libertà fa rima con solidarietà

i molti volti della libertà

di Sergio Rostagno*
in “Confronti” del febbraio 2017

non c’è libertà nemmeno per me se il mio prossimo non è libero insieme con me

libertà non prescinde da solidarietà

oggi più che mai appare necessario riflettere sul loro nesso

L’origine della parola libertà è sconosciuta. La radice greca “lib” si riferisce all’acqua corrente. Da lì sembra che venga la nostra parola libertà. Più interessante il termine inglese freedom, free, che ricorda il latino frater, ma si ritrova anche in Friede (pace in tedesco) e nell’inglese friend (l’amico).

Vedi anche: Franco; Francia. I greci avevano almeno 3 parole: eleuteria, exousia, parrhesia. Sono stati i greci a istituire la prima festa della libertà. La si celebrava ogni cinque anni ricordando di aver respinto l’invasione persiana e conservato la propria identità e la propria storia. In origine l’essere umano intende libertà come appartenenza (al clan, alla stirpe, alla famiglia) che ti protegge e dentro la quale sei libero: se ne esci diventi schiavo di qualcuno. Ciò spiega la parentela tra libertà, identità e fraternità nelle culture primitive. I popoli desiderano essere padroni sul loro territorio: questa è la libertà. La coesione interna e l’appartenenza ne sono un aspetto necessario. Il culto consacra e sottolinea l’appartenenza. Molto presto l’essere umano si accorge di poter vivere soltanto nel rapporto con altri (Lévi-Strauss).

Ma poco per volta il concetto si universalizza e diventa più ideale e più astratto. Intorno al I secolo filosofie e religioni assumono una concezione più universale dell’umano. Ne sentono il richiamo anche l’ebraismo e il cristianesimo. La religione stessa trova la sua più autentica espressione nella libertà e si svincola dall’idea di popolo trasformato (per catacresi) in «popolo di Dio». Gli scritti cristiani sottolineano la figura di Gesù come figura della libertà. Esempi di tale libertà sono gli episodi di superamento del legalismo e la norma come “nuova” legge. La legge lega, certo, ma siamo nello stesso tempo liberi. Il senso dell’identità è dato dall’agape, il legame reciproco, dove l’alterità  diventa una nuova variabile prima sconosciuta. La nozione di agape viene a riempire e interpretare quella di legge, legandosi così intimamente alla nozione di libertà e di persona intimamente nuova. La libertà come problema appare nelle chiese paoline. Da un lato i Galati non comprendono la libertà, ne hanno quasi paura; dall’altro i Corinzi vi si immergono con impeto individuale soggettivo, senza accorgersi del suo nesso intersoggettivo (agape). Tale problematica ha trovato nell’idea moderna di “emancipazione” una applicazione a diversi contesti (il popolo, la donna, lo schiavo). La filosofia moderna coltiva il concetto radicale di libertà. L’essere umano è libero come tale. Non si può risalire a niente di più originario che la libertà (Kant). Ma l’idea di libertà così raffinata finisce nell’arbitrio o nell’egoismo. Peggio se equivale a «volontà di Dio». Va quindi ripensata e temperata. Fuori della solidarietà il diritto diventa astrazione, egoismo. Su tutto sovrasta ancora il fatto irrisolto dell’alterità. Forse solo oggi ci accorgiamo di quanto fosse forte in teoria e labile in pratica il rapporto tra diritto e solidarietà. Non c’è diritto personale che tenga alla lunga se non è compensato dal diritto altrui. Non c’è libertà nemmeno per me se il mio prossimo non è libero insieme con me. Libertà non prescinde da solidarietà: oggi più che mai appare necessario riflettere sul loro nesso. Ci sfuggono realtà che fino a ieri sembravano raggiunte, conquiste che sembravano stabili. Siamo giustamente preoccupati dalla difficoltà di poter mantenere per tutti i vantaggi del welfare e della scuola pubblica. Ma se questo discorso riguarda i popoli europei, ancor più riguarda il rapporto con i nostri simili di ogni provenienza e cultura. Coltivare e salvaguardare la propria identità è una cosa, isolarsi e credersi migliori è un’altra. L’idea che l’identità viva nel rapporto, nell’accoglienza, nella reciprocità non deve illanguidire sotto il peso dei problemi complessi che abbiamo. Dobbiamo farne invece una bandiera vivace anche oggi.
*teologo e professore emerito alla Facoltà valdese di teologia di Roma