contro papa Francesco quelli che gli erano più vicini – il messaggio sibillino del card. Müller

il cardinale Müller

«mi vogliono guida di un gruppo contro il papa»

 «si rischia una separazione che potrebbe sfociare in uno scisma. Io resto con Bergoglio, ma chi reclama va ascoltato»

Gerhard Müller (LaPresse) Gerhard Müller

«C’è un fronte dei gruppi tradizionalisti, così come dei progressisti, che vorrebbe vedermi a capo di un movimento contro il Papa. Ma io non lo farò mai. Ho servito con amore la Chiesa per 40 anni da prete, 16 anni da cattedratico della teologia dogmatica e 10 anni da vescovo diocesano. Credo nell’unità della Chiesa e non concedo a nessuno di strumentalizzare le mie esperienze negative degli ultimi mesi. Le autorità della Chiesa, però, devono ascoltare chi ha delle domande serie o dei reclami giusti; non ignorarlo o, peggio, umiliarlo. Altrimenti, senza volerlo, può aumentare il rischio di una lenta separazione che potrebbe sfociare in uno scisma di una parte del mondo cattolico, disorientato e deluso. La storia dello scisma protestante di Martin Lutero di cinquecento anni fa dovrebbe insegnarci soprattutto quali sbagli evitare».

Il cardinale Gerhard Müller parla con voce piana e un marcato accento tedesco. Siamo nell’appartamento di Piazza della Città Leonina che in passato aveva occupato Joseph Ratzinger prima di diventare Benedetto XVI, in un palazzo abitato da alti prelati.

 

Müller, forse il più rispettato teologo cattolico, è l’ex prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, sostituito a sorpresa nel luglio scorso da Jorge Mario Bergoglio. «Il Papa mi confidò: “Alcuni mi hanno detto anonimamente che lei è mio nemico” senza spiegare in qual punto», racconta affranto. «Dopo quarant’anni al servizio della Chiesa, mi sono sentito dire questo: un’assurdità preparata da chiacchieroni che invece di instillare inquietudine nel Papa farebbero meglio a visitare uno strizzacervelli. Un vescovo cattolico e cardinale di Santa Romana Chiesa è per natura con il Santo Padre. Ma credo che, come diceva il teologo del Cinquecento, Melchior Cano, i veri amici non sono coloro che adulano il Papa ma quelli che lo aiutano con la verità e la competenza teologica ed umana. In tutte le organizzazioni del mondo i delatori di questa specie servono solo se stessi».

Parole dure, risentite, di chi sente di avere subito un torto immeritato. Il cardinale esclude, come sostengono alcune voci allarmistiche, che qualcuno stia ordendo complotti contro Francesco, in polemica con alcune prese di posizione ritenute troppo progressiste: lo considera «un’assoluta esagerazione». Ma ammette che la Chiesa è percorsa da tensioni profonde. «Le tensioni nascono dalla contrapposizione tra un fronte tradizionalista estremista su alcuni siti web, e un fronte progressista ugualmente esagerato, che oggi cerca di accreditarsi come superpapista», secondo Müller. Si tratta di minoranze, ma agguerrite.

Per questo il cardinale trasmette un messaggio di unità ma anche di preoccupazione. «Attenzione: se passa la percezione di un’ingiustizia da parte della Curia romana, quasi per forza di inerzia si potrebbe mettere in moto una dinamica scismatica, difficile poi da recuperare. Credo che i cardinali che hanno espresso dei dubbi sull’Amoris Laetitia, o i 62 firmatari di una lettera di critiche anche eccessive al Papa vadano ascoltati, non liquidati come “farisei” o persone brontolone. L’unico modo per uscire da questa situazione è un dialogo chiaro e schietto. Invece ho l’impressione che nel “cerchio magico” del Papa ci sia chi si preoccupa soprattutto di fare la spia su presunti avversari, così impedendo una discussione aperta ed equilibrata. Classificare tutti i cattolici secondo le categorie di “amico” o “nemico” del Papa, è il danno più grave che causano alla Chiesa. Uno rimane perplesso se un giornalista ben noto, da ateo si vanta di essere amico del Papa; e in parallelo un vescovo cattolico e cardinale come me viene diffamato come oppositore del Santo Padre. Non credo che queste persone possano impartirmi lezioni di teologia sul primato del Romano Pontefice».

Müller non vede una Chiesa più divisa di quanto fosse negli anni di Benedetto XVI. «Però la vedo più debole. Fatichiamo ad analizzare i problemi. I sacerdoti scarseggiano e diamo risposte più organizzative, politiche e diplomatiche che teologiche e spirituali. La Chiesa non è un partito politico con le sue lotte per il potere. Dobbiamo discutere sulle domande esistenziali, sulla vita e la morte, sulla famiglia e le vocazioni religiose, e non permanentemente sulla politica ecclesiastica. Papa Francesco è molto popolare, e questo è un bene. Ma la gente non partecipa più ai Sacramenti. E la sua popolarità tra i non cattolici che lo citano con entusiasmo, non cambia purtroppo le loro false convinzioni. Emma Bonino, per esempio, loda il Papa ma resta ferma sulle sue posizioni in tema di aborto che il Papa condanna. Dobbiamo stare attenti a non confondere la grande popolarità di Francesco, che pure è un enorme patrimonio per il mondo cattolico, con una vera ripresa della fede: anche se tutti sosteniamo il Papa nella sua missione».

Nell’ottica del cardinale Müller, dopo quasi cinque anni di pontificato una fase si è chiusa: quella della Chiesa intesa come «ospedale da campo», definizione felice che Francesco affidò alla Civiltà Cattolica nel 2013, poco dopo l’elezione. «Fu una grande intuizione del Papa. Ma forse ora bisogna andare oltre l’ospedale da campo, e archiviare la guerra contro il bene naturale e soprannaturale degli uomini di oggi che lo ha reso necessario», sostiene. «Oggi avremmo bisogno più di una Silicon Valley della Chiesa. Dovremmo essere gli Steve Jobs della fede, e trasmettere una visione forte in termini di valori morali e culturali e di verità spirituali e teologiche». Non basta, aggiunge, «la teologia popolare di alcuni monsignori né la teologia troppo giornalistica di altri. Abbiamo bisogno anche della teologia a livello accademico».

Dalle sue parole si intuisce che le critiche sono rivolte soprattutto ad alcuni collaboratori di Francesco. «Va bene la divulgazione. Francesco tende giustamente a sottolineare la superbia degli intellettuali. A volte, tuttavia, i superbi non sono solo loro. Il vizio della superbia è una impronta del carattere e non dell’intelletto. Io penso alla umiltà di San Tommaso, il più grande intellettuale cattolico. La fede e la ragione sono amiche».Nell’ottica del cardinale, il modello di papato che tende a emergere a intermittenza, «più come sovrano dello Stato del Vaticano che come supremo insegnante della fede», può suscitare qualche riserva.

«Ho la sensazione che Francesco voglia ascoltare e integrare tutti. Ma gli argomenti delle decisioni devono essere discussi prima. Giovanni Paolo II era più filosofo che teologo, ma si faceva assistere e consigliare dal cardinale Ratzinger nella preparazione dei documenti del magistero. Il rapporto fra il Papa e la Congregazione per la dottrina della fede era e sarà sempre la chiave per un proficuo pontificato. E ricordo anche a me stesso che i vescovi sono in comunione con il Papa: fratelli e non delegati del Papa, come ci ricordava il Concilio Vaticano II». Müller non ha ancora smaltito «la ferita», la chiama così, dei suoi tre collaboratori licenziati poco prima della sua sostituzione. «Sono stati dei preti buoni e competenti che lavoravano per la Chiesa con dedizione esemplare», è il suo giudizio. «Le persone non possono essere mandate via ad libitum, senza prove né processo, solo perché qualcuno ha denunciato anonimamente vaghe critiche al Papa mosse da parte di uno di loro…».




il panzer-cardinale bugiardo sbugiardato dalla signora Marie Collins

l’incoerenza e la memoria corta del card. Müller

Marie Collins attacca il prefetto della Cdf

Ludovica Eugenio 

da: Adista Notizie n° 12 del 25/03/2017

 

«Ci sono alcune cose che Lei afferma alle quali sento il bisogno di rispondere»

con un tono solo apparentemente pacato Marie Collins, la vittima di abusi e attivista irlandese recentemente dimessasi da membro della Pontificia Commissione per la Tutela dei minori per contestare il boicottaggio della Commissione stessa in particolare da parte della Congregazione per la Dottrina della Fede (v. Adista Notizie n. 10/17), ha replicato al tono vagamente sprezzante e liquidatorio usato nei suoi confronti dal card. Gerhard Müller, prefetto della Congregazione. Müller, in un’intervista al Corriere della Sera del 5 marzo scorso, aveva rispedito al mittente tutte le obiezioni della Collins, mettendone in dubbio la veridicità (v. Adista Notizie n. 11/17). E così l’irlandese ha preso metaforicamente carta e penna e ha ribattuto attaccando e smentendo con grande forza, frase per frase, a tratti con sarcasmo, le affermazioni del cardinale in una lunga lettera aperta pubblicata in esclusiva dal settimanale statunitense National Catholic Reporter (14/3).

Ma quale collaborazione?

«Non posso capire che si parli di mancanza di collaborazione», aveva affermato Müller. «Forse un esempio può essere d’aiuto», ribatte pronta la Collins. «Nel 2015, alcuni gruppi di lavoro della Commissione invitarono la sua Congregazione a far partecipare un suo rappresentante agli incontri in programma a Roma per discutere questioni di comune interesse. Ma l’invito venne declinato, e i membri vennero informati dal Segretario della Commissione, mons. Robert Oliver, che tali incontri non sarebbero stati possibili e che non era possibile altra comunicazione se non per iscritto. Certo, le cose poi sono cambiate, ma c’è voluto più di un anno. Era settembre 2016 quando un rappresentante della Cdf ha partecipato agli incontri del gruppo di lavoro della Commissione».

A sentire Müller, poi, negli ultimi anni «c’è stato un contatto permanente» tra Cdf e Commissione: «Non so che forma abbia assunto questo contatto permanente», replica la Collins. «Tutto ciò che posso dire è che i membri della Commissione non hanno ricevuto resoconti formali né vi è stato alcun risultato positivo generato da tale contatto».

«Uno dei nostri collaboratori fa parte» della Commissione, insisteva il cardinale: certo, ne faceva parte, «ma è sorprendente, dato che lei afferma di essere sempre stato in contatto con la commissione – nota sarcastica la Collins – che non sapesse che questo membro, Claudio Papale, ha concluso il suo coinvolgimento attivo nella Commissione nel 2015 (anche se i membri lo hanno saputo solo a maggio 2016)».

Il tribunale per i vescovi negligenti è stato silurato

Riguardo poi al nuovo tribunale per i vescovi negligenti nella gestione dei casi di pedofilia, Müller, nell’intervista con il Corriere, aveva parlato di un «dialogo intenso fra vari Dicasteri coinvolti nella lotta contro la pedofilia nel clero» che avrebbe avuto luogo, e che tale tribunale sarebbe stato solo un «progetto»: «Era solo un progetto, dice?», attacca l’irlandese. «A rileggere l’annuncio pubblico del 10 giugno 2015, sembra molto di più. Azioni molto precise erano già state approvate e dotate di risorse dal Santo Padre», come la creazione di una nuova sezione giudiziaria nella Cdf, la nomina di personale per il Tribunale e la nomina di un segretario per i rapporti tra prefetto e tribunale. «Nonostante la stretta collaborazione con la Commissione di cui lei parla, questa non si estendeva alla discussione tra dicasteri vaticani».

Incoerenza e freddezza burocratica

La Collins prosegue con l’affermazione di Müller di non sapere nulla dei due “incidenti” – per non dire boicottaggi – da lei citati: il rifiuto della Cdf di collaborare sul fronte delle linee guida per la tutela dei minori e di rispondere alla corrispondenza inviata dalle vittime: «Se ha dubbi sulla natura di questi “incidenti” – afferma incastrandolo – può rinfrescarsi la memoria guardando la lettera formale di risposta inviata dalla sua Congregazione alla Commissione il 15 dicembre 2016. Nel primissimo paragrafo, la lettera cita esplicitamente le due richieste». Per quanto riguarda la seconda, ossia la richiesta a tutti i dicasteri di rispondere sempre alle lettere inviate dalle vittime, essa era già stata approvata dal papa e il rappresentante ufficiale della Cdf si era detto d’accordo, in un incontro del settembre 2016: «Invece, due mesi dopo, nella risposta formale della sua Congregazione, è stata rifiutata». «È difficile lavorare con un organismo – conclude la Collins – incoerente nel suo approccio, che non si sa dove si colloca in ogni momento specifico». Il cardinale aveva motivato questo rifiuto con il rispetto della sussidiarietà, ma ciò indica che «nella Chiesa il rispetto del sistema gerarchico ha ancora la meglio sul rispetto per l’individuo. Mi hanno insegnato che nella Chiesa tutti sono uguali, ma qui sembra che nella sua Congregazione non sia così, quando si tratta di un vescovo e di una vittima. Sembra che per lei la preoccupazione che il vescovo possa sentirsi scavalcato superi quella di non rispettare il sopravvissuto», e si tratta di considerazioni «anacronistiche, burocratiche, riguardanti la gerarchia». E se il punto è che la Cdf non vuole ingerenze di esperti “esterni” in un campo che ritiene di propria competenza, se ne può discutere. O no?

Mancanza di memoria o disfunzione? 

Infine, la Collins contesta l’affermazione di Müller che la riguarda: «Non ho mai avuto l’occasione di incontrarla», aveva affermato sul Corriere il prelato. «Cardinale, sembra che lei abbia scordato la serata trascorsa insieme, seduti a cena a Dublino dopo la mia nomina alla Commissione», attacca. «Durante la cena abbiamo discusso della nuova Commissione, della mia nomina e in generale dell’abuso nella Chiesa. Erano presenti altri rappresentanti della Cdf, tra cui mons. John Kennedy e l’allora p. Robert Oliver, che prima della nomina alla Commissione era promotore di giustizia alla Cdf».

La Collins chiude con una considerazione colma di amarezza: «Con tutto il rispetto, cardinale, non capisco il motivo delle difficoltà opposte alla Commissione. Tutto ciò che vuole è proteggere maggiormente minori e adulti vulnerabili là dove la Chiesa cattolica è presente. Se vi sono dei problemi, non si guadagna nulla a far finta che tutto vada bene. Vorrei che, quando viene espressa una critica come la mia, invece di ricadere nella posizione tipica della Chiesa di negazione e offuscamento – continua – si desse al popolo della Chiesa la risposta che merita di avere. Abbiamo diritto a trasparenza, onesta e chiarezza. La disfunzione non può più essere nascosta dietro porte chiuse istituzionali. Ciò accade soltanto quando chi conosce la verità vuole restare zitto».

*immagine di Presse.Nordelbien, tratta da Flickr, licenza e immagine originale.




mezzo millennio di ‘riforma protestante’: ai cattolici sembra non interessare!

a proposito della ‘riforma protestante’

nulla da celebrare per i cattolici!

non c’è nessuna ragione, per un cattolico, per celebrare l’inizio della Riforma protestante

questa è l’opinione espressa dal Prefetto della Congregazione della Fede, il card. Gerhard Müller

terribile sentire di essere in mano di gente fuori del mondo e del vangelo!
marco tosatti
non c’è nessuna ragione, per un cattolico, per celebrare l’inizio della Riforma protestante. Questa è l’opinione espressa dal Prefetto della Congregazione della Fede, il card. Gerhard Müller, in una lunga intervista-libro “Informe sobre la Esperanza”. I cattolici, ha detto il porporato “non hanno nessuna ragione per celebrare” l’inizio della Riforma.

Il 31 ottobre 1517 è la data, normalmente considerata l’inizio del movimento protestante; l’anniversario verrà celebrato con particolare solennità quest’anno. “Noi cattolici non abbiamo nessuna ragione per celebrare il 31 ottobre 1517 la data che è considerata l’inizio della Riforma che avrebbe condotto alla rottura della cristianità occidentale”. Fu allora che Martin Lutero rese pubbliche le sue 95 tesi, affisse alla porta della chiesa di Wittemberg. In esse non veniva proposta una separazione dalla Chiesa, ma le tesi ne furono certamente il punto di inizio.

Afferma il card. Müller: “Se siamo convinti che la divina rivelazione è custodita intera e immutata nella Scrittura e nella Tradizione, nella dottrina della Fede, nei sacramenti, nella costituzione gerarchica della Chiesa per diritto divino, fondato sul sacramento dei sacri ordini, non possiamo accettare che esistano ragioni sufficienti per separarsi dalla Chiesa”.

E’ probabile che le sue affermazioni faranno rumore, dal momento che fra qualche mese verrà celebrato il primo mezzo millennio dalla Riforma. Fra l’altro, il Pontefice si recherà in Svezia a ottobre per una commemorazione ecumenica insieme con i rappresentanti della Federazione Luterana mondiale e altre confessioni cristiane. Il cardinale ricorda che molti esponenti della Riforma definirono il papa come Anticristo per “giustificare la separazione” dalla Chiesa cattolica.