbati e sdegnati dalla notizia.

“E adesso cosa ne sarà di loro?” Mi chiedono confusi. perché loro sono consapevoli che “loro” sono compagni, bambini come loro che con loro giocavano, ridevano, scherzavano, lavoravano in gruppo, etc.

Un compagno che va via è sempre un dolore per una classe, se poi al compagno hanno buttato giù il posto dove abita con una ruspa ed è stato portato via con un pulmino, per una destinazione sconosciuta, al dolore si accompagna anche un turbamento profondo, la sensazione di assistere a una incomprensibile ingiustizia.

Non avevo mai avuto un alunno andato via perché con una ruspa gli hanno buttato giù il luogo in cui abitava, oggi è successo.

Io lavoro per lo Stato, uno Stato che offre opportunità, che dà la possibilità di migliorarsi, di imparare a decodificare il mondo, di interagire e solidarizzare con chi ti sta vicino.

Non per uno Stato che, con un atto violento, toglie a dei bambini la possibilità di tornare, domattina, a ridere e scherzare con i loro compagni.

Ma, probabilmente,ha ragione la società civile, le persone nobili sempre in prima fila per difendere diritti, legalità, etc.

Una piccola storia ignobile come lo sgombero di un campo rom non merita considerazione, sono io che, non contando niente, non capisco niente.

Allego un piccolo filmato, l’ho fatto vedere ai miei alunni: loro hanno capito:

http://www.raiplay.it/video/2016/10/Aisa-e-Zamira—quotNoi-ragazzine-romquot-ff4118c8-4605-46c0-ae48-47353547f7a3.html




vergognoso silenzio sulla demolizione della ‘scuola delle gomme’ tra Gerico e Gerusalemme

 

La scuola di Gomme

Mosaico dei giorni

Tonio Dell’Olio

 

 

Siamo quasi costretti a parlarne perché c’è un silenzio vergognoso ad accompagnare quanto sta succedendo in un piccolo lembo di terra situato tra Gerico e Gerusalemme. Si tratta della scuola di Gomme frequentata da circa 200 bambini che da anni abitano il villaggio beduino di Kahnal Ahmar. La scuola è stata costruita dalla ONG Vento di terra con l’aiuto della Cooperazione Italiana e della CEI.

 

La scuola si trova nell’Area C degli accordi di Oslo e nel Corridoio E1 che gli israeliani hanno individuato per la costruzione di un altro muro di separazione che dividerebbe definitivamente i territori palestinesi del nord da quelli del sud e inoltre è troppo vicino a una colonia israeliana. Poco importano gli accordi internazionali, i Trattati e la sentenza della Corte Suprema Israeliana che nel 2014 ha chiesto a coloni e beduini di trovare un accordo ribadendo il valore sociale della scuola.

Ancora una volta si persegue la logica dei muri che deve prevalere sulle persone. Tra l’altro quella scuola è stata costruita anche con i nostri soldi di contribuenti. Facciamo sentire la nostra voce firmando la petizione indirizzata alle istituzioni europee e al nostro governo per salvaguardare il diritto all’istruzione di quei bambini (www.ventoditerra.org).

http://www.mosaicodipace.it/mosaico/i/3053.html

 




papa Francesco ancora sul ‘gender’ … però attorno a lui c’è qualcuno che lo informa male

colonialismo culturale?

papa

Il «Gender» vuole abolire le differenze tra maschi e femmine? Il gender vuole distruggere la famiglia naturale? Il gender ci farà diventare tutti gay?

“Mi dispiace che abbia fatto questa affermazione, per lo meno leggera e infondata, ha detto la ministra dell’istruzione francese. Anche il papa è vittima della campagna di disinformazione portata avanti da ambienti reazionari…”Non insegniamo nessuna teoria del genere… ma l’educazione all’uguaglianza ragazze-ragazzi, nel quadro della lotta agli stereotipi e alle discriminazioni”

di seguito un pochino di Rassegna Stampa a proposito delle ultime dichiarazioni di papa Francesco sul ‘gender’, dichiarazioni che hanno trovato elogio per la chiarezza di affermazione, approvazione sul merito ma anche forte disapprovazione non senza una forte impressione che qualcuno lo stia informando male, per terminare con una intelligente riflessione di Michela Marzano pubblicata su Repubblica del 5 ottobre:

Bergoglio e la verità sul gender di Orazio La Rocca in Trentino del 4 ottobre 2016

La novità è la chiarezza di esposizione e, se vogliamo, la sorpresa. Specialmente da parte di chi confondendo la sua forza pastorale, cioè la scelta di stare da sempre accanto alle sofferenze degli ultimi, con le verità a cui non ha mai rinunciato. Verità che, comunque, non gli impediscono di dialogare con tutti, ascoltare chi soffre, chi vive nel disagio al di là di orientamenti politici, religioni, scelte sociali e orientamenti sessuali. Senza rinunziare ai princìpi cardine della tradizione cristiana.
Il «Gender» vuole abolire le differenze tra maschi e femmine? Il gender vuole distruggere la famiglia naturale? Il gender ci farà diventare tutti gay? Le domande della crociata, a cui si è associato Papa Francesco, hanno il paradossale pregio di indurci a ragionare sul «genere» prescindendo dalla distinzione che, di solito, si tende a stabilire tra il «sesso», l’«identità di genere» e l’«orientamento sessuale»
Educare all’identità come libertà e non come destino è il primo obiettivo che il dilagare dei fenomeni di femminicidio, omofobia e intolleranza impone alle istituzioni, sapendo che per incidere sul terreno dei pari diritti e delle pari opportunità bisogna intervenire fin dalla primissima infanzia
L’Italia, insieme alla Grecia, sono gli unici paesi europei a non avere una legge sull’educazione sentimentale nelle scuole. In un paese che registra un aumento continuo dei femminicidi e delle violenze sulle donne, dove è sensibili e ampiamente riconosciuto l’aumento delle discriminazioni di genere, l’omofobia, il bullismo qualcosa tuttavia si è mosso
Papa Francesco riprende un aneddoto su una supposta gender theory diffuso da anni dall’estrema destra per denigrare la scuola pubblica. La ministra: venga a sfogliare i manuali e a parlare con gli insegnanti Il papa è caduto in una trappola? E’ quello che pensano in molti in Francia, e non solo nel governo o a sinistra
“Mi dispiace che abbia fatto questa affermazione, per lo meno leggera e infondata, ha detto la ministra dell’istruzione francese. Anche il papa è vittima della campagna di disinformazione portata avanti da ambienti reazionari…”Non insegniamo nessuna teoria del genere… ma l’educazione all’uguaglianza ragazze-ragazzi, nel quadro della lotta agli stereotipi e alle discriminazioni”

se il ‘gender’ a scuola aiuta a combattere le discriminazioni

di M. MarzanoMarzano

Una cosa è la persona che ha una tendenza omosessuale o anche che cambia sesso», ha detto l’altro giorno Papa Francesco per spiegare quanto dichiarato in Georgia a proposito dell’ideologia gender. «Un’altra è fare insegnamenti nelle scuole su questa linea, per cambiare la mentalità: io chiamo questo colonizzazione ideologica», ha concluso il Pontefice. Ma a quali insegnamenti si riferisce esattamente Papa Francesco? Che cosa vuol dire “cambiare la mentalità”? Cos’è questo benedetto “gender” di cui tanto si parla e che, di fatto, è solo il termine inglese per il quale esiste ovviamente una traduzione italiana, ossia l’espressione “genere”? Papa Francesco non fa altro che ripetere quanto già detto altre volte: il gender a scuola è un’ideologia pericolosa. Dando così credito a quanti sostengono che ormai, nelle scuole, si insegnerebbe ai più piccoli che possono scegliere se essere ragazzi o ragazze, cambiare sesso a piacimento, e decidere quali tendenze sessuali privilegiare o meno. Ma è questo che si insegna a scuola oggi? Se veramente fosse così, anch’io sarei molto preoccupata. Come potrebbero d’altronde raccapezzarsi un bimbo o una bimba se venisse detto loro che tutto si equivale, che non c’è alcuna certezza identitaria, e che si può essere di giorno ragazzi e di notte ragazze o viceversa? Il punto, però, è proprio qui: a nessuno passa oggi per la testa di colonizzare la mente dei bambini con tali fandonie, tali bugie, tali assurdità. Perché è di questo che si tratta quando si pretende che sesso, genere e orientamento sessuali siano solo il frutto di una scelta e che basterebbe quindi insegnare ai più piccoli il valore delle decisioni individuali affinché diventino omosessuali o trans, «giustificando e normalizzando ogni comportamento sessuale », come scrivono associazioni come ProVita, Giuristi per la vita o la Manif Pour Tous Italia. «Lasciate che le ragazze siano ragazze. Lasciate che i ragazzi siano ragazzi», recita lo slogan di un video prodotto proprio per spiegare «l’ideologia gender in meno di tre minuti», senza rendersi conto che, mischiando realtà, fiction e fantasmi, sono questo tipo di spot a creare confusione e paura. Ma procediamo con ordine. Cosa si sceglie nella vita? Cosa si costruisce o si decostruisce a piacimento? Di scelte, nel corso della propria esistenza, se ne fanno molte. Nessuna, però, riguarda il proprio essere donna o uomo, oppure la propria eterosessualità o la propria omosessualità. Il genere e l’orientamento sessuale non si scelgono, non si cambiano, non si curano. Sono elementi dell’identità di ciascuno di noi, quell’identità con la quale, prima o poi, tutti dobbiamo fare i conti, anche quando ci sono cose che vorremmo che fossero diverse, cose che magari non sopportiamo di noi stessi, cose con le quali, però, non possiamo far altro che convivere. E allora capita — perché la vita è anche questo — che un bambino, fin da quando è piccolo, sia profondamente convinto di essere un bimbo nonostante si ritrovi prigioniero di un corpo femminile, e allora sia costretto a passare anni ed anni a cercare di risolvere il divario drammatico e doloroso che vive tra la propria identità di genere e il proprio sesso biologico, senza alcuna volontà di sovvertire “l’ordine naturale delle cose”, al solo scopo di trovare una qualche armonia con se stesso. Esattamente come capita che, fin da quando è piccola, una bambina sia attirata dalle altre bimbe senza per questo essere meno bambina delle amiche o delle compagne attirate dai bambini. L’orientamento sessuale, esattamente come l’identità di genere, non è una “tendenza” che si può o deve contrastare; è un modo di essere e di amare il cui valore non cambia solo perché si è omosessuali invece che eterosessuali, e quindi si amano persone dello stesso sesso invece che persone dell’altro sesso. L’unica cosa che si può “costruire” o “decostruire” è la rappresentazione che ci si fa del proprio genere o del proprio orientamento sessuale, imparando o meno ad accettarsi per quello che si è, senza cedere alle pressioni di chi vorrebbe che fossimo diversi da come siamo. Qualcuno potrebbe a questo punto chiedersi che c’entra la scuola in tutto questo, e perché si dovrebbero affrontare tematiche legate al genere o all’orientamento sessuale con i più piccoli invece che, come ripetono in molti, limitarsi a insegnare loro a leggere, scrivere e contare. Ma lo scopo della scuola non è anche, e forse soprattutto, quello di aiutare le bambine e i bambini a trovare le parole giuste per qualificare quello che vivono, mettere un po’ di ordine nel mondo che li circonda e riuscire a non vergognarsi per quello che sono e quello che provano? Uno degli scopi della scuola non è anche quello di costruire i presupposti di un vivere- insieme in cui ci si accetta reciprocamente indipendentemente dalle proprie differenze? Non stiamo assistendo, proprio in questi ultimi mesi, a episodi di bullismo e di violenza verbale o fisica nei confronti dei “diversi”? È strano che proprio coloro che vogliono tanto difendere i propri figli non siano poi sensibili ai tentativi che si stanno cominciando a fare nelle scuole proprio per proteggere tutti i bambini e tutte le bambine, insegnando che essere una ragazza non significa né essere inferiore a un ragazzo né amare necessariamente le bambole o il colore rosa, oppure che un maschietto resta un maschietto anche se non è attirato dalle bambine. È strano che anche il Papa, che pure spiega che “la vita è vita e le cose si devono prendere come vengono”, prenda alla lettera le fandonie di chi ripete che a scuola si insegna a scegliere il proprio genere e il proprio orientamento sessuale, mentre di fatto si cerca solo di lottare contro le discriminazioni e il bullismo di cui sono vittime innocenti le persone omosessuali e trans, che non hanno scelto niente, appunto, esattamente come le persone eterosessuali.



la scuola e i bambini rom: più di qualcosa non va

minori rom

la scuola che fallisce

LUCA LIVERANI
 Un altro spreco di denaro pubblico per un’integrazione mai verificata nei risultati. Tra 2002 e 2015 il Comune di Roma ha speso 27 milioni di euro per la scolarizzazione dei minori rom. Ma uno su 5 non si è mai presentato in classe, 9 su 10 non hanno frequentato regolarmente, uno su due è in ritardo scolastico e frequenta una classe non conforme alla sua età, e sui 1.800 bambini rom iscritti, solo 198 hanno frequentato almeno i tre quarti dell’orario scolastico.
Dati allarmanti, raccolti ed elaborati dall’Associazione 21 luglio nel dossier Ultimo banco. A presentare lo studio il presidente dell’associazione Carlo Stasolla, assieme al direttore dell’Unar Francesco Spano e l’ex assessore alla scuola di Roma Marco Rossi Doria. In tredici anni dunque il Campidoglio ha speso nel ‘Progetto Scolarizzazione Rom di Roma Capitale’ circa 27 milioni di euro, attraverso bandi e proroghe, a quattro organizzazioni (Opera Nomadi, Arci Solidarietà, Capodarco/Ermes, Casa dei diritti sociali) coinvolgendo un numero tra i 500 e i 2.000 minori rom degli insediamenti formali della Capitale. Un investimento importante e a lungo termine, ma su cui non sono mai stati rilevati dati ufficiali circa la valutazione dei risultati e la qualità degli interventi. E dal dossier dell’Associazione 21 luglio emerge un divario drammatico tra i minori rom e gli altri studenti.A frequentare con regolarità le lezioni è solo il 12% dei rom (il 99% tra i non rom), dato crollato addirittura al 7,4% nell’anno scolastico 2012/2013 che ha coinciso con il periodo più intenso degli sgomberi dei ‘campi abusivi’ e ‘tollerati’ in linea con l’’Emergenza nomadi’ decretata allora dal governo. Differenze enormi anche nel ritardo scolastico: il 50% tra i ragazzini rom (contro una media del 13% tra i non rom) e un abbandono della scuola in età dell’obbligo del 18% (quasi 100 volte di più rispetto allo 0,2% dei non rom).

Nell’ultimo anno scolastico monitorato, 2014/15, nella baraccopoli istituzionale di Castel Romano la frequenza regolare è crollata al 3,1%. Impietosa l’analisi. «La politica di scolarizzazione dei minori rom a Roma si riduce al servizio di trasporto degli alunni» e «il monitoraggio della frequenza scolastica si trasforma, in realtà, in frequenza delle presenze sullo scuolabus». Non solo: «il numero di bus è eccessivamente inferiore» e ciascun mezzo «ogni mattina, in media si reca presso 9 scuole differenti». Tra la prima e l’ultima passa «oltre un’ora e mezzo che alcuni alunni trascorrono sul pullman anziché a scuola».

E visto che il bus parte dai campi attorno alle 7,40, «diversi alunni entrano in classe dopo la prima o addirittura dopo la seconda ora».

Le responsabilità? Per il dossier sono imputabili alla politica e all’amministrazione, alle competenze degli enti affidatari, al contesto socio- economico dei rom, alle politiche abitative e di sgombero. Perché «alla base di tutto c’è la segregazione abitativa all’interno delle baraccopoli, istituzionali e non, che incide in maniera determinante».
Perché «un bambino nato e cresciuto in un contesto di emergenza abitativa» parte «in una condizione di oggettiva penalizzazione»: non ha «servizi igienici adeguati», non ha «spazi di studio per i compiti», quasi sempre i genitori «sono privi di strumenti e capacità per sostenerlo», il trasporto scolastico insufficiente e da periferie estreme istituzionalizza entrate in ritardo e uscite anticipate. E allora, dice Stasolla, «è dal superamento delle baraccopoli che il nuovo sindaco dovrà ripartire per salvaguardare un’infanzia il cui futuro è già compromesso».

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la saggia posizione del vescovo di Padova sul presepe a scuola

reazioni scalmanate invece a proposito delle sue parole …

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è stata volutamente mal interpretata la proposta, – invece, molto saggia e per niente rinunciataria (‘un passo indietro’) – del vescovo di Padova a proposito del presepe e dei segni religiosi a scuola né può interpretarsi come un’autocorrezione la precisazione che ha rilasciato in seguito alle reazioni scalmanate e ultrastrumentali che sono seguite alle sue parole

presepe

lui stesso precisa:«Non ho mai detto “rinunciamo al presepe” e non ho fatto riferimento ad alcun luogo specifico». E chiarisce: «Fare un passo indietro non significa creare il vuoto o assecondare intransigenze laiciste, ma trovare nelle tradizioni, che ci appartengono e alimentano la nostra fede, germi di dialogo…” ( qui peraltro si può scorgere il vero rispetto per le tradizioni: non ripeterle come qualcosa di mummificato, ma di ripensarle e ritradurle nell’oggi in un contesto di dialogo e di arricchimento e di modificazione reciproci)

di seguito alcuni articoli (con i rispettivi link) di rassegna stampa che il sito ‘rassegna stampa – finesettimana’ ha raccolto:
  • Di fronte al “significato” del presepe, è chiaro che quello evocato dal Vescovo di Padova è un passo avanti e non un passo indietro. Mentre ciò che il Governatore del Veneto difende come un soprammobile, è la propria più clamorosa smentita e contestazione.
“la ricetta prospettata dal vescovo – “i tanti passi indietro”… (non  sembra che il vaticanista de il Foglio colga il senso di quanto detto dal neovescovo di Padova: più che di passi indietro parla di passi da compiere insieme e quindi rivedendo le proprie tradizioni con uno sguardo diverso…)
«Non ho mai detto “rinunciamo al presepe” e non ho fatto riferimento ad alcun luogo specifico». E chiarisce: «Fare un passo indietro non significa creare il vuoto o assecondare intransigenze laiciste, ma trovare nelle tradizioni, che ci appartengono e alimentano la nostra fede, germi di dialogo…” (ndr.: ecco il vero rispetto per le tradizioni: non ripeterle come qualcosa di mummificato, ma di ripensarle e ritradurle nell’oggi in un contesto di dialogo e di arricchimento e di modificazione reciproci)



una pacata riflessione sul presepe a scuola in tempi di Isis

scuola pubblica

fare o non fare il presepe?

È giusto o meno fare il presepe nelle scuole italiane? Dopo la polemica sui canti di Natale a Rozzano, la domanda non è senza senso. Mentre noi ragioniamo in astratto, però, nelle scuole il conflitto si vive direttamente ogni giorno. E gli educatori sono costretti a prendere decisioni molto concrete, come quella del dirigente dell’Istituto Garofali. Se hai il venti per cento di bambini musulmani e magari la metà senza nessuna educazione religiosa (mai dimenticare che l’Italia i praticanti sono una piccola minoranza) è più che sensato chiedersi se un canto di Natale che racconta episodi del Vangelo sia realmente comprensibile, o se – soprattutto – il presepe stesso sia una rappresentazione adatta per tutti.

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A mio avviso, una scuola dovrebbe sempre mantenere un profilo rigorosamente laico, come nel caso del crocifisso sul muro – ormai la maggioranza dei bambini non sa di che si tratti ed è difficile spiegare loro cosa significa quell’uomo appeso a una croce e sanguinante. Potrebbe anche trattarsi però, di una laicità non tanto per sottrazione, ma per moltiplicazione. Nel caso del Natale, ad esempio, si tratterebbe non di togliere tutti i simboli, ma accostarne diversi. Se è difficile trovare un equivalente musulmano del presepe, non sarà complicato invece trovare – rinunciare al bellissimo canto corale è un peccato – canti musulmani da cantare insieme agli altri. E se non si trovano, o se non si è capaci di spiegarle, meglio adottare canzoni che celebrino altri simboli del natale più neutri, come l’albero di Natale. Ma non solo per i bambini immigrati musulmani, anche per gli italianissimi bambini che di religione non sanno più nulla. Altre sono le sedi per imparare la religione: l’ora di religione, per chi la sceglie (da noi c’è fin dalla scuola materna, mentre non c’è l’ora di inglese) oppure la famiglia.   Chi sostiene come Matteo Salvini, più presente in tv che in Chiesa, che così ci indeboliamo di fronte all’Isis, non capisce che la laicità vera – sia nella variante per sottrazione che per moltiplicazione dei simboli – porta con sé un universalismo etico forte e insieme inclusivo. Non fare il presepe dunque non ci rende più deboli. Né quella del dirigente scolastico è una scelta di comodo, anzi. Esprime voglia di inclusione, di integrazione reale e di eguaglianza tra bambini provenienti da tradizioni troppo diverse perché se ne celebri una sola. Meglio sarebbe celebrarle tutte. Oppure nessuna, se mancano gli strumenti culturali che gli insegnanti dovrebbero cominciare ad avere. E pure gli alunni, magari in quell’ora di religione che dovrebbe diventare un’ora di storia delle religioni, se potesse essere sottratta all’intoccabile dominio della Chiesa cattolica sulla scuola italiana. In tempi di Isis, sarebbe davvero un’ora preziosa.

 




al razzista Salvini non sta bene nulla dei rom

“ora di cultura rom” a scuola

genitori in rivolta in Toscana

in una scuola media di Pisa le ore di italiano fanno posto a un laboratorio di “tradizioni e cultura zigane”. Polemica dalla Lega: “Quando i corsi di accattonaggio?
  ne ‘il Giornale’:
era nata come un’iniziativa per avvicinare culture diverse, ma per il momento sembra aver sollevato più polemiche che altro.
il presidente della Toscana Enrico Rossi con una famiglia rom

A Pisa, nella scuola media “Fucini”, fa discutere l’inclusione nel programma scolastico dell’ora di “cultura rom”, nell’ambito di un programma di integrazione dei piccoli studenti di etnia nomade. Come racconta Libero, il progetto prevede sei ore complessivamente, da tenersi durante le lezioni di italiano.

Per la professoressa Marta Trafeli, che ha dato la disponibilità delle proprie ore per “ospitare” il laboratorio, l’iniziativa serve a “invogliare i ragazzini rom a venire a scuola, anche perché tra loro c’è un alto tasso di dispersione scolastica”. Durante le ore di “cultura rom”, spiega la docente, “viene un educatore che spiega ai nostri studenti la cultura e la tradizione di quel popolo”.

Non tutti, però, hanno accolto con favore la novità. Alcuni genitori, ad esempio, puntano il dito sulla sovrapposizione che si viene a creare con le ore di italiano. Anche perché inizialmente il laboratorio era facoltativo e previsto per il pomeriggio, ma poiché “quasi nessuno aveva deciso di frequentarlo” è stato spostato alla mattina e reso obbligatorio.

Oltre ai genitori preoccupati per il programma curricolare dei propri figli è poi intervenuta la politica: il segretario della Lega Matteo Salvini ha commentato l’episodio suggerendo “corsi di cultura pisana” al posto di quelli di tradizioni rom e concludendo caustico: “A quando i corsi di accattonaggio?”

E c’è anche una mamma che insinua: “Il fatto che l’associazione che ha proposto il corso operi nell’ambito della Società della Salute la dice lunga. Dietro a tutto questo, come al solito, c’è il governo Pd della Toscana che non vede l’ora di spendere soldi per integrare i rom che, di conseguenza, votano quel partito.” E ancora, come non bastasse: “Che titolo hanno poi gli esperti dei rom – insinua Susanna Ceccardi della Lega – per potersi sostituire agli insegnanti di italiano che hanno vinto un concorso?”