“povero Massimo, ucciso sulla strada come un cane bastardo… !” di Tonino Bello

lettera a Massimo, ladro zingaro ammazzato
Tonino BelloBello

 

a Molfetta, durante una tentata rapina un metronotte, per legittima difesa, sparò e uccise il ladro, uno zingaro. Il Vescovo, Monsignor Tonino Bello, saputa la notizia si recò al cimitero e rimase contristato dalla solitudine del morto: non c’era nessuno alle sue esequie e scrisse una lettera ad un uomo che non l’avrebbe mai letta, a Massimo, il ladro zingaro ammazzato

Tonino Bello

 

Ho saputo per caso della tua morte violenta, da un ritaglio di giornale. Mi hanno detto che ti avrebbero seppellito stamattina, e sono venuto di buon’ora al cimitero a celebrare le esequie per te.
Ma non ho potuto pronunciare l’omelia. Perché alla mia messa non c’era nessuno. Solo don Carlo, il cappellano, che rispondeva alle orazioni. E il vento gelido che scuoteva le vetrate.
Sulla tua bara, neppure un fiore. Sul tuo corpo, neppure una lacrima. Sul tuo feretro, neppure un rintocco di campana.
Ho scelto il Vangelo di Luca, quello dei due malfattori crocifissi con Cristo, e durante la lettura mi è parso che la tua voce si sostituisse a quella del ladro pentito: «Gesù, ricordati di me!…».
Povero Massimo, ucciso sulla strada come un cane bastardo, a 22 anni, con una spregevole refurtiva tra le mani che è rotolata nel fango con te!
Povero randagio. Vedi: sei tanto povero, che posso chiamarti ladro tranquillamente, senza paura che qualcuno mi denunzi per vilipendio o rivendichi per te il diritto al buon nome.
Tu non avevi nessuno sulla terra che ti chiamasse fratello. Oggi, però, sono io che voglio rivolgerti, anche se ormai troppo tardi, questo dolcissimo nome.
Mio caro fratello ladro, sono letteralmente distrutto.
Ma non per la tua morte. Perché, stando ai parametri codificati della nostra ipocrisia sociale, forse te la meritavi. Hai sparato tu per primo sul metronotte, ferendolo gravemente. E lui si è difeso. E stamattina, quando sono andato a trovarlo in ospedale, mi ha detto piangendo che anche lui strappa la vita con i denti. E che, con quei quattro luridi soldi per i quali rischia ogni notte la pelle, deve mantenere dieci figli: il più grande quanto te, il più piccolo di un anno e mezzo.
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No, non sono amareggiato per la tua morte violenta. Ma per la tua squallida vita.
Prima che giustamente ti uccidesse il metronotte, ti aveva ingiustamente ucciso tutta la città. Questa città splendida e altera, generosa e contraddittoria. Che discrimina, che rifiuta, che non si scompone. Questa città dalla delega facile. Che pretende tutto dalle istituzioni. Che non si mobilita dalla base nel vedere tanta gente senza tetto, tanti giovani senza lavoro, tanti minori senza istruzione. Questa città che finge di ignorare la presenza, accanto a te che cadevi, di tre bambini che ti tenevano il sacco!
Prima che giustamente ti uccidesse il metronotte, ti avevano ingiustamente ucciso le nostre comunità cristiane. Che, sì, sono venute a cercarti, ma non ti hanno saputo inseguire. Che ti hanno offerto del pane, ma non ti hanno dato accoglienza. Che organizzano soccorsi, ma senza amare abbastanza. Che portano pacchi, ma non cingono di tenerezza gli infelici come te. Che promuovono assistenza, ma non promuovono una nuova cultura di vita. Che celebrano belle liturgie, ma faticano a scorgere l’icona di Cristo nel cuore di ogni uomo. Anche in un cuore abbrutito e fosco come il tuo, che ha cessato di batter per sempre.
Prima che giustamente ti uccidesse il metronotte, forse ti avevo ingiustamente ucciso anch’io che, l’altro giorno, quando c’era la neve e tu bussasti alla mia porta, avrei dovuto fare ben altro che mandarti via con diecimila miserabili lire e con uno scampolo di predica.
Perdonaci, Massimo.
Il ladro non sei solo tu. Siamo ladri anche noi perché prima ancora che della vita, ti abbiamo derubato della dignità di uomo.
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Perdonaci per l’indifferenza con la quale ti abbiamo visto vivere, morire e seppellire.
Perdonaci se, ad appena otto giorni dall’inizio solenne del l’anno internazionale dei giovani, abbiamo fatto pagare a te, povero sventurato, il primo estratto conto della nostra retorica.
Addio, fratello ladro.
Domani verrò di nuovo al camposanto. E sulla tua fossa senza fiori, in segno di espiazione e di speranza, accenderò una lampada.

per la morte di Pannella l’onestà di Famiglia Cristiana, la freddezza di Avvenire, la denigrazione (ancorché coerente!) di Radio Maria di p. Livio Fanzaga

«il tuo Vangelo, quello degli ultimi, è quello che io amo»

il leader radicale e il protagonista dei diritti civili in Italia aveva scritto a papa Francesco il 22 aprile scorso. Gli restava da vivere meno di un mese. Nella sua casa vicino alla fontana di Trevi aveva seguito in televisione pochi giorni prima la visita del papa a Lesbo e i suoi incontri con i rifugiati accolti sull’isola greca. In fondo alla lettera, un post scriptum: «Ho preso in mano la croce che portava mons. Romero, e non riesco a staccarmene»

«Caro Papa Francesco, ti scrivo dalla mia stanza all’ultimo piano – vicino al cielo – per dirti che in realtà ti stavo vicino a Lesbo quando abbracciavi la carne martoriata di quelle donne, di quei bambini, e di quegli uomini che nessuno vuole accogliere in Europa. Questo è il Vangelo che io amo e che voglio continuare a vivere accanto agli ultimi, quelli che tutti scartano». 

Sono le prime righe della lettera che Marco Pannella aveva scritto a papa Francesco il 22 aprile scorso. A Pannella restava da vivere meno di un mese. Nella sua casa vicino alla fontana di Trevi, il vecchio e malato leader radicale aveva seguito in televisione pochi giorni prima la visita del papa a Lesbo e i suoi incontri con i rifugiati accolti sull’isola greca. Era rimasto colpito. Si era commosso. Ci ha riflettuto pochi giorni, poi ha deciso di scrivere a Francesco. La lettera è scritta a mano, con una penna blu, le righe leggermente inclinate verso l’alto, a destra. Alla fine i saluti sono scritti in maiuscolo: TI VOGLIO BENE DAVVERO TUO MARCO.

In fondo alla pagina avanza un po’ di spazio per un post scriptum: «Ho preso in mano la croce che portava mons. Romero, e non riesco a staccarmene». La croce di Romero oggi la porta attorno al collo monsignor Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia. E’ stato lui a spiegare a Pannella l’origine di quella croce. «Marco mi ha chiesto di indossarla, non voleva più staccarsene. E alla fine, quando prima di andare via me la sono ripresa, dentro di me ho sentito un po’ di rimorso per avergliela tolta». 

La lettera di Pannella è stata portata al papa da monsignor Paglia. Il 2 maggio, giorno del compleanno di Pannella, Francesco gli ha mandato in regalo il suo libro sulla Misericordia e una medaglia. Paglia conosce e frequenta Pannella dai primi Anni Novanta. Nelle ultime settimane si sono visti più spesso. «A marzo ero alla Casa del Divin Maestro di Ariccia con il Papa e gli altri prelati della Curia durante gli esercizi spirituali di Quaresima», racconta Paglia, «quando ho ricevuto una telefonata di Pannella. Voleva vedermi. Ho informato il Papa e lui mi ha detto: “Vai di corsa”».

Continua monsignor Paglia: «Prendo la macchina e lo raggiungo. Lui stava a letto un po’ rattristato, ci siamo abbracciati e poi abbiamo cominciato una delle nostre lunghe chiacchierate». Pochi giorni fa l’ultima telefonata, ma Pannella, ormai sopraffatto dai dolori, non poteva più rispondere. «Mentre parlavo con Matteo Angioli sentivo in sottofondo i suoi lamenti», dice Paglia, «il mio amico Marco aveva ormai finito di combattere la sua battaglia».

la letterina che ha commosso: “per il giudice dei minori, che ascolti bene”

il bimbo che commuove la Francia

“voglio andare a scuola qui”

  “per il giudice dei minori, che ascolti bene”
letterina

poche righe in un’incerta calligrafia per spiegare la sua storia: così Ibrahim, 8 anni, arrivato dalle Comore, è riuscito a guadagnarsi l’accoglienza in Francia

al settimo giorno chiuso in aeroporto, Ibrahim si è stufato. Prima un’occhiata a “Ben 10”, il supereroe dei cartoni animati stampato sul suo zainetto, poi uno sguardo a quelle orrende sbarre alle finestre. Un foglio bianco. Una matita. La forza invincibile dei suoi 8 anni.

« Pour le juge des enfants
», scrive. Per il giudice dei minori, che ascolti bene. «Sono venuto in Francia per abitare con la zia perché mia madre non ce la fa più a mantenermi. Non ha più soldi per mandarmi a scuola. Io, ci voglio andare a scuola. Mio padre è partito e non l’ho più visto. Voglio stare in Francia con mia zia, non voglio tornare alle Comore». Firmato: Ibrahim, piccolo profugo.
E supereroe.
A volte i miracoli si scrivono in corsivo e bastano 4 righe che vanno dritte dritte al punto. Grazie a quel pezzo di carta, l’inflessibile giudice dei minori Marie-Francoise Verdun che non voleva Ibrahim in Francia, ha cambiato idea. «Può restare, è libero». E non poteva che finire così, questa storia iniziata il 21 marzo, un lunedì mattina.
Quel mattino alle 8.50 atterra al Charles de Gaulle un aereo proveniente dalle Comore. Tra i passeggeri c’è un bimbo di 8 anni, senza genitori, con lo zainetto sulle spalle e due sacchetti di plastica. Dentro ha dei panini e qualche maglietta. Ha anche una lettera scritta da sua madre, nella quale si dice di affidarlo alla zia che lo sta aspettando al terminal. I doganieri però non lo fanno passare, perché ha un passaporto che non è il suo. È del cugino di secondo grado, che ha 5 anni, gli somiglia molto ma è cittadino francese. Il ragazzino è sveglio, ricciolo, occhi grandi e curiosi, ma è comunque un sans- papiers. Va messo nella Zapi, la Zone d’attente pour personne en instance:
una struttura a lato della pista di atterraggio, dove i clandestini attendono il rimpatrio.
Ibrahim è furioso. Nell’appartamento riservato ai minorenni senza genitori — 80 metri quadrati con due camere da letto, lettini blu, due bagni — ci sono sì i giocattoli, la tv, la playstation. Ma anche le finestre con le sbarre, il filo spinato e i vetri sigillati. È deluso, non comunica. Sua madre dalle Comore lo chiama al telefono in continuazione, lui non le vuole più parlare.
Gli assistenti sociali intanto ricostruiscono, grazie all’associazione La voix de l’enfant, il suo passato familiare. La madre è stata abbandonata dal marito e aveva intenzione di provare con Ibrahim la traversata su un barcone dall’isola Anjouan a quella di Mayotte, che dal 2011 è dipartimento francese. Tra loro e la nuova vita, però, ci sono 70 chilometri di Oceano Indiano. Negli ultimi 30 anni in quelle acque agitate sono affogati dai 10mila ai 50mila profughi. Allora è intervenuta la zia di Parigi. Ha convinto la donna a mandargli il figlio con il passaporto del cugino.
Dopo 4 giorni alla Zapi, Ibrahim viene portato al Tribunale dei minori. Il magistrato Verdun sostiene che, nonostante la zia abbia i mezzi per crescerlo, «l’interesse maggiore è stare con la madre». Va imbarcato sul primo aereo per le Comore entro 8 giorni, altrimenti tornerà dal giudice. La famiglia assume l’avvocato Catherine Daoud: Ibrahim, al settimo giorno di “detenzione”, scrive la lettera.
Si arriva a ieri. Ibrahim è svegliato presto al mattino da un poliziotto. «Mi ha detto che mi avrebbe portato in tribunale, invece siamo andati all’aereo — racconta — quando sono salito non c’era nessun altro passeggero. Ho capito che mi stavano riportando a casa». Ma Ibrahim è pur sempre un supereroe, non può perdere mai. «Urlavo, piangevo, mi dimenavo come un matto ». Tant’è che il capitano dell’aereo lo ha fatto scendere, 5 minuti prima del decollo. Alle 10.50.
Viene trasferito a Bobigny a mezzogiorno, di nuovo al cospetto della severa Verdun. Ha un’arma in più, stavolta: la lettera. «Ibrahim è traumatizzato: può rimanere dalla zia», sentenzia il giudice. Ci sono voluti 12 giorni: il tempo durante il quale un bambino con il sogno di andare a scuola è stato lasciato a fissare le sbarre alle finestre.

un grido dal carcere di Firenze

la lettera-denuncia delle detenute di Sollicciano

“viviamo peggio degli animali

celle fredde, “dormiamo con i vestiti addosso”, tra umidità e topi. “Ci hanno tolto la dignità”

 il grido di allarme è stato consegnato al Garante per i diritti dei detenuti

 

di LAURA MONTANARI

Firenze, la lettera-denuncia delle detenute di Sollicciano: "Viviamo peggio degli animali"

“Vi scriviamo dal carcere di Sollicciano”, a mano, su un foglio protocollo a righe. Ultimo giorno dell’anno 2015. Le detenute del più grande istituto di detenzione della Toscana denunciano il freddo, le carenze igieniche e la vita impossibile in quelle celle: “Viviamo peggio degli animali” si legge. “Abbiamo celle invivibili, piene di muffa e ci piove dentro e ci tengono senza riscaldamento e senza acqua calda, la sera siamo costrette a dormire con i panni addosso perché dal freddo non riusciamo a mettere il pigiama”. Denunciano le celle infestate dai topi e una scarsa assistenza medica. La lettera porta in fondo i nomi di Maria, Florence, Andreea, Ilaria e molte altre , fino ad arrivare a una quarantina di firme. E’ stata consegnata al Garante del Comune di Firenze per i diritti dei detenuti, Eros Cruccolini che l’ha diffusa. Più che una lettera è un urlo che fa riflettere. E’ stata consegnata nell’ultimo giorno dell’anno mentre tutti si preparano alla festa e ai brindisi.

“Siamo infestati dai topi infatti alcune detenute nella notte sono state morse e non hanno avuto assistenza medica, cioè in ritardo. Siamo state costrette a dormire con una sola coperta e alcuni sono senza il cambio delle lenzuola che avviene ogni 15 giorni ma dobbiamo essere fortunate e la rifornitura che comprende 4 rotoli di carta igienica a testa, due flaconi di detersivo per lavare i pavimenti, saponette per lavare i panni una volta al mese. Ci sono detenute – prosegue la lettera – con problemi psichici, con epilessia e attacchi di panico e alcune asmatiche e sono rinchiuse da sole, abbandonate a se stesse peggio del manicomio di Montelupo fiorentino (si riferiscono all’Ospedale Psichiatrico Giudiziario che è in fase di dismissione ma che qualche anno fa finì sulle cronache per le pessime condizioni in cui vivevano i detenuti ndr), assistenza medica solo nell’orario della terapia, se si dovessero chiamare con urgenza, fuori orario non ti assistono”.

La denuncia prosegue: “Ci hanno tolto la dignità, viviamo in un modo disumano. Su tutti i fronti noi abbiamo sbagliato e siamo qui per pagare, ma non con la vita, spero che vogliate prenderci in considerazione e si faccia al più presto qualcosa, vi ringraziamo per l’attenzione con la speranza – ribadiscono le donne di Sollicciano – che qualcuno ci prenda in considerazione”. Seguono le firme e i “distinti saluti”. Mancano gli auguri, ma il buon anno da lì è difficile vederlo.

Il giorno di Natale nel carcere fiorentino di Sollicciano era andata una delegazione di Radicali con Marco Pannella. Restano “molte situazioni critiche e di rilevanza strutturale, già evidenziati in precedenti visite: forti carenze igieniche, mancanza di acqua calda nelle celle, estese infiltrazioni di acqua provenienti dai tetti, diffusa presenza di letti a castello a tre piani, nonostante siano pericolosi e da tempo vietati dai regolamenti” avevano detto Massimo Lensi e Maurizio Buzzegoli, presidente e segretario dell’associazione per l’iniziativa radicale “Andrea Tamburi” di Firenze che facevano parte della delegazione radicale con Marco Pannella e con l’ex deputata Rita Bernardini. “Sono stati constatati anche alcuni miglioramenti – avevano detto gli esponenti radicali -, riconducibili soprattutto a un minor grado di sovraffollamento, grazie al quale i servizi interni alla struttura carceraria sono finalmente oggetto di maggiore attenzione”. “Due gravi questioni sono però tuttora aperte – aggiungevano -. La presenza all’interno del carcere della Casa di Cura e Custodia (l’OPG femminile) con cinque internate. Sono passati nove mesi dall’approvazione della legge 81, che dando il via al superamento degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, ha imposto la chiusura di tali istituzioni; ciò nonostante la presenza di cinque internate evidenzia, ancora una volta, gravi carenze nell’applicazione della legge, ai limiti dell’illegalità. La presenza nel nido di una bimba di pochi mesi con la madre in esecuzione di pena interna. Anche in questo caso è doveroso segnalare che Firenze attende da troppi anni l’attivazione di un istituto a custodia attenuata (ICAM) per madri detenute”.

papa Francesco, vogliono la tua benedizione: accontentali

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Scialpi, una lettera a Papa Francesco postata sui social

“ho formato una famiglia con il mio compagno. Dammi la tua benedizione”

Il musicista ha indirizzato una lettera a Papa Francesco e al suo genitore scomparso con un “gioco epistolare” di accenti tra ‘Papa’ e ‘papà’

A pochi giorni dall’annucio delle sue prossime nozze, il cantante Giovanni Scialpi, in arte Shalpy ha scritto una lettera al Papa su Facebook e con un gioco d’accenti l’ha dedicata anche al padre scomparso. L’intento della missiva, subito pubblicata sulle varie piattaforme social, è quello di ricevere una benedizione per il futuro matrimonio con Roberto Blasi, compagno e manager di Shalpy. “Caro Papa Francesco mi perdoni, ma da quando ho sentito per la prima volta il Suo nome alla TV per la Sua proclamazione in un attimo di profonda commozione, il mio pensiero è andato subito al mio povero padre che si chiamava come Lei e che è mancato ormai da anni”, la lettera prosegue con i complimenti del cantante a Bergoglio per poi annunciare un cambio del soggetto “Ora che sento il desiderio di scriverLe, mi permetta questo gioco epistolare che consiste nell’aggiungere un semplice accento sulla ‘à, in modo di rivolgermi a Lei come se fosse il mio vero padre“.

La lettera ora assume anche un significato liberatorio per lo stesso Shalpy: “Caro papà Francesco, lo so che il nostro rapporto è sempre stato conflittuale, sin da piccolo tra le tue prese di posizione e le mie idee che mi portavano lontano, io non vedevo il tuo amore e tu non vedevi il mio. Non bastava un tuo dono, non bastava portarmi in Chiesa per sentirmi amato, non c’era il tuo giudizio positivo sulla mia pagella portata a casa con grande ‘orgogliò; come non c’eri quando avevo bisogno di risposte mentre scoprivo i miei primi sentimenti. Ci siamo sempre allontanati l’uno dall’altro, arrivando a non condividere neppure i punti più formativi ed emotivi della mia esistenza. Sono diventato grande frequentandoti, ma nel medesimo tempo non contemplandoti. E proprio adesso che sto per affrontare il momento più felice del mio percorso, la decisione di formare una Famiglia con il mio compagno, quanto mi manca la tua Parola, la tua benedizione ed il tuo abbraccio perché sai quanto ti voglio bene. Per sempre il tuo Giovanni”.

ancora sulla lettera del papa a Scalfari

 

papa veglia
Scalfari e la lettera di papa Francesco:
“Il coraggio che apre alla cultura moderna”

Il fondatore di Repubblica risponde, sul quotidiano in edicola, alla missiva del Pontefice sul rapporto tra fede e ragione: “Parole che fanno riflettere, una visione mai sentita dalla cattedra di San Pietro”. “Sta cercando di far prevalere la Chiesa missionaria su quella istituzionale, ma difficilmente ci sarà un Francesco II”

Le parole di papa Francesco nella sua lettera a Repubblica sono “al tempo stesso una rottura e un’apertura; rottura con una tradizione del passato, già effettuata dal Vaticano II voluto da papa Giovanni, ma poi trascurata se non addirittura contrastata dai due pontefici che precedono quello attuale; e apertura ad un dialogo senza più steccati”. Il fondatore Eugenio Scalfari risponde su Repubblica in edicola alla lettera inviata dal Pontefice come risposta e riflessione sul tema fede e ragione. E lo fa dicendo che “un’apertura verso la cultura moderna e laica di questa ampiezza, una visione così profonda tra la coscienza e la sua autonomia, non si era mai sentita finora dalla cattedra di San Pietro”.

“Leggendo le parole del Papa – spiega Scalfari – il nostro pensiero è chiamato e stimolato a riflettere di fronte alla concezione del tutto originale che papa Francesco esprime sul tema ‘fede e ragione'”. E continua: c’è un importante aspetto politico “quando il Papa scrive della distinzione tra la sfera religiosa e quella politica (….) La pastoralità, la Chiesa predicante e missionaria, c’è sempre stata e Francesco d’Assisi ne ha rappresentato la più fulgida ma non certo la sola manifestazione. Tuttavia non ha quasi mai avuto la prevalenza sulla Chiesa istituzionale. Papa Francesco ha interrotto e sta cercando di capovolgere questa situazione. La trasformazione in corso nella Curia e nella Segreteria di Stato sono segnali estremamente importanti. Temo però che molto difficilmente ci sarà un Francesco II e del resto non è un caso se quel nome non sia stato fin qui mai usato per il successore di Pietro”.

“Il Papa mi fa l’onore di voler fare un tratto di percorso insieme. Ne sarei felice. Anch’io vorrei che la luce riuscisse a penetrare e a dissolvere le tenebre anche se so che quelle che chiamiamo tenebre sono soltanto l’origine animale della nostra specie.

Più volte ho scritto che noi siamo una scimmia pensante. Guai quando incliniamo troppo verso la bestia da cui proveniamo, ma non saremo mai angeli perché non è nostra la natura angelica, ove mai esista”

al presidente della repubblica

Scriviamo al Presidente della Repubblica ed a tutti i parlamentari: non vogliamo essere governati da un condannato con sentenza della Corte di Cassazione per “frode fiscale”.

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Presidente della Repubblica

Secondo la Costituzione Italiana, siamo noi, il popolo sovrano a decidere chi ci deve rappresentare e governare mediante il voto ma nel rispetto della stessa e delle leggi. Ci hanno preso in giro con la legge elettorale il cosiddetto “Porcellum”, dove pochi capipartito hanno deciso e decidono chi e dove candidare coloro che poi eletti decideranno per tutti. Hanno detto a parole di volerla cambiare nel senso di ridarci l’opportunità di scegliere i candidati: tante parole, zero fatti. Noi abbiamo proposto la nostra legge elettorale, che gli toglie potere e lo da al popolo: Ecco la legge elettorale che dovete approvare.

E’ un dovere ed un diritto conoscere chi ci rappresenta e quello che decide per noi: Vogliamo i nomi dei parlamentari che sostengono il condannato per “frode fiscale”.

La situazione peggiora di giorno in giorno. Abbiamo un condannato per frode fiscale in via definitiva con sentenza della Corte di Cassazione leader del PDL partito di maggioranza che governa tutti noi. E’ un paradosso italiano che non mi piace e non condivido.

Ci chiediamo: Perchè calpestare la Costituzione Italiana per salvare un condannato per “frode fiscale”? Ecco che cosa hanno scritto i magistrati della Corte di Cassazione: Silvio Berlusconi fu ”ideatore del meccanismo del giro dei diritti che a distanza di anni continuava a produrre effetti (illeciti) di riduzione fiscale per le aziende a lui facenti capo”. Leggete: Silvio Berlusconi: le motivazioni della sentenza di condanna inerente i diritti Mediaset. E’ gravissimo.

Noi siamo liberi, non tirateci per la giacchetta! Abbiate rispetto. riteniamo che Il consenso popolare non certifica l’impunibilità e l’immunità. Siamo coscienti che seguire la corrente è più facile ma noi sappiamo che Ci vuole coraggio, ma è vitale schierarsi a tutela della Giustizia e della Legalità. Molti si riempiono la bocca con le parole “legalità” e “giustizia” La Legalità non va solo enunciata ma messa in atto e coniugata con la giustizia. Il vero dramma è che La chiarezza, la moralità, l’onestà e la giustizia non garantiscono i voti per governare.

La legalità, la giustizia ed i valori umani come la morale e l’etica devono essere la base sulla quale costruire la politica: Sono morte l’educazione, il rispetto, l’etica e la morale.

E’ un obbligo ritrovare l’“Orgoglio Italia”: rispetto, onestà, legalità, giustizia, merito, capacità, talento, solidarietà, uguaglianza.

Mi spiace ma i miei eroi sono tutti quei morti che hanno dato la vita per noi, per la Giustizia, per la Legalità, per la verità. Sono stati tanti ma per semplicità li simboleggio in Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, due magistrati uccisi per mano della mafia:

Noi chiediamo un governo serio, duraturo e chiaro: Vogliamo un Governo forte, duraturo e politico che pensi al bene del popolo.

Noi pretendiamo un Parlamento senza condannati: Fuori i condannati dal Parlamento.

Noi ci domandiamo come è possibile che deve legiferare un condannato per frode fiscale: Egregio Letta è indecente governare con il condannato per frode fiscale.

Come è possibile che si discute della decadenza attraverso la legge cosiddetta Severino e non c’è una condanna etica, morale e politica da parte di tutti gli altri membri del parlamento: Passaparola: “No, al salvacondotto per Silvio Berlusconi condannato per frode fiscale.”

Noi chiediamo la grazia per i cittadini onesti: Chiedo la “grazia” al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.

Noi vogliamo sapere chi sostiene il condannato per frode fiscale, è un nostro diritto/dovere: Vogliamo i nomi dei parlamentari che sostengono il condannato per “frode fiscale”.

Noi siamo il popolo, chiediamo solo il rispetto della Costituzione e delle leggi: Silvio Berlusconi, la questione è il rispetto della Costituzione Italiane, delle leggi, delle Istituzioni e del popolo.

Abbiamo il Vicepresidente del Consiglio dei ministri Angelino Alfano che ha dichiarato «Presidente, siamo pronti a staccare la spina al governo», ha giurato, «dicci quello che dobbiamo fare e noi eseguiamo, a un tuo segnale noi ci dimettiamo». dove il Presidente è il condannato per frode fiscale Silvio Berlusconi.

Sostituendo alla parola “presidente” le parole realistiche della sentenza emessa dalla Corte di Cassazione “condannato per frode fiscale” si legge “Condannato per frode fiscale, siamo pronti a staccare la spina al governo” ha giurato, “dicci quello che dobbiamo fare e noi eseguiamo, a un tuo segnale noi ci dimettiamo”. Aspettiamo le vostre valutazioni nel merito a tali dichiarazioni.

Tali parole sono di una gravità assoluta per tutte le Istituzioni. Vi chiedo come è possibile essere governati da chi esprime tali pensieri? Quale insegnamento ed esempio ne trae il “popolo sovrano”?

Abbiamo un condannato per frode fiscale tale Silvio Berlusconi senatore della Repubblica assenteista al 99,92 % Qualsiasi altro datore di lavoro avrebbe licenziato un lavoratore assente al 99,92%. che percepisce lo stipendio ovvero i nostri soldi.

Le domande e le riflessioni da comunicarvi sono tante ma per ora vi lascio con quest’ultima riflessione/domanda L’Italia è un paese “normale”?

Vogliamo e Chiediamo le dimissioni del Governo e di tutto il Parlamento. Vogliamo nuove elezioni.

don Valentino scrive a Berlusconi

farfalle

LETTERA DI UN PRETE A BERLUSCONI

“Caro Silvio, ho letto l’invito dell’Assessore di Albenga che ti offre di fare qualche ora di servizi socialmente utili. Vieni a scontare la pena da me, invece? “
“Ti faccio io un bel programmino di servizi socialmente utili. Ti faccio fare un anno di continui giri, non qualche ora al giorno come dice l’Assessore, ma per dieci ore al giorno, a vedere le vere povertà. A scoprire come sta davvero una famiglia che non arriva a fine mese. A vedere chi è un tossicodipendente. A vedere come sta una prostituta che arriva in Italia menata di botte e costretta a vendersi sulla strada. A vedere come vivono gli zingari che tu dici all’Europa di fartene carico per avere i finanziamenti, e che poi vengono abbandonati a se stessi. Ci facciamo un bel giro alla sera a portare un panino a chi dorme per strada. Vieni a vedere cosa sta provocando il taglio ai servizi sociali alle fasce deboli del nostro paese. Vieni Silvio, e ti porto dagli anziani che non hanno nessuno in casa che gli faccia la spesa”.
“Ti faccio parlare io con le famiglie che a Genova si trovano a dover pagare quasi il 6 per cento sulla prima casa. Ti faccio parlare con le piccole imprese strozzate dal mancato finanziamento dello stato debitore. Ti faccio incontrare con chi si sente soffocato da quell’Equitalia che tu avevi promesso di abolire. Ti faccio parlare con le mamme che si vedono aumentare le tasse scolastiche del 4 per cento, con chi per iscrivere il bimbo alla materna deve pagare cento euro”.
“Ti porto ad incontrare i giovani che non trovano lavoro; ti faccio toccare con mano che il tasso di disoccupazione quando eri al governo è diminuito NON perché la gente trovava lavoro, ma perchè se ne andava altrove a cercare lavoro. E tu sai che togliersi dalla lista di collocamento per andare altrove può far pensare che la gente non sia più iscritta perché lavora, ed invece la realtà è molto diversa. Ti faccio conoscere giovani che non sanno come fare per costruirsi un futuro. Che decidono di non comprarsi casa perché, anziché essere una ricchezza, è una tassa insopportabile in più da affrontare. Ti porto a vedere cosa provoca nell’animo umano anni e anni di lavoro precario, quel lavoro precario che tu hai creato come soluzione al lavoro che mancava. Ti faccio parlare con genitori che dicono: “Cosa insegno ai miei figli? A guardare lontano? O ad arraffare oggi quello che la vita ti dà, perché domani non sai cosa ci può essere”. Ti aiuto ad uscire dal mondo dorato in cui vivi, e a renderti conto (tu e molti altri) di come si sta quaggiù”.
“Se vuoi fare dei servizi socialmente utili, non dare retta a chi ti prepara un servizio che è socialmente utile solo a te stesso. Vieni un po’ qui in basso, dove viviamo noi comuni mortali”.
don Valentino Porcile

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