attentato al presepe – il presepe strumentalizzato in senso sovranista diventa ‘bestemmia’

“La deriva blasfema del presepe sovranista”

 

di Andrea Grillo

Il presepe sovranista è una bestemmia. Lo dico non tanto da cittadino, ma da teologo.

Con la espressione “presepe sovranista” intendo quella comprensione distorta e capovolta del presepe, che lo riduce a “manifestazione di identità cristiana da contrapporre ad altre fedi o culture”. Chi utilizza in questo modo il presepe, quasi come una “bandiera”, o addirittura come un’”arma”, che contrapporrebbe la nostra identità alle identità “avversarie”, non solo non ne comprende il messaggio, ma lo capovolge e lo snatura in un modo che risulta davvero scandaloso. Vorrei mostrare in che senso questo “attentato al presepe” faccia parte di quella “campagna di menzogne” che la logica sovranista pretende di imporre alla attenzione distratta del paese. Questa dimostrazione è possibile solo se ci si dispone, con molta pazienza, ad analizzare il significato teologico del presepe, prima e oltre rispetto al suo “uso convenzionale”.

 

DISIMPARARE IL PRESEPE FALSO

In tutte le grandi tradizioni, i passaggi decisivi – come per noi il Natale e la Pasqua – diventano “luoghi di riconoscimento”, non solo religioso, ma culturale e sociale. Questo è un fatto inevitabile e non negativo. “Fare il presepe” a Natale, e “visitare i sepolcri” a Pasqua diventano luoghi di identità, che vanno al di là della fede. Ma, proprio in questa trasformazione culturale, le tradizioni si espongono al rischio della indeterminatezza, perché concentrano in un punto tutti i “messaggi” e proprio per questo “sovraccarico” corrono il pericolo di perderne il senso e di banalizzarlo. Il presepe, in modo esemplare, costituisce un caso tipico di questa “tentazione”. Infatti, se analizzato in modo più attento, il termine “presepe” dice, in latino, “mangiatoia” e costituisce la “versione di Luca” del rivelarsi del Salvatore. Che si rivela ai pastori irregolari e non ai buoni credenti regolari del tempo. La tensione, in quel testo di Luca, è tra la grandezza del Signore e la piccolezza umana che può riconoscere la gloria di Dio solo attraverso la profezia della irregolarità dei pastori. Nella versione di Matteo, invece, la dose è ancora rincarata: la tensione è tra la stella e i magi che la seguono, nella loro condizione di stranieri, e la ostilità viscerale dei residenti regolari e dei Governatori. Il “nostro presepe”, mescolando tutti questi messaggi, e aggiungendovi anche elementi decorativi, rischia di non aumentare, ma di diminuire la forza della tradizione, riducendola a un “soprammobile borghese”. Il presepe significa che ultimi, stranieri e irregolari sanno riconoscere Gesù, mentre Governatori, residenti regolari e uomini per bene cercano di ucciderlo. Esattamente come accade nel cammino verso la Pasqua, quando a riconoscere Gesù saranno una donna dai molti mariti, un handicappato grave come il cieco nato e un morto come Lazzaro. Queste sono le categorie privilegiate dal Vangelo. Per il fatto che ai nostri presepi “non facciamo mancare nulla” – pastori e magi, stella e mangiatoia, bue e agnelli, asini e pozzi, fuochi e artigiani, ruscelli e cieli stellati, oche e galline – non li comprendiamo più. O meglio li comprendiamo in modo distorto, come una “nostra affermazione”, come una “bandiera”, addirittura come una “difesa dall’altro”. Questo è il presepe che dobbiamo disimparare. Questo è il presepe della eresia sovranista.

 

REIMPARARE IL PRESEPE VERO

Per infondere pace, concordia, rispetto, accoglienza, umanità, il Natale deve ancora “far paura”: questa sua virtù sconvolgente è dovuta non alla sua qualità “civile”, ma al suo significato religioso, come anticipazione drammatica, fin dai primi vagiti del Figlio di Dio, della fede pasquale.
Il Natale annuncia la pace e la accoglienza “sub contraria specie”, parlandoci di un disegno assassino, di un rifiuto, di un mancato riconoscimento, di una persecuzione. Senza questa interpretazione forte, senza questo dramma, senza questo pathos, i simboli del natale e della Pasqua, diventano “segni civili di appartenenza”, soprammobili, orecchini, disegni sulle T-Shirt o sui diari scolastici. Questo è un fenomeno inevitabile: ma uso e significato non coincidono. Il senso del Presepe e della Croce non sono semplicemente quello di un “valore umano”, ma di un “mistero divino”, che realizza la pace. Per questo resta “inquietante”, perché mette a nudo la fragilità di tutti i valori umani e la loro strutturale contraddittorietà. Ora, è evidente che la comunità civile non può immediatamente riconoscere la pienezza del messaggio che il simbolo propone. Ma la comunità cristiana deve anche sapere, e dire con autorevolezza, che non si può fare il presepe e non volere che bambini stranieri si iscrivano a scuola, come fanno anche potenti catene di scuole private cattoliche. Non si può, se si è parroco, fare il presepe e poi dichiarare di non voler ospitare profughi. Non si può difendere il presepe come politici e poi lavorare per ostacolare ogni presenza straniera sul territorio. Il presepe, come la croce, non è semplicemente un segno della fragile umanità, ma anche segno della profezia con cui Dio riscatta il povero, l’emarginato, lo straniero, l’orfano, la vedova, lo zoppo, il cieco e si prende cura anzitutto di essi, mettendoli al primo posto! “Prima gli ultimi” è scritto a chiare lettere su ogni presepe vero. Non si può pretendere che questo sia chiaro a uomini politici, che anzi vogliono solo “presepi falsi”. Deve però essere chiaro alle comunità ecclesiali, che annunciano, nelle forme pluralistiche moderne, il Vangelo della pace, della misericordia e della riconciliazione. Che non è mai semplicemente una evidenza civile. In questa differenza sta o cade la giustificazione del “fare presepi”, non per tacere, ma per parlare con efficacia, per discernere con lungimiranza, per agire con profezia.

IL PRESEPE COME “CAVALLO DI TROIA” DELLA TRADIZIONE

Anche la prima intuizione del presepe – quella di Francesco di Assisi a Greccio, così spoglia, così essenziale, fatta solo di mangiatoia (presepe, appunto) di bue e asinello, senza Giuseppe, senza Maria, senza “bambinello sostitutivo”, ma solo pieno di umiltà, di carità, di eucaristia e di parola evangelica – annuncia la pace a tutti. Tutti include, nessuno discrimina, abbatte i muri, accoglie ogni storia, ogni vita, ogni domanda. Anche nella immaginazione mistica di Francesco, il “primo presepe” proclama con forza questa lieta notizia: il bambino che nasce, e che nasce a Greccio come a Betlemme, facendo di Greccio una nuova Betlemme, realizza nel “cuore” e nelle “vite” una nuova possibilità di pace e di riconciliazione. Edifica una città pacificata, riconciliata, capace di accoglienza. Per questo un “presepe sovranista” è una contraddizione in termini. Per questo chiedere di “fare il presepe” come “difesa dalle diversità” è una bestemmia, anche se viene da una assessore regionale. Per questo una Chiesa con il filo nella schiena può arrivare a scrivere una “lettera sul presepe”, per sostenere l’uso di “fare il presepe vero”, di pace e di riconciliazione, e per arginare ogni bestemmia che usi il presepe – perfino il presepe – per alimentare odio, conflitto e divisione. Non esitiamo a fare il presepe vero. Lasciamo entrare nelle nostre case, nelle nostre scuole, nelle nostre strade, il “cavallo di Troia” delle nostre tradizioni. Che così, da indifferenti e diffidenti possono convertirsi alla non indifferenza e alla confidenza. Il presepe sovranista è una caricatura, una corruzione, una contraddizione del presepe.
Il presepe vero rivela un dramma di esclusione e di persecuzione, che Dio capovolge in pace e concordia. Il presepe sovranista fa la caricatura della pace, alimentando solo esclusione e indifferenza. Fare il presepe, quello vero, significa coltivare la speranza che il “sovrano” non è di questo mondo ed che entra nel mondo “sub contraria specie”, con il motto “prima gli ultimi”. Il suo nome è amore, misericordia, accoglienza, perdono




il presepe non si lascia manipolare da sovranismi divisivi

il presepe sovranista è blasfemo

A Giorgia Meloni che con qualche giorno d’anticipo su dicembre ha aperto la tradizionale disputa sul presepe da allestire in difesa della nostra identità minacciata dallo straniero ricordiamo, in pieno spirito natalizio,

la teologa musulmana dell’Università pontificia, Shaharzad Housmand, la quale nel 2005 certificò l’amore dei musulmani per il profeta Gesù, sua madre Maria e di conseguenza per il presepe,

e il presidente della Lega islamica del Veneto, Bouchab Tanji, il quale confermò: “spero per l’ultima volta: il presepe a noi piace”

e, nel frattempo, il presepe regalato dalla comunità islamica di Annone Veneto al parroco,

il presepe regalato da un prete veneto al centro islamico,

il presepe vivente inscenato da profughi dalla Libia a Mondovì,

il presepe vivente con un uomo musulmano e una donna ebrea a Cortona,

il presepe vivente a Chieti con una donna nera nel ruolo della Madonna,

il presepe vivente a Pescara con una studentessa tunisina nel ruolo della Madonna,

il presepe vivente con quaranta figuranti musulmani a Rivisondoli,

il presepe vivente con Gesù, Giuseppe e Maria interpretati da una famiglia nigeriana a Fratta Polesine,

il presepe costruito dai richiedenti asilo musulmani a Bione,

il presepe costruito da ragazzi nigeriani, eritrei e senegalesi alla scuola media di Riace,

gli alunni musulmani che hanno cantato e recitato in un presepe vivente di Almenno San Salvatore,

più altre decine di presepi multietnici che da lustri rallegrano l’Italia,

per cui, cara Meloni, si corre il rischio che l’identità minacciata sia solo quella di tanti buoi e asinelli.




un presepe in solidarietà ai migranti che fa discutere

Acquaviva

bufera sul presepe pro migranti

il sindaco: «È un’opera d’arte»

si tratta di una rappresentazione davvero singolare della Natività dove san Giuseppe e la Madonna sono raffigurati da due manichini-migranti che rischiano di affondare in un mare di bottiglie di plastica, con un Gesù Bambino di colore su un salvagente

Graziana Capurso

Il cartello che accompagna l’installazione recita: «Il bambino nasce nel mare, dove con Giuseppe e Maria, profughi, non accolti da nessuno vive l’esperienza che molti migranti affrontano nel nostro Mar Mediterraneo. E il mare di plastica a fare da sfondo alla Natività è un grido dall’allarme contro l’inquinamento». L’opera, realizzata dal comitato Feste patronali e con il sostegno dell’amministrazione comunale, vuole essere una denuncia contro i “tradizionalisti”, che sui social e sul quotidiano “Il Giornale” l’hanno descritta come “ridicola”.

A queste polemiche il sindaco Davide Carlucci ha commentato: «Vi sarebbe piaciuto vietare questa installazione, vi sarebbe piaciuto dare sfogo ai vostri pruriti fascistoidi: “Questo non si fa, questo non si può..” E invece no. Ad Acquaviva c’è ancora la libertà, c’è ancora la democrazia. Fatevene una ragione! Quando l’arte fa scandalo e quando anche il messaggio religioso è (per dirla con don Tonino Bello) “scandaloso” – aggiunge Carlucci – vuol dire che l’obiettivo è stato raggiunto. Scuotere la nostra visione del mondo “pacificata”, insinuare il dubbio, farci reagire. E da questo punto di vista l’installazione di piazza dei Martiri ha centrato in pieno l’obiettivo».

Pioggia di critiche sui social, che ancora una volta si dividono tra chi è a favore e chi è contro l’installazione della “discordia”: «Che brutta fine che stiamo facendo. Non riusciamo più nemmeno a rispettare quelle 2 tradizioni che ci sono rimaste». «Quest’opera prende origine da un clamoroso falso ideologico: Giuseppe e Maria, non erano profughi. La Sacra Famiglia – commentano su Facebook – si era mossa non spinta da motivi di migrazione, ma per rispondere al censimento, farsi registrare e pagare il tributo previsto e non trovava posto nelle strutture della piccola Betlemme. Il Vangelo è chiaro». «Si tratta della solita pagliacciata». «Ben venga l’idea di stimolare la riflessione dell’opinione pubblica su tematiche ambientali e sui flussi migratori, ma è irrispettoso strumentalizzare e politicizzare la Natività per questi scopi, questo non è un presepe», tuonano su Facebook. E ancora: «Oggi, il presepe non può che essere così: senza cometa e senza Magi. Un presepe di paura e di dolore. Ma il bambino è sempre una speranza». «Onore al sindaco, quest’opera è meravigliosa, evidentemente la verità fa male».

L’iniziativa si colloca all’interno di una serie di eventi organizzati per celebrare il Natale nel paese: il “Natale Acquavivese” iniziato l’8 dicembre, si concluderà il 6 gennaio: in questo periodo ad arricchire la cittadina una serie di concerti, balli, presentazioni di libri, street band, zampognari, la Casa di Babbo Natale nel centro storico e vari mercatini natalizi.




il crocifisso e il presepe usati come randello nella politica del disprezzo

la politica del disprezzo e l’effetto presepe

se il presepe e il crocifisso diventano meri simboli di identità, in cui la comunità si identifica “contro qualcuno”, contraddicendo in modo vergognoso il significato del simbolo stesso …

di Andrea Grillo

in “Come se non” – http://www.cittadellaeditrice.com/munera/come-se-non/ – del 3 dicembre 2018

Ci sono, nelle tradizioni, logiche profonde e complesse, che vanno rispettate proprio nella loro complessità. Anche la tradizione cristiana, e in particolare quella cattolico-romana, non sfugge a queste logiche. Quasi 70 anni fa un parroco diede fuoco a Babbo Natale, sul sagrato della Chiesa, per “difendere” Gesù bambino dai “culti pagani”. Questo episodio diede lo spunto, a C. LéviStrauss per scrivere un bell’opuscolo, dal titolo “Babbo Natale giustiziato” nel quale metteva in luce la profonda continuità tra culto pagano e culto cristiano, sulla base della antica festa del Sol invictus, dove i temi della luce, delle piante sempreverdi e dei “vecchi/morti” e dei “bambini/neonati” si intrecciano strutturalmente. Ora, in questo contesto, quando la polemica diventa vuota e formale, possiamo trovare il paradosso per cui politici senza vero retroterra di fede, la cui sensibilità verso lo straniero è proverbiale, diventino i “difensori del presepe” (e del Crocifisso), pretendendo di far passare pastori e cristiani come “nemici del popolo”. La questione decisiva, in tutto questo, è ciò che da tempo chiamo “effetto presepe”. Vorrei provare a spiegarlo brevemente. In tutte le grandi tradizioni, infatti, i passaggi decisivi – nel nostro caso cattolico, il Natale e la Pasqua – diventano “luoghi di riconoscimento”, non solo religioso, ma culturale e sociale. “Fare il presepe” a Natale, e “visitare i sepolcri” a Pasqua diventano luoghi di identità. Ma, proprio in questo passaggio, le tradizioni si mettono a rischio, perché concentrano in un punto tutti i “messaggi” e proprio per questo “sovraccarico” rischiano di perderne il senso. Il presepe e il Crocifisso diventano, così, meri simboli di identità, in cui la comunità si identifica “contro qualcuno”, contraddicendo in modo vergognoso il significato del simbolo stesso. Il presepe, in modo esemplare, costituisce un caso tipico di questa “tentazione”. Presepe dice, in latino, “mangiatoia” e costituisce la “versione di Luca” del mostrarsi del Salvatore. Che si rivela ai pastori irregolari e non ai buoni credenti regolari del tempo. La tensione, in quel testo di Luca, è tra la grandezza del Signore e la piccolezza umana che può riconoscerlo solo nella irregolarità dei pastori. Nella versione di Matteo, invece, la dose è ancora rincarata: la tensione è tra la stella e i magi che la seguono, nella loro condizione di stranieri, e la ostilità viscerale dei residenti. Il “presepe”, mescolando tutti questi messaggi, rischia di non aumentare, ma di diminuire la forza della tradizione, riducendola a un “soprammobile” borghese. Il presepe significa che ultimi, stranieri e irregolari riconoscono Gesù, mentre Governatori, Ministri e residenti regolari cercano di ucciderlo. Esattamente come, a Pasqua, sanno riconoscere Gesù una donna dai molti mariti, un disabile grave come il cieco nato e un cadavere come Lazzaro, mentre i potenti lo uccidono senza pietà. Queste sono le categorie privilegiate dalla Chiesa!

Ciò che il mondo cattolico deve chiedere, con parole pacate, è un passo avanti nell’assumere il significato autentico del Presepe e del Crocifisso, chiedendo ai politici di fare un “passo indietro” su temi che non si possono fare entrare nella bieca speculazione politica.

Ecco come lo aveva detto, alcuni anni fa, il Vescovo di Padova: «Fare un passo indietro non significa creare il vuoto o assecondare intransigenze laiciste, ma trovare nelle tradizioni, che ci appartengono e alimentano la nostra fede, germi di dialogo. Il Natale, in questo senso, è un esempio straordinario, un’occasione di incontro con i musulmani, che riconoscono in Gesù un profeta e venerano Maria».

Solo con un piccolo passo indietro si fa un grande passo avanti. Nella pura tradizione cristiana.  E non è un caso che i politici dell’odio e della indifferenza oppongano a questo una resistenza viscerale. Vogliono cacciare gli stranieri e i crocifissi dall’Italia e avere in ogni ufficio crocifissi e presepi come soprammobili? Questo è semplicemente disgustoso. Delle due l’una: o riempiamo di simboli natalizi e pasquali una terra che sappia dimostrarsi accogliente e non indifferente. O scegliamo di cacciare chi è senza casa e tutti i crocifissi della terra, ma, almeno per un minimo di pudore, cerchiamo di arrossire davanti ai simboli di ciò che non accettiamo e vogliamo soltanto combattere. E’ ovvio che, per chi gioca solo su odio e disprezzo, anche il presepe e il crocifisso possono diventare non strumenti simbolici di comunione, ma strumenti diabolici di disprezzo. A questo uso distorto e perverso dei grandi simboli cristiani ci opporremo sempre con assoluta determinazione.




il presepe sul gommone dei profughi

dov’è Cristo?

oggi è sul gommone

 

La Sacra Famiglia sul gommone: l’immagine scelta da un comune del Bolognese per rappresentare il presepe – non nuova perché molte comunità cristiane hanno scelto la stessa lettura della Natività in anni recenti –, si è accompagnata al solito stuolo di polemiche, spesso violente, che fioriscono ogni volta che si tocca il delicato tema dei migranti. E la scelta del comune è ancor più significativa, se pensiamo al recente conformismo che rende impopolare ogni forma di apertura e di empatia nei confronti dei sofferenti, siano essi rifugiati o migranti economici.

 

«Riconoscere Cristo in chi soffre» è uno dei messaggi che, nel solco della tradizione della Chiesa, sempre più frequentemente lancia papa Francesco, sfidando l’onda nera che porta con sé chiusure ed egoismi e che monta nelle nostre opulente, per quanto affannate, società occidentali. Un’onda che si sta pericolosamente alimentando della complicità di settori rilevanti del mondo cattolico, non necessariamente le correnti più estremiste che oggi contestano Francesco. Ambienti che, nel nome della difesa di presunti “principi non negoziabili”, fanno un’accurata selezione di detti principi da difendere, proclamandosi difensori della vita nascente se si parla di leggi sulla libertà di scelta della donna, ma ignorando e respingendo come minaccia la vita del bambino denutrito che approda sulle coste italiane (che dovrà rimanere straniero anche dopo anni di vita e di socializzazione in Italia!) o dell’adulto che è scampato alla morte nella sua terra o in mare.

Questi “valori”, branditi come arma e non vissuti come testimonianza, cristallizzati in forme anonime e anodine e non incarnati nella vita quotidiana, diventano strumento al servizio delle correnti più radicali della politica, innervate di razzismo e nazionalismo, che sempre hanno cercato di legittimarsi ricorrendo al linguaggio e all’immaginario religiosi, ben lungi dall’essere reali portatrici delle istanze professate. Era così negli anni Trenta.

È vero, ci sono molti poveri autoctoni. Molti che non riescono a far quadrare i conti, a dare un domani ai propri figli, a fare progetti per il futuro. Ma la povertà relativa dei nostri ultimi non è paragonabile alla miseria assoluta dei dannati della Terra, quelle mamme che devono scegliere quale figlio far sopravvivere perché non c’è spazio per tutti, quei papà che devono abbandonare la famiglia per anni per cercare il più umile dei lavori concesso dagli europei. Lo ha ricordato papa Francesco, ai cristiani e ai laici, inaugurando il Giubileo della Misericordia nella Repubblica Centrafricana e non a Scampia o a Quarto Oggiaro, chiedendoci di riprendere possesso del senso della realtà e delle proporzioni.

Lo avevano ben capito i nostri poveri e poverissimi nonni, che nelle campagne, nonostante anni di privazioni e di sofferenze dovute alla guerra fascista, nell’ora più buia non esitarono a mettere a disposizione quel poco che avevano di fronte al dolore e alla miseria più grandi che bussavano alle loro porte nelle vesti dei perseguitati in cerca di salvezza. Loro sì che avevano il senso delle proporzioni.

Oggi, Cristo, dimenticato e svuotato dai cristiani d’Europa, è su quel gommone e, prima ancora, là da dove quel gommone è partito.




il presepe sul gommone dei profughi

Gesù sul gommone e la foto di Aylan

il presepe in chiesa di don Vitaliano della Sala


PRESEPE

un presepe di fortuna ma con un alto significato simbolico: la statua di Gesù Bambino sul gommone e la foto del piccolo Aylan Kurdi, trovato morto sulla spiaggia turca di Bodrum

Don Vitaliano della Sala, sacerdote noglobal e controcorrente, lo ha voluto così: dentro la sua chiesa, davanti all’altare in modo che tutti i fedeli possano vederlo e riflettere. Nei giorni scorsi in una intervista aveva criticato Matteo Salvini e la sua difesa a oltranza dei simboli della tradizione cattolica: “Strumentalizza il Natale così come l’Isis strumentalizza l’Islam”.

Nel proprio sito don Vitaliano spiega la sua scelta:

E, in questo particolare momento storico, chi è più privo di prossimo dei fratelli immigrati, sradicati dalla loro terra, lontani dalla patria e dagli affetti? Accettare fino in fondo il Vangelo e l’insegnamento della Chiesa ci deve portare a denunciare fermamente l’imperante ondata di razzismo e ci deve far andare controcorrente.

  

Accoglieremo tutte le sorelle e tutti i fratelli “clandestini” che vorranno farci dono della loro presenza, e attraverso loro accoglieremo Dio stesso che ci fa il dono della sua visita: è giunta l’ora di rivendicare il nostro diritto ad essere antirazzisti, uscendo allo scoperto con la stella di Davide cucita sulla giacca pur senza essere ebrei, dichiarandoci idealmente siriani o afghani pur essendo nati in Italia e tutto questo semplicemente perché siamo esseri umani e cristiani.




dove nascerà Gesù bambino secondo Erri De Luca

NATALE

di Erri De Luca

Erri-De-Luca

Nascerà in una stiva tra viaggiatori clandestini.
Lo scalderà il vapore della sala macchine.
Lo cullerà il rollio del mare di traverso.
Sua madre imbarcata per tentare uno scampo o una
fortuna,
suo padre l’angelo di un’ora,
molte paternità bastano a questo.
In terraferma l’avrebbero deposto
nel cassonetto di nettezza urbana.
Staccheranno coi denti la corda d’ombelico.
Lo getteranno al mare, alla misericordia.
Possiamo dargli solo i mesi di grembo, dicono le madri.
Lo possiamo aspettare, abbracciare no.
Nascere è solo un fiato d’aria guasta. Non c’è mondo
per lui.

presepe 2
Niente della sua vita è una parabola.
Nessun martello di falegname gli batterà le ore dell’infanzia,
poi i chiodi nella carne.
Io non mi chiamo Maria, ma questi figli miei
che non hanno portato manco un vestito e un nome
i marinai li chiamano Gesù.
Perché nascono in viaggio, senza arrivo.
Nasce nelle stive dei clandestini,
resta meno di un’ora di dicembre.
Dura di più il percorso dei Magi e dei contrabbandieri.
Nasce in mezzo a una strage di bambini.
Nasce per tradizione, per necessità,
con la stessa pazienza anniversaria.
Però non sopravvive più, non vuole.
Perché vivere ha già vissuto, e dire ha detto.
Non può togliere o aggiungere una spina ai rovi delle
tempie.
Sta con quelli che vivono il tempo di nascere.
Va con quelli che durano un’ora.




il presepe: un invito a a cambiare il mondo con una ‘tenerezza combattiva’

il presepe è una casa accogliente non escludente

presepe-tuttacronaca

è giusto difendere pubblicamente il Natale (e ogni altra festa). Negli spazi pubblici, e quindi anche a scuola, le feste religiose possono essere tutte vissute e raccontate in un clima formativo come scambio di esperienze e ricerca comune. La laicità è inclusiva, espressione delle identità (in dialogo). E’ giusto, quindi, esporre pubblicamente il presepio (o il crocifisso) come segno di un’identità relazionale-universale

Ma i militanti di alcuni partiti o gruppi lo usano per scopi ristretti, contrari al suo significato. Manifestano con uno stile rivendicativo di contrapposizione escludente. Non si può pensare di affondare i barconi di disperati, di gridare contro l’islam, di chiamare alle armi, tenendo il presepe (o il crocifisso) in mano.
presepi Tra l’altro, molte esibizioni sono del tutto esterne, agitatorie, estranee alle dinamiche della scuola e del paese. Troppe sono le polemiche strumentali: a  Rozzano c’è un bravo preside come un bravo vescovo è quello di Padova, strapazzato da troppe persone superficiali, mentre cerca di far riflettere sul significato dei simboli.
Il presepe racconta una storia di povertà (abissale), di accoglienza (mancata) e di vita (gioiosa). Ai cristiani ricorda il mistero di un amore infinito.
Salvini ruspa Non è una “diga identitaria” ma una casa accogliente aperta allo stupore dei “piccoli” (pastori) e dei “popoli” (magi). E’ l’invito a cambiare il mondo con una “tenerezza combattiva” (Evangelii gaudium 85).
Sergio Paronetto



quale natale? quello di Salvini?

il presepe che Salvini non conosce

di Piergiorgio Cattani
in “Trentino” del 13 dicembre 2015

Salvini1

Natale è ormai una festa globale. La prima festa globale. Da non confondere con un altro Natale, quello religioso cristiano, ormai ricordato da sempre meno persone. Intendiamoci, la ricorrenza cade nello stesso giorno, il 25 dicembre. Una data fissa, circostanza indispensabile per programmare il marketing, per organizzare i pacchetti vacanza, per addobbare i centri commerciali. I due natali si sovrappongono e qualche eco dell’eco dell’antica festa religiosa permane ancora. Tuttavia, sempre di più, l’idolo del Natale, un vecchio nonno ciccione, opulento, vestito di rosso, ricco di regali sfarzosi, spodesta l’inerme, povero, avvolto in fasce neonato Gesù

presepi

Babbo Natale è simbolo della società globalizzata, del consumo globalizzato. Del bene assoluto, ossia la crescita economica, quella misurata tramite il PIL. Anche in Cina si festeggia il Natale del consumo. Ma tra la gente questo giorno di spese in cui si fanno i regali non è ancora molto sentito. Il governo ha cercato di introdurre una “festa dei regali”: in stile americano, i grandi magazzini vorrebbero cogliere l’occasione per moltiplicare gli affari, per dare slancio a quel consumo interno che per ora non mantiene il passo del boom economico del Dragone. Le feste tradizionali, come quella di primavera (in cui si scambiano i regali), resistono; ma tutti scommettono che sarà per poco. Così come Halloween, anche il Natale del consumo comincia a farsi strada. Bene o male, in maniera massiccia o ancora poco presente, Babbo Natale – figura di cui non si possono dimenticare i legami con la Coca Cola – è noto ai quattro angoli del pianeta. In Africa ci sono addirittura monumenti alla Coca cola. E anche in quei due “nuovi continenti” virtuali che sono Google e Facebook.

Salvini ruspaHa sicuramente soppiantato Gesù bambino che un tempo portava qualche povero dono, sempre una cosa utile, un pennino per scrivere, un quaderno, qualche indumento. Eppure si discute ancora intorno al presepe. In Francia, la “cattolica” Marion Le Pen vuole difendere le tradizioni religiose, quando, secondo un recente sondaggio, solo il 4% dei francesi va a Messa la domenica: forse a Natale qualcuno di più ci andrà, ma la percentuale è in costante discesa. Poi arriva Salvini, devoto del presepe solo quando pensa di finire in televisione per difendere le “radici cristiane” dell’Italia. Del presepe, della sua simbologia e del suo inventore, Salvini non sa ovviamente nulla. Non sa nulla di quel San Francesco che ha varcato il mare con grande pericolo per incontrare il sultano d’Egitto Al Malik Al Kamil, nipote del più noto Saladino. E non va d’accordo con un altro Francesco, il vescovo di Roma, che parla di povertà, accoglienza, sobrietà, misericordia, pace. Intanto salta fuori la solita scuola che vuole festeggiare il Natale a modo suo, per non “offendere” i bambini non cristiani, con bizzarrie al limite del ridicolo, anch’esse scaturite da un’ignoranza diffusa. Da anni si ripete il rito leghista, che torna puntuale come l’inverno, nonostante la svolta nazionalista e post fascista impressa dal “giovane” Matteo (non bastava Renzi). Una scuola aveva però pensato a qualcosa di davvero originale: posticipare la festa al ritorno dalle vacanze. Apriti cielo. Ma in fondo l’idea era buona. In questo modo magari il Natale dei consumi, rimasto al 25 dicembre (data super convenzionale per la nascita di Gesù, non certo dedotta dai racconti evangelici, ma scaturita da una antecedente festa pagana del Sol Invictus), non offuscherebbe il Natale religioso. Pensate se venisse spostato al 20 gennaio, o prima, al 20 novembre quando non c’è neppure la neve (artificiale)… Probabilmente lo celebrerebbero soltanto i credenti. È ormai consuetudine che il carnevale si protragga anche in Quaresima. Nessuno dice nulla, non ho mai visto una manifestazione leghista per marcare questa “gravissima” offesa alla religione, o ai tempi liturgici che con tutta evidenza non sono conosciuti dalla maggior parte dei difensori della fede. “Padania cristiana, mai musulmana”. Uno slogan sempre verde, come il simbolo del Carroccio. E così si propaganda la bufala dei musulmani che impedirebbero l’allestimento del presepe, notizia inventata simile a quella degli “zingari che rapiscono i bambini”. Tranquilli però, in Regione Trentino Alto Adige, i segni natalizi non mancheranno. Si dà il caso però che proprio i fedeli musulmani siano più vicini allo spirito del Natale vero, rispetto a tanti occidentali ormai ignari della stessa narrazione biblica della nascita di Gesù. Si dà il caso che proprio gli islamici abbiano una grande devozione per Maria (assente nel presepe leghista). Ma forse proprio questo infastidisce i presunti guardiani della tradizione, essere “sorpassati” da quanti si vogliono dipingere come pericolosi sovvertitori, invasori pronti a “convertirci” con la spada (cioè con i kalashnikov). Magari invece potrebbe accadere che proprio loro ci facciano comprendere quando è davvero il Natale.

a Salvini forse farebbe bene rileggere queste parole di S. Giovanni Crisostomo:

Vuoi onorare il corpo di Cristo?

San Giovanni Crisostomo

la saggia posizione del vescovo di Padova sul presepe a scuola

reazioni scalmanate invece a proposito delle sue parole …

gesù bambino

è stata volutamente mal interpretata la proposta, – invece, molto saggia e per niente rinunciataria (‘un passo indietro’) – del vescovo di Padova a proposito del presepe e dei segni religiosi a scuola né può interpretarsi come un’autocorrezione la precisazione che ha rilasciato in seguito alle reazioni scalmanate e ultrastrumentali che sono seguite alle sue parole

presepe

lui stesso precisa:«Non ho mai detto “rinunciamo al presepe” e non ho fatto riferimento ad alcun luogo specifico». E chiarisce: «Fare un passo indietro non significa creare il vuoto o assecondare intransigenze laiciste, ma trovare nelle tradizioni, che ci appartengono e alimentano la nostra fede, germi di dialogo…” ( qui peraltro si può scorgere il vero rispetto per le tradizioni: non ripeterle come qualcosa di mummificato, ma di ripensarle e ritradurle nell’oggi in un contesto di dialogo e di arricchimento e di modificazione reciproci)

di seguito alcuni articoli (con i rispettivi link) di rassegna stampa che il sito ‘rassegna stampa – finesettimana’ ha raccolto:
  • Di fronte al “significato” del presepe, è chiaro che quello evocato dal Vescovo di Padova è un passo avanti e non un passo indietro. Mentre ciò che il Governatore del Veneto difende come un soprammobile, è la propria più clamorosa smentita e contestazione.
“la ricetta prospettata dal vescovo – “i tanti passi indietro”… (non  sembra che il vaticanista de il Foglio colga il senso di quanto detto dal neovescovo di Padova: più che di passi indietro parla di passi da compiere insieme e quindi rivedendo le proprie tradizioni con uno sguardo diverso…)
«Non ho mai detto “rinunciamo al presepe” e non ho fatto riferimento ad alcun luogo specifico». E chiarisce: «Fare un passo indietro non significa creare il vuoto o assecondare intransigenze laiciste, ma trovare nelle tradizioni, che ci appartengono e alimentano la nostra fede, germi di dialogo…” (ndr.: ecco il vero rispetto per le tradizioni: non ripeterle come qualcosa di mummificato, ma di ripensarle e ritradurle nell’oggi in un contesto di dialogo e di arricchimento e di modificazione reciproci)