Afferma il Vescovo di Roma: «Noi ci lamentiamo quando leggiamo le storie dei lager del secolo scorso, dei nazisti, di Stalin. “Come mai è potuto succedere?” Ma sta succedendo anche oggi, nelle spiagge vicine, ponte di schiavitù». Il Vescovo di Roma ha «guardato alcune testimonianze filmate: storie di tortura. Questo lo dico perché è compito mio far aprire gli occhi. È la guerra di questo momento, è la sofferenze di fratelli e sorelle. E non possiamo tacere».

E nell’ultima capitale d’Europa separata in due parti da un muro, nella chiesa che si trova vicino alla barriera di divisione tra la parte greco-cipriota e quella turco-cipriota, il Pontefice dice, ancora senza leggere il testo scritto: «Scusatemi, ma vorrei dire quello che ho nel cuore: i fili spinati, ma questa è una guerra di odio che vive un Paese, ma finiscono anche in altre parti dove si mettono per non lasciare entrare il rifugiato, quello che viene a chiedere libertà, pane, aiuto, fratellanza, gioia, che sta fuggendo dall’odio si trova davanti a un odio che si chiama filo spinato». Il Vescovo di Roma auspica «che il Signore risvegli la coscienza di tutti noi davanti a queste cose. Non possiamo tacere e guardare dall’altra parte in questa cultura dell’indifferenza».

Bergoglio cita il caso di «quando gli interessi di gruppi, o gli interessi politici, anche delle nazioni, spingono tanti di noi a restare da una parte, senza volerlo, schiavi: perché l’interesse sempre schiavizza, sempre crea schiavi. L’amore, che è contrario all’odio, ci fa liberi».

E come segno «della sollecitudine del Santo Padre verso famiglie e persone migranti, il Viaggio Apostolico a Cipro sarà accompagnato nelle prossime settimane da un gesto umanitario di accoglienza di circa 12 rifugiati, alcuni dei quali il Papa ha salutato questa sera al termine dell’incontro di preghiera ecumenica con i migranti». È quanto riferisce la Sala stampa vaticana confermando, ma solo in parte, le notizie già diffuse: i 12 rifugiati, infatti, costituirebbero la prima tranche del ricollocamento, mentre altre ne seguiranno tra gennaio e febbraio fino a un totale di 50 persone. Il loro trasferimento e «l’accoglienza sarà reso possibile grazie ad un accordo tra la Segreteria di Stato, le Autorità italiane e cipriote, e la collaborazione con la Sezione per i Migranti e Rifugiati della Santa Sede e la Comunità di Sant’Egidio».

Il Vescovo di Roma vuole rivolgere «un grande “grazie” dal cuore» ai quattro giovani migranti di cui ha ascoltato le testimonianze di grandi ferite e sofferenze, ma anche sogni e speranze, da cui si è detto «commosso»: una, Mariamie Besala Welo, dalla Repubblica Democratica del Congo, poi Thamara da Silva dallo Sri Lanka, Maccolins Ewoukap Nfongock dal Camerun e Rozh Najeeb dall’Iraq. Dice il Papa: «La vostra presenza, fratelli e sorelle migranti, è molto significativa per questa celebrazione. Le vostre testimonianze sono come uno “specchio” per noi, comunità cristiane». Secondo Francesco, «la brutalità della migrazione mette in gioco la propria identità». Ma non devono «farci paura le differenze tra noi, piuttosto le nostre chiusure e i nostri pregiudizi, che ci impediscono di incontrarci veramente e di camminare insieme. Le chiusure e i pregiudizi ricostruiscono tra noi quel muro di separazione che Cristo ha abbattuto, cioè l’inimicizia». In questo mondo, evidenzia, «siamo abituati alla cultura dell’indifferenza, alla cultura di guardare dall’altra parte, e addormentarci». Dio parla «attraverso i vostri sogni – aggiunge – Chiama anche noi a non rassegnarci a un mondo diviso, a comunità cristiane divise, ma a camminare nella storia attratti dal sogno di Dio: un’umanità senza muri di separazione, liberata dall’inimicizia, senza più stranieri ma solo concittadini». Diversi, «certo, e fieri delle nostre peculiarità, che sono dono di Dio, diversi, fieri di esserlo, ma concittadini riconciliati. Possa quest’isola, segnata da una dolorosa divisione, diventare con la grazia di Dio laboratorio di fraternità». Cipro è «generosa, ma non può fare tutto. Non può rispondere alle necessità di accogliere e integrare di tutti quanti arrivano. Dobbiamo capire i limiti».

Per il Papa «l’odio ha inquinato anche le nostre relazioni tra cristiani. E questo lascia il segno, un segno profondo, che dura a lungo. È un veleno da cui è difficile disintossicarsi. È una mentalità distorta, che invece di farci riconoscere fratelli, ci fa vedere come avversari, come rivali, quando non come oggetto da vendere, o da sfruttare».

Francesco è oggi protagonista di incontri ecumenici con gli ortodossi, di una messa per la piccola comunità cattolica locale, e della preghiera con i migranti. Al mattino, all’Arcivescovado ortodosso di Nicosia è prevista la visita di cortesia di Papa Bergoglio a Chrysostomos II, arcivescovo ortodosso di Cipro. Poi il Pontefice incontra il Santo Sinodo presso la Cattedrale ortodossa. Dopo la presentazione delle rispettive delegazioni e il colloquio privato, e dopo avere firmato il «Libro d’Onore», papa Francesco si reca nella Cattedrale ortodossa per incontrare il Santo Sinodo. «Pellegrino a Cipro, perla di storia e di fede, invoco da Dio umiltà e coraggio per camminare insieme verso la piena unità e donare al mondo, sull’esempio degli Apostoli, un fraterno messaggio di consolazione e una viva testimonianza di speranza»: lo ha scritto siglando il Libro d’Onore all’Arcivescovado ortodosso. Al suo arrivo è accolto sull’altare dal patriarca latino di Gerusalemme, monsignor Pierbattista Pizzaballa, che gli porge l’acqua santa per l’aspersione. Quindi, dopo il canto d’inizio, il saluto del Patriarca e le testimonianze di un membro della Caritas di Cipro e di quattro giovani migranti, il Papa pronuncia il suo discorso. Al termine, dopo la preghiera ecumenica, la recita del Padre Nostro e la Benedizione finale, viene offerto un dono al Pontefice. Quindi papa Francesco va nella stanza accanto per salutare i membri del Religious Track of the Cyprus Peace Project, promosso dall’Ambasciata di Svezia, perché tra i capi religiosi di Cipro si coltivi il dialogo ai fini della riunificazione. Francesco auspica «di cuore che aumentino le possibilità di frequentarci, di conoscerci meglio, di abbattere tanti preconcetti e di porci in docile ascolto delle rispettive esperienze di fede. Sarà per ciascuno un’esortazione stimolante a fare meglio e porterà a entrambi un frutto spirituale di consolazione». Incentrando il suo discorso sulla figura di san Barnaba – sodale di san Paolo e primo evangelizzatore dell’isola di Cipro – il cui nome significa al tempo stesso «figlio della consolazione» e «figlio dell’esortazione», il Papa vuole assicurare ai «fratelli ortodossi la preghiera e la vicinanza mia e della Chiesa cattolica, nei problemi più dolorosi che vi angosciano come nelle speranze più belle e audaci che vi animano. Le tristezze e le gioie vostre ci appartengono, le sentiamo nostre! E sentiamo di avere anche tanto bisogno della vostra preghiera». Inoltre, per «rivitalizzarci nella comunione e nella missione occorre anche a noi il coraggio di spogliarci di ciò che, pur prezioso, è terreno, per favorire la pienezza dell’unità. Non mi riferisco certo a quanto è sacro e aiuta a incontrare il Signore – spiega – ma al rischio di assolutizzare certi usi e abitudini, non essenziali per vivere la fede. Non lasciamoci paralizzare dal timore di aprirci e di compiere gesti audaci, non assecondiamo quella “inconciliabilità delle differenze” che non trova riscontro nel Vangelo! Non permettiamo che le tradizioni, al plurale e con la “t” minuscola, tendano a prevalere sulla Tradizione, al singolare e con la “T” maiuscola. Essa ci esorta a imitare Barnaba, a lasciare quanto, anche buono, può compromettere la pienezza della comunione, il primato della carità e la necessità dell’unità». Anche «noi siamo invitati dal Signore, per riscoprirci parte dello stesso Corpo, ad abbassarci fino ai piedi dei fratelli». Ammette il Papa: «Certo, nel campo delle nostre relazioni la storia ha aperto ampi solchi tra di noi, ma lo Spirito Santo desidera che con umiltà e rispetto ci riavviciniamo. Egli ci invita a non rassegnarci di fronte alle divisioni del passato e a coltivare insieme il campo del Regno, con pazienza, assiduità e concretezza. Perché se lasciamo da parte teorie astratte e lavoriamo insieme fianco a fianco, ad esempio nella carità, nell’educazione, nella promozione della dignità umana, riscopriremo il fratello e la comunione maturerà da sé, a lode di Dio». Così ognuno «manterrà i propri modi e il proprio stile, ma con il tempo il lavoro congiunto accrescerà la concordia e si mostrerà fecondo». Non mancano anche oggi «falsità e inganni che il passato ci mette davanti e che ostacolano il cammino. Secoli di divisione e distanze ci hanno fatto assimilare, anche involontariamente, non pochi pregiudizi ostili nei riguardi degli altri, preconcetti basati spesso su informazioni scarse e distorte, divulgate da una letteratura aggressiva e polemica. Ma tutto ciò distorce la via di Dio, che è protesa alla concordia e all’unità».

Dopo avere lasciato la Cattedrale ortodossa, papa Francesco celebra la Messa per la comunità cattolica di Cipro, nella memoria di san Francesco Saverio, nel Gsp Stadium di Nicosia. Si tratta dello stadio più grande di Cipro e ha una capacità di circa 22mila posti. Si stima che alla Messa siano presenti circa 10mila persone, come riferisce la Sala stampa vaticana. Introdotto da un breve indirizzo di saluto di Pizzaballa, nel corso della Celebrazione eucaristica, dopo la proclamazione del Vangelo, il Papa pronuncia l’omelia: «Dinanzi a ogni oscurità personale e alle sfide che abbiamo davanti nella Chiesa e nella società, siamo chiamati a rinnovare la fraternità. Se restiamo divisi tra di noi, se ciascuno pensa solo a sé o al suo gruppo, se non ci stringiamo insieme, non dialoghiamo, non camminiamo uniti, non possiamo guarire pienamente dalle cecità. La guarigione viene quando portiamo insieme le ferite, quando affrontiamo insieme i problemi, quando ci ascoltiamo e ci parliamo. È la grazia di vivere in comunità, di capire il valore di essere comunità». Bergoglio lo chiede «per voi: possiate stare sempre insieme, essere sempre uniti; andare avanti così e con gioia: fratelli cristiani, figli dell’unico Padre. E lo chiedo anche per me». Per Francesco è «bello vedervi e vedere che vivete con gioia l’annuncio liberante del Vangelo. Vi ringrazio per questo. Non si tratta di proselitismo, ma di testimonianza; non di moralismo che giudica, ma di misericordia che abbraccia; non di culto esteriore, ma di amore vissuto. Vi incoraggio ad andare avanti su questa strada. Usciamo a portare la luce che abbiamo ricevuto – esorta – usciamo a illuminare la notte che spesso ci circonda! C’è bisogno di cristiani illuminati ma soprattutto luminosi, che tocchino con tenerezza le cecità dei fratelli; che con gesti e parole di consolazione accendano luci di speranza nel buio. Cristiani che seminino germogli di Vangelo nei campi aridi della quotidianità, che portino carezze nelle solitudini della sofferenza e della povertà». Secondo il Pontefice, «ciascuno di noi è in qualche modo cieco a causa del peccato, che ci impedisce di “vedere” Dio come Padre e gli altri come fratelli. Questo fa il peccato, distorce la realtà: ci fa vedere Dio come padrone e gli altri come problemi. È l’opera del tentatore, che falsifica le cose e tende a mostrarcele sotto una luce negativa per gettarci nello sconforto e nell’amarezza». E la «brutta tristezza, che è pericolosa e non viene da Dio, si annida bene nella solitudine. Dunque, non si può affrontare il buio da soli. Se portiamo da soli le nostre cecità interiori, veniamo sopraffatti. Abbiamo bisogno di metterci l’uno accanto all’altro, di condividere le ferite, di affrontare insieme la strada».

Al suo rientro in Nunziatura, dopo la Messa celebrata allo stadio di Nicosia, papa Francesco si intrattiene brevemente con il Rabbino Capo di Cipro e per suo tramite invia un saluto alla comunità ebraica cipriota. Successivamente saluta la direttrice del carcere di Cipro, che gli ha portato un saluto e un dono da parte dei detenuti, tra i quali migranti incarcerati perché senza documenti.