sempre più cattivi e sempre più razzisti … linciaggio di una rom per tentato furto

Roma

l’odio viaggia anche in metro

rom pestata davanti alla figlia per un tentato furto

La giovane aggredita brutalmente alla presenza della piccola. Il drammatico racconto della giornalista insultata dalla folla per aver cercato di fermare il pestaggio

di GABRIELE ISMAN

Roma sempre più cattiva e sempre più razzista

Capita così che alla fermata San Giovanni della Metro A una giovane rom tenti di rubare il portafoglio a un passeggero.
Con lei una bambina di 3-4 anni. Il furto viene sventato: come racconterà su Facebook Giorgia Rombolà, giornalista di Rai News 24,
“ne nasce un parapiglia, la bambina cade a terra, sbatte sul vagone. Ci sono già i vigilantes a immobilizzare la giovane (e non in modo tenero), ma a quest’uomo alto mezzo metro più di lei, robusto (la vittima del tentato furto?) non basta. Vuole punirla. La picchia violentemente, anche in testa. Cerca di strapparla ai vigilantes tirandola per i capelli. Ha la meglio. La strattona fina a sbatterla contro il muro, due, tre, quattro volte.
La bimba piange, lui la scaraventa a terra”.
Rombolà interviene prima urlando all’uomo di non picchiare la ragazza, poi cercando di fermarla. I vigilantes poi riescono a portare via la rom, l’uomo robusto se ne va, ma a bordo del treno la giornalista si ritrova circondata.
“Un tizio che mi insulta dandomi anche della puttana dice che l’uomo ha fatto bene, che così quella stronza impara. Due donne (tra cui una straniera) dicono che così bisogna fare, che evidentemente a me non hanno mai rubato nulla.
Argomento che c’erano già i vigilantes, che non sono per l’impunità, ma per il rispetto, soprattutto davanti a una bambina. Dicono che chissenefrega della bambina, tanto rubano anche loro, anzi ai piccoli menargli e ai grandi bruciarli”.Ancora Rombolà scrive:

“Un ragazzetto dice se c’ero io quante mazzate. Dicono così. Io litigo, ma sono circondata. Mi urlano anche dai vagoni vicini. E mi chiamano comunista di merda, radical chic, perché non vai a guadagnarti i soldi buonista del cazzo. Intorno a me, nessuno che difenda non dico me, ma i miei argomenti. Mi guardo intorno, alla ricerca di uno sguardo che seppur in silenzio mi mostri vicinanza.
Niente. Chi non mi insulta, appare divertito dal fuori programma o ha lo sguardo a terra. Mi hanno lasciato il posto, mi siedo impietrita. C’è un tizio che continua a insultarmi. Dice che è fiero di essere volgare. E dice che forse ci rivedremo, chissà, magari scendiamo alla stessa fermata”.

Il racconto sul social si conclude in modo amarissimo:

“Cammino verso casa, mi accorgo di avere paura, mi guardo le spalle. E scoppio a piangere. Perché finora questa ferocia l’avevo letta, questa Italia l’avevo raccontata. E questo, invece, è successo a me

un’Europa dove riprendono paurosamente i pogrom contro rom ed ebrei

Kiev

pogrom neonazi contro i rom

allenamento per il seguito

Ucraina. Almeno sei gli attacchi registrati quest’anno. Tra le vittime anche una bambina di dieci anni uccisa

I fascisti del gruppo S-14, le sovvenzioni statali e le complicità vergognose.
-E altri miliardi senza rendiconti di democrazia dall’Unione europea.

problema irrisolto la destra estrema

Kiev, pogrom neonazi contro i rom, che prima di passare al bersaglio classico degli ebrei, scelgono un bersaglio più facilmente detestabile, i Rom, per allenamento e proselitismo. Lo denuncia la giornalista Halya Coynash sul portale Kharkiv Human Rights, che ci da anche nome ed indirizzo degli squadristi molto, troppo ben protetti. I «vigilantes» fascisti del ‘S-14’ che da mesi spadroneggiano per le vie delle città ucraine portando violenza e paura con l’avvallo silenzioso e quindi complice delle forze di sicurezza. Arroganza da impunità, con rivendicazioni pubbliche, ad esempio, del pogrom del 24 ottobre. Kiev, pogrom neonazi contro i rom, Il 24 ottobre, ma attorno c’è ben altro. Torniamo ad Halya Coynash, la giornalista, che a sostegno delle sue accuse a Human Rights, ha portato video e fotografie: «il 24 ottobre nell’area vicino alla stazione meridionale di Kiev un raid neonazista ha devastato un campo abitato da famiglie rom». La particolare gravità di questo assalto è che per la prima volta la polizia municipale non è restata solo ad osservare le gesta dei fascisti del gruppo S-14 ma ha attivamente partecipato all’azione, dando l’impressione -oramai, vedremo tra poco- molte conferme che i raid erano stato organizzati e coordinati. Dall’inizio dell’anno sono già 6 i casi noti di pogrom in Ucraina, uno dei quali terminato con l’uccisione di una bambina di soli 10 anni. Denunce pubbliche ma nessuna protesta dalla Ue. Anzi, quasi fossero premi meritati, piovono euro su Kiev. Con la Rada -il parlamento locale- che per una volta a grande maggioranza, decise di accettare il miliardo di euro di aiuti dall’Unione Europea. Spiccioli in realtà, visto che all’ascesa del governo di Petr Poroshenko, 2014, arrivò il maxi prestito di 17,5 miliardi di dollari dal Fondo Monetario Internazionale, e l’anno dopo 1,8 miliardi di euro Ue, in cambio di promesse di democrazia. A oltre quattro anni dalla Maidan, l’Ucraina ha il problema irrisolto di un sottobosco di gruppi estremisti, filonazisti e xenofobi che non si limitano alle parole. A inquietare, è l’immobilismo di governo, polizia, politica di Kiev. Il disinteresse per una serie di crimini violenti che hanno come obiettivo minoranze ai margini della società. Un immobilismo che qualche volta rasenta la connivenza. È il caso del gruppo neonazista ‘C14’ che, secondo ‘Human rights protection group’, ha ricevuto soldi pubblici per «educazione patriottica». Circa 40mila euro con i quali il ministero della Gioventù ha finanziato iniziative «nazional-patriottiche» . La matrice neonazista di questo gruppuscolo non è in discussione. C in cirillico è S, iniziale di slova, слова, parole. C14 si rifà alle 14 parole di David Lane, leader defunto del gruppo suprematista americano The Order: «We must secure the existence of our people and a future for white children». È una formazione apparsa di recente, in parte come spin off di Svoboda, il partito estremista che svolse un ruolo di primo piano nelle occupazioni violente dei palazzi del potere nei giorni della Maidan. Ma che ha anche contatti stretti con la galassia dell’estrema destra nazionalista, da Pravyi Sektor al Natsionalyikorpus, al Karpatska Sich. Kiev, pogrom neonazi contro i rom Il realtà, da analisti non legati a politica e Stati, ben poco sul fronte e delle riforme democratiche promesse da Kiev è stato fatto. In Ucraina si parla ormai di miseria e degrado. Reddito medio annuo a parità di potere d’acquisto è di 2990 dollari, mentre -accusa diffusa- ‘le oligarchie dilapidano i prestiti internazionali’. Per protestare contro una situazione ogni giorno più insostenibile, la Federazione dei Sindacati Ucraini aveva organizzato il 23 ottobre scorso un grande sciopero nazionale e a tutt’oggi nel Donbass, la parte non separatista, i minatori restano a rotazione nei pozzi per protestare per il mancato pagamento dei salari da 4 mesi a questa parte.

NEONAZISTI CRESCONO

rischiamo davvero l’imbestialimento della politica

attenti ai lupi

così la politica in Italia ed Europa si bestializza


di Marco Morosini
linguaggi sempre più aggressivi e contenuti violenti
la nuova destra “istintiva” si batte contro i più poveri

Una manifestazione in Germania contro i migranti

una manifestazione in Germania contro i migranti

“Libera la bestia che c’è in te”. “Volete restare pecore? O volete diventare lupi e farli a pezzi? (i delinquenti tra i migranti, ndr) Aspettiamoli sotto casa. Occhio per occhio, dente per dente!”

Dobbiamo a due politici eletti, rispettivamente in Italia e in Germania, questi due incitamenti espliciti a “bestializzare” la politica. Non è folclore. Sono parole che dobbiamo prendere sul serio, perché è così che in Europa cominciarono derive che finirono in tragedie. Questi incitamenti potrebbero essere solo l’inizio di ciò che ci aspetta se i politici che attizzano l’odio diventassero egemoni in altri Paesi – oltre che già in Italia e Ungheria – e nel Parlamento Europeo. Le cause “scatenanti” di questo imbestialimento sono la paura – solo in parte comprensibile – e la reazione – sbagliata – al fenomeno di portata storica delle migrazioni verso l’Europa. La crescente esasperazione che esso genera in una parte degli europei è per certi aspetti paragonabile a quella provocata negli anni 20 e 30 dai rancori postbellici, dalla crisi economica del 1929 e dalla conseguente disoccupazione e povertà. Anche allora furono le estreme destre nazionaliste a profittare dell’astio di massa. Anche allora troppi dissero: non dobbiamo demonizzarli, se no facciamo il loro gioco. Si sa come andò a finire. Sta accadendo qualcosa di simile, ora?

Un ministro “fuori controllo”

Il motto “Libera la bestia che c’è in te” è riconducibile al Vicepresidente del Consiglio e Ministro degli Interni Matteo Salvini. Un’esortazione sorprendente da parte di chi è responsabile di mantenere l’ordine nel Paese. L’incitamento è nella testata de “Il populista”, il giornale on line della Lega fondato da Salvini (e diretto da Marco Dozio e Alessandro Morelli), e nell’immagine di copertina della sua pagina Facebook. La bestia da liberare è simbolizzata dalla fronte di un lupo dagli occhi gialli minacciosi, messo lì come un logo. Il sottotitolo de “Il populista” è: “Audace, istintivo, fuori controllo”. Il secondo incitamento «… o volete diventare lupi e farli a pezzi? Occhio per occhio, dente per dente! Aspettiamoli sotto casa!» è di David Köckert, il politico e consigliere comunale di un partito tedesco, che il 9 settembre ha arringato con queste parole una folla di 2.500 manifestati anti-immigrati nella cittadina tedesca di Köthen. Non è da meno un altro politico nelle istituzioni, il deputato leghista Giuseppe Bellachioma, che ha scritto rivolgendosi ai giudici: «Se toccate il Capitano (Salvini, ndr) vi veniamo a prendere sotto casa… occhio!».

Le violenze razziste

Chi pensasse “lupo che abbaia non morde” sbaglierebbe. In Italia, infatti, crescono da tre mesi le violenze razziste. Il giornalista Luigi Mastrodonato ha creato e aggiorna una carta interattiva dell’Italia (su Google Maps) con le “Aggressioni razziste dall’1 giugno 2018”. Vi si leggono i luoghi e gli articoli relativi a ogni episodio violento: finora due omicidi e 60 aggressioni. Ogni due giorni una o più persone, spesso extraeuropee e con la pelle scura, sono state aggredite con pugni, spranghe, armi, a volte anche al grido di “Salvini, Salvini”, come a Caserta l’11 giugno. A Macerata, il 3 febbraio, otto persone di colore sono state ferite a rivoltellate da Luca Traini, candidato leghista nel 2017. Sulle crescenti aggressioni razziste in Italia l’Onu sta aprendo un’inchiesta.

Il ruolo di Steve Bannon

Le estreme destre guadagnano consensi e puntano ora a conquistare l’Unione Europea per smantellarla dall’interno. L’orchestratore di questo disegno è lo statunitense Steve Bannon, ex-stratega di Donald Trump. Così come portò Trump alla Casa Bianca Bannon si è dato ora la missione di favorire la presa del potere in Europa delle destre estreme. Con questo dichiarato obiettivo ha aperto a Bruxelles l’agenzia politica “The Mouvement” per coordinare e consigliare i partiti nazionalisti. Secondo Bannon «I movimenti di destra populista e nazionalista vinceranno in Europa e governeranno. (…) È in Italia il cuore della nostra rivoluzione». Per questo è venuto più volte in Italia e ha incontrato Salvini e altri politici di governo. «Questo è un momento della Storia di cui si parlerà per 100 anni» ha detto Bannon. Ha ragione. Le reazioni politiche al fenomeno migratorio possono essere comprese solo in una prospettiva storica. L’impossibilità sia di fermare sia di accogliere completamente le crescenti migrazioni sta mettendo in gioco la convivenza nel continente. In pericolo è la stessa Unione Europea, l’istituzione che ha garantito sessant’anni di pace e sviluppo.

La copertina della pagina Facebook del 'Populista'

la copertina della pagina Facebook del “Populista”

Immaginare di poter impedire queste crescenti migrazioni, è come pensare di poter “vietare” l’alta marea dopo la bassa. Gli africani, oggi 1,2 miliardi, nel 2050 saranno 2,5 miliardi, mentre gli Europei resteranno 500 milioni. Come tra i vasi comunicanti, un travaso dall’Africa all’Europa sembra inevitabile. Non potendo impedirlo, occorrono in Africa e in Europa politiche che lo regolino e lo rendano fonte di benessere anziché di conflitto. Non basterà “aiutarli a casa loro”. Secondo Stephen Smith, uno studioso africanista franco-americano autore del libro “La corsa verso l’Europa”, in mancanza di altre strategie un lento innalzamento dei redditi in Africa porterà verso l’Europa più migranti, non meno. I migranti attuali, infatti, non sono gli africani più poveri. In buona parte, invece, sono quei giovani più intraprendenti che sanno racimolare i soldi per pagarsi l’odissea verso l’Europa. Secondo Smith il numero di costoro aumenterà quando gradualmente aumenterà il reddito in Africa. Questo fenomeno è drammatico specialmente per l’Africa, che perde così la parte potenzialmente più attiva dei suoi giovani. Ulteriori cause dei drammi dell’Africa sono corruzione, malgoverno, dittature, conflitti e cambiamenti climatici.

Da cittadini a consumatori

C’è però un altro fenomeno più recente che concorre a stimolare sia l’emigrazione dall’Africa sia la violenta ostilità di una minoranza di Europei verso i migranti: il consumismo nell’era di internet. Da alcuni anni, infatti, milioni di africani ammirano, grazie a internet, la vetrina di un Europa delle meraviglie. Lo spettacolo pubblicitario continuo di persone euforiche perché allietate da ogni sorta di mercanzia è una caricatura mendace della realtà.
La stessa messinscena consumistica che attira gli africani è quella che ha alterato la scala di valori in Europa. Eravamo cittadini, siamo diventati “consumatori”. La pubblicità, già onnipresente, cerca di infiltrarsi ulteriormente in ogni metro del nostro spazio e in ogni minuto del nostro tempo. Sempre più europei, specialmente i giovani, sono indifferenti e ignoranti della nostra storia, dei nostri valori comuni – libertà, democrazia, rispetto, tolleranza – e della necessità di difenderli. La cosa che più ci importa è consumare, è cercare identità e soddisfazione nelle merci, non nei valori, e tanto meno nelle persone. Come disse un grande regista, gli unici due valori rimasti all’Occidente sono comprare e vendere.

Consumatori contro consumati

Tra l’ascesa delle estreme destre nazionaliste negli anni 20 e 30 e quella attuale c’è tuttavia una grande differenza. L’animosità popolare che allora portò al potere i partiti totalitari era quella degli impoveriti contro gli arricchiti. Oggi, invece, accade il contrario: l’ostilità che nutre le destre estreme è quella dei ricchi (noi europei, se comparati con gli africani) contro i poveri e i disperati che noi stessi abbiamo contribuito a impoverire e che cercano ora di raggiungerci. È l’ostilità dei consumatori contro i consumati. È la gelosia di chi teme che altri, più poveri di lui, gli portino via “la roba”. È l’affermazione di una “libertà” sinistra (la mia libertà di avere tutto e subito), che sta eclissando la eguaglianza e la fraternità. Nella crisi crescente dell’immigrazione e nelle sue drammatiche conseguenze politiche, il consumismo conta più di quello che sembra. Molti non lo vedono, così come i pesci non vedono l’acqua. È una cecità fatale. Inebetiti da tanti mulini bianchi, non vediamo avvicinarsi i lupi neri.

le chiese cristiane contro xenofobia, razzismo e nazionalismo populista

il “no” delle chiese cristiane

all’«idolatria dei confini nazionali»

di Luca Liverani
in “Avvenire” del 21 settembre 2018

Le chiese cristiane «sono chiamate ad essere luoghi di memoria, speranza e amore». E dunque «la protezione dei valori o delle comunità cristiane» perseguita «escludendo chi cerca un rifugio sicuro dalla violenza e dalla sofferenza è inaccettabile e mina la testimonianza cristiana nel mondo, elevando i confini nazionali a idoli»

Parole nette, rivolte innanzitutto ai cristiani e sottoscritte nel documento finale dai partecipanti alla Conferenza internazionale su «Xenofobia, razzismo e nazionalismo populista nel contesto della migrazione globale», organizzata a Roma dal Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale e dal Consiglio Mondiale delle Chiese (Wcc), con il Pontificio consiglio per l’unità dei cristiani.

A chiudere la tre giorni è stata l’udienza papale. E padre Fabio Baggio, sottosegretario del Dicastero, ha ricordato che «in accordo con gli insegnamenti di papa Francesco», i punti cardinali della «risposta integrale alle sfide migratorie globali» sono «quattro verbi attivi: accogliere, proteggere, promuovere e integrare». «Sosteniamo l’istituzione dell’asilo – si legge dunque nel documento finale della tre giorni – per coloro che fuggono da conflitti armati, persecuzioni o calamità naturali». Allo stesso tempo «invochiamo il rispetto dei diritti per tutte le persone migranti, indipendentemente dal loro status». Al contrario, «il razzismo crea e mantiene la vulnerabilità dei membri di alcuni gruppi, negando i loro diritti e la loro esistenza, e cerca di giustificare la loro oppressione». E allora «in questo senso il razzismo è un peccato, radicalmente incompatibile con la fede cristiana». Nell’analisi del documento «il nazionalismo populista è una strategia politica che cerca di fare affidamento e promuovere le paure » al fine «di affermare la necessità di un potere politico autoritario per proteggere gli interessi del gruppo sociale o etnico dominante». È «nel nome di questa ‘protezione’ che i populisti giustificano il rifiuto di offrire rifugio, ricevere e integrare individui o gruppi di altri paesi». Ma è un rifiuto «contrario all’esempio e alla chiamata di Gesù Cristo». I partecipanti alla Conferenza quindi invitano «tutti i cristiani» a «respingere tali iniziative populiste», definite «incompatibili con i valori del Vangelo. Ciò dovrebbe ispirare la vita politica e il discorso pubblico, e informare le scelte fondamentali soprattutto al momento delle elezioni». L’invito ai mass media è di «astenersi dal diffondere idee e iniziative divisive e disumanizzanti e impegnarsi per la promozione di messaggi positivi». L’analisi non nega le problematiche: «Le preoccupazioni di molti individui e comunità che si sentono minacciate dai migranti devono essere riconosciute ed esaminate», in un dialogo «autentico con tutti coloro che le nutrono». Ma «sulla base dei principi della nostra fede cristiana e dell’esempio di Gesù Cristo, cerchiamo di innalzare una narrativa di amore e di speranza, contro la narrativa populista dell’odio e della paura». Anche le chiese cristiane devono «far crescere la coscienza critica tra i cristiani sulla complicità di alcune teologie nella xenofobia e nel razzismo».

papa Francesco contro i cristiani razzisti

migranti

papa Francesco critica i cattolici razzisti

 papa Francesco riceve in udienza i direttori degli Uffici della pastorale per le migrazioni e si dice preoccupato per i sentimenti di intolleranza e xenofobia diffusi anche tra i cattolici e giustificati, spiega, «da un non meglio specificato “dovere morale” di conservare l’identità culturale e religiosa originaria»

Denuncia l’incoerenza di molti credenti e di alcune Chiese locali di fronte al problema delle migrazioni in Europa. Papa Francesco, nel discorso direttori degli Uffici per i migranti delle Conferenze episcopali d’Europa, è molto severo nella critica e parla apertamente di “reazione di difesa e di rigetto”, veri e propri atteggiamenti razzisti in molti cattolici.

L’incontro è avvenuto venerdì 22 settembre e i direttori erano accompagnati dal cardinale Angelo Bagnasco, ex-presidente della Cei e attuale presidente dei vescovi europei. Il Papa ha confidato: “Non vi nascondo la mia preoccupazione di fronte ai segni di intolleranza, discriminazione e xenofobia che si riscontrano in diverse regioni d’Europa. Esse sono spesso motivate dalla diffidenza e dal timore verso l’altro, il diverso, lo straniero. Mi preoccupa ancor più la triste constatazione che le nostre comunità cattoliche in Europa non sono esenti da queste reazioni di difesa e rigetto, giustificate da un non meglio specificato ‘dovere morale’ di conservare l’identità culturale e religiosa originaria”.

I rimproveri di Francesco riguardano il settore orientale dell’Europa e le posizioni tiepide degli episcopati di Polonia, Ungheria, Slovacchia e Repubblica ceca nei confronti delle politiche nazionali dei loro governi che hanno ripetutamente negato l’accettazione delle quote di migranti previste dall’Unione Europea. La maggior parte dei cattolici è d’accordo con i governi sul contrasto all’immigrazione e sull’ingresso dei migranti in quei Paesi. La situazione più delicata appare quella polacca. Qualche mese fa monsignor Krzysztof Zadarko, vescovo ausiliare di Koszalin-Kołobrzeg e responsabile della conferenza episcopale polacca per l’immigrazione, ha affermato che è “necessaria una maggiore apertura verso il prossimo in difficoltà”, riferendosi ai dati di un sondaggio secondo cui solo il quattro per cento dei polacchi è “decisamente favorevole” all’accoglienza dei profughi provenienti dal Medio Oriente.

Lo studio, dell’istituto polacco Cbos (Centro di analisi dell’opinione pubblica), indicava una costante crescita della porzione della popolazione, fino al 74 per cento, contraria alla ricollocazione dei profughi, secondo le quote previste dall’Unione in Polonia. Da dicembre del 2015 ad oggi il numero di polacchi che rifiutano gli immigrati mediorientali e africani supera stabilmente i favorevoli all’accoglienza. Tuttavia, il 55 per cento della popolazione polacca accetterebbe i profughi ucraini senza distinzioni di fede o di etnia. Monsignor Zadarko aveva detto di essere “profondamente rattristato”. E’ la stessa amarezza che si coglie nelle parole del Papa, che invece sostiene che “riconoscere e servire il Signore in questi membri del suo ‘popolo in cammino’ è una responsabilità che accomuna tutte le Chiese particolari nella profusione di un impegno costante, coordinato ed efficace”.

Beroglio ha denunciato anche una “sostanziale impreparazione delle società ospitanti e da politiche nazionali e comunitarie spesso inadeguate”. E ha aggiunto anche una critica ai “limiti dei processi di unificazione europea” e agli “ostacoli con cui si deve confrontare l’applicazione concreta della universalità dei diritti umani, dei muri contro cui si infrange l’umanesimo integrale che costituisce uno dei frutti più belli della civiltà europea”.

razzisti senza … motivo

 

non sono razzista, ma …

 

Qualcuno è razzista perché è arrabbiato.
Qualcuno è razzista perché è discriminato sul lavoro.
Qualcuno è razzista perché gli altri sono razzisti.
Qualcuno è razzista perché “e allora il PD?”.
Qualcuno è razzista perché sono loro che sono neri.
Qualcuno è razzista perché loro hanno il telefonino.
Qualcuno è razzista perché “lasciamoli lavorare”.
Qualcuno è razzista perché c’è chi sfrutta l’immigrazione.
Qualcuno è razzista sempre, tranne quando c’è un corpo da comprare.
Qualcuno è razzista perché “loro rubano”. (“E allora il PD?”)
Qualcuno è razzista ma non lo vuole ammettere.
Qualcuno è razzista perché dice “è meridionale, ma è una gran brava persona”.

Tante persone sono razziste, ma nessuno ha un buon motivo per esserlo.

e dicono che il razzismo in Italia non è un problema serio …

quegli otto spari sui migranti in tutta Italia

di Fiorenza Sarzanini
in “Corriere della sera” del 28 luglio 2018

In un mese e mezzo ci sono stati otto casi. E a questo punto sembra davvero difficile parlare di coincidenze. Perché è vero che gli episodi sono accaduti in città diverse — anche se a Caserta e Forlì è già accaduto per due volte — e differenti sono le modalità. Ma gli spari contro gli stranieri, con armi a pallini o ad aria compressa, sono sempre più frequenti e tanto basta per far scattare l’allerta negli apparati di sicurezza. I controlli sui social L’ipotesi valutata al momento è quella dell’emulazione, ma senza escludere che dietro alcuni «attacchi» possa esserci una matrice di odio razziale. Ecco perché carabinieri e polizia stanno cercando di ricostruire nei dettagli ogni vicenda, concentrandosi sulla possibilità che qualcuno possa essere stato fomentato attraverso la «rete» dei social. Un lavoro affidato alla Postale che sta monitorando «profili» e siti proprio per trovare tracce utili. Verifiche che si affiancano a quelle svolte da commissariati e stazioni dell’Arma per scoprire se dietro alcuni fatti possa esserci un’unica regia.

Senza dimenticare quanto accaduto a Macerata nel febbraio scorso quando Luca Traini sparò e ferì sei stranieri «per vendicare l’omicidio di Pamela Mastropietro», la giovane che era stata adescata da un gruppo di nigeriani. Gli spari in Campania L’11 giugno scorso c’è la prima denuncia. Due ragazzi maliani — ospiti di una struttura per migranti — si presentano alla questura di Caserta e raccontano di essere stati colpiti da una raffica di colpi di pistola ad aria compressa sparati da una Panda nera in corsa. Uno ha una ferita all’addome. Parlano di tre aggressori, raccontano che inneggiavano a Matteo Salvini. Scattano le verifiche, intanto nove giorni dopo un altro giovane maliano viene colpito a Napoli da due ragazzi armati di un fucile a piombini mentre sono a bordo di un’auto per le vie del centro. L’ultimo caso ancora a Caserta è di ieri, con il ragazzo della Guinea, ospite in un centro di accoglienza, che racconta di essere stato colpito al volto con la pistola ad aria compressa. A Forlì sono due gli assalti contro gli stranieri. Il primo viene denunciato il 2 luglio da una donna nigeriana ferita a un piede. In realtà quando si presenta spiega che l’episodio è accaduto qualche giorno prima, ma spiega di aver avuto paura. Appena tre giorni dopo c’è un nuovo caso. Questa volta ad essere colpito all’addome è un ivoriano di 33 anni. Il suo racconto è preciso: mentre stava in bicicletta è stato affiancato da un’auto e qualcuno si è sporto dal finestrino sparando con una pistola modello softair. È lo stesso tipo di arma usato dai tre ragazzi denunciati mentre vengono sorpresi a fare fuoco contro le macchine in corsa. E gli investigatori non escludono che siano proprio loro, o comunque qualcuno a loro collegato, ad aver agito.

Il Lazio e i rom L’11 luglio vengono presi di mira due nigeriani mentre aspettano l’autobus a Latina Scalo da sconosciuti a bordo di una vettura scura. Il sindaco Damiano Coletta non crede alla causalità, parla subito di «matrice discriminatoria». Più cauti sono i magistrati di Roma che indagano sul ferimento della bimba rom di 15 mesi colpita il 17 luglio in una strada trafficata mentre è in braccio alla mamma. Perché, spiegano, l’ex dipendente del Senato che ha sparato dal balcone del suo appartamento non mostra di avere alcuna tendenza razzista. Resta però da capire come mai non si sia presentato ai carabinieri pur avendo saputo di aver ferito la piccola e soprattutto perché avesse modificato l’arma per potenziarla. Non ha avuto il coraggio di dire che «volevo sparare a un piccione» come ha sostenuto l’uomo che in Veneto due giorni fa ha colpito alla schiena un operaio di Capoverde. Ma anche la giustificazione del «colpo partito per sbaglio» appare poco credibile.

“i vecovi ci aiutino a combattere il razzismo”

l’appello degli operatori della chiesa alla Cei:

aiutateci a sconfiggere il razzismo

prelati, suore, capi di associazioni, tutti uniti contro il razzismo:

“non si può essere cristiani e maltrattare i migranti. Fate chiarezza su questo punto”

Vescovi della Cei

vescovi della Cei

Centodieci operatori della Chiesa hanno scritto una lettera aperta alla Conferenza episcopale italiana, con possibilità di essere sottoscritta anche da altri, in cui si esprime preoccupazione per la dilagante “cultura del rifiuto, paura degli stranieri, razzismo e xenofobia, una cultura avallata e diffusa persino da rappresentanti delle istituzioni”.

“Sono diversi a pensare” continua la lettera, “che sia possibile essere cristiani e, al tempo stesso, rifiutare o maltrattare gli immigrati: un vostro intervento, in sintonia con il magistero di Papa Francesco, potrebbe dissipare i dubbi e chiarire da che parte il cristiano deve stare, sempre e comunque”.

A firmare la lettera sono decine di persone tra prelati, religiosi e religiose, ma anche laici, impegnate nella pastorale della Chiesa, da parroci a direttori delle Caritas, da docenti delle università pontificie a responsabili scout, da congregazioni religiose a operatori delle diocesi. La lettera è stata inviata al Presidente della Conferenza Episcopale Italiana e a tutti i vescovi singolarmente.

“Vi scriviamo per riflettere con voi – si legge nella lettera – su quanto sta attraversando, dal punto di vista culturale, il nostro Paese e l’intera Europa”. Si rileva il dilagare di “razzismo e xenofobia” ma anche “le strumentalizzazioni della fede cristiana con l’uso di simboli religiosi come il crocifisso o il rosario o versetti della Scrittura, a volte blasfemo o offensivo. I recenti richiami, in primis dei cardinali Parolin e Bassetti, al tema dell’accoglienza sono il punto di partenza; ma restano ancora poche le voci di Pastori – sottolineano i firmatari dell’appello – che ricordano profeticamente cosa vuol dire essere fedeli al Signore nel nostro contesto culturale, iniziando dall’inconciliabilità profonda tra razzismo e cristianesimo. Un vostro intervento, in materia, chiaro e in sintonia con il magistero di papa Francesco, potrebbe servire a dissipare i dubbi e a chiarire da che parte il cristiano deve essere, sempre e comunque, come il Vangelo ricorda”.

Nella lettera si evidenzia che nulla

“può fermare in questo impegno profetico: né la paura di essere fraintesi o collocati politicamente, né la paura di perdere privilegi economici o subire forme di rifiuto o esclusione ecclesiale e civile”. “Oggi riteniamo che l’urgenza non sia solo quella degli interventi concreti ma anche l’annunciare, con i mezzi di cui disponiamo, che la dignità degli immigrati, dei poveri e degli ultimi per noi è sacrosanta”.

 

l’ “antirazzismo” di Gesù

‘ero straniero e mi avete accolto’

la grande attualità del messaggio ‘antirazzista’ di Gesù

di Alberto Maggi

 
 
“Prima noi”, è il mantra con il quale si mascherano spietati egoismi e si giustificano inaudite durezze di cuore. È la formula magica di quanti chiariscono subito “non sono razzista, però…”, un “però” eretto come un invalicabile muro a difesa del “noi”, pronome che include, a secondo degli interessi, un popolo o la famiglia, una religione o un quartiere. Mentre per “prima” s’intende l’accesso e l’esclusiva precedenza a tutto quel che permette alla vita di essere dignitosa, dalla casa al lavoro, dall’assistenza sanitaria alla scuola; beni e valori che, sono fuori discussione, devono essere riservati per primi a chi ne ha pienamente diritto per questioni di lignaggio. Ovviamente, al “noi” si contrappone il “loro”, che include per escluderli, tutti quelli che non appartengono allo stesso popolo, alla stessa cultura, società, religione, o famiglia.
 
“Prima noi”, poi, eventualmente, se proprio ci avanza, si possono dare le briciole a chi ne ha bisogno, ovvero all’estraneo che attenta al nostro benessere economico, ai valori civili e religiosi della nostra società e alle nostre sacrosante tradizioni. “Loro” sono gli stranieri, i barbari. In ogni cultura chi proviene da fuori, incute paura. Lo straniero è un barbaro, colui cioè che emette suoni incomprensibili, (dal sanscrito barbara = balbuziente), colui che parla una lingua incomprensibile e che nel mondo greco passò a significare quel che è selvaggio, rozzo, feroce, incivile, indigeno.
 
Ero straniero
 
Nonostante nella Scrittura si trovino indicazioni che mirano alla protezione dello straniero (“Non maltratterai lo straniero e non l’opprimerai, perché anche voi foste stranieri nel paese d’Egitto”, Es 22,21), Gesù si è trovato a vivere in una realtà dove il forestiero andava evitato, e persino dopo la morte veniva seppellito a parte, in un luogo considerato impuro (“Il Campo del vasaio per la sepoltura degli stranieri” Mt 27,7). Al tempo di Gesù vige una separazione totale tra giudei e stranieri, come riconosce Pietro: “Voi sapete come non sia lecito a un giudeo di aver relazioni con uno straniero o di entrar in casa sua” (At 10,28).
 
In questo ambiente stupisce il comportamento del Cristo che da una parte arriva a identificarsi con gli ultimi della società (“Ero straniero e mi avete accolto”, Mt 25,35.43), e proclama benedetti quanti avranno ospitato lo straniero (“Venite benedetti del Padre mio”¸ Mt 25,34), dall’altra, Gesù accusa con parole tremende quelli che non lo fanno (“Via, lontano da me, maledetti… perché ero straniero e non mi avete accolto”, Mt 25,41.43), con una maledizione che richiama quella del primo assassino della Bibbia, il fratricida Caino (“Ora sii maledetto”, Gen 4,11). Se la risposta alle altrui necessità era un fattore di vita, la mancata risposta è causa di morte. Per Gesù negare l’aiuto all’altro è come ucciderlo.
Gesù non solo si identifica nello straniero, ma nei vangeli il suo elogio va proprio per i pagani, personaggi tutti positivi (eccetto Pilato in quanto incarnazione del potere) e portatori di ricchezza. Si teme sempre cosa e quanto si debba dare allo straniero e non si riconosce quel che si riceve dallo stesso. Nella sua attività Gesù si troverà di fronte ottusità e incredulità persino da parte della sua famiglia e dei suoi stessi paesani, ma resterà ammirato dalla fede di uno straniero, il Centurione, e annuncerà che mentre i pagani entreranno nel suo regno, gli israeliti ne resteranno esclusi (Mt 8,5-13; Mt 27,54).
Nella sinagoga di Nazaret, il suo paese, Gesù rischierà il linciaggio per aver avuto l’ardire di tirare fuori dal dimenticatoio due storie che gli ebrei preferivano ignorare: Dio in casi di emergenza e di bisogno non fa distinzione tra il popolo eletto e i pagani, ma dirige il suo amore a chi più lo necessita. Così nel caso di una grande carestia che colpì tutto il paese, aiutò una straniera, una pagana, “una vedova a Sarepta di Sidone” (Lc 4,26), e con tutti i lebbrosi che c’erano al tempo del profeta Eliseo, il signore guarì uno straniero: “Naamàn, il Siro” (Lc 4,27).
Prima noi? Gesù, manifestazione vivente dell’amore universale del Padre, vuole condividere i pani in terra pagana così come ha fatto in Israele (Mt 14,13-21). La resistenza dei discepoli di portare anche agli stranieri la buona notizia, viene dagli evangelisti raffigurata nell’incontro di Gesù con una donna straniera, cananea (fenicia) che invoca la liberazione della figlia da un demonio (Mt 15,22). La donna, succube dell’ideologia nazional religiosa che faceva ritenere i pagani inferiori ai Giudei, si accontenterebbe di poco, anche delle briciole (“Sì, Signore, ma anche i cagnolini si cibano delle briciole che cadono dalla tavola dei loro signori”, Mt 15,27). Nella tradizione biblica i figli di Israele sono chiamati a dominare le nazioni pagane, mentre i pagani sono destinati ad essere dominati. Non c’è uguaglianza tra gli appartenenti al popolo eletto e gli esclusi. Gli uni sono figli, e gli altri cani, animali ritenuti impuri e portatori del demonio. Per questo non si può dare il pane a quanti, per la loro condizione di pagani, sono veicolo di impurità e contaminazione.
Sarà una donna, per giunta pagana, a impartire una lezione ai discepoli del Cristo. Costei ha infatti compreso che non ci sono dei figli e dei cani, quelli che meritano e gli esclusi, quelli che hanno diritto e quelli no, un prima (noi) e un dopo (gli altri), ma tutti possono cibarsi insieme, e allo stesso tempo, dell’unico pane che alimenta la vita. Essa comprende quello che i discepoli fanno fatica a capire e ad accettare, cioè, che la compassione e l’amore vanno al di là delle divisioni razziali, etniche e religiose.
La reazione di Gesù è di grande ammirazione: “Allora Gesù le replicò: Donna, grande è la tua fede! Ti sia fatto come vuoi”. (Mt 15,28), e ai pagani Gesù non concederà le briciole, ma anche in terra straniera ci sarà l’abbondante condivisione dei pani, segni della benedizione divina (Mt 15,32-39).
L’esperienza e il messaggio di Gesù verranno poi raccolti dagli altri autori del Nuovo Testamento, in particolare da Paolo, che in occasione di un naufragio, si stupirà per la “rara umanità” con cui lui e gli altri naufraghi sono stati ospitati dai barbari di Malta (At 28,2), e arriverà a capire una verità importante: “Qui non c’è più Greco o Giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro o Scita, schiavo o libero, ma Cristo è tutto in tutti” (Col 3,11; Gal 3,28).
La Chiesa ha compreso e annuncia che con Gesù non si possono innalzare barriere, ma solo abbattere tutti i muri che gli uomini hanno costruito (“Egli infatti è la nostra pace, colui che dei due ha fatto una cosa sola, abbattendo il muro di separazione che ci divideva…”, Ef 2,14), non solo i muri esteriori (mattoni), forse i più facili da demolire, ma quelli interiori (pregiudizi), mentali, teologici, morali, religiosi, i più difficili da estirpare perché li crediamo buoni o di provenienza divina.

i migranti sono davvero il grande disastro italiano?

il grande male dell’Italia sono gli immigrati

A sentire questa campagna elettorale, pare che tutte le colpe del nostro disagio siano degli immigrati. E se, invece, il grande male dell’Italia fosse un altro: l’ipocrisia. La finzione, la falsità. Puntiamo – i partiti, ma anche noi cittadini – il dito altrove, contro dei poveracci indifesi e senza voce, per non affrontare i nostri mali: corruzione, mafie, evasione

Ascolti i battibecchi elettorali e ti pare che il grande, unico male dell’Italia siano gli immigrati.
Ascolti i programmi dei partiti – quasi tutti – e l’unico punto che ti rimane impresso sono gli immigrati.

Ma è proprio così? Vogliamo crederci davvero?
Nessuno nega che l’arrivo in massa di centinaia di migliaia di persone ponga problemi e richieda spese e investimenti. E, comunque, se la presenza dei migranti suscita allarme, è giusto tenere in considerazione il timore dei cittadini. Non liquidarlo con sufficienza.
Però bisogna ricordare i reali termini della questione. Affrontarla nella sua complessità, basandoci sui dati di fatto.   

Non è vero, come dicono molti, che gli immigrati sono la principale causa della crisi e dell’impoverimento del nostro Paese. Non sono il primo problema, nemmeno il secondo. E neppure il terzo. Le cifre variano, ognuno dà i numeri. L’accoglienza, secondo alcune stime, nel 2017 è costata intorno ai 5 miliardi. Tanto, certo. Mettiamo pure che ci costi il doppio, il triplo. Si potrebbe obiettare che il dovere morale di accoglienza e solidarietà nei confronti di altri essere umani (ammesso che gli immigrati vengano ancora considerati tali) possa valere questa cifra. Si potrebbe dire che i ricchi paesi occidentali posseggono tanto, troppo, e hanno l’obbligo di rinunciare a qualcosa a favore di chi ha un decimo, un centesimo di noi (il Pil pro capite dei paesi più poveri è una frazione infinitesimale del nostro). Si potrebbe ricordare che un europeo consuma anche dieci volte tanto le risorse del pianeta rispetto a un africano. Insomma, qualche sacrificio sarebbe doveroso, se volessimo accettare le nostre responsabilità di essere umani.
Ma restiamo ai dati dell’accoglienza: nello stesso 2017 l’evasione fiscale in Italia è stata quantificata in 111 miliardi. Venti volte quanto ci costa l’accoglienza. Insomma, se mancano i soldi per scuole, ospedali, assistenza sociale, sanità, infrastrutture non è colpa degli immigrati. Se volessimo essere onesti intellettualmente, dovremmo puntare il dito verso noi stessi.

Non è vero, come dice qualcuno, che dobbiamo chiudere le porte in faccia agli immigrati perché portano il crimine nel nostro Paese. E lasciamo perdere banalissime – ma doverose – considerazioni. Una per tutte: gli italiani non sono stinchi di santi. Siamo stati e siamo tra i maggiori esportatori al mondo di criminalità. Le nostre mafie hanno messo radici ovunque: America, Francia, Germania, soltanto per citare alcuni esempi. Ma atteniamoci ai numeri: nel 2016 i reati in Italia sono calati, proprio quando l’immigrazione aumentava. E’ vero che la micro-criminalità arruola manovalanza tra i disperati, quindi spesso tra i migranti. Ma, se vogliamo ancora essere onesti con noi stessi, crediamo davvero che il problema per la nostra sicurezza siano soltanto i piccoli criminali da strada?
No, la nostra sicurezza è minacciata prima di tutto dalle grandi mafie made in Italy. Che arruolano gli immigrati e li riforniscono di droga, che uccidono, corrompono, impoveriscono intere regioni del Sud, minano la salute dell’economia del Nord, si infiltrano nella politica e nell’impresa, e si mangiano ogni anno più di cento miliardi di euro. Mafia, ‘Ndrangheta, Camorra e Sacra Corona Unita sono mali di cui sono responsabili criminali italiani.
E che dire della corruzione? Ci costa oltre cento miliardi l’anno, di nuovo venti volte quanto dobbiamo investire per accogliere i migranti.  

Non è vero neanche che la piaga della disoccupazione che colpisce i giovani italiani dipenda dagli immigrati. Chi arriva fa spesso lavori che noi non accettiamo più. Non solo, come ha scritto Vladimiro Polchi su Repubblica, i contributi pagati dagli immigrati sostengono il nostro sistema previdenziale. Per non dire che decine di migliaia di stranieri tornano nei loro paesi senza prendere la pensione in Italia (quindi regalandoci miliardi di euro).

E’ vero, gli immigrati pongono dei problemi. C’è chi ci specula (ma anche tantissimi che lavorano onestamente per assistere chi soffre). E’ vero, ci costa del denaro, ma cerchiamo di essere davvero onesti: per secoli (dall’epoca delle Repubbliche Marinare al Fascismo) abbiamo depredato i paesi da cui provengono i migranti. Forse questo ci imporrebbe un dovere morale nei loro confronti. Ma se pure crediamo di non aver alcun debito nei confronti del nostro passato, guardiamo al presente: ci sono multinazionali italiane ed europee che oggi sono accusate di pagare mazzette miliardarie per sfruttare materie prime nei paesi poveri. Ci sembra giusto? Noi, se le accuse fossero confermate, diamo soldi ai governanti corrotti sottraendo ricchezze agli africani e poi facciamo le anime candide quando gli immigrati ci chiedono uno sforzo per assisterli?   

A sentire questa campagna elettorale, pare che tutte le colpe del nostro disagio siano degli immigrati. E se, invece, il grande male dell’Italia fosse un altro: l’ipocrisia. La finzione, la falsità. Puntiamo – i partiti, ma anche noi cittadini – il dito altrove, contro dei poveracci indifesi e senza voce, per non affrontare i nostri mali: corruzione, mafie, evasione. Mancanza di senso civile.
Essere un popolo, essere italiani (come si sente dire tanto spesso in tv), significa prima di tutto questo: sapere chi siamo e affrontare le nostre responsabilità. Lo facciamo davvero?

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