2014 anno nuovo?

 

 

2014

“Comincia un anno nuovo. Se solleviamo lo sguardo incontriamo orizzonti appesantiti da grosse

nuvole che minacciano tempesta. Che fare? Arrendersi, scappare, deprimersi, disperare? La

tentazione c’è, ma pure qualcosa ci dice che dobbiamo dare un calcio ai lamenti e ai mugugni se

vogliamo entrare nell’anno nuovo col piede giusto”

così D. Maraini che ci invita, nonostante tutto a guardare con speranza al futuro e al nuovo anno che oggi inizia; ha delle parole convincenti:

2014 anno nuovo

Quando la speranza ci fa rischiare

 

di Dacia Maraini

in “Corriere della Sera” del 31 dicembre 2013

 

Comincia un anno nuovo. Se solleviamo lo sguardo incontriamo orizzonti appesantiti da grosse

nuvole che minacciano tempesta. Che fare? Arrendersi, scappare, deprimersi, disperare? La

tentazione c’è, ma pure qualcosa ci dice che dobbiamo dare un calcio ai lamenti e ai mugugni se

vogliamo entrare nell’anno nuovo col piede giusto. Vogliamo cominciare con una parola desueta e

impopolare? Una parola screditata perché apparentemente morbida e fragile. Ma che pure ha un

cuore di ferro. La parola speranza. Che ad alcuni suscita un risolino beffardo, ad altri uno sbadiglio

di noia. Ma pure bisogna riconoscere che senza speranza la realtà la si imbalsama come fosse un

corpo morto. Un corpo dal cervello piatto che, nell’euforia dell’onnipotenza tecnologica, teniamo in

vita pompando sangue dentro vene inerti.

2014 fiorito

Ma davvero è quello che vogliamo? Eraclito, che non era certo un ottimista, diceva che «senza

speranza è impossibile trovare l’insperato». Sperare infatti non vuol dire mettersi a braccia conserte

ad aspettare la manna dal cielo, ma rimboccarsi le maniche e darsi da fare. «Se ti trovi davanti due

strade», scrive Terzani, «una che va in su e una che va in giù, prendi sempre quella che sale». La

discesa è più facile, certo, ma di solito ti porta in un buco. Andare in salita è faticoso, ma è una sfida

e ti porta in alto. Pur sapendo che la speranza, come dice Bernanos, è piena di rischi. È addirittura

«il rischio dei rischi». Ma se non rischi e ti fermi impaurito, alla fine sarai travolto. Perché, come ci

suggerisce quella piccola cosa poetica che è l’orologio, tutto corre e si muove e chi resta fermo

viene spazzato via dalla gran scopa della storia. «La speranza è una cosa dotata di ali», pare di

sentire la voce maliziosa e intelligente di Emily Dickinson, «che mette su casa nello spirito e canta

un canto senza parole e non si ferma mai». Con quel poco di voce che ci è rimasta, ci tocca cantare,

se vogliamo che qualcosa in noi voli. Il pericolo della stasi, suggerisce Naomi Klein, sta nel creare

vuoti. «La politica odia il vuoto. Se non è pieno di speranza, qualcuno lo riempirà di paura». E la

paura fa sognare draghi dalle mille teste che soffiano fuoco. Per tagliare quelle teste, ci armiamo e

partiamo verso guerre inutili e micidiali. La paura arma la mano del razzista, del fanatico, del

guerrafondaio.

Faccio gli auguri alle persone che sanno sperare, come suor Rita e le sorelle di Casa Rut che

raccolgono le prostitute minorenni per le strade di Caserta, come gli organizzatori del teatro del

carcere di Latina guidate dal generoso Giorgio Maulucci, come il magistrato Di Matteo che sfida la

mafia e le sue minacce oscene, come a tutti coloro che, anziché nascondersi dietro il luogo comune

«tanto non c’è niente da fare, tanto sono tutti uguali», prendono per mano la vita come fosse un

bambino e si incamminano verso una salita impervia con cuore allegro