in morte del teologo J. B. Metz un gigante della teologia del novecento

Addio a Johann Baptist Metz 

“padre” della Teologia politica

Filippo Rizzi 

Il pensatore tedesco è morto a 91 anni a Münster. Fu il fautore del dialogo pubblico tra Habermas e Ratzinger a Monaco nel 2004. Il suo maestro di sempre: Karl Rahner

Il teologo tedesco Joahann Baptist Metz (1928-2019) indagò la “questione di Dio” dopo Auschwitz

Un gigante della teologia del Novecento dello stesso rango e levatura del suo “maestro di sempre” Karl Rahner. Un pensatore capace di leggere i “segni dei tempi”. Ma soprattutto un prete e un pastore d’anime. È lo stile che ha sempre accompagnato, cadenzato e contrassegnato la lunga vita di Johann Baptist Metz, morto questo lunedì 2 dicembre a 91 anni a Münster. Nato il 5 agosto 1928 a Velluck, nella Baviera settentrionale, compie i suoi studi di filosofia e teologia dapprima a Innsbruck e poi a Monaco di Baviera; si laurea in filosofia su Heidegger e poi in teologia, sotto la guida di Karl Rahner, su san Tommaso d’Aquino. Viene ordinato sacerdote nel 1954. La maggior parte della sua carriera universitaria lo vede docente di teologia fondamentale a Münster, carica che ha lasciato successivamente, per assumere la cattedra di Christliche Weltanschauung all’università di Vienna.
Metz è ancora ricordato oggi in ambito accademico per essere stato tra i fondatori, dei veri “padri nobili”, nel 1965, della rivista internazionale di teologia “Concilium” assieme a uomini del rango di Karl Rahner, Yves Congar, Edward Schillebeeckx, Hans Küng e Gustavo Gutiérrez. Numerose sono le sue opere tradotte in italiano (spesso edite da Queriniana) come Sulla teologia del mondo (1969), Antropocentrismo cristiano (1969), con J. Moltmann-W. Ölmüller, Una nuova teologia politica (1971), Tempo di religiosi? Mistica e politica della sequela(1978), La fede nella storia e nella società (1978). Come certamente significativo è il suo saggio, edito da Queriniana, che rappresenta in un certo senso la “summa” del suo pensiero: Sul concetto della nuova teologia politica 1967-1997 e anche La provocazione del discorso su Dio.
La sua maturazione teologica conosce varie tappe, segnate dalle tre grandi “crisi” del nostro secolo con cui egli si confronta: la sfida marxista alla teologia; Auschwitz e la negatività della storia (celebri le sue domande su Dio e sulla giustizia a fronte delle vittime innocenti); infine, la provocazione che viene dal Terzo Mondo. Come fu significativa la sua attenzione alla Teologia della liberazione: volle rendersi conto di persona del dolore e della sofferenza di quelle popolazioni e andò a visitare le comunità di base dell’America Latina. Rimase impressionato dal lavoro “dal basso” di amici e colleghi teologi e scrisse un diario visitando le Ande.
Cresciuto alla scuola di Karl Rahner, del quale rielaborò anche alcune opere, di fronte alla marginalità “politica” del cristianesimo Johann Baptist Metz avverte la necessità di superare la teologia trascendentale del maestro per far valere la dimensione pratica della teologia. Diventa così il fondatore di una “nuova teologia politica”, –come hanno spiegato in anni recenti studiosi italiani come Giacomo Coccolini e il “suo” discepolo Francesco Strazzari – nella quale si consideri il mondo come luogo del mostrarsi di Dio e, quindi, luogo nel quale la fede cristiana si presenta anche con la sua valenza politica. Non volendo e non potendo dimenticare le vittime della storia, degli indifesi, Metz sviluppa a partire da queste coordinate la sua “Nuova teologia politica”.
Come pochi altri teologi, Metz non solo ha cercato ma ha anche alimentato il dibattito culturale. Fa parte di ciò il dialogo e il confronto con il marxismo e i rappresentanti della scuola di Francoforte, i filosofi Theodor W. Adorno, Max Horkheimer e Jürgen Habermas con i quali intrattiene un’amicizia autentica. Senza Metz nel 2004, a Monaco, non si sarebbe giunti alla discussione tra Habermas e l’allora prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, il cardinale Joseph Ratzinger, il futuro Benedetto XVI.

A ricordarlo ieri con un ampio ritratto è stata la Conferenza episcopale tedesca che ha rievocato lo stile di «teologo ma anche di pastore d’anime» di Metz. Un pensatore dunque, sempre «pieno di sorprese» come lo definiva Jürgen Moltmann perché capace di traghettare la teologia all’interno della storia anche quando questa porta «un nome così orribile come quello di Auschwitz».




la vera mistica non è intimismo – J. B. Metz e la ‘mistica dagli occhi aperti’

Johann Baptist Metz

il senso della mistica

spesso si scambia la mistica con l’intimismo

L’uomo spirituale (ma non “spiritualizzato”) cerca la solitudine per ascoltare e ascoltarsi. Rifugge il ripiegamento. Al contrario cerca di fare ancora più spazio all’altro. Il mistico è un uomo capace di relazione, un uomo sociale che sente proprio e condivide il dolore degli oppressi. La mistica infatti non può non avere implicazioni politiche.

“L’esperienza cristiana di Dio è legata alla percezione del destino degli altri. Pertanto anche la mistica, nel suo nucleo centrale, non è una mistica degli occhi chiusi, ma degli occhi aperti sul dolore. Essa esige un particolare esercizio del vedere, un superamento delle nostre congenite difficoltà e dei nostri narcisismi creaturali. Chi dice “Dio”, si accolla la ferita della propria coscienza prodotta dall’infelicità degli altri”.

(Johann Baptist Metz, Mistica degli occhi aperti, Per una spiritualità concreta e responsabile, a cura di J. Reikerstorfer, trad. G. Poletti, Queriniana, Brescia, 2013, p. 63)

pubblicato da altranarrazione




la spiritualità cristiana ha gli ‘occhi aperti’

LA MISTICA CON GLI OCCHI APERTI

di Johann Baptist Metz

Metz

mistica

La lingua latina usa un’unica parola per dire “salute” e “salvezza”: salus. Aperta, solare, piena, essa suona come un messaggero bello e inclusivo per parlare di integrità e felicità del corpo e dell’anima. Anche la città, il “corpo” sociale chiede salute e salvezza. Come operarle entrambe? Il teologo Johann Baptist Metz ha suggerito, innanzitutto, la distinzione tra “religione civile” e “teologia politica”.
teoòogia del mondo
la fede La prima sarebbe usata per legittimare o imporre un ordine politico e occorre respingerla; la seconda, pone, invece, il problema del rapporto tra la teologia e la prassi, di cui i cristiani debbono farsi responsabilmente carico. In questo compito egli ha introdotto la categoria della compassione e si chiede:
memoria passionis

«Cosa succederebbe se i cristiani, nei loro distinti mondi di vita, osassero questo esperimento della compassione, non importa se in forma modesta, purché sempre nuova e così alla fine si pervenisse a una ecumene della compassione? Non sarebbe questa una luce nuova proiettata sulla nostra terra, su questo mondo globalizzato e tuttavia così dolorosamente lacerato?»

ordini religiosi

Una politica che si faccia a occhi aperti sul bisogno altrui, sul disagio del prossimo, sull’accoglienza e sul diritto di vivere, come un debito da onorare verso la nostra città globale.