la lettera di un missionario ai nostri parlamentari: no alla ‘missione umanitaria’ in Niger

 

lettera aperta ai parlamentari italiani sulla missione militare in Niger

l’Italia prende le armi in Africa

una storia scritta sulla sabbia

lettera aperta ai parlamentari italiani

«La svolta africana. Soldati italiani in Niger non solo per addestrare… Con 470 uomini e 150 veicoli le nostre truppe svolgeranno anche ‘attività di sorveglianza e di controllo del territorio’. All’inizio coi francesi, tra miliziani, contrabbandieri e migranti.»

Così Gianluca Di Feo su ‘Repubblica’ del 14 dicembre del 2017. Nel Niger, dove mi trovo da quasi sette anni, proprio oggi, il 18 dicembre si celebra la proclamazione della Repubblica, avvenuta 59 anni or sono. Una Repubblica di carta e l’altra di sabbia. Quella di carta racconta di un paese, una Repubblica, fondata sul lavoro, nata dalle variegate resistenze al nazi-fascismo che, proprio per questo, ha scelto di ripudiare la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali. (Art.11 della Costituzione della Repubblica).

Siamo diventati una Repubblica di carta straccia, perché, non da oggi, la Costituzione è stata tradita, svilita, venduta e buttata al macero come inutile cimelio ornamentale. Una Repubblica che si appresta a scrivere sulla sabbia di quest’altra Repubblica, quella del Niger, che di sabbia se ne intende. Ripudiare significa non riconoscere come proprio, il rifiuto fermo di un legame che prima si riteneva infrangibile. Il ripudio indica una scelta definitiva e irrevocabile, una separazione senza condizioni. Ciò che si è ripudiata è la guerra, che da sempre offende la libertà degli altri popoli. E, in ogni caso, non può essere presa come strumento di risoluzione di controversie.

Abbiamo comprato l’assenso della Repubblica del Niger, che oggi, nella sabbia delle frontiere già armate, riconosce di essere una Repubblica sovrana, da 59 anni, col diritto di vedere rispettata la sua dignità. Abbiamo usato il denaro per comprare il diritto a operare con militari con lo scopo di occupare terreno, sorvegliare e se è il caso punire, secondo i dispositivi di controllo del territorio delineati dal piano di occupazione in corso. Geopolitiche di carta, scritte sulla sabbia che il vento spazzerà via al tempo debito.

«Italia e Niger hanno firmato ieri a Roma un accordo di cooperazione nell’ambito della Difesa siglato dai ministri Roberta Pinotti e Kalla Moutari. Ne ha dato notizia il ministero della Difesa senza rivelare però dettagli circa i contenuti dell’accordo che rientra nella strategia italiana di cooperazione con i Paesi africani interessati dai flussi di immigrati illegali diretti in Libia e poi nella Penisola. Il Niger è infatti il “paese chiave” di questi traffici, vero e proprio “hub” dei flussi migratori illegali diretti in Europa dall’Africa Occidentale e sub sahariana.» (Roma 27 settembre 2017, Ministero della difesa)

I cittadini del Niger, mai consultati in queste operazioni militari, forse al momento non lo diranno ad alta voce, taceranno per timore, per rispetto o per ospitalità. Non sono contenti e non lo saranno mai. Sanno bene che le armi portano la guerra e le guerre portano morti. Loro che di sabbia se ne intendono lo sanno bene che alla fine a vincere sarà lei, la sabbia. E di ciò che avremo scritto coi militari non resterà che il vento. La sabbia della vergogna avrà coperto financo le macerie delle italiche geopolitiche del nulla.

Chi scrive è figlio di un partigiano di quelli veri e che ha scelto da tempo, come suo padre, di deporre le armi e di stare con le mani nude e coi piedi nella sabbia di questo popolo. Non dubitatene, onorevoli e procacciatori di un altro posto al sole. Mi vedrete contro le vostre politiche di riconquista coloniale. L’ambasciata che avete voluto non sarà la mia, gli affari che state preparando per le ditte e per la finzione umanitaria non mi compreranno. Siete riusciti a mettere le vostre pedine nei centri di comando della gestione migratoria con l’OIM, l’Organizzazione delle Migrazioni Internazionali e in altri centri di potere umanitario globale. L’umanitario, l’economico e il militare camminano, ormai da tempo, assieme, da buoni farabutti.

«Niamey ha già accordi di cooperazione militare tra i quali Francia (ex potenza coloniale presente con contingenti dell’Operazione Barkhane anti-jihadisti), Stati Uniti (nell’ambito dell’iniziativa anti terrorismo nel Sahel), Algeria, Canada e Germania che recentemente ha fornito decine di mezzi da trasporto all’esercito nigerino. Da anni il governo di Niamey lamentava l’assenza di cooperazione militare con l’Italia come riportò nei dettagli nel 2014 il reportage diAnalisi Difesa del Paese africano ‘Roccaforte Niger’.» (Ministero della Difesa)

Non starò con voi, sappiatelo, mi troverete con l‘altra Repubblica, quella che ha 59 anni di sabbia e di polvere mescolata al silenzio. Vi ripudio, consapevoli commercianti di carne migrante e di valori scritti col sangue di altri che vi hanno preceduto. Non mi interessa né la vostra fede né la vostra appartenenza politica, siete solamente seguaci di quel dio che i soldi e il potere adorano e al quale sacrificano il futuro e la storia. Non starò mai dalla vostra parte è vi denuncerò finchè avrò voce e forza per farlo. Del resto non sono l’unico a denunciare la deriva bellica del paese. L’amico e compagno di viaggio Alex Zanotelli l’ha appena scritto:

«Quest’anno il governo italiano spenderà 24 miliardi di euro in Difesa, pari a 64 milioni di euro al giorno. Per il 2018 si prevede un miliardo in più. Ma è ancora più impressionante l’esponenziale produzione bellica nostrana: Finmeccanica (oggi Leonardo) si piazza oggi all’ 8° posto mondiale. Lo scorso anno abbiamo esportato per 14 miliardi di euro, il doppio del 2015! Grazie alla vendita di 28 Euro Fighter al Kuwait per otto miliardi di euro, merito della ministra Pinotti, ottima piazzista d’armi. E abbiamo venduto armi a tanti paesi in guerra, in barba alla legge 185 che ce lo proibisce. Continuiamo a vendere bombe, prodotte dall’azienda RMW Italia a Domusnovas (Sardegna), all’Arabia Saudita che le usa per bombardare lo Yemen, dov’è in atto la più grave crisi umanitaria mondiale secondo l’ONU. (Tutto questo nonostante le quattro mozioni del Parlamento Europeo!) L’Italia ha venduto armi al Qatar e agli Emirati Arabi con cui quei paesi armano i gruppi jihadisti in Medio Oriente e in Africa (noi che ci gloriamo di fare la guerra al terrorismo!).»

Mi troverete invece complice dell’altra Repubblica e con le altre Repubbliche che disprezzate perché credete si tratti di mendicanti. Chi vi ha chiesto di intervenire non rappresenta il popolo della Repubblica: l’avete pagato voi perché metta in vendita la sua sovranità. Sappiatelo: non abbiamo bisogno di voi, dei vostri soldi e dei vostri soldati. Le vostre armi, segno inequivocabile del vostro tradimento, si rivolgeranno un giorno contro di voi e allora sarà tardi per capire. Quel giorno vi accorgerete che avevate scritto sulla sabbia.

P.S.:

Onorevoli parlamentari, eletti per rappresentare la volontà del popolo sovrano dal quale ricevete la legittimità e la rappresentazione, avete la possibilità, forse unica di esprimere con un no, l’unica ragionevole posizione al momento di scegliere il futuro della presenza militare italiana nel Sahel.

Avrete l’opportunità e la responsabilità di scrivere un’altra storia della nostra presenza in Africa. Non sulla sabbia ma sui volti. Quei volti che noi, missionari, abbiamo incontrato e raccontato per decenni. Siamo stati gli ambasciatori più veri del nostro paese, incarnandone, con tutti i limiti legati all’umana fragilità, i valori più profondi di umanità e solidarietà, che si trovano, appunto, alla base della visione personalista e comunitaria della Costituzione italiana.

Non tradite questi volti e non tradite questa tradizione di solidarietà sincera e profonda che abbiamo seminato con anni di presenza, accompagnamento e dedizione a questi popoli che sono diventati i nostri. Non traditeli, dovrete renderne conto di fronte alla storia, scritta da nomi di sabbia che serbano un futuro di pace per tutti.

*Mauro Armanino  – Missionario e dottore in Antropologia Culturale ed Etnologia Dalla Repubblica di sabbia, dicembre 2017. Da anni collabora con Contropiano come corrispondente dal Niger e dall’Africa




il vescovo e la provocazione: il missionario radicale o i poveri radicali?

Palermo

il vescovo Lorefice:

Biagio Conte, una provocazione per noi

oltre 4mila firme in meno di 24 ore alla petizione per i senzatetto, che nel capoluogo siciliano sono più di 400

L’arcivescovo Lorefice porge l’Eucarestia a fratel Biagio Conte

l’arcivescovo Lorefice porge l’Eucarestia a fratel Biagio Conte

Alessandra Turrisi

La Chiesa di Palermo è con Biagio Conte. In realtà lo è sempre stata, visto che la missione ‘Speranza e Carità’, che ospita da oltre 25 anni mille persone senza più nulla, è una testimonianza viva dell’amore preferenziale per i poveri.

Ma ieri questa vicinanza si è resa più visibile con l’arcivescovo di Palermo, monsignor Corrado Lorefice, in ginocchio accanto al missionario laico, mano nella mano, in ascolto reciproco, in preghiera. È durato 40 minuti l’incontro tra Lorefice e Biagio sotto il colonnato delle Poste centrali di via Roma, a Palermo. Il missionario col saio verde, avvolto nelle coperte, è prostrato da sei giorni di digiuno, di veglia, di freddo e intemperie. L’arcivescovo gli ha portato l’eucaristia e Biagio si è commosso fino alle lacrime.

Nessuna parola a caldo per commentare l’insolita forma di protesta che, da quasi una settimana, ha schiaffeggiato l’indifferenza della città verso chi muore per strada da solo, chi non ha una casa, chi non ha un lavoro. «Custodiamola nel cuore», dice sulle prime l’arcivescovo. Poi, dopo aver metabolizzato i contenuti dell’incontro, don Corrado ammette l’importanza dell’azione di fratel Biagio che «pro-voca e interpella tutti, anche noi cristiani, le nostre comunità, il vescovo, non solo le istituzioni e l’amministrazione comunale. Ci vorrebbero veri cristiani e uomini e donne di buona volontà impegnati in politica unicamente per il bene comune, preparati e audaci, liberi da altri interessi come il pozzallese Giorgio La Pira, veramente determinati a guardare la città dal basso. Un piano lavoro. Un piano case. Un piano pane da condividere dignitosamente nelle famiglie. Spazi di confronto per risolvere i veri problemi lontani dalla demagogia o dalle beghe agitate per distogliere dai bisogni della gente».

La vicinanza della Chiesa a fratel Biagio non è mai mancata. La presenza continua di sacerdoti, gruppi di laici, religiose, anche l’arrivo silenzioso del cardinale Paolo Romeo, arcivescovo emerito di Palermo, sabato sera. Domenica è passato don Elisée Ake Brou, sacerdote della diocesi di Monreale che trovò proprio nella missione Speranza e Carità il primo approdo dopo la fuga dalla Costa d’Avorio, tanti anni fa. È stata lanciata una raccolta firme su Change.org per unirsi all’appello di Biagio e impegnare tutte le istituzioni a dare corso ad azioni concrete in favore di famiglie e persone senza alloggio: oltre 4 mila firme in meno di 24 ore.

Ma Biagio Conte resta lì, al freddo. I senzatetto di tutta la città hanno appreso che il missionario ha deciso di vivere come loro, disteso a terra sui cartoni, senza il minimo vitale, e lo vanno a trovare, gli raccontano le loro storie. Le critiche, anche aspre sui social, non mancano; le accuse di esibizionismo e fanatismo. Molti chiedono: ma insomma, cosa vuole ottenere questa volta Conte? Niente in particolare e tutto. Lo sintetizza uno dei volontari storici, il medico Francesco Russo: «Potremmo dire che fratel Biagio chiede che nella società e nel mondo aumentino la bontà e la tenerezza verso Dio, verso se stessi e verso il prossimo, e il mondo possa essere così un posto migliore».

«Tutti sappiamo che c’è tanta gente che dorme per strada, a Palermo sono più di 400 – dichiara il senatore di Mdp Francesco Campanella –. Biagio Conte, come usa fare, rompe gli schemi e, con il suo forte gesto di andare a dormire per strada come un senzatetto, ci mette di fronte al fatto che quelle persone sono fatte di carne e di sangue come noi. Come i nostri cari».




il missionario che si fa radicalmente ‘come loro’

Palermo

fratel Biagio in strada

«Come chi non ha nulla»


Alessandra Turrisi 
il missionario laico di Palermo
tanti senza casa, le coscienze si scuotano

Il giaciglio, tra coperte e cartoni, di fratel Biagio Conte

il giaciglio, tra coperte e cartoni, di fratel Biagio Conte

L’ultimo “residente della strada” che ha accompagnato fino alla fine si chiamava Giuseppe. Barba incolta, 57 anni che valevano il doppio, senza la forza neppure di parlare, si era ricavato un giaciglio in un anfratto del popolare mercato del Capo, alle spalle del Palazzo di giustizia di Palermo. Il missionario laico Biagio Conte e i suoi volontari lo hanno raccolto e portato in ospedale e un paio di giorni fa è morto, «ma almeno non è rimasto per strada».

Piange fratel Biagio, l’uomo col saio verde e gli occhi azzurri, nel toccare con mano la povertà nera, aumentata esponenzialmente negli ultimi anni, «ancora di più di quando cominciai sotto i portici della Stazione Centrale con i fratelli che vivevano lì negli anni Novanta», ma soprattutto nel guardare in faccia l’indifferenza. Quella che uccide. Come ha ucciso i numerosi senzatetto di Palermo, morti negli ultimi mesi in un angolo di strada, fino al caso di Amor il pomeriggio di Capodanno. Loro sono la prova che qualcosa non va, che le ingiustizie sociali stanno relegando ai margini uomini soli, famiglie con figli, anziani, nell’indifferenza generale. E Biagio Conte, che da oltre 25 anni ospita mille persone senza più nulla, italiani e migranti senza distinzione, in tre strutture che fanno di Palermo la città dell’accoglienza, ha deciso di farsi come loro.

Così, mercoledì sera ha preso un paio di coperte, la Bibbia, il breviario, ha raccolto per strada un cartone robusto e ha sistemato il suo giaciglio di protesta sotto i portici delle Poste centrali di via Roma. Proprio dove qualche anno fa emise l’ultimo respiro Vincenzo, un senza dimora che la missione ‘Speranza e Carità’ ha assistito e accompagnato verso la morte, facendogli sentire l’affetto e l’attenzione che per una vita gli erano stati negati. Ha trascorso lì la notte tra mercoledì e giovedì, informando della sua decisione solo il suo braccio destro padre Pino Vitrano. Nessuna spiegazione, solo una lunga lettera scritta a mano, da cui traspare un travaglio, maturato dopo il suo rientro, a metà settembre, dal pellegrinaggio che gli ha permesso di toccare tutte le regioni d’Italia, toccando infinite forme di povertà e di bisogno estremo. Tornato a Palermo, si è trovato davanti una situazione gravemente peggiorata. «Vivo un profondo disagio: non riesco a essere tranquillo, non dormo e non riesco a mangiare, sapendo che ancora ad oggi tante persone vivono per strada» scrive con dolore. «Tante famiglie sono sfrattate e non hanno la casa, tante persone non hanno lavoro.

La forte indifferenza e il profondo egoismo ancora oggi sono molto diffusi, mi inducono a rispondere al male con il bene. Per queste ingiustizie mi abbandono anch’io per strada, per solidarizzare con chi è morto per strada, per chi ancora dorme per strada. Mi sosterranno la preghiera e il digiuno, affinché i cuori e le coscienze si scuotano e si sensibilizzino verso i più bisognosi » dice, firmandosi «piccolo servo inutile». E piccolo lo appare davvero, imbacuccato per difendersi dall’umidità sotto quelle imponenti colonne di epoca fascista che nascondono il difensore degli ‘ultimi’.

Lancia un appello accorato alla città, alle autorità e ai singoli cittadini: «Chi ha e non dona nulla al bisognoso, al più debole, all’indigente, non può essere un uomo o una donna di giustizia, di pace, di speranza. Questo appello è rivolto a tutte le città e regioni d’Italia: è urgente aiutare chi non ha la casa, il lavoro». Il primo a reagire è il presidente della Regione siciliana, Nello Musumeci: «Nei prossimi giorni incontrerò il missionario per esprimere la vicinanza del governo regionale e concordare possibili e concrete iniziative a sostegno del proprio impegno sociale».