cari politici, giù le mani dal vangelo, tanto lo usate solo per i vostri interessi!

“politici, leggete il vangelo e confrontatelo con le vostre scelte”

parroco di Bologna scrive a 12 politici

A don Tarcisio Nardelli,  parroco del Cuore Immacolato di Maria nel quartiere Borgo Panigale, a Bologna, il video della leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni in cui veniva auspicata una “rivoluzione del presepe”, non è andato proprio giù. Già prima di Natale aveva mal digerito  la mancata approvazione della legge sullo Ius soli e così, durante le feste natalizie, ha scritto una sua riflessione sui simboli cristiani, che ha spedito, insieme a una copia del Vangelo, ai rappresentanti di ogni schieramento politico: da Paolo Gentiloni a Pietro Grasso, a Matteo Renzi, alla stessa Meloni, a Luigi Di Maio, Silvio Berlusconi, Matteo Salvini, Maurizio Lupi, Beatrice Lorenzin,

«Perché tu lo legga e possa confrontare le tue scelte politiche con la parola di Gesù». «Non ho la pretesa che tutti, anche chi è ateo, lo leggano – ha spiegato don Tarcisio all’agenzia Dire, secondo quanto si legge sull’edizione bolognese di Repubblica (13/1) – ma chi chiede il voto dei cattolici dovrebbe tener conto del Vangelo. Ho paura che oggi però siano in pochi…».

Don Tarcisio non si è fermato qui, nel suo gesto di protesta. Ha anche promesso ai suoi parrocchiani di non toccare più questioni politiche fino alla data delle elezioni:

«Non solo le banche in fallimento, il testamento biologico, l’abbassamento delle tasse, la permanenza o l’uscita dall’euro saranno argomento di battaglia e propaganda elettorale senza esclusione di colpi», ha detto, «ma anche il mite presepe inventato da San Francesco… Se Gesù è nato in una stalla come non vedere che oggi nasce nelle povere capanne dell’Africa, nei campi di sterminio in Libia e nei barconi che cercano di attraversare il Mediterraneo”.

Se Gesù è dovuto scappare in Egitto, prosegue,

«come faccio a non accogliere tutti coloro che a causa di guerra, violenza, terrorismo, fame, carestia non hanno futuro nei loro Paesi e fuggono cercando pace e speranza di vita tra noi?».

Don Tarcisio invita poi i politici ad andare oltre i simboli.

 «È vero, sono importanti. Ma non fermiamoci lì, bisogna capirne anche il significato». Il crocifisso sui muri, spiega, non è più importante degli uomini o dei popoli che oggi sono crocifissi»

dalle guerre o dalla povertà, e lo stesso vale per il presepe.

Allo stesso tempo, però, don Tarcisio bacchetta anche chi vuole cancellare a ogni costo i simboli religiosi:

«La civiltà e la cultura che dobbiamo proporre è quella del dialogo, in cui io mostro i valori in cui credo e l’altro mi mostra i suoi. Lui farà fatica a capire, ma anch’io faccio fatica a capire la fede islamica. Questo però non è un motivo perché sia io che lui facciamo silenzio sulle nostre fedi. Dobbiamo educarci a un dialogo libero, rispettoso e gioioso».

il parroco dice che un duplice assassinio è opera del demonio

 

“La colpa non è sua, ma del demonio”. Parroco “scagiona” l’assassino di moglie e figlio

“la colpa non è sua, ma del demonio”

parroco “scagiona” l’assassino di moglie e figlio

da: Adista Notizie n° 23 del 25/06/2016
Don Tonino Maria Nisi ha scomodato perfino il demonio pur di scagionare Luigi Alfarano, l’uomo che il 7 giugno scorso ha ucciso la moglie Federica De Luca e il figlio che avevano avuto quattro anni fa, Andrea, prima di togliersi la vita. «Luigi aveva una gran bella famiglia», ha detto il sacerdote, secondo quanto riportano le cronache locali, nel corso dei funerali di Alfarano, officiati il 10 giugno nella chiesa di San Pasquale Baylon di Taranto. «Il demonio si è messo in mezzo, perché non vuole la famiglia e la nostra gioia. E oggi io lo vedo così: con una mano tiene la sua sposa, con l’altra il suo bambino». Don Nisi ha pensato poi di rafforzare la sua arringa difensiva prendendo spunto dal lavoro che svolgeva Alfarano, coordinatore delle attività promozionali dell’Associazione nazionale tumori di Taranto. «Luigi, per il lavoro che faceva, aveva tutte le carte in regola per poter entrare in Paradiso», ha detto. E poi ancora, in ordine sparso: «Era un uomo buono»; «Nessuno si deve permettere di giudicare. Il Signore sa»; «Qualche ombra tutti noi dobbiamo presentarla alla misericordia di Dio».

Le parole di don Nisi non sono passate inosservate. «Uccidere una donna e il suo bambino, se erano “la tua” donna e “il tuo” bambino, è stato decretato dal pulpito di quella chiesa come un peccato minore – ha commentato, tra le altre, Michela Murgia –, giusto una macchiolina sul curriculum per il cielo, un errore veniale che non può compromettere la stima di amici e parenti, tantomeno quella di Dio». «Il fatto che l’assassino si sia suicidato è sufficiente a includerlo nel novero delle vittime e rubricare tutto come una “tragedia” familiare, una specie di imprevedibile evento del destino che ha colpito tutti allo stesso modo, senza colpevoli». «Lo stesso effetto di assoluzione/deresponsabilizzazione – prosegue Murgia – lo si ottiene dicendo e scrivendo che l’uomo era “disperato, ferito, affranto, spaventato” e simili, inducendo chi sente e chi legge a empatizzare con le ragioni dell’uccisore, piuttosto che con quelle della donna assassinata e di suo figlio. L’effetto che si ottiene è surreale: gli uccisi sono la donna e il bambino, ma la vera vittima è il loro assassino. Vittima di cosa? Ovvio: della decisione della donna di chiedere la separazione, evento che ha scatenato la sua sofferenza e la sua reazione».

Il vescovo di Taranto, mons. Filippo Santoro, interpellato dal Corriere del Mezzogiorno (11/6), si è detto «convinto che l’emozione dettata dal legame affettivo con la famiglia abbia fortemente spinto il predicatore a straripare, facendosi in modo inopportuno interprete di Dio». Secondo il vescovo, le parole pronunciate da don Nisi sono state determinate «dal desiderio di consolare la mamma di Alfarano» e «di rivolgere una parola di fiducia al mondo dell’associazionismo di cui il defunto faceva parte». Ma non è aberrante, gli ha chiesto il giornalista, sentir dire che Alfarano «amava la sua famiglia»? «Il messaggio aberrante – ha risposto il vescovo – può essere veicolato nel momento in cui non circoscriviamo le frasi di padre Tonino alla situazione contingente alla quale accennavo». Insomma secondo mons. Santoro le parole di don Nisi vanno contestualizzate.

Che sulla questione la Chiesa – come anche i media e la politica – sia quantomeno impreparata è poco ma sicuro. In molti ricorderanno il caso di don Piero Corsi, il parroco di Lerici che nel 2012 pensò bene di affiggere in parrocchia un volantino in cui la colpa dei femminicidi veniva attribuita alle donne, le quali «sempre più spesso provocano, cadono nell’arroganza, si credono autosufficienti e finiscono con esasperare le tensioni esistenti».

Ma anche quando le intenzioni sono le migliori sembra proprio che la Chiesa non sia attrezzata a trattare l’argomento.

Tre anni fa il vescovo di Perugia, mons. Gualtiero Bassetti, dedicò alla questione un lungo intervento pubblicato su La Voce, il settimanale della diocesi, in cui si leggeva, sì, che «non è amore alzare le mani contro la propria moglie, fidanzata e contro qualsiasi donna», ma si leggeva anche che «uccidere una donna significa spegnere tutto il dono di profezia che essa porta in sé, il suo dna di femminilità che armonizza e smorza dissidi che a volte si creano nelle relazioni».

Sempre nel 2013, l’allora vescovo di Locri, mons. Giuseppe Fiorini Morosini, affidò le sue riflessioni in merito a una nota pastorale in cui, partendo dai ripetuti casi di violenza sulle donne verificatisi in quei mesi, scriveva che «alcuni episodi sono stati crudeli e raccapriccianti» – solo alcuni? – e che a volte questa violenza è «sopportata eroicamente» dalle donne – ci può essere essere qualcosa di eroico nel sopportare la violenza? E ancora, senza bisogno di commento: «I mariti, i fratelli, i fidanzati non possono concedersi il lusso di andare nei bar a giocare, ad ubriacarsi e poi tornare a casa ed aggredire le proprie donne per una qualunque scemenza».

* Foto di ho visto nina volare. tratta da Flickr. Immagine originale e licenza.

parole chiare dal parroco

la lezione del parroco

“Sbandierate tradizioni col cuore pieno di marciume”

il parroco di Pontoglio, don Angelo Mosca, domenica in chiesa ha espresso la posizione cattolica sui cartelli stradali che invitano a lasciare il paese: “Sbandierano tradizioni ma hanno il cuore pieno di marciume”

Parole pesantissime, come un macigno. Sono le parole di don Angelo Mosca, parroco di Pontoglio dal 2008: in chiesa, domenica mattina, ha voluto dire la sua – o meglio, la posizione della chiesa cattolica – sul tema dei cartelli stradali in cui a caratteri cubitali, e su sfondo marrone, si viene invitati ad allontanarsi dal paese – definito “a Cultura Occidentale e di profonda tradizione Cristiana” – chinque non intenda “rispettare la cultura e le tradizioni locali”.

Le parole del prete, benzina sul fuoco. Che si sommano alle polemiche infinite – anche degli stessi pontogliesi, più di un centinaio le firme raccolte in poche ore per chiedere la rimozione di quei cartelli – che avvolgono la contestata decisione del sindaco Alessandro Seghezzi. Don Angelo, senza fare nomi, in chiesa attacca “coloro che si lavano le mani sbandierando tradizioni, ma con il cuore pieno di marciume”.

E ancora: “Le porte aperte, e non chiuse, sono il messaggio di Dio. Gesù augura la pace a tutti gli uomini, e non a chi appartiene a una sola cultura. Questo è un messaggio distorto, l’uso strumentale del Vangelo per ideologie e secondi fini. Utile ai falsi profeti che predicano la divisione, e non l’unità”.

In conclusione: “La chiesa è misericordia. Dio non è una tradizione, Dio è per sempre”. La notizia dei cartelli intanto ha fatto il giro d’Europa: ne ha scritto anche il Telegraph. Che parlando di Lombardia cita anche la ‘Northern League’, la Lega Nord: “Il partito di destra che guadagna voti con la sua retorica anti-immigrati e anti-rifugiati”.

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